Sanremo (IM) |
«Be'» - dice Riccardo [n.d.r.: Adriano Riccardo Siffredi, Commissario del Distaccamento "G.B. Zunino" del Gruppo G.A.P. "Giacomo Matteotti" di Sanremo (IM)] e mi sorride al disopra del bicchiere colmo di un liquido dal colore del sangue - «che vuoi che ti racconti ancora, o insaziabile raccoglitore di fatti sensazionali? Un'altra impresa pazzesca, la scena di un combattimento o di ua fuga disperata sotto la luna, fra il lampeggiare delle scariche ed il sibilo dei proiettili? La nostra vita di montagna, i mille episodi talvolta eroici, talvolta selvaggi [...]».
«Si era, se ben ricordo, verso la fine di settembre o ai primi di ottobre 1944. La nostra banda s'aggirava, come al solito, fra San Romolo, Borello e San Giacomo [Frazioni di Sanremo (IM)]. Erano, per noi, tempi durissimi. Il Comitato sembrava essersi dimenticato di noi, il cibo scarseggiava, i signori della città s'industriavano a far denaro, maledicendo i tedeschi e fascisti, ma nello stesso tempo, si rifiutavano di muovere un dito per aiutare i “banditi”.
«Si era, se ben ricordo, verso la fine di settembre o ai primi di ottobre 1944. La nostra banda s'aggirava, come al solito, fra San Romolo, Borello e San Giacomo [Frazioni di Sanremo (IM)]. Erano, per noi, tempi durissimi. Il Comitato sembrava essersi dimenticato di noi, il cibo scarseggiava, i signori della città s'industriavano a far denaro, maledicendo i tedeschi e fascisti, ma nello stesso tempo, si rifiutavano di muovere un dito per aiutare i “banditi”.
Il
tempo era bello, faceva ancora caldo, ma noi si pensava all'inverno
sopravveniente ed a tutte le difficoltà che avremmo incontrate,
braccati, come eravamo, da ogni parte. Si parlava già di un
rastrellamento in grande stile contro di noi e le spie nemiche, in città
ed in collina, erano attivissime.
Fra l'altro ci era stata segnalata l'opera specialmente pericolosa del Poggi Giuseppe detto il “Peccia”, fascista di Sanremo fanatico al servizio dei tedeschi e delle brigate nere.
Una sera - eravamo allora in un bosco sopra San Giacomo e aspettavamo, Baggioli [n.d.r.: Aldo, Cichito, comandante del Distaccamento "G.B. Zunino" del Gruppo G.A.P. "Giacomo Matteotti", che venne ucciso dal nemico a San Romolo il 15 novembre 1944] ed io, il ritorno dei nostri uomini che erano stati inviati a prelevare del materiale combustibile - si discorreva appunto del nostro famigerato delatore. Baggioli era furioso perché una miserabile sigaretta, che fumavamo a turno, non tirava e le zanzare pizzicavano più del solito.
Fra l'altro ci era stata segnalata l'opera specialmente pericolosa del Poggi Giuseppe detto il “Peccia”, fascista di Sanremo fanatico al servizio dei tedeschi e delle brigate nere.
Una sera - eravamo allora in un bosco sopra San Giacomo e aspettavamo, Baggioli [n.d.r.: Aldo, Cichito, comandante del Distaccamento "G.B. Zunino" del Gruppo G.A.P. "Giacomo Matteotti", che venne ucciso dal nemico a San Romolo il 15 novembre 1944] ed io, il ritorno dei nostri uomini che erano stati inviati a prelevare del materiale combustibile - si discorreva appunto del nostro famigerato delatore. Baggioli era furioso perché una miserabile sigaretta, che fumavamo a turno, non tirava e le zanzare pizzicavano più del solito.
Tutto ad un tratto egli si dà un formidabile pugno sul ginocchio - eravamo accosciati tra gli alberi - ed urla: "Bisogna far la pelle a quel mascalzone".
D'accordo, rispondo, ma come? Sai bene che l'amico si tiene lontano dai luoghi battuti da noi. Non si allontana dalla città, di notte si rifugia in luogo sicuro e di giorno è ben difficile poterlo pizzicare.
E pure - incalza Cichito - non possiamo lasciare una belva simile in libertà... è un pericolo mortale per noi.
D'accordo, rispondo, ma come? Sai bene che l'amico si tiene lontano dai luoghi battuti da noi. Non si allontana dalla città, di notte si rifugia in luogo sicuro e di giorno è ben difficile poterlo pizzicare.
E pure - incalza Cichito - non possiamo lasciare una belva simile in libertà... è un pericolo mortale per noi.
Mi
venne un'idea. Sapevo che il Peccia frequentava il bocciodromo del
Borgo, nella strada che ora porta il nome di Giacomo Matteotti. Un posto
fuori mano, facilmente accessibile scendendo dalla collina, ma molto
frequentato, unico punto nero, questo, per un eventuale piano
d'attacco.
Esposi l'idea a Cichito.
"Sai che sei più intelligente di quello che credevo?" mi disse egli raggiante.
"Me ne frego, io, della folla. Tutto sta a non essere presi stupidamente in trappola e non poter più uscirne. Per il resto anche cinquanta armati non mi fanno paura". Ed era vero.
"Sai che sei più intelligente di quello che credevo?" mi disse egli raggiante.
"Me ne frego, io, della folla. Tutto sta a non essere presi stupidamente in trappola e non poter più uscirne. Per il resto anche cinquanta armati non mi fanno paura". Ed era vero.
Così
ci mettemmo d'accordo sui preliminari, comunicammo la notizia ai nostri
compagni al loro ritorno, e la mattina appresso facemmo i nostri
preparativi.
Avevamo stabilito di scendere in quattro: Aldo Baggioli, io, Umberto Cozzolini e Bonfante.
Alle tre del pomeriggio - era una domenica radiosa, piena di sole, tiepida come un giorno di primavera - ci avviammo verso la città.
Eravamo mal vestiti, con le scarpe slabbrate e informi cappellacci in testa.
Ma sotto la giacca io custodivo la mia Beretta ed i miei compagni le loro pistole automatiche.
Si andava chiacchierando e fumando, quella mattina avevamo ricevuto un piccolo rifornimento di sigarette, come di ritorno da una passeggiata in collina.
Di tanto in tanto incontravamo famiglie con panierini o coppie di innamorati, ma nessuno ci riconobbe.
Verso le cinque, scendendo da corso Galileo Galilei, raggiungemmo il muretto della strada che domina il bocciodromo.
Ci fermammo, come spettatori sfaccendati, ad osservare il gioco ed intanto si occhieggiava fra la folla nella speranza di scoprire il nostro nemico.
Nel recinto c'erano almeno cinquanta persone: altra gente si sentiva schiamazzare nell'interno del bar. Indubbiamente la nostra impresa rasentava la follia; ma noi eravamo ormai lanciati e nulla più avrebbe potuto trattenerci.
Avevamo stabilito di scendere in quattro: Aldo Baggioli, io, Umberto Cozzolini e Bonfante.
Alle tre del pomeriggio - era una domenica radiosa, piena di sole, tiepida come un giorno di primavera - ci avviammo verso la città.
Eravamo mal vestiti, con le scarpe slabbrate e informi cappellacci in testa.
Ma sotto la giacca io custodivo la mia Beretta ed i miei compagni le loro pistole automatiche.
Si andava chiacchierando e fumando, quella mattina avevamo ricevuto un piccolo rifornimento di sigarette, come di ritorno da una passeggiata in collina.
Di tanto in tanto incontravamo famiglie con panierini o coppie di innamorati, ma nessuno ci riconobbe.
Verso le cinque, scendendo da corso Galileo Galilei, raggiungemmo il muretto della strada che domina il bocciodromo.
Ci fermammo, come spettatori sfaccendati, ad osservare il gioco ed intanto si occhieggiava fra la folla nella speranza di scoprire il nostro nemico.
Nel recinto c'erano almeno cinquanta persone: altra gente si sentiva schiamazzare nell'interno del bar. Indubbiamente la nostra impresa rasentava la follia; ma noi eravamo ormai lanciati e nulla più avrebbe potuto trattenerci.
Scorgemmo
due fascisti in divisa che, deposto il mitra contro il muro del bar,
giocavano con gli altri. Detti un'occhiata di traverso ad Aldo e
m'accorsi che il suo braccio corre alla pistola. Lo trattengo con una
mano perché attenda e con l'altra armeggio sotto la giacca preparando la
pistola. Faccio cenno agli altri compagni di prendere posizione presso
l'entrata del bar: li vedo avviarsi con studiata indolenza e collocarsi
di fronte alla porta.
In
quel momento ho la percezione di essere stato riconosciuto. Alzo gli
occhi ed incontro lo sguardo ostile di un agente dell'ufficio politico
che avevo avuto occasione di incontrare altre volte. L'uomo
impallidisce. Vedo il sangue defluire dal suo volto che sbianca: egli sa
chi sono. Siamo appena a cinque metri l'uno dall'altro. Resto un
momento indeciso ed in quell'attimo l'agente si volta, passa accanto ai
miei due compagni senza notarli, entra nel bar e ne esce un istante dopo
seguito dal Peccia, facendo, nello stesso tempo, segno agli altri due
militi che, presentendo qualcosa di strano, avevano interrotto il gioco,
di avvicinarsi. Nessun rumore veniva più dall'interno del locale. Fuori
tutti i giocatori s'erano arrestati e rimanevano immobili ad osservare
la scena. Non comprendevano che cosa stava per accadere da un momento
all'altro.
Brevi
momenti, attimi, forse, di spasmodica tensione nervosa, nei quali pare
sia contenuta tutta una vita. Momenti in cui si sente, quasi, il rombo
del cuore nell'interno del petto ed il pulsare del sangue alle tempie.
Momenti di gioia selvaggia, durante i quali tutti i sensi si acuiscono
fino a far male.
Peccia è davanti a noi: è armato? non so, poiché è soltanto il suo laido volto ch'io sgorgo in una rossa nebbia.
Peccia è davanti a noi: è armato? non so, poiché è soltanto il suo laido volto ch'io sgorgo in una rossa nebbia.
Sento ch'egli urla "Non sparare Baggioli!"
e lo scatto a vuoto della pistola di Aldo che si impunta. Senza averne
coscienza estraggo la pistola. Intorno a noi s'alzano urla di terrore. E
vedo tutti i presenti, ed i militi con loro, buttarsi a terra come un
sol uomo. Nello stesso tempo la pistola di Cichito fa udire la sua voce.
Otto colpi, in rapida successione, ed il Peccia s'abbatte sulla faccia e
morde la polvere.
Dall'interno ci giungono le scariche dei nostri compagni che sono entrati, e tirano sul fratello del Peccia che s'era rifugiato dietro un tavolo: la lamiera che ricopre il legno è bucata, ma il marmo non lascia passare la pallottola e l'uomo si salva.
Dall'interno ci giungono le scariche dei nostri compagni che sono entrati, e tirano sul fratello del Peccia che s'era rifugiato dietro un tavolo: la lamiera che ricopre il legno è bucata, ma il marmo non lascia passare la pallottola e l'uomo si salva.
Giustizia
è stata ormai compiuta. Occorre ritornare prima che i tedeschi di
guarnigione alla Madonna della Costa giungano sul luogo.
Attendiamo che i nostri compagni escano e, con le pistole puntate indietreggiamo sulla strada. Sono le 5,15. Nel recinto gli uomini restano proni nella loro faccia; come pietrificati dal terrore. Ci fermiamo un attimo. Aldo, ritornato allegro, accende una sigaretta.
Attendiamo che i nostri compagni escano e, con le pistole puntate indietreggiamo sulla strada. Sono le 5,15. Nel recinto gli uomini restano proni nella loro faccia; come pietrificati dal terrore. Ci fermiamo un attimo. Aldo, ritornato allegro, accende una sigaretta.
Il
bar del bocciodromo venne preso d'assalto dalle Brigate Nere inferocite
che ebbero la loro rivincita distruggendo e bevendo tutte le riserve di
liquori. Vi furono arresti e perquisizioni. Il terrore regnò fra le
spie fasciste per lungo tempo. E così ebbe fine la nostra avventura
semi-cittadina.
«Già - finisce Riccardo - era l'unica cosa ch'essi intendevano e noi ne demmo a loro ad usura... Per esempio... ma ti dirò un'altra volta... è tardi». Beve, accende una sigaretta, saluta col gesto uno dei suoi antichi compagni d'avventura «imborghesitosi» anch'esso che si ferma ad arrotolare una sigaretta tratta fuori da un assortimento di «cicche» di tutte le dimensioni e mi sorride.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 271-274
19 ottobre
Qualche giorno fa un gruppo di patrioti uccisero un milite che si trovava a giocare alle bocce al "Borgo". Per questo fatto presero la signorina B. sorella di un "fuori legge" appartenente a una distinta famiglia di commercianti della città e, tradottala non si sa dove, i militi della G.N.R. gliene fecero passare d'ogni qualità.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006
Qualche giorno fa un gruppo di patrioti uccisero un milite che si trovava a giocare alle bocce al "Borgo". Per questo fatto presero la signorina B. sorella di un "fuori legge" appartenente a una distinta famiglia di commercianti della città e, tradottala non si sa dove, i militi della G.N.R. gliene fecero passare d'ogni qualità.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006
Il giorno 8 corrente veniva ferito a colpi di rivoltella in San Remo (Imperia) il milite Poggi Giovanni del locale nucleo U.P.I., che decedeva il giorno successivo.
Gli agenti dell'U.P.I., recatisi a casa del fratello di certo Baggioli Aldo fu Ernesto da San Remo, autore dell'omicidio e noto bandito, provvedevano al fermo della sorella Ada, di 18 anni [...]
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 28 ottobreo 1944, p. 31. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
Gli agenti dell'U.P.I., recatisi a casa del fratello di certo Baggioli Aldo fu Ernesto da San Remo, autore dell'omicidio e noto bandito, provvedevano al fermo della sorella Ada, di 18 anni [...]
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 28 ottobreo 1944, p. 31. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti