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giovedì 13 luglio 2023

Spostamenti del Comando Partigiano Imperiese

La prima pagina di un documento firmato da Simon (cit. infra) in data 3 agosto 1944. Fonte: Fondazione Gramsci

Per presentare un quadro complessivo delle ubicazioni e degli spostamenti del Comando della Resistenza imperiese, che si identificano in tanti momenti della lotta, che viene sviluppata a sua volta nei quattro volumi dell'opera, abbiamo ritenuto interessante tracciarne a grandi linee la cronologia fino alla Liberazione, iniziando, però, dalla metà dell'anno 1944, dato che il periodo precedente è stato approfondito con somma perizia nel primo volume dall'autore G. Strato.
Del suddetto periodo precedente vogliamo ricordare soltanto due episodi, rimasti inediti, che dimostrano con quanta serietà il comandante Nino Siccardi (Curto) desiderava organizzare la Resistenza imperiese, dal punto di vista della competenza, dell'efficienza e, al tempo stesso, come era precaria e difficile l'esistenza dei primi embrioni dell'organizzazione.
Primo episodio: nei primi giorni di dicembre del 1943, «Curto» aveva pensato di incorporare nella Resistenza imperiese degli ufficiali superiori dell'ex esercito, pratici del mestiere dal punto di vista tecnico, tattico e strategico. Per questo motivo, dopo vari suggerimenti avuti da alcuni compagni, aveva pensato di interpellare un bravo ufficiale e, in modo particolare antifascista, cosa abbastanza rara negli ambienti dell'ufficialità. Partito in bicicletta da Imperia, si recava presso Castel Gavone nel Finalese, dove incontrava il capitano Wuillermin Renato di 47 anni, vecchio e bravo combattente della prima guerra mondiale. Ma le trattative non erano ancora terminate quando il capitano, incappato in un rastrellamento, venne fucilato a Savona insieme ad altri per rappresaglia il 27 dicembre 1943.
Secondo episodio: nella prima decade di maggio del 1944, «Curto» e Libero Briganti (Giulio), rispettivamente comandante e commissario di tutte le bande partigiane imperiesi, da Arzéne si erano postati nel bosco di Rezzo, ospitati nella casa di Giobatta Bonello (Bacì Fundeghé). Si dovevano ulteriormente organizzare dei gruppi armati nella valle dell'Impero e per questo motivo venivano consegnate lire diecimila a un compagno di Ville San Pietro per l'acquisto di alimentari e il recupero di armi. Purtroppo il compagno organizzatore, ritornato presso il Comando per comunicare il risultato del suo operato, camminando guardingo e con la rivoltella in mano, era scambiato per un fascista e prima che si  potesse chiarire l'equivoco, dopo una breve sparatoria cadeva ucciso (1).
Con l'unificazione di tutte le bande della provincia nella IX brigata Garibaldi in giugno, il Comando, con a capo «Curto», si sposta ancora nel bosco di Rezzo e ivi rimane fino al 24 giugno 1944 (uccisione di L. Nuvoloni), quindi raggiunge la zona di Tavole. Nei primi giorni di luglio, con l'elevazione della IX brigata a II divisione d'assalto Garibaldi «F. Cascione», ritorna nel bosco e s'insedia nuovamente nella casa di «Bacì Fundeghé».
Alla metà del mese, per necessità militari si trasferisce a Garessio in val Tanaro e, dopo la battaglia di Pievetta (25 luglio 1944), si porta sotto il passo della Follia (Case Almirante), a monte di Pietrabruna, ove rimane fino al giorno della fucilazione degli ostaggi sul monte Faudo (vedi II volume). Seguono brevi spostamenti a San Bernardo di Mendatica, a Pieve di Teco, a Villa Talla ma, in definitiva, rimane nel bosco di Rezzo fino al 19 di settembre, quando l'ispettore «Simon» parte per il Piemonte scortato dal distaccamento di Muccia Pasquale (Turbine) per incontrare una Missione alleata (2). Ritenuto ormai troppo infido, dopo il 19 di settembre il Comando lascia il bosco per rifugiarsi a Piaggia da dove dirige la lotta fino al 13 di ottobre quando, iniziato il grande rastrellamento con l'occupazione tedesca di Pigna in Val Nervia e a causa dell'offensiva nemica in direzione di Triora-Piaggia, viene sospinto verso nord raggiungendo Upega [Frazione di Briga Alta (CN)] il 16; valicato il Mongioie con le brigate I e V, si porta a Fontane (provincia di Cuneo) dove, impegnato nella riorganizzazione delle formazioni, rimane fino ai primi giorni di novembre.
Rientrato in Liguria prima delle formazioni garibaldine, il comandante «Curto» va ad ispezionare la IV brigata (nelle zone di Villa Talla-Pietrabruna) e quindi prende nuovamente contatto con l'ispettore «Simon» [Carlo Farini] a Prelà, giuntovi in  precedenza ammalato (vedi capitoli XXV e XXVI).
Il Comando Operativo della I Zona Liguria, costituitosi il 19 dicembre 1944 e composto da «Simon», da «Curto» e «Sumi» [Lorenzo Musso, commissario politico] s'insedia in casa di Mario De Carolis in Prelà, dove rimane fino all'uccisione di quest'ultimo durante il rastrellamento del 28 dicembre. Allora i componenti e gli addetti sono obbligati a spostarsi a Pianavia presso la tipografia del C.L.N. provinciale che, da Villa Talla ivi trasferita, era stata montata qualche giorno prima dal tipografo Giovanni Acquarone (Barba), in un sottofondo della casa di Giovanni Calzamiglia (Bacì).
Ennesimo rastrellamento il 4 gennaio 1945 e la casa del Calzamiglia viene data alle fiamme. Nuovo rapido spostamento del Comando, fortunatamente sfuggito alla cattura, verso Badalucco in una casa diroccata, dove ha sede anche il centro staffette dirette da Federico Panizzi (Fedé) (ex miliziano del P.O.U.M. in Spagna nel 1937), e da qui a Vignai.
Invece «Simon», annaspando nella neve verso monte Acquarone, con don Nino Martini riesce a raggiungere Lucinasco in valle Impero nella notte.
Il 6 gennaio 1945 sbarca a Vallecrosia la Missione alleata composta dal capitano inglese Robert Bentley e dal radiotelegrafista John Mac Dougall (Mac), che si aggrega al Comando I Zona Liguria dopo due giorni a Vignai. Completato il Comando, il gruppo si porta a San Salvatore, sotto il passo della Follia da dove dirige la lotta.
A metà mese un pesante rastrellamento sul luogo, causato dalla trasmittente individuata dai goniometristi tedeschi, obbliga il gruppo a spostarsi a «Ciazza Becco», tra Badalucco e Pietrabruna, dove sosta una dozzina di giorni.
Durante questo periodo «Curto» si reca ad ispezionare la divisione «S. Bonfante» ad est della strada statale n. 28. Il 25 di gennaio è quasi spettatore della cattura del 10° distaccamento «W. Berio» (IV brigata) da parte del nemico. Triste episodio accaduto nel vallone tra Villa Talla e Pantasina. Ritornato a «Ciazza Becco», il 27 la località è investita da un rastrellamento ancora causato dalla radio trasmittente; ma accade un episodio singolare: alcuni garibaldini del comandante Ermanno Martini (Veloce) incrociano una squadra di soldati tedeschi; i due gruppi nemici si scorgono ma non si accende lo scontro, ognuno prosegue per la propria strada.
Nella notte successiva il Comando si sposta a Beusi, nel bosco del Pistorino, dove i figli del contadino Lanteri Francesco (Chiccò) avevano costruito un'apposita baracca. Dopo qualche gioroo giungono nel detto luogo anche «Simon» e la sua segretaria Bianca Novaro (Rossana).
Intanto avviene l'episodio relativo al sommergibile alleato * che doveva sbarcare rifornimenti sulla spiaggia presso il giro del «Don» (Arma di Taggia) e che, invece, non giunse, mentre i garibaldini caddero in una imboscata (vedi il precedente capitolo LIV).
Il 2 di febbraio il Comando I Zona Liguria è nuovamente riunito. Al Pistorino si discutono i piani per rifornire di armi i garibaldini tramite gli alleati con aviolanci. Il 9 avviene il convegno di Beusi per definire questi piani anche con i rappresentanti di alcuni C.L.N. delle città costiere (vedi il IV volume).
I rastrellamenti si susseguono incessanti [...]
[NOTE]
1 Da una testimonianza orale di «Curto»
2 Gli avvenimenti collegati al Comando della Resistenza imperiese sono descritti in modo particolareggiato nei volumi e nei capitoli precedenti.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 524,527

* Michael Ross, uno degli ufficiali alleati che sarebbero dovuti rientrare nelle linee con il citato sommergibile, lasciò scritto nel suo "From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy" (Minerva Press, London, 1997) che nel richiamato torno di tempo furono tre i tentativi compiuti da un mezzo navale amico. I primi due vennero frustrati perchè scattarono trappole, da cui i partigiani si salvarono a stento, predisposte dai tedeschi, informati da una donna infiltrata nelle fila della Resistenza locale. La terza volta gli uomini del sommergibile, arrivando, non trovarono nessuno, perché, nel frattempo, i garibaldini avevano individuato la spia, che venne addirittura eliminata con l'uso di una pistola in dotazione ad un altro degli ufficiali alleati: e le comunicazioni radio in quel frangente non poterono funzionare, il che spiegava quel viaggio a vuoto.
Adriano Maini

Il 20 ottobre 1944 “Curto”, Nino Siccardi, con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
[…] Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell’VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l’incontro tra il comandante [della II^ Divisione Garibaldi “Felice Cascione” della I^ Zona Operativa Liguria] Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski): “Curto” chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale “Curto” rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio-30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

mercoledì 26 aprile 2023

Era il secondo invito fascista perché la guerra civile avesse termine

Piaggia, Frazione di Briga Alta (CN). Fonte: Wikipedia

A Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN)], ed ancor più a Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)], i partigiani [n.d.r.: appena sfuggiti al grande rastrellamento nemico di ottobre 1944] parlavano fra loro della famiglia e della vita passata con nostalgia. Per la prima volta nelle loro parole si sentiva il rimpianto.
I giorni passavano sempre uguali, il clima diventava sempre più freddo, le notti più lunghe. A sera eravamo ospitati qualche volta dai contadini, vedevamo quelle famiglie patriarcali, serene, unite ed il pensiero andava alla nostra, lontana ed esposta al nemico ed alle bombe. Anche lì la guerra pesava col suo incubo, già a marzo i tedeschi avevano sparso il terrore. Anche in quei giorni di novembre gli uomini che venivano da Mondovì parlavano di preparativi, di minacce di rastrellamenti. Da un giorno all'altro la bufera poteva abbattersi anche su Fontane e spazzarci via ancora una volta.
A sera qualche volta sentivamo la radio al comando della V Brigata ["Luigi Nuvoloni"]: Radio Monteceneri, Londra, Roma: le eterne notizie, pioggia, maltempo, tregua su tutti i fronti, l'invito del generale Alexander, comandante del fronte alleato in Italia, ai partigiani di cessare la lotta, l'invito del Governo della Repubblica Sociale ai partigiani di arrendersi, piena amnistia per tutti quelli che si fossero presentati alle autorità della Repubblica entro il 4 novembre [1944], anniversario della Vittoria. Era il secondo invito fascista perché la guerra civile avesse termine, questa volta il momento era meglio scelto che non in maggio, la situazione militare e psicologica era cambiata. A me spiacque questo secondo invito, non tanto perché pensassi che avesse influenza sui compagni: anche coloro che avevano deciso di lasciarci avrebbero avuto la prudenza od il pudore di non arrendersi alle autorità repubblicane. Sentivo invece confusamente che la tragica partita che era in gioco fra noi e loro veniva alterata nelle sue regole. Avevamo accettato di pagare con la vita in caso di cattura, avevamo pagato e pagheremo ancora. Eravamo inferiori e sapevamo che lo saremmo stati ancora per molto, però alla fine sarebbe ben venuto il momento nostro, ed allora avrebbero pagato loro e tutto in una sola volta.
Ora i fascisti, nel momento in cui erano più forti, ci offrivano la vita in caso di resa per la seconda volta, non dovremo noi fare altrettanto quando alla fine saremo i più forti? Noi ora non ci attendiamo e quindi non traiamo vantaggio della clemenza nemica, ciò però ci esenterà dall'essere clementi a nostra volta domani? Avrei fatto a meno volentieri anche di questo problema.
Qualche volta alla sera dopo cena ci riuniamo al comando e passiamo assieme qualche ora parlando, cantando, discutendo di politica.
Ricordo le parole di Mario [Carlo De Lucis] in una sera di ottobre: «Ora questa vita dura ci pesa e pensiamo al passato, pure verrà un giorno che ricorderemo questi tempi con orgoglio e forse con nostalgia. Son sicuro che allora molti saranno i garibaldini disposti a tornare sotto i vecchi capi, sotto le vecchie bandiere a rivivere questa vita... ». Quanti di coloro che c'erano quella sera caddero nel lungo inverno? Quanti dei sopravvissuti pensano con orgoglio a quel passato?
Mario era commissario della I Brigata ["Silvano Belgrano"], ma lo rimase ancora per poco: ai primi di novembre vennero formati i nuovi quadri. I resti del comando della Cascione stavano affluendo a Fontane cercando penosamente di ricostruire servizi, uffici, organizzazione, ma ormai, dopo il colpo di Upega era impossibile tornare ad essere quelli di una volta. Oltre al materiale perduto mancavano gli uomini e la volontà. Curto [Nino Siccardi, comandante della Divisione Cascione, e da dicembre, invece, della I^ Zona Operativa Liguria], arrivato dalla Liguria, provvide alle nuove nomine. Il posto di commissario della Cascione, dopo la morte di Giulio [Libero Briganti] passava a Mario. Vicecommissario diventa Miliani [Beniamo Miliani], già capo dell'Ufficio Agitazione e Propaganda della I Brigata. Cion [Silvio Bonfante], vicecomandante della Cascione [n.d.r.: caduto nel corso della tragica ritirata dei partigiani imperiesi dell'ottobre del 1944], viene sostituito da Giorgio [Giorgio  Olivero che nel successivo mese di dicembre 1944 divenne comandante della nuova Divisione partigiana Bonfante]. La Divisione ["Felice Cascione"] ha quindi Curto e Giorgio, Mario e Miliani. Comandante della I Brigata diventa Mancen [Massimo Gismondi], già vicecomandante, la carica vacante passa a Pantera [Luigi Massabò], già capo di Stato Maggiore, il cui posto verrà ricoperto da Pablo [Ercole Pario], già mio superiore nell'Ufficio Operativo che viene soppresso. Commissario della I brigata diventa Osvaldo [Osvaldo Contestabile] che lascia la V Brigata. Vicecommissario sarà Socrate che in ottobre, quando era commissario del distaccamento I. Rainis, aveva effettuato un brillante colpo di mano sulle caserme di Diano Marina. II posto rimase vacante perché Socrate [Francesco Agnese] doveva essere in Val Pennavaira col suo distaccamento, ma purtroppo le nostre speranze erano infondate: Socrate era morto ad Upega.
Contemporaneamente vennero rimaneggiati i servizi: Boris [Gustavo Berio], responsabile S.I.M. della Cascione, è con la IV Brigata ["Elsio Guarrini"]. Achille diventa il viceresponsabile per il Piemonte ed il S.I.M. di brigata passa a Nenno e Rinaldo.
Difficile ed inutile sarebbe seguire tutte le nomine e i cambiamenti che nessuno allora avvertì, tranne gli interessati diretti. Purtroppo la debolezza non era nei capi che si potevano mutare ma nel clima, nel morale, nell'armamento.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 18-19

venerdì 18 novembre 2022

Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa

Carnino Superiore, Frazione di Briga Alta (CN). Fonte: Mapio.net

Dopo monte Vetta è perduto il passo Muratone; il distaccamento comando della V brigata è obbligato a indietreggiare da Carmo Langan e a ritirarsi su Triora. Il Comando brigata si prefigge, nell'eventualità di una ritirata, di seguire la direttrice Triora-Piaggia per raggiungere il Comando divisione.
Il distaccamento di "Moscone" [comandante "Moscone", Basilio Mosconi] che si trovava a Cima Marta per proteggere Pigna dal lato di Briga e che, esaurito il suo compito, attendeva ordini precisi, alle 11 del giorno 9 [ottobre 1944] è messo in allarme dalle vedette: una colonna tedesca sale da Briga, il distaccamento si mette in postazione e l'attacca con raffiche di mitraglia per rallentare la marcia e permettere alla colonna dei muli diretta a Bregalla di guadagnare terreno e mettersi al riparo. Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa; camminano stanchi e taciturni, quasi abbiano paura di parlare. Bregalla è raggiunta nelle prime ore della notte e gli uomini cercano riposo nei casoni presso monte Castagna insieme a un gruppo del distaccamento di "Lilli", confortati dalle castagne bollite, in attesa dell'alba.
[...] Circa 400 Tedeschi si piazzano a Collardente e 300 nella zona di Pigna; altre truppe con cannoni aprono il fuoco su Buggio nel tentativo di annientare reparti del 4° distaccamento posto a difesa della zona.
Oltre 200 Tedeschi si dispongono in offensiva nella zona di Graj. Si delinea il grave pericolo dello sbarramento della via di ritirata Triora-Piaggia.
Il comandante "Vittò" [anche "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] col suo Stato maggiore cerca di studiare un nuovo schieramento facendo perno su Triora con utilizzazione del 3° del 1°, e di metà del 5° distaccamento, in posizione nella zona sopra Bregalla; il 2°, il 6° e il distaccamento comando sono già a Triora da dove cercano di richiamare l'8° distaccamento di "Gori".
Informata dalla situazione, la I brigata pone vigilanza alla strada che da Collardente porta alla galleria del Garezzo ove sono già in perlustrazione pattuglie avanzate tedesche.
Il distaccamento di Gino Napolitano (Gino) che, trovatosi imbottigliato da sud-ovest del monte Ceppo, si era portato a Baiardo, di lì a Carmo-Langan e poi a Buggio, subìto lo sbandamento riesce a riordinarsi a Triora insieme a gli altri reparti.
Nei giorni 10 e 11 la calma si ristabilisce. Il nemico sembra abbia subito una battuta d'arresto; sembra stia ordinando le proprie fila, preparando nuovi piani d'attacco. Le perdite garibaldine sono gravi, molti gli sbandati e le armi perdute.
Durante questa tregua il distaccamento di "Gino" ritorna a Carmo-Langan con lo scopo di proteggere il ripiegamento della brigata da un eventuale pericolo di sorpresa. Il lavoro dei commissari, provvisoriamente interrotto, viene riattivato a Triora; si curano i migliori elementi per porli candidati ai tre battaglioni della brigata in via di ricostituzione.
In questo precario periodo di vita della V brigata i garibaldini hanno dimostrato grande compattezza e massimo affiatamento coi Comandi; ciò verrà confermato nei giorni seguenti con l'ulteriore spostamento a Piaggia, poi a Carnino e infine a Fontane in Piemonte.
[...] Intanto il distaccamento di "Franco" raggiunge Piaggia il 12 assieme ad una quindicina di garibaldini di "Leo". Da Ventimiglia giungono notizie che i Tedeschi stanno risalendo la valle Roja in forze, lasciando sulla costa solo elementi della marina, mentre a Oneglia pattuglie formate da nazisti e brigate nere partono per perlustrare le strade che danno accesso alle vallate.
La situazione diviene nuovamente critica.
I Tedeschi, distruggendo e incendiando case e fienili per la campagna, compaiano nei dintorni di Triora e la banda locale di Molini si sbanda.
Anche la IV brigata si prepara al peggio: il 7° distaccamento di "Veloce" si tiene pronto a partire per spostarsi sotto monte Ceppo sperando di venirsi a trovare alle spalle dello schieramento nemico, qualora questi operasse verso sud in valle Argentina; nella notte sotto il monte giungono garibaldini sbandati del distaccamento di "Gino" attaccato in mattinata a Langan. Molini è investita da colonne di nazifascisti che riprendono l'offensiva il mattino del 13.
Le prime raffiche prolungate si odono di fronte all'accampamento del distaccamento di "Moscone"; colonne di fumo s'innalzano dai tetti delle case di campagna in località Goletta, il nemico dà fuoco a tutto quello che scorge, compresa la casa ove era stato posto il Comando della V brigata.
Il distaccamento riesce a prendere posizione sul monte Castagna e a rimanervi per quatto ore. Al tramonto, ricevuto l'ordine da "Vittò" di spostarsi, dopo una marcia notturna sotto lo scrosciare incessante della pioggia e per sentieri invisibili ed infangati, raggiunge il paese di Piaggia sul fare dell'alba.
I Tedeschi avevano annunciato il loro arrivo a Triora con una breve sparatoria su Langan, dopo aver attraversato il bosco di Tenarda; come abbiamo accennato, incendiati i casoni della Goletta, scendono per i castagneti di Mauta e giunti in località La Besta non proseguono sulla via maestra ma deviano per una scorciatoia che porta alla Noce, indizio evidente che qualche conoscitore dei luoghi li stava guidando.
Giunti nel luogo detto Casin sparano al campanile del capoluogo, come avviso del loro arrivo.
Ondate di soldati tedeschi si susseguono per tutta la giornata. Si fermano nel paese occupando le case private Tamagni, Capponi, Bonfanti, Ausiello, Costa, Moraldo, ecc. L'artiglieria sosta sotto i portici dell'asilo e dell'ospedale; ivi sostano pure le cucine della truppa, mentre la sanità viene sistemata in casa di Lina Novaro (La Baracca) ed i cavalli nella scuderia del "Casermone".
Intanto tutta la V brigata è in ripiegamento verso Piaggia. Avviene in modo ordinato e con calma. Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza comprendenti 350 garibaldini.
Mancano ancora i distaccamenti di "Gino" che, rimasto tagliato fuori, riuscirà in seguito a raggiungere Piaggia attraverso il passo della Mezzaluna e la galleria del Garezzo, scansando le colonne nemiche, e l'8° distaccamento di "Gori" (4), in posizione avanzata a Beusi, a monte di Taggia, ove rimarrà per tutto il mese appoggiato a levante dal 3° battaglione di "Artù" della IV brigata.
[...] Anche le forze garibaldine si erano preparate per collaborare allo sbarco alleato.
A Piaggia il comandante "Simon" [Carlo Farini], dopo l'amara delusione subita i primi giorni di settembre, cercava di rendere efficiente al massimo la II Divisione Garibaldi "F. Cascione" a cui era assegnato il compito di scendere sulla costa per occupare il capoluogo e San Remo.
A tale proposito il 26 di settembre "Curto" [Nino Siccardi] aveva dato istruzioni a tutti i S.I.M. di raccogliere tutte le informazioni possibili sulla dislocazione delle forze nemiche, sul loro armamento, sull'ubicazione delle sedi dei Comandi, dei posti di blocco, delle postazioni, dei magazzini, ecc.; sulla consistenza delle forze e dei trasporti militari.
Vennero preparati due piani, uno generale e l'altro dettagliatissimo, per l'occupazione del capoluogo (1).
Il piano generale venne trasmesso il 6 ottobre da "Curto" e dal Capo di S.M. ai Comandi della I, IV e V brigata e prevedeva il concentramento dei distaccamenti nel modo seguente:
I Brigata: tra Cesio e Pieve di Teco.
IV Brigata: tra Borgomaro e Carpasio.
A disposizione, per l'occupazione di San Remo:
Battaglione "Artù" (3° battaglione della IV Brigata)
Distaccamento "Gino" (della V Brigata)
Distaccamento "Gori" (della V Brigata)
Quindi, la formazione di colonne-trasferimento con i seguenti itinerari:
I Brigata: Cesio-monte Arosio-monte Torre-Evigno-Diano Arentino-Costa d'Oneglia.
IV Brigata: Borgomaro-passo delle Ville San Pietro-Colla Bassa-Borgo Sant'Agata.
V Brigata: monte Faudo-Lecchiore-Dolcedo.
Il Comando divisione avrebbe dovuto marciare con la I brigata.
Prima di procedere all'occupazione delle due località di Porto Maurizio e di Oneglia, la divisione avrebbe dovuto attestarsi sulla seguente linea:
V Brigata: Poggi-Caramagna-Cantalupo-Artallo.
IV Brigata: Borgo Sant'Agata-Borgo d'Oneglia.
I Brigata: Costa d'Oneglia-Gorleri-capo Berta.
Comando divisione a Costa d'Oneglia.
Inoltre, nel piano facevano seguito le disposizioni per i successivi obbiettivi da raggiungere, e le disposizioni varie che si ricollegavano a quelle del piano dettagliatissimo composto da nove pagine dattiloscritte, con tredici allegati e tre piantine relative ai collegamenti, agli eventuali ripiegamenti, al servizio sanitario, ecc (2).
Intanto le S.A.P. avevano preparato venti squadre di difesa cittadina composte ognuna da circa dieci combattenti, in gran parte membri delle cellule del Partito comunista italiano.
Ma fu lunga l'attesa; lo sbarco alleato non avvenne e tutto precedette come prima: rastrellamenti, rappresaglie, incendi, a cui si  contrapponeva la Resistenza di un popolo e delle sue formazioni garibaldine in armi. Così fino alla liberazione.
(1) Progetto occupazione Imperia del 6.10.1944, prot. n° 762/R/24.
(2) Ordine di operazioni n° 1, del 28.10.1944.
 
[...]
"Relazione di Curto sui fatti di Upega
Alla Segreteria della I Zona Liguria
Dal Comando II Divisione d'Assalto Garibaldi "F. Cascione"
Zona, 2 novembre 1944, n. 34/Q/15 di prot.
Oggetto: Relazione sui fatti di Upega.
Alla Segreteria I Zona.                                                                               
Con l'occupazione di Ormea si delineava la minaccia di un attacco ai distaccamenti della I brigata e così pure a quelli della V rifugiatisi presso il Comando di divisione in Piaggia.
Si predispongono imboscate lungo la 28, da Ormea a Ponte di Nava e Forti di Nava sino a S. Bernardo di Mendatica. La sera del 15 forze tedesche attaccano S. Bernardo che viene evacuata rapidamente dalle nostre formazioni. Già nella giornata l'ospedale di Valcona era stato sgomberato ed i feriti che si trovavansi in Piaggia erano stati trasportati con barelle a Upega decidendo di lasciarli in questo paese con l'assistenza medica ed il minimo di personale indispensabile.
Delineatosi l'attacco su S. Bernardo, tutti i distaccamenti della I e V brigata ricevettero l'ordine di ritirarsi in direzione di Carnino, considerando già l'eventualità di un ulteriore spostamento su Fontane in caso di necessità.
Il giorno 16 una parte delle forze raggiungeva Carnino mentre un'aliquota minore arrivava solo a Upega. Io arrivavo a Upega nella mattinata del 16 e vi facevo fermare le forze che ancora vi si trovavano perchè potessero assolvere un conveniente servizio di guardia ed eventuale difesa. Furono predisposte due postazioni con mitragliatrici, una a Colla Bassa, l'altra sulla strada che proviene da Piaggia.
In giornata mi recavo a Carnino ove facevo fermare e dislocare i distaccamenti quivi arrivati; quindi ritornavo a Upega per avere informazioni sullo sviluppo dell'attacco a S. Bernardo.
Le notizie sembravano favorevoli, in quanto pareva che i Tedeschi non fossero arrivati neppure a Piaggia.
Stando così le cose e nella speranza di evitare, fin che fosse possibile, un ulteriore ripiegamento fino a Fontane, decido di organizzare in Upega il Comando di divisione dandone immediata disposizione. Difatti il giorno dopo, verso mezzogiorno, i componenti del Comando arrivano provenienti da Carnino. Il mattino del 17 pensiamo, d'accordo col dott. De Marchi, di trasportare i feriti da Upega a Carnino, ma poiché in Upega non ci sono gli uomini necessari, dobbiamo mandare a chiedere 50 uomini a Carnino che sarebbero dovuti arrivare il 18 mattino per provvedere al fabbisogno.
Come misura di sicurezza, alle due postazioni sopradette aggiungiamo una pattuglia avente lo scopo di sorvegliare la strada militare che attraversa il bosco delle Navette sopra Upega. Pare che i due uomini inviati di pattuglia, raggiunta la casa dei cacciatori vi si siano rifugiati, mettendovisi a dormire; furono così sorpresi da una colonna di Tedeschi proveniente da Briga Marittima e trucidati. I Tedeschi poterono così avvicinarsi ad Upega senza che venissero segnalati, e nelle prime ore del pomeriggio veniva dato l'allarme quando già si trovavano nelle immediate vicinanze del paese. Mentre la popolazione del paese ed i nostri uomini scappano per mettersi in salvo, assieme a "Giulio"
[Libero Remo Briganti] do ordine di provvedere per i feriti e quindi ci rechiamo nella direzione dei Tedeschi, colla speranza di poterli trattenere un po' per dar modo di porre in salvo i feriti nella vicina cappella del cimitero, come già convenuto in caso di bisogno. Ma purtroppo i Tedeschi sono ormai a non più di 50 metri da noi, mentre "Giulio" rimane subito mortalmente ferito da una pallottola che gli perfora il ventre.
Cerco allora di porre in salvo "Giulio" e miracolosamente possiamo raggiungere un nascondiglio, ove dopo circa due ore e mezza, e precisamente alle 17,40 "Giulio" decedeva. Lascio il cadavere e mi reco a Carnino ove decidiamo di avvicinarci al passo del Bocchin d'Aseo con tutte le forze che ancora trovansi tra Carnino e Viozene, per attraversare il giorno dopo il passo stesso e riparare a Fontane, ciò che è avvenuto regolarmente.
In Upega oltre all'eroica morte del commissario "Giulio", trovava pure gloriosa morte "Cion"
[Silvio Bonfante], che si sparava un colpo di pistola al cuore, quando vide l'impossibilità di sottrarsi alla cattura da parte dei Tedeschi e dopo che il dott. De Marchi, che assieme ad altri tre garibaldini portava la barella di "Cion", era caduto mortalmente colpito da una raffica di Mayerling. Pure a fianco di "Cion" era caduto "Vittorio il Biondo" che fino all'ultimo momento non aveva voluto abbandonare il proprio comandante. Anche "Lensen di Artallo" veniva colpito mentre tentava di porsi in salvo (1).
Infine anche il "meghetto" Franco, che già era riuscito a guadagnare il passo di Colla Bassa, cadeva fulminato da una raffica.
Furono pure fatti dai Tedeschi quattro o cinque prigionieri dei quali purtroppo si ignora ancora la sorte.
Il comandante di divisione
Curto
"
1 Dopo circa un mese si venne a sapere che "Vittorio il Biondo" era ancora vivo.      

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

domenica 20 marzo 2022

La tragedia di Upega è costata alla Resistenza quasi una ventina di caduti

Briga Alta (CN) - Fonte: Mapio.net

Abbiamo visto come, preceduti da tre giorni di cannoneggiamenti, reparti tedeschi provenienti da Isolabona, Saorge e Briga, l'8 ottobre 1944 avessero costretto i reparti garibalbini nella zona di Pigna a ripiegare sotto la minaccia di accerchiamento.
Riassumendo: il rastrellamento continua incalzante. Il distaccamento di «Barba» arretra dal monte Vetta. Una pattuglia del 5° distaccamento, armata di due fucili mitragliatori, è inviata in direzione di Castelvittorio per accertare lo stato delle cose, i movimenti nemici e appoggiare eventuali formazioni che già combattono.
La zona che si estende dal confine francese a Pigna e che scende a Castelvittorio-Buggio-Carmo Langan, alle ore 22 non è più sotto il controllo garibaldino; della situazione viene informato con un messaggio anche il 3° battaglione della IV brigata e l'8° distaccamento di «Gori» della V brigata, ritornato nella zona di Beusi a monte di Taggia.
Dopo monte Vetta è perduto il passo Muratone; il distaccamento comando della V brigata è obbligato a indietreggiare da Carmo Langan e a ritirarsi su Triora. Il Comando brigata si prefigge, nell'eventualità di una ritirata, di seguire la direttrice Triora-Piaggia per raggiungere il Comando divisione.
Il distaccamento di «Moscone» che si trovava a Cima Marta per proteggere Pigna dal lato di Briga e che, esaurito il suo compito, attendeva ordini precisi, alle 11 del giorno 9 è messo in allarme dalle vedette; una colonna tedesca sale da Briga, il distaccamento si mette in postazione e l'attacca con raffiche di mitraglia per rallentare la marcia e permettere alla colonna dei muli diretta a Bregalla di guadagnare terreno e mettersi al riparo. Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa; camminano stanchi e taciturni
[...] la I brigata pone vigilanza alla strada che da Collardente porta alla galleria del Garezzo ove sono in perlustrazione pattuglie avanzate tedesche.
Il distaccamento di Gino Napolitano (Gino) che, dopo essersi trovato in grave difficoltà, da sud-ovest del monte Ceppo si era già portato a Carmo-Langan e poi a Buggio, riesce a riordinarsi a Triora insieme agli altri reparti.
Nei giorni 10 e 11 la calma si ristabilisce. Il nemico sembra avere subito una battuta d'arresto; sembra stia ordinando le fila, preparando nuovi piani d'attacco.
Le perdite sono gravi, molti gli sbandati e le armi perdute.
Durante questa tregua il distaccamento di «Gino» ritorna a Langan con lo scopo di proteggere il ripiegamento della formazione partigiana da un eventuale pericolo di sorpresa.
[...] Il lavoro dei commissari, provvisoriamente interrotto viene riattivato a Triora; si curano i migliori elementi per poi darli affidati ai tre battaglioni della brigata in via di ricostruzione. In questo precario periodo di vita della V brigata i garibaldini hanno dimostrato grande compattezza e massimo coordinamento coi Comandi; ciò verrà confermato nei giorni successivi con l'ulteriore spostamento a Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN)], poi a Carnino e indi a Fontane in Piemonte.
Sul ripiegamento ordinato della V brigata, il garibaldino Giulio Manasero (Lulù) racconta: « ... Con l'attacco tedesco a Pigna, non potendo resistere al nemico, i distaccamenti della V brigata riuscirono a ripiegare con ordine, ma questo avvenne anche grazie all'impianto telefonico che ero riuscito a costruire con tenacia e pazienza. Messomi al lavoro dopo l'occupazione di Pigna da parte dei partigiani, avvenuta negli ultimi giorni di agosto, mi misi a collegare con linee telefoniche tutti i distaccamenti della V brigata dislocati su un largo territorio che si prolungava fino a Langan. Con la mia esperienza, costruii un centralino, smontando e selezionando i pezzi di vari apparecchi da campo già in dotazione all'esercito, abbandonati da settembre 1943 nelle varie casematte situate in montagna, come quelle di Margheria dei Boschi, di Muratone, di Lega. Il centralino venne innestato alla ex linea pubblica già dalla "Società dei telefoni e telegrafi", così Langan, Pigna, Marta, Baiardo, Molini di Triora e Badalucco vennero collegati tramite questo ingegnoso lavoro che svolse per un mese un servizio efficiente e, come ho detto all'inizio, fu un prezioso elemento, anche per la salvezza di tutti i distaccamenti nel corso del rastrellamento. Inviati gli ultimi messaggi, con i Tedeschi nelle vicinanze, mi incaricai di distruggere tutti gli impianti...».
Intanto il distaccamento di «Franco» raggiunge Piaggia assieme ad una quindicina di garibaldini di «Leo».
Da Ventimiglia giunge notizia che i tedeschi stanno risalendo la valle del Roja in forze, lasciando sulla costa solo elementi della Marina, mentre a Oneglia pattuglie formate da nazisti e brigate nere partono per perlustrare le strade che danno accesso alle vallate.
La situazione diviene nuovamente critica.
I Tedeschi, distruggendo e incendiando case e fienili per la campagna, compaiono nei dintorni di Triora e la banda locale di Molini si sbanda.
Anche la IV brigata si prepara al peggio: il 7° distaccamento di «Veloce» si tiene pronto a partire per spostarsi sotto monte Ceppo sperando di venirsi a trovare alle spalle dello schieramento nemico, qualora questi operasse verso sud in valle Argentina; nella notte sotto il monte giungono garibaldini sbandati del distaccamento di «Gino» attaccato in mattinata a Langan. Molini è investita da colonne di nazifascisti che riprendono l'offensiva il mattino del 13.
Le prime raffiche prolungate si odono di fronte all'accampamento del distaccamento «Moscone»; colonne di fumo s'innalzano dai tetti delle case di campagna in località Goletta, il nemico dà fuoco a tutto quello che scorge, compresa la casa ove era stato il Comando della V brigata.
Il distaccamento riesce a prendere posizione sul monte Castagna e a rimanervi per quattro ore. Al tramonto, ricevuto l'ordine da «Vittò» di spostarsi, dopo una marcia notturna sotto lo scrosciare incessante della pioggia e per sentieri invisibili ed infangati, raggiunge il paese di Piaggia sul fare dell'alba. I Tedeschi avevano annunciato il loro arrivo a Triora con una breve sparatoria su Langan, dopo aver attraversato il bosco di Tenarda; come abbiamo accennato, incendiati i casoni della Goletta, scendono per i castagneti di Mauta e giunti in località La Besta non proseguono sulla via maestra ma deviano per una scorciatoia che porta alla Noce, indizio evidente che qualche conoscitore dei luoghi li stava guidando.
Giunti nel luogo detto Casin sparano al campanile del capoluogo, come avviso del loro arrivo.
Ondate di soldati tedeschi si susseguono per tutta la giornata. Si fermano nel paese occupando le case private Tamagni, Capponi, Bonfanti, Ausiello, Costa, Moraldo, ecc. L'artiglieria sosta sotto i portici dell'asilo e dell'ospedale; ivi sostano pure le cucine della truppa, mentre la sanità viene si ternata in casa di Lina Novaro (La Baracca) ed i cavalli nella scuderia del «Casermone».
Intanto tutta la V brigata è in ripiegamento verso Piaggia. Avviene in modo ordinato e con calma. Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza comprendente 350 garibaldini. Mancano ancora i distaccamenti di «Gino» che, rimasto tagliato fuori, riuscirà in seguito a raggiungere Piaggia attraverso il passo della Mezzaluna e la galleria del Garezzo, scansando le colonne nemiche, e l'8° distaccamento di «Gori», in posizione avanzata a Beusi, a monte di Taggia, ove rimarrà per tutto il mese appoggiato a levante dal 3° battaglione di «Artù» della IV brigata
«...il Comando partigiano è sempre a Piaggia; all'intorno sui passi, nei casoni, sulle cime, ancora distaccamenti e pattuglie. Pioggia, fango, umido, nevischio; lento stillicidio dei giorni, la neve è appena sulle cime, l'inverno avanza minaccioso. Il giorno 13 mattino s'ode distinto il rombo del cannone. La V brigata è ancora attaccata; riuscirà ancora a tenere? La domanda ansiosa fa tremare il cuore.
"Osvaldo" [Osvaldo Contestabile] era stato nominato commissario della V e il 5 di ottobre aveva salutato quelli della I brigata prima di lasciarli e rivoltosi al garibaldino Gino Glorio (Magnesia) aveva detto: "Vuoi venire con me? Andiamo verso il fronte, saremo i primi ad essere liberati". "Osvaldo" era partito con la sua pesante coperta sulle spalle... sarebbe stato mai più rivisto?
"Abbiamo ricevuto dal Comando tedesco una specie di ultimatum. Se ci impegnamo a non attaccare ulteriormente i collegamenti tra il fronte e le retrovie, se lasciamo libere le strade, il nemico s'impegna a non molestarci, in caso contrario comincerà il rastrellamento (vedi precedente capitolo: "La battaglia di Pigna")": così il commissario "Osvaldo" scriveva al Comando della "Cascione". La risposta dei garibaldini è netta e decisa: se i Tedeschi sono disposti a lasciare la Liguria, le azioni di disturbo cesseranno, finchè rimarranno sulla nostra terra sarà nostro diritto e dovere attaccarli ad oltranza. Le formazioni partigiane sono cosapevoli di essere più deboli, che il nemico non minaccia invano, può sgominarle, forse per sempre, ma nulla le piegherà a trattare; la sfida sanguinosa è lanciata, se ne sopporteranno le estreme conseguenze.
Il nemico attacca, ritira le truppe dal fronte e le lancia contro di noi, ritira gli alpini scelti, le artiglierie da montagna e rovescia una valanga di fuoco sulle posizioni della V. I nostri ripiegano, attendono che il bombardamento si plachi, più veloci tornano in linea e attendono a piè fermo il nemico che sale all'attacco. Più volte il tedesco è respinto; poi riesce a infiltrarsi, la prima linea cede, Pigna è perduta. La V ripiega su monte Ceppo, Langan, Cima Marta a copertura di Triora.
L'attacco nemico prosegue; ancora artiglierie, bombardamenti, assalti, ancora i nostri senza cannoni e trincee lasciano le posizioni durante il fuoco per tornarvi subito dopo; ancora tre volte il nemico è ributtato con perdite sanguinose; ora, però, il rombo del cannone è troppo vicino e frequente.
A sera giungono i primi sbandati sotto la pioggia che cade insistentemente. Chi ha una coperta, con quella si ripara dall'acqua, alcuni hanno anche lo zaino, altri hanno tutto perduto, scendono dal Frontè, camminano da ore tra la neve ed il fango. Nella notte il Comando divisionale è pieno di garibaldini della V; sono infangati, bagnati, sfiniti, il morale però è alto, forse più alto di quello dei partigiani della I; già, si è sempre sollevati quando si esce da un rastrellamento, si sfugge da un pericolo, si arriva in una zona controllata dai nostri.
"Ciao, 'Magnesia', come vedi sono tornato... però è andata male". Era 'Osvaldo', il commissario della V con la coperta a tracolla. "Petroni", un uomo di "Umberto" racconta le ultime fasi di vita di una banda: il rastrellamento di San Romolo, la scomparsa del capitano "Umberto": "Ora sono con la V, ce ne sono anche altri... No, 'Marcello' non è con noi, è andato in missione verso San Remo ed è scomparso".
Nella stanza c'è un brusio continuo, partigiani arrivano e ripartono, vengono a cercare un compagno, una banda perduta, chiedono notizie, informazioni, si fermano un po' e poi escono a cercare un fienile. Raccontano i particolari della lotta: il nemico molto superiore aveva attaccato di sorpresa approfittando della nebbia.
Cima di Marta era andata perduta e poi, dopo breve e violenta lotta, la disfatta. Certi distaccamenti sono stati tagliati fuori e si ignora la loro sorte, altri hanno perduto i capi, altri si sono sfasciati.
Alcuni, i più, hanno conservato le armi, la compattezza e ripiegano ordinati; hanno ricevuto l'ordine di fermarsi perchè Pigna si va congestionando. Sono indicati loro i luoghi dove accamparsi.
Rapidi e febbrili fervono a Piaggia i preparativi; gli sbandati vengono nutriti, riequipaggiati secondo le possibilità, inquadrati nuovamente; i distaccamenti meno provati sono nuovamente in postazione per rinforzare lo schieramento della I che protegge l'alta val Tanaro dal lato est contro minacce provenienti da Pieve e da Garessio; la V terrà il fronte sud-ovest: Tanarello-Frontè.
Pattuglie partono in tutte le direzioni per segnalare il nemico e prevenire sorprese. Triora, Langan, Molini sono di nuovo occupati dal tedesco che chiedeva con insistenza: "Dov'è Piaggia? Dov'è il Comando?".
La minaccia si aggrava, i documenti vengono nascosti, l'ospedale di Valcona è sciolto; tutti quelli in grado di camminare vengono rimandati in formazione.
Verrà tentata una resistenza ad oltranza. Ogni ora giungono staffette, notizie, comandanti per discutere; si organizza una riserva al centro, si destinano i comandi; il comandante, il commissario e il capo di Stato maggiore della brigata assumeranno la guida dei tre battaglioni, si fanno previsioni sulle direttive di attacco, tutto pare calcolato; c'è però una cosa che si saprà in seguito e che i comandanti sanno: che mancano le munizioni.
Il punto debole della guerra partigiana sono ancora e sempre le munizioni. Per la guerriglia e l'imboscata necessitano pochi colpi: una raffica e tutto è fatto. Per la resistenza, invece no, per tenere una posizione oltre alle armi occorrono i colpi e le armi della I brigata hanno già sparato a Cesio e a Vessalico ... Piaggia è l'ultimo tentativo di apporre al nemico uno schieramento, di tenere una posizione.
I garibaldini non conoscono la reale situazione, il Comando sa e medita. Le possibilità sono varie: sgombrare subito e portarsi in un'altra zona; ma quale? Nessuna presenta garanzie di sicurezza e il nemico avrebbe attaccato ugualmente dirigendo nella nuova direzione le forze ammassate.
In tal caso, la zona di Piaggia, data la scarsità di carrozzabili, sembra la migliore.
Resistere od evacuare durante il rastellamento? L'ultima ipotesi sottrarrebbe le forze partigiane all'attacco nemico, obbligherebbe quest'ultimo a ricominciare da capo tutti i preparativi concedendo così una sosta valutabile a circa un mese.
La difficoltà sta nella scelta della direzione di marcia, nella impossibilità di aver notizie recenti e precise sui movimenti nemici, nella difficoltà di mantenere rapidi collegamenti con i distaccamenti durante la marcia.
Per evitare un sicuro sbandamento che potrebbe, dato l'avvicinarsi dell'inverno e la conseguente demoralizzazione, avere conseguenze più gravi del solito, si decide per la resistenza. Sabato 14 di ottobre: una colonna tedesca di forza imprecisata raggiunge Ormea, è l'inizio; i feriti di Piaggia vengono in fretta evacuati verso Upega, il piano di resistenza contro l'attacco da due direzioni entra in azione, due distaccamenti partono per intercettare il nemico a Ponte di Nava.
L'ansia è nel cuore di tutti.
La giornata di domenica 15, dopo tanta pioggia, è finalmente serena; tutto è tranquillo, silenzioso; si stenta a credere che il rastrellamento sia già iniziato; il cuore, inconsciamente, si apre di speranza ...
Purtroppo la speranza dura poco tempo. Il nemico prosegue il grande rastrellamento iniziato a Pigna il 5 di ottobre. Il giorno 17 a Upega [Frazione di Briga Alta (CN)] sorprende il Comando della II divisione "Felice Cascione".
Cadono valorosi comandanti partigiani. La V brigata "L. Nuvoloni", con la I "S. Belgrano", attraverso il passo del Bocchin d'Aseo (Mongioje) si ritira a Fontane (CN), in Piemonte.
Rientrerà nei primi giorni di novembre in Liguria per riprendere la lotta, che condurrà dura e ininterotta fino alla Liberazione.
Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1985
 
Ai primi di settembre del 1944 sembrò per qualche tempo che la liberazione potesse essere vicina. Gli Alleati erano sbarcati in Provenza il 15 agosto, provocando un rapido crollo delle posizioni tedesche in tutta la Francia meridionale. Sembrava ora ragionevole attendersi un’offensiva generale degli americani attraverso i passi alpini, approfittando della stagione ancora clemente e dell’appoggio delle forti formazioni partigiane piemontesi e liguri, che certo non sarebbe mancato. Ma gli strateghi angloamericani avevano altri progetti: ritenendo prioritario l’attacco allo schieramento nemico tra i Vosgi e i Paesi Bassi, fermarono le loro truppe su una linea che lasciava il confine franco - italiano e l’intera valle del Roia saldamente in mani tedesche. Siffatta scelta, forse opportuna dal punto di vista militare, condannò tutto il Nord Italia ad un nuovo inverno di occupazione, ma, probabilmente, gli evitò le immani distruzioni causate dai combattimenti nel resto del Paese. Nel clima di fibrillazione di quei giorni, alimentato ad arte dalla trionfalistica propaganda di Radio Londra, i partigiani imperiesi della Prima Zona ligure, credendo fosse giunta l’”ora x”, abbozzarono una calata insurrezionale sui centri della costa che venne stroncata sul nascere da un vasto rastrellamento tedesco talmente tempista da risultare sospetto <1.
I savonesi, meno numerosi ed organizzati oltre che più distanti dal fronte, continuarono la loro attività di guerriglia con il consueto vigore, ma senza esporsi in arrischiate azioni su grande scala. Dopotutto, lo stesso Comando Generale delle Brigate Garibaldi avrebbe rammentato pochi giorni dopo che “L’ora x è già suonata” <2 e che pertanto l’obiettivo principale dei partigiani non doveva consistere solo nel prepararsi ad una futura insurrezione, bensì nell’attaccare giorno per giorno il nemico senza mai concedergli tregua <3. A Savona come altrove, questa direttiva giunse a conforto di una linea d’azione ormai perseguita da mesi.
[NOTE]
1 Per questa vicenda, tuttora piena di lati oscuri, vedi G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Genova, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia - La Stampa, 1985 (3 voll.), vol. II, pp. 10 - 22.
2 AA. VV., Le brigate Garibaldi nella Resistenza, Milano, INSMLI - Istituto Gramsci - Feltrinelli, 1979 (3 voll.), vol. II, p. 334.
3 Ibidem, vol. II, p. 334.
Stefano d’Adamo, “Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45)”, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000
 
Finalmente anche il 6 di settembre [1944] finisce: il nemico riunisce i reparti rastrellatori, riforma le colonne, si concentra a fondo valle.
Il pugno di ferro si era stretto: che aveva preso?
Nulla, quasi nulla. Su più di un migliaio di partigiani, solo una decina erano caduti nella rete.
Alle ultime luci del tramonto, i tedeschi lasciano il bosco, le macerie fumanti di S. Bernardo di Conio, di Case Rosse, di Case dell’Erba, delle cascine e dei fienili distrutti, indicano che anche lì, come a Triora, a Molini, a Pornassio, a Villa Talla, erano passate le truppe di Hitler. Non note le perdite nemiche: la popolazione aveva visto scendere per la rotabile di Rezzo alcuni carri chiusi e sanguinanti.
Terminato il rastrellamento, il Comando Divisionale, su consiglio di Curto [Nino Siccardi], nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo, riuscendo a riorganizzare in brevissimo tempo tutta la Divisione, dai comandi ai distaccamenti, per prepararla alle previste battaglie autunnali.
In conformità alla critica storica, non si chiarì mai lo scopo degli annunci radio alleati della loro offensiva sulla costa ligure, poi mancata, con la conseguenza di determinare per alcuni giorni una situazione gravissima per le formazioni partigiane.
Il paese di Upega è posto a fondovalle.
Sotto il paese scorre il torrente Negrone, a monte un ripido pendio dirupato, di fronte è il Bosco Nero.
Il nemico che giunge dal bosco può piazzarsi senza essere visto, di fronte al paese, e di là battere col fuoco delle mitragliatrici, precludendo ogni via di scampo.
Il nemico era stato informato sul movimento partigiano: come prima sapeva che il Comando Partigiano era a Piaggia ed in quella direzione aveva puntato tutte le sue forze, presto venne a conoscenza che tale Comando si era trasferito a Upega, contro cui preparò un’azione condotta da un commando formato da circa duecento soldati SS e alpini austriaci.
La spia nel comando della Cascione aveva funzionato con efficacia.

L’attacco a Upega giunse dal Tanarello, da Limone o da Briga, e la sorpresa fu completa.

[17 ottobre 1944]

Il nemico si avvicina silenzioso, coperto dalla fitta boscaglia.
Al limite del paese, verso le Fascette, in una casa a destra, è il Comando divisionale.
A sinistra, in un altro locale, giacciono i feriti, tra cui Cion [Silvio Bonfante], che sonnecchia e a cui il Curto ha preso il mitragliatore per andare a compiere un giro di ispezione.
I tedeschi riescono ad eliminare i posti di guardia partigiani e giungono alla periferia del paese senza essere segnalati.
Sono udite alcune raffiche, cadono alcuni partigiani di Porto Maurizio. Con il nemico a due passi e con gli spari che rimbombano vicinissimi, molti rimangono confusi e cercano di allontanarsi.
Chi conserva la calma è Curto: impassibile come sempre, cerca di raggiungere chi si allontana, di ispirare loro fiducia, ma invano.
Fallito il tentativo di raggruppare i partigiani a scopo difensivo e strappare al nemico il tempo necessario per trasportare i feriti nella cappella del cimitero del paese o nel Bosco Nero, come era stato precedentemente convenuto, Curto raggiunge al Comando il commissario Giulio [Libero Briganti], ed i due attuano il disperato tentativo di arrestare da soli l’avanzata del drappello tedesco. Sanno che è impossibile in due fermare la valanga, ma forse guadagneranno i pochi minuti necessari per mettere in salvo i feriti, per poi morire.
Giunti fuori dal paese scorgono, in alto a sinistra, i tedeschi che avanzano su due colonne distanziate. Giulio e Curto salgono rapidamente una mulattiera e, portatisi in cima algo, all’altezza dei tedeschi, si appostano dietro una casa. Da lì possono sparare a trecento metri con il mitragliatore contro il nemico quando sarà giunto a tiro.

Mentre Curto prepara la propria arma semi inceppata, Giulio scorge i tedeschi, si sposta fuori dal muro che lo ripara e li raffica.

Poi, rivolgendosi a Curto, col viso pallido e lo sguardo stupito, mormora: “sono ferito”.
Compie qualche passo indietro, a ridosso della casa, e consegna l’arma al compagno al quale si appoggia.
Arretrano entrambi qualche centinaio di metri, non visti dai tedeschi che tardano ad avanzare.
Le forze di Giulio gradatamente cedono, non riesce più a camminare mentre Curto lo aiuta in tutti i modi ad andare avanti per raggiungere almeno una località sicura, tra le rocce, sopra il passo delle Fascette.

Dal basso giungono gli urli laceranti della mitraglia, l’eroico destino di Cion e dei suoi compagni sta compiendosi.
Giulio si trascina ancora avanti: non desidera riposare in un grande cespuglio, ma alle rocce delle Fascette, da cui più in là non si può andare.
Un luogo nascosto ripara i due uomini: il ferito, disteso sul dorso e con il respiro ansante, ogni tanto a stento alza la testa per osservare i movimenti dei nemici sottostanti.
Preparate vicino a sé le armi automatiche per un’estrema difesa, e aperta la camicia piena di sangue, Curto scruta la gravità della ferita del compagno: una pallottola, entrata a sinistra, è uscita alla destra del ventre, e anche i visceri sporgono fuori.

Capisce che per Giulio è la fine, ma non gli dice niente e decide di attendere lì, a fianco, la sua morte.
Non gli rivolge domande su cosa dire ai parenti, affinché il morente non si accorga della sua fine.
Poi, il ferito entra in coma, respira affannosamente, chiede disperatamente acqua che Curto non gli può dare: ha una gran sete, l’emorragia interna sussulto, Giulio rimane esanime.
Coperto pietosamente il corpo con la giacca, raccolte le armi e incamminatosi oltre il passo delle Fascette, alle otto di sera Curto giunge a Carnino, ove reca la dolorosa notizia.

Anche Cion (che è nipote di Curto), ai primi spari, viene portato fuori dal ricovero, adagiato sulla barella dai partigiani e dai congiunti che si trovavano con lui: per non cadere vivo in mano ai tedeschi si uccide con un colpo di pistola, sul sentiero che porta al cimitero.

La tragedia si conclude, il comandante della Volante muore da partigiano.
I tedeschi domandano chi era il ribelle suicidatosi, e viene loro riferito che si trattava di Cion.
Non avevano potuto averlo vivo, ma la radio tedesca in Italia diede la notizia della morte di Cion come un successo delle sue armi.
Questo fu certamente l’omaggio più grande alla sua memoria ed il riconoscimento di quanto egli valesse e di quanto avesse perduto la Resistenza con la sua morte.

I tedeschi, occupato il paese, bruciano armi, documenti, zaini e tutto quello che di partigiano viene trovato.
Rinchiudono gli uomini del paese nella canonica.
Fanno scavare una fossa comune dagli abitanti locali e vi gettano alla rinfusa i cadaveri dei caduti.
Battono il bosco, uccidendo altri partigiani.
La tragedia di Upega è costata alla Resistenza quasi una ventina di caduti.
Nei boschi, dispersi, sono nuclei di partigiani, sono intere bande.

C’è Simon [Carlo Farini] su una barella.
Ci troviamo a Piaggia di Briga Marittima”, scrive il cappellano partigiano Don Nino Martini nella prima metà del mese di ottobre, “Simon ha una temperatura variabile tra i 39 e i 40 gradi di febbre. Intanto le notizie che giungono sono sconcertanti. Gli Alleati, fissandosi sulla frontiera italo-francese secondo i piani prestabiliti, danno libertà e agibilità alla ferocia di qualche migliaio di nazifascisti e delle SS tedesche contro i partigiani. Noi, riuscendo a uscire fuori dal rastrellamento, troviamo rifugio e salvezza in Valle Scura, dove Simon riuscirà a guarire”.

Francesco Biga, U Curtu - Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2001

 

Francesco Agnese. Nato a Diano Marina il 29 luglio 1923. Il 25 marzo 1944 di ritorno da Genova viene arrestato alla stazione di Diano Marina da un reparto di fascisti della famigerata compagnia O.P. del capitano Ferraris; prima dell’arresto riesce a consegnare al fratello Mario un rotolo di volantini “Stella Rossa”. Trascinato al comando fascista di Diano Marina, quindi alla caserma Muti di Porto Maurizio, infine intorno al 4 aprile è rinchiuso nelle carceri di Oneglia subendo numerosi interrogatori e bastonature. Avendo lui ed altri prigionieri la possibilità di evadere, grazie all’azione di un tenente fascista (in contatto con i partigiani), non approfitta dell’occasione, per timore di rappresaglie nei confronti dei parenti. Uscirà dal carcere a fine maggio. Nel luglio 1944 prende contatto con Giuseppe Saguato “Bill” e concorre a formare uno dei primi distaccamenti garibaldini nella vallata di Diano Marina che, raggiunto il numero di ottanta unità, andrà a costituire la “Volantina” di “Mancen”. “Socrate” è molto intraprendente: con Saguato disarma due carabinieri e partecipa agli assalti alle caserme per il recupero di armi; con il suo distaccamento partecipa alle battaglie di Cesio (mettendo in fuga i tedeschi); di Rezzo, combattendo per sei ore e conquistando Monte Alto. E’ in missione a Diano Marina, liberando la città dalla presenza del brigatista nero Enrico Papone. Rientrato al comando è promosso Commissario di battaglione e passa con Germano Tronville “Germano” presso Upega, in Val Tanaro. Il 17 ottobre è tra coloro che tentano di sottrarre “Cion”, (immobilizzato perché ferito a Vessalico l’8 ottobre) al fuoco tedesco, trasportandolo in barella. E’ colpito da una raffica, cade, e muore dissanguato nel bosco.
A Francesco Agnese è intitolato un Distaccamento della Brigata “Silvano Belgrano” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani - inserto - "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011  

A Upega durante la ritirata si erano radunate gran parte delle forze partigiane contro cui era iniziato il rastrellamento di oltre 5000 militari tedeschi. I patrioti avevano portato lì anche i feriti. Pensavano di essere al sicuro avendo il Mongioie alle spalle. Era il 17 ottobre del 1944. I partigiani che erano arrivati a Upega dopo giorni di cammino, col freddo e la fame, erano stremati. Non sapevano che la spia, che avevano tra loro aveva già segnalato la loro posizione, ai nazisti i quali poterono così sorprenderli, uccidendo le sentinelle che non poterono dare l’allarme. Due comandanti partigiani cercarono di contrastare il più possibile l’avanzata, soprattutto per permettere ai feriti di mettersi in salvo. Caddero in questo impari compito il comandante Silvio Cion Bonfante ed il comandante Libero Giulio Briganti. Cadde anche il medico De Marchi. I garibaldini nel complesso subirono ingenti perdite. I tedeschi devastarono le case e rastrellarono la zona. Alcuni dei patrioti allo sbando furono catturati da militari tedeschi tra il 17 ed il 18 ottobre sul territorio di Briga Marittima e furono trascinati nella vicina Saorge. Torturati per più giorni, vennero fucilati in zona Pont d'Ambo, dominante il letto del fiume Roia, al limite con il comune di Fontan. Saorge era sede del tribunale militare della 34^ Divisione di fanteria tedesca, che occupava il territorio da Imperia al Col di Tenda. Subito dopo la tragica farsa del tribunale, avvenuta il 24 ottobre 1944, lo stesso giorno i garibaldini, legati l'uno all'altro, furono trascinati attraverso il villaggio davanti agli abitanti atterriti fino al luogo dell'esecuzione, dove furono costretti a scavare le loro fosse.  I partigiani fucilati a Saorge il 24 ottobre 1944 furono Lorenzo Alberti “Renzo”, catturato sul territorio di La Brigue il 18 ottobre, Michele  Bentivoglio “Miché”, Francesco Caselli “Pancho” o “Guido”, catturato sul territorio di La Brigue il 17 ottobre, Giovanni Giribaldi “Gianni”, Domenico Moriani “Pastissu”, comandante di Squadra, Carlo Pagliari “Parma”, catturato sul territorio di La Brigue il 17 ottobre [...]  Igor Pizzirusso, Saorge..., Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana

Pagina 15 del Notiziario GNR cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Da informazioni giunte risulta che nel corso delle recenti azioni di rastrellamento, eseguite dalla G.N.R. e da militari tedeschi, sono rimasti uccisi certi Francesco Castagno, padre del commissario della banda "stella rossa"; Silvio Bonfante, detto "Cion" vice comandante della 2^ divisione d'assalto, "Felice Cascione"; Simone [n.d.r.: probabile riferimento - storpiato - a "Simon", nome di copertura di Carlo Farini, a quella data responsabile sia della I^ che della II^ Zona Liguria, poi ispettore della I^, in seguito ancora assurto a responsabilità regionali in seno alla Resistenza], noto capo banda della stessa divisione e certo Lupi, capo banda nella zona di Savona.
E' rimasto gravemente ferito certo Vittorio Acquarone, comandante della divisione medesima, nonché la madre del commissario Castagna.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 8 novembre 1944, p. 15, Fondazione Luigi Micheletti