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venerdì 11 aprile 2025

Donne imperiesi dall'antifascismo alla Resistenza

Imperia: nei pressi del ponte stradale sul torrente Impero

A Imperia, la giovane Velia Amadeo, ai primi di marzo del 1930, nell'accompagnare in una barca il fidanzato, il giovane comunista Vincenzo Bottino, nel tentativo di espatriare nella vicina Francia, periva con lui.
Ancora più significativo il caso di Ornella Musso, di Oneglia, che seguì in Spagna il padre Felice espatriato per motivi politici. Ivi la solidarietà familiare divenne un preciso e autonomo impegno politico, in quanto la Musso collaborò a Radio Barcellona durante il periodo della guerra civile.
Sempre nella provincia di Imperia, a partire dalla fine degli anni trenta, spuntava un vivace antifascismo tra gli intellettuali, tra cui alcune donne. Così la prof. Antonello-Brusco fu minacciata, redarguita e molestata: il movimento si fece più intenso dopo lo scoppio dello seconda guerra mondiale, quando alcune professoresse e intellettuali parteciparono addirittura a gruppi di chiaro stampo antifascista: la prof. Vittoria Giobbia, la prof. Costanza Costantino, Letizia Venturini, traduttrice del libro di Rauschnig, "Hitler m'a dit", la prof. Adelina Biglia, che fu addirittura arrestata per avere confidato ad un'occasionale conoscente che era tempo di porre fine alla guerra.
Sempre a Imperia Fede Amoretti assorbì l'antifascismo dall'ambiente familiare influenzato dallo zio Giacinto Menotti Serrati già dirigente nazionale del partito socialista, e Uliana Zanetta dal padre che durante il ventennio era costantemente sorvegliato speciale perché comunista. Anche Alba Berio, costretta ad emigrare durante il fascismo per le angherie subite, fu iniziata all'antifascismo dall'ambiente familiare, e così Maria Ricci, proveniente da famiglia di vecchi socialisti.  
Teresa Agnese di Albenga fa risalire il suo sentimento viscerale contro i fascisti alle minacce di bastonature e di purghe che i fascisti fecero contro la sua famiglia. Bianca Calvi di Imperia, più che dall'ambiente familiare, trasse alimento al suo antifascismo dall'ambiente di lavoro, l'oleificio Agnesi, dove i pochi operai e le poche operaie fasciste erano isolati e guardati con sospetto.
Assunta Berro Bianchi di Imperia imparò l'antifascismo dal padre più volte arrestato durante il regime. Padre e marito di Maria Terrone di Valloria erano anch'essi antifascisti, tanto che l'intera famiglia fu costretta ad emigrare per un certo periodo in Francia. Tebe Demonte di Imperia maturò il suo antifascismo sia dall'ambiente di lavoro "molto duro", sia dal marito Adolfo Stenca iscritto al PCI, e anche Olinda Aicardi, operaia di Imperia, assimilò l'antifascismo dall'ambiente familiare (suo padre era un vecchio socialista) e da quello di lavoro.
Nella famiglia di Anna Bonfante si tenevano riunioni antifasciste con distribuzione di volantini e scambio di notize già prima del 1943, e anche la famiglia di Gilda Piana di Diano era antifascista. Anche Aurelia Rebecco di Pairola, madre di un partigiano fucilato [n.d.r.: Alberto Lorenzi], maturò il suo antifascismo attraverso il marito. Maria Lanteri di Triora dichiara di aver ricevuto l'antifascismo "in casa". Per Milena Massa di Diano Marina la tradizione antifascista e socialista di casa sua le rese poi, secondo le sue parole, "la scelta facile"; anche Giulia Negro di Imperia, moglie di un antifascista, fu iniziata all'antifascismo dal marito, mentre Andreina Rondelli imparò l'antifascismo dalle esperienze e dalle angherie subite dal padre. Angela Carbone di Sanremo, trasse ispirazione al suo antifascismo dal padre socialista. Maria Scotti di Pigna, levatrice, assorbì l'antifascismo dall'ambiente familiare cattolico, e così Emma Borgogno di Perinaldo ereditò l'antifascismo dall'ambiente familiare socialista, allo stesso modo di Giorgina Ascheri di Dolcedo.
Danilo Veneruso, La donna dall'antifascismo alla Resistenza in (a cura di) Aa.Vv., La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria - La Nuova Italia Editrice (Firenze), 1979

Felice Musso, ex sindaco socialista di Castelvecchio, all’avvento del fascismo dovette lasciare il paese perché perseguitato e si rifugiò nella vicina Nizza, come tanti compaesani. La famiglia lo raggiunse piuttosto tardi, nel 1930, la moglie Giuseppina, la figlia Ornella e il figlio Lorenzo, il quale si inserì subito nell’organizzazione socialista al fianco del padre e dei vecchi compagni imperiesi <335.
Giuseppe Amoretti, il “Moretto” comunista di Oneglia, lasciò Imperia anch’egli dopo il dissesto finanziario della sua attività di commercio in olio, e grazie alla dote della moglie poté rilevare un negozio di commestibili nel cuore della Vieille Ville, intrico di vicoli dove dal secolo precedente gli italiani si erano installati con le loro botteghe, alimentari, ristoranti. Egli si inserì dapprima nel movimento comunista italiano a Nizza, ottenendo ruoli di responsabilità, in stretto contatto con Felice Musso e i compagni imperiesi, poi si integrò sempre più nelle organizzazioni del Pcf, mantenendo rapporti con l’emigrazione antifascista e con la sinistra locale <336.
[NOTE]
335. AIsrecIm: IID4: f. Lorenzo Musso.
336. Cpc: b. 105, f. Giuseppe Amoretti.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, anno accademico 2014-2015

[...] Dilanda Silvestri che aiuta il padre Michele (Milano) nella sua opera a favore della Resistenza; Iolanda Zunino (Spavalda) non ha congiunti da coadiuvare, ma si impegna in prima persona in qualità di staffetta dei distaccamenti cittadini; Gea Gualandri è un'attiva collaboratrice; Cesira Lanteri ospita i partigiani nella sua casa nella zona di Langan ed i Tedeschi, scoperta l'attività, incendiano l'abitazione; la professoressa Adelina Biglia è arrestata nel maggio 1943; la professoressa Letizia Venturini è nei gruppi antifascisti già prima del periodo resistenziale e traduce scritti da diffondere clandestinamente; la professoressa Costanza Costantini di Torino è pure lei nel gruppo antifascista.
Né si debbono dimenticare Jose Pila, collaboratrice nella zona di Costa d'Oneglia; le sorelle Evelina e Giuliana Cristel, già citate nel capitolo dedicato al FdG; Teresa Vespa Siffredi, internata nel campo di concentramento di Fossoli: Iside Corradini, uccisa sulla via Aurelia e buttata nella scarpata sottostante per non aver consegnato la bicicletta ai Tedeschi.
[...] Tra le fotografie riportate alla fine di questo capitolo figura l'interessante nota della direzione delle carceri giudiziarie di Sanremo che, in data 29 marzo 1945, dà notizia della detenuta Anna Maria Borgogno, ricoverata presso l'ospedale civile, sorvegliata dalla GNR e da consegnare successivamente al Comando tedesco per l'inevitabile fucilazione. Con lei è una altra donna, Bianca Pasteris (Luciana), ferita e catturata a Beusi, destinata ad analoga sorte.
Di Ada Pilastri (Sascia) si deve ricordare il bellissimo racconto della marcia sulla neve per procurare farina e viveri alle nostre formazioni. Rina Moraldo nel marzo 1945 salva il Comando garibaldino: di buon mattino, mentre si reca a Gerbonte per assistere alla Santa Messa, scorge i Tedeschi inLcnti a piazzare mitraglie a Loreto ed a Creppo, perciò ritorna sui suoi passi ed avverte tutti i partigiani.
E Pierina Boeri (Anita) è una partigiana vissuta soltanto di coraggio e di esempi sul campo di battaglia.
Nel capitolo concernente la Sanità partigiana sono ricordate benemerite suore ed infermiere: Angela Roncallo (Fernanda) nel suo diario alterna la pateticità alla disperazione. Ida Rossi (Natascia), diciannovenne, bionda e graziosa, si trova a Upega in quel tristissimo 17 ottobre 1944; è infagottata in una divisa da soldato tedesco, ma ciò non le consente di sfuggire alla cattura anche se poi, facendo tesoro delle risorse inesauribili della personalità femminile, riuscirà a sfuggire alla morte. A Triora, Antonietta Bracco è tuttora un esempio di dignità e di entusiasmo per la missione compiuta. E Ornella Musso passa di battaglia in battaglia contro il fascismo, dall'Italia alla Spagna, e ancora in Italia per la battaglia finale.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, 1992

Ad Imperia Uliana Zanetta si era messa in contatto con Anna Airaldi e Bianca Novaro e insieme avevano formato l'embrione dei Gruppi di difesa della donna, che avrebbero poi svolto la loro attività nella zona. L'Airaldi, che lavorava nella fabbrica Renzetti, si occupava del lavoro tra le operaie, la Zanetta di quello tra le studentesse, nel tentativo di convolgere il maggiore numero di donne appartenenti a strati sociali diversi nell'opera di aiuto ai partigiani. Dopo un lavoro capillare, andando casa per casa a parlare con tutte le ragazze di loro conoscenza, erano riuscite a creare una vera e propria organizzazione.
Giuseppe Benelli, La Resistenza femminile in città in (a cura di) Aa.Vv., La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria - La Nuova Italia Editrice (Firenze), 1979 

mercoledì 26 marzo 2025

A Pontedassio la forza nemica variava da 70 a 150 tedeschi

Pontedassio (IM)

Pontedassio
(ab. 1807, cens. 1951)    
(con le frazioni Bestagno, Borgata Monti, Villa Guardia e Villa Viani)

L'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio, era di presidio sul territorio del Comune un Battaglione di artiglieria del Regio Esercito, che si disperse all'arrivo dei tedeschi. Pochi giomi dopo, una ventina di giovani di Pontedassio si portavano in località Monti dove rimanevano circa due mesi, quindi si sbandavano: alcuni ritornavano a casa, altri raggiungevano i partigiani in Piemonte, altri ancora entravano a far parte della Divisione Garibaldi "F. Cascione".
Considerata la località strategicamente importante, i tedeschi organizzavano a Pontedassio un presidio, prima di un centinaio, poi di alcune centinaia di soldati con il Platzkommandantur agli ordini dell'ufficiale Schmidt. Piazzarono batterie antiaeree nel capoluogo, a Villa Guardia e a Bestagno, dove costruirono fortificazioni e trinceramenti. Circa cinquanta tedeschi occuparono Villa Viani e insediarono nei pressi di Pontedassio un grande autoparco dove custodire i numerosi mezzi che avevano in dotazione.
A fine dicembre 1943 si aggregava ai tedeschi una squadra di una ventina di fascisti di "Ordine Pubblico" al comando di Armando Carassale. Nel gennaio 1944 giungeva nel Comune un'altra formazione della Repubblica Sociale, detta "Battaglione Genio Italiano N.1" e comandata daI tenente colonnello Gisulfo.
Il 25 luglio i soldati della III Compagnia alpina tedesca compivano un grande rastrellamento nella zona, infierendo sulla popolazione di Villa Guardia e Villa Viani e rapinando bestiame, pollame, vino, biciclette, radio e così via. Furono anche prelevati venti ostaggi poi trasferiti ad Arma di Taggia, sottoposti a maltrattamenti e rilasciati dopo quarantacinquegiorni.
Nell'agosto 1944 la Piazza di Pontedassio era comandata dall'ufficiale Schmidt.
I tedeschi occupavano le scuole ed il Comune, dove istituivano una prigione. Altro duro rastrellamento il 25 agosto successivo, durante il quale venivano uccisi i civili Felice Dani e Valente Marvaldi. Nove militari del Capoluogo, quattro di Bestagno e due delle Ville subivano la deportazione nei campi di concentramento in Germania. Gravi danni causava il nemico alla popolazione: rapine nelle abitazioni, tre case distrutte, una dozzina di casoni di campagna incendiati, quindici muli e una ventina di bovini, nonché tutti gli animali da cortile, depredati.
Nonostante la forte pressione degli occupanti sul paese, la popolazione manifestò sempre a suo modo e con vari mezzi più o meno clandestini il suo appoggio alla Resistenza. Solo nel settembre 1944, tuttavia, poté costituirsi un vero CLN, composto da Carlo Pansieri (PSIUP), presidente, Leonardo Pansieri (indipente), Napoleone Zerbone (PCI) e Carlo Risso (Partito Repubblicano), i quali, pur nella precarietà della situazione, si impegnarono a fondo nell'aiuto ai partigiani combattenti e nella difesa della popolazione dalle misure vessatorie del nemico.
Continuarono invece ad agire al di fuori del CLN gli antifascisti Nino Verda, Albino Quarti, Francesco Aicardi ed altri, tra i quali il tenente colonnello Alberto Varusio, che tenne collegamenti con il Corpo Italiano di Liberazione operante al fianco delle armate alleate.
Alla Liberazione Pontedassio veniva occupato da partigiani del II Battaglione della IV Brigata "Elsio Guarrini". La Giunta della Liberazione risultò così composta: Francesco Aicardi, sindaco, con Nicola Anselmi e Albino Quarti, assessori.
Tredici i cittadini di Pontedassio, ivi compresi una donna ed il solo caduto [Armando Gerini (Armando)], riconosciuti partigiani combattenti. Felice Scotto (Gapon) fu commissario politico della IlI Brigata "E. Bacigalupo" (VI Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante).
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, pp. 124,125

Il 10 febbraio 1945 iniziarono a concentrarsi nella zona Pontedassio-Chiusavecchia truppe nemiche, principalmente uomini appartenenti alle Brigate Nere: una parte di questi partecipò ad un rastrellamento di quattro giorni dopo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

Moro Pietro: nato a Pigna il 15 gennaio 1916, squadrista della Brigata nera “Padoan”
Interrogatorio del 13.7.45: [...] Rimessomi dalla ferita, alla fine del febbraio 1945, venni inviato a Pontedassio, in servizio all’UNSA, per il controllo del conferimento all’ammasso dell’olio dove rimasi fino a pochi giorni prima della liberazione.
[...] Lorenzi Giovanbattista: nato a Ventimiglia il 17 luglio 1890, maresciallo della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia.
Interrogatorio del 17.11.1945: [...] Verso i primi di febbraio venni inviato al distaccamento di Cervo Ligure, in servizio al posto di blocco dove rimasi per più di un mese, dopodiché venni trasferito a Pontedassio, presso quel distaccamento, con l’incarico di controllo ai frantoi per il conferimento dell’olio agli ammassi. A Pontedassio sono rimasto fino alla vigilia della liberazione, in quanto venni rilevato con un camion e seguii la sorte dell’autocolonna dei fascisti fuggitivi. [...] Allorché mi trovavo in forza al distaccamento di Pontedassio presi parte all’azione di rappresaglia avvenuta in S. Lazzaro, poiché in detta località era stato prelevato dai partigiani un milite. Nel suddetto paese venne incendiata una casa e precisamente la prima a destra entrando in paese. L’azione di rappresaglia avvenne pochi giorni prima del nostro esodo dalla Liguria.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

20 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che una squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando di Moschin [Carlo Mosca] aveva attaccato ed ucciso 3 tedeschi il 9 gennaio sulla strada statale 28 nel tratto Pontedassio-Frantoio Biscialla.
10 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", prot. n° 279, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che negli ultimi giorni in ... Pontedassio e Chiusavecchia si erano concentrati molti nemici; che a Pontedassio vi erano 10 cannoni di grosso calibro, 1500 soldati nemici, 500 cavalli, 2 stazioni radio-trasmittenti...
14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante"  - Relazione sull'attività svolta a gennaio dai Distaccamenti dipendenti dalla Brigata, nella quale si riferiva che il 9 gennaio 1945 una squadra sulla strada 28 nei pressi di Pontedassio aveva attaccato una pattuglia tedesca, uccidendo 3 soldati e ferendone 2...
21 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/65, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - ... Aggiungeva la notizia che a Pontedassio si stavano concentrando molti soldati nemici con una motivazione, quella di effettuare delle esercitazioni, che poteva in realtà celare la preparazione di un rastrellamento a danno delle formazioni partigiane.
1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ... il 28 febbraio erano transitati circa 400 tedeschi provenienti da Ventimiglia e diretti a Pontedassio, tutti giovani appartenenti alla FLAC...
12 marzo 1945 - Da un informatore non individuabile alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Pontedassio la forza nemica variava da 70 a 150 tedeschi...
17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" ['Livio' Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ['Giorgio' Giorgio Olivero, comandante] - Riportava le notizie ricevute il 12 aprile da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Grot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio...
20 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria, alla Sezione SIM della II^ Divisione, alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che... sulla strada n° 28 il movimento nemico era aumentato, ma limitato a spostamenti da un presidio ad un altro. Che in particolare i soldati si sposatvano verso Pontedassio e Pieve di Teco, dove continuava la preparazione di costruzioni difensive.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 109, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ... da Nava giungevano una volta a settimana a Pontedassio (IM) circa 10 carri che, dopo un pernottamento, ripartivano per il Piemonte con viveri procurati sulla costa, formando una colonna priva di scorta, mentre gli uomini addetti a quel trasporto erano quasi tutti polacchi, serbi, sloveni, russi.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riportava quanto già reso noto con proprio documento prot. n° 1/85 del 10 marzo 1945 per quanto riguardava le forze tedesche che presidiavano la zona. Ribadiva il contenuto della segnalazione sulle Brigate Nere fatta con prot. n°1/91 del 13 marzo 1945. ... a Pontedassio 60 tedeschi con il compito di sorvegliare i magazzini viveri...
26 marzo 1945 - Dal comando della VI Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 248, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Segnalava, come riferito da informatori, che ogni settimana arrivava a Pontedassio una colonna di carri nemici per caricare viveri da portare in Piemonte via Col di Nava...
13 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 133, al comando della VI^ Divisione - Comunicava che... a Pontedassio erano rientrati i tedeschi che il 2 aprile avevano abbandonato quel presidio.
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

[Franco Ghiglia] Era entrato giovanissimo nel Distaccamento "Walter Berio" della 4a Brigata Garibaldi della II Divisione "Felice Cascione". Le sue imprese gli valsero il nome di battaglia di "Gigante", ma una di queste (avvenuta l'8 gennaio 1945), gli fu fatale. "Gigante" e i suoi si erano scontrati con i nazifascisti nelle vicinanze di Costa d'Oneglia. Due tedeschi erano rimasti sul terreno e i partigiani, prima di allontanarsi, avevano sepolto i due caduti. A quello scontro seguì, dopo una settimana, un massiccio rastrellamento nella zona. Franco Ghiglia e i suoi riuscirono a sganciarsi, ma "Gigante" era stato raggiunto da un proiettile ad una gamba. Costretto all'immobilità e riparato con altri quattro patrioti in un fienile, il 7 marzo il giovane vi fu sorpreso dalle SS. Qualcuno si lasciò sfuggire dell'episodio di due mesi prima e per Ghiglia fu l'inizio tormentoso della fine [...]
Redazione, Franco Ghiglia, ANPI, 25 luglio 2010

6 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che il giorno prima era stato impiccato a Pontedassio dai tedeschi il garibaldino "Gigante" [Franco Ghiglia]...
da documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 24 gennaio 2025

E così in quell'anno, 1943, i giorni di autunno calarono rapidi nei paesi più grigi

Il Col di Nava. Foto: Mauro Marchiani

Non mancarono, comunque, i distaccamenti che tentarono di fermare i germanici o che resistettero con le armi alle loro intimazioni di resa.
Iniziando dall’estremo ponente, i principali fatti d’armi furono i seguenti: - battaglia di Ormea (in provincia di Cuneo ma al confine con la Liguria) sulla statale 28 del colle di Nava che da Imperia porta a Fossano, combattuta tra le 19 e le 21,30 del 9 settembre tra le forze tedesche che cercavano di raggiungere la costa e i reparti italiani che tentavano di bloccare la strada. Fu probabilmente il più grosso fatto d’armi ad aver interessato la regione in quei giorni. Un battaglione autotrasportato germanico dotato di mitragliatrici e mortai si scontrò con alcune migliaia di uomini armati con mitragliatrici e alcuni cannoni leggeri da campagna. Nonostante gli italiani avessero iniziato a sistemare a difesa il paese in mattinata, furono sopraffatti - dopo un violento scontro che causò perdite a entrambe le parti - dalla manovra aggirante dei tedeschi che, divisisi in tre colonne, presero Ormea e i suoi difensori con un pesante fuoco incrociato dai due lati dell’abitato. La mattina del 10 il battaglione nemico si mosse verso la costa mentre i prigionieri furono avviati verso Alessandria il giorno 12, assieme a circa 800 altri italiani catturati nella notte tra il 10 e l’11 sulla strada tra Cesio e Nava, sul versante imperiese della statale 28. La strada fu poi presidiata dai nazifascisti fino alla Liberazione, essendo considerata fondamentale per far affluire e defluire truppe in previsione del temuto sbarco degli Alleati in riviera <41; - mentre le truppe italiane che presidiavano Ventimiglia tentavano di raggiungere Cuneo, la notte tra il 9 e il 10 un nucleo di militari fece brillare una mina che interruppe la linea ferroviaria costiera all’altezza del vecchio confine di Stato, impedendo momentaneamente l’afflusso di truppe tedesche dalla Francia via ferrovia e costringendo le stesse a impiegare quasi una giornata per sgomberare le macerie <42 [...]
[NOTE]
41. Per gli eventi nella provincia di Imperia, cfr. Biga, 8 settembre nell’imperiese, cit.; idem, L’8 settembre nell’imperiese, in “Patria indipendente”, 19 settembre 2004, pp. 28-31.
42. Telegramma del prefetto di Imperia Guglielmo Froggio, al Gabinetto del Ministro dell’interno del 10 settembre (ore 11.20), in ACS, DGPS, AAGGRR, Ag, Categorie permanenti, A5G 2ª GM, b. 145, f. 221, sf. 2, ins. 28 Imperia.
Marco Pluviano, Dal 25 luglio all’8 settembre 1943 in Liguria: fine del fascismo, sfaldamento delle Forze armate, controllo del tessuto produttivo, conflittualità politica e sociale in "le porte della memoria" - Supplemento al n. 11/12 - 2023 di Liberi

8. Il grosso della IV armata si sbandò dopo l'8 settembre tra questi salienti alpini, e fu questione di ore lo sfacelo totale dei reparti abbandonati senza comandi.
Quando iniziò lo sbandamento fu una faccenda che non pareva vera né ai militari né ai borghesi, pareva impossibile.
Ce n'erano ancora tanti in giro che dicevano di quel generale fetente della Cosseria, già famoso dappertutto per le carognate che faceva - ma va a ramengo farabutto -: eraquello che sotto i portici di Oneglia durante l'oscuramento, ficcava a tradimento la pila sui soldati in libera uscita strappando lì per lì le licenze, anche quelle agricole.
Gliele strappava a chi aveva soltanto la giubba sbottonata o magari la bustina floscia senza stecca.
Ma su per i tornanti della 28, con tutta quella nebbia e il freddo nelle ossa, con quella tristezza nel petto, sentivano tutte le foglie accartocciate nel pietrisco, pestandole.
Erano lì a pestarle inutilmente essendo che ormai tutti avevano capito anche senza quel generale della Cosseria; e allora fu una rabbia ancora più bastarda in sequenza di automi scricchiolìo di salmerie mezzi cingolati e carriaggi semoventi, andandosene in malora; andavano avanti senza sapere dove con quel vuoto nello stomaco come di nausea e di umidità.
In andirivieni frettoloso gli ufficiali all'ultimo se la squagliavano, mentre uscivano dai paesi facendo i pesci balocchi, e travestendosi in fretta con la roba dei borghesi.
- Si capisce che è tutta una porcata, ma è così: non ci vedi adesso che tutto va a ramengo per la miseria, e così in fretta che non si è mai visto? Però a rimetterci anche le braghe sono sempre questi qui, scarpinando in grigioverde con le stellette della naia -, diceva la gente.
Subito dopo quel lungo scarpinare a vanvera da una curva all'altra, arrivarono due graduati tedeschi in sidcar, con mitra e pistola bene in vista.
Ripresero il possesso di tutta la statale 28 da Oneglia a Ormea, compresi i dintorni da una parte e dall'altra, per conto della Werhmacht in nome del feldmaresciallo Rommel che allora comandava tutto l'occidente: e così finì lo sbandamento da queste parti, nell'autunno del '43.
Però la gente non volle più aspettare né gli ordini né i contrordini, che tanto ormai a tutti gli girava l'elica; e nessuno ci capiva niente di come fosse la situazione, girala come vuoi che tanto era sempre uguale.
Dalle città dai paesi e dalle borgate, dappertutto, come non si era mai visto per la gran sveltezza, la gente cominciò a bottinare piglia chi piglia, e fecero così: entrarono subito nelle caserme frugando in cataste smontando autornni assalendo depositi e trafficndo ogni cosa velocemente.
Da Pieve di Teco in su, nelle cunette della 28 ad ogni curva, c'erano cassette di munizioni ancora intatte, con pile di bombe a mano ad ogni paracarro.
Nei fossi dei Forti di Nava c'erano quintali di tritolo appena arrivato ancora impacchettato in cumuli di saponette, buttato là alla rinfusa.
9. I semoventi e i traini li avevano fatti rotolare subito col si salvi chi può senza tante balle, giù per gli scoscendimenti di Montescio.
Bastarono pochi spintoni ben dati e qualche scrollata di spalle, per quelle arature tra i carpini, sempre più giù come valanghe dentro cespugli e prati fino in fondovalle.
Allora la gente cominciò ad avere paura alla vista di quella baraonda a quel modo, con tutto che andava di storto sempre di più; non c'era più nessuno a comandare ed era una vergogna, invece c'era quel gran disordine dello sbandamento militare.
Macché disciplina o rispetto dei gradi o logica del buon senso in questo crollo generale, alé tutto a buttemburgo e non  se ne parla più.
E così in quell'anno, 1943, i giorni di autunno calarono rapidi nei paesi più grigi, in soprassalti di sfacelo di disastro e di tradimento dappertutto.
Rimase a lungo nella gente lo squallore appiccicato alla pelle dalla prima pioggia, che durava senza poterselo togliere.    
Ma qualcuno fatto a modo suo ci fu ancora testardo come un mulo col sangue nelle vene, e rabbia sempre di più da stringere i denti; a qualcuno gli era rimasta l'idea bizzarra ben ficcata in testa come un chiodo, e così per la strada si impuntò non disarmando manco a morire.
- E forza dai, chissà come sarà o da soli o in compagnia; ma porcavacca poi si vedrà come sarà.
Non sembrava vero, sembrava impossibile voglio dire che dovesse finire a quel modo tutto di baracca, dopo quelle prepotenze guerresche; anche la gente di questi paesi già tutta intrigata, chissà non lo sapevano come succedeva - ma fa lo stesso perdio, ecco lì come si fa -, dicevano tutti d'accordo.
Diedero tutti insieme una mano, che fece anche bene al morale pensandola tutti uguale contro i nazifascisti; così cominciò la ribellione qui e nelle altre valli tutto intorno, che pareva fossero suonate le campane alla grande.
I tedeschi allora diventarono più diffidenti e subito si sistemarono ben bene nei bunker e nei posti di blocco, non si sa mai. Poi si impratichirono dei prelievi della roba a colpi sicuri con la prepotenza, raus raus kaputt, senza fermarsi entrando dappertutto; infine girarono per le valli con gli sputafuoco sempre in funzione, mettendosi gli ostaggi davanti nei rastrellamenti da un paese all'altro.
Ci andarono subito di brutto senza tante confidenze con gli estranei e nemmeno coi fascisti; gestapo SS e guastatori chiusi in plotoni sparavano a vista con molta facilità senza distinguere.
In questo modo non ci fu bisogno di spiegazioni: la nostra gente capì benissimo che anche qui era arrivata la malora; capì che si andava proprio a ramengo tutti insieme allo stesso modo in una volta sola e fino in fondo.
La gente lo capì senza scordarselo mai più nemmeno dopo; per la miseria se lo capì che quand'è così, in qualunque modo sia, è sempre così non potendosela cambiare: e dunque così sia.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982,  pp. 15-17

giovedì 10 ottobre 2024

In provincia di Imperia ci fu la più alta percentuale di vittime di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca

Copia della prima pagina di un documento di denuncia a carico della "Donna Velata". Ricerca di Paolo Bianchi. Fonte: Archivio di Stato - Genova.

Nell'Imperiese la lotta resistenziale al nazifascismo si sviluppò intensamente e assunse un'asprezza inaudita. Lo confermano questi numeri: 582 partigiani, patrioti e renitenti alla leva caduti in battaglia o fucilati: 524 civili uccisi durante le rappresaglie nazifasciste o nei campi di stenninio: una trentina di partigiani deceduti dopo la guerra in seguito a gravi ferite; 22 stranieri di nazionalità diverse, disertori della Wehrmacht, uccisi in battaglia o fucilati dai nazifascisti.
Sicuramente fu la più alta percentuale di vittime - rispetto agli abitanti - di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca. Altro triste primato riguarda un numero consistente di partigiani che si sono suicidati piuttosto di cadere nelle mani dei fascisti locali.
Le cause di queste numerose perdite, a mio avviso, sono da attribuirsi ai seguenti motivi:
- la maggior parte delle località imperiesi, dove i partigiani risiedevano, erano arroccate: quando venivano attaccate e circondate dai nazifascisti, i partigiani avevano poche vie di fuga; quasi sempre combattevano sino alla morte. Ad esempio nel massiccio rastrellamento del gennaio '45 un centinaio di partigiani cadde in battaglia e chi si salvò dovette sconfinare tra mille difficoltà, a causa del freddo e della neve, in Piemonte;
- tutte le formazioni partigiane nell'Imperiese erano garibaldine: chi cadeva nelle mani del nemico difficilmente ne usciva vivo; la stessa cosa succedeva ai nazifascisti; raramente si effettuavano scambi di prigionieri;
- la provincia di Imperia, essendo sul confine francese, era considerata una zona strategica. Gli sbarchi alleati avvenuti in Normandia e in Provenza (nell'estate del '44) avevano fatto concentrare in quelle zone numerosissime truppe tedesche.
- le spie fasciste erano ovunque: la più famosa fu Maria Concetta Zucco, chiamata "La Donna Velata" o "La Francese", la quale venne infiltrata per qualche mese nelle fila della Resistenza e quando ritornò dai fascisti fece arrestare un centinaio di patrioti e loro fiancheggiatori, 33 vennero fucilati mentre gli altri furono deportati in Germania;
- operava in provincia di Imperia una formazione fascista della GNR di Ordine Pubblico (O.P.). con 152 militi, al comando del capitano Giovanni Ferraris: essi diedero una spietata caccia ai renitenti alla leva, ai partigiani e ai civili e davano loro protezione. Per la loro ferocia, questa formazione venne denominata con disprezzo dai partigiani imperiesi. la "Banda Ferraris".
Finita la guerra il capitano Giovannni Ferraris e diversi suoi militi - il 22 dicembre del 1947 - vennero condannati a morte dal Tribunale di Cuneo come criminali di guerra (in seguito furono tutti amnistiati). Dalle testimonianze al processo si venne a sapere che 137 partigiani e civili della provincia di Imperia, Savona e Cuneo, presi prigionieri, vennero fucilati o impiccati dopo atroci sevizie e altrettanti partigiani furono uccisi in battaglia durante i rastrellamenti.
Alla Provincia di Imperia venne conferita la Medaglia d'oro al valor militare.
Fulvio Sasso, ... E il sangue dei vincitori. Rappresaglie e stragi nazifasciste in Italia (1943-'45), L. Editrice, 2010, pp. 82,83

lunedì 19 agosto 2024

Il 24 maggio 1944, in seguito a delazione, è prelevato da casa con una scusa di lavoro, incarcerato prima a Oneglia e poi a Genova

Bordighera (IM): il centro città

Tommaso Frontero [all'epoca residente in Bordighera], reduce da Mauthausen:
«Nel campo vi erano delle baracche allineate, in ciascuna delle quali dormivano circa 150 prigionieri. Vi era pure uno stanzone con attrezzature sanitarie, la cosiddetta infermeria: i medici erano detenuti ebrei. La sera i Tedeschi chiudevano le porte delle baracche dall’esterno e le riaprivano il mattino successivo. Poiché ai prigionieri era concesso passeggiare in determinate zone del campo, ed all’esterno vi erano le vaste coltivazioni di frumento, i parenti che si recavano segretamente in visita ai loro cari si nascondevano tra il grano. I detenuti politici venivano tenuti separati da quelli per reati comuni».
A Marassi, Frontero si era messo in contatto con patrioti che avevano fatto parte della già accennata organizzazione «Otto» (prof. Ottorino Balduzzi; prof. Franco Antolini, membro del CLN di Genova; prof. Eros Lanfranchi, deceduto in seguito a Mauthausen), tutti antifascisti di grande rilievo che avevano ricoperto importanti incarichi organizzativi nella Resistenza.
I Tedeschi, con tutta probabilità, erano venuti a conoscenza dell’organizzazione. Sicchè, dopo un breve periodo di permanenza dei prigionieri provenienti da Marassi, decisero di eliminare il campo di Fossoli. Fecero arrivare una colonna di camion, vi caricarono cinquecento prigionieri e li trasportarono alla stazione ferroviaria. Rimasero a terra settanta malcapitati (parte di coloro che avevano occupato le baracche n. 16 e n. 17): furono uccisi ed il campo fu chiuso.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Rutoli Brunello (“Rino Borelli”), di San Remo (Imperia); iscritto al 2° anno di Medicina e Chirurgia; Partigiano combattente e Aiutante maggiore della Brigata “Guido Negri” n. 29 novembre 1923 - m. 10 dicembre 1944
Luogo della morte: Caduto durante un «Conflitto con un gruppo di briganti neri avvenuto a Codevigo di Piove (Padova) il 10 dicembre 1944 - Nel tentativo di prestare soccorso e vendicare un compagno caduto dopo aver disarmato due avversari cadeva colpito da una raffica» <361.
Riconoscimenti militari: 1 medaglia d’argento al v.m.
Riconoscimenti dell’Università: Laurea h.c. 11 giugno 1947.
[NOTA]
361 Dal foglio notizie contenuto in: Archivio del Novecento dell’Università degli Studi di Padova, Fascicoli personali degli studenti, Facoltà di Medicina e Chirurgia, mat. 154/34, «Rutoli Brunello».
Giacomo Graziuso, Gioventù e Università italiana tra fascismo e Resistenza: l’attribuzione delle lauree Honoris Causa nell’Archivio del Novecento dell’Università di Padova (1926 - 1956), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova,  Anno Accademico 2013-2014

INVENTARIO
SCHEDE MATRICOLARI
SCHEDE RELATIVE AI DETENUTI DEL REPARTO TEDESCO DEL CARCERE DI REGINA COELI
Schede carcerarie relative ai reclusi del reparto tedesco di Regina Coeli. Si riportano in ordine alfabetico nominativo (cognome e nome), luogo di nascita, data di nascita di ogni detenuto.
28 settembre 1943, 2 giugno 1944, 1666 originali; 1677 traduzioni in italiano; 2 copie fotografiche di originali tedeschi dispersi
[...]
Mag […]ne Asilio   Cannes   1899 dic. 30
Mag[…]tto Gloria   San Remo 1904 apr. 24
Tirabassi Vincenzo San Remo 1916 gen. 12
Alessia A. Glielmi, Guida all’archivio del Museo storico della Liberazione e inventariazione del materiale documentario delle forze tedesche di occupazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2011-2012

Il campo di Fossoli è noto per essere stato il Polizei- und Durchgangslager controllato dalle SS della Sicherheitspolizei und SD in Italia facenti capo a Wilhelm Harster: come tale fu un campo di transito per ebrei e politici in attesa di essere deportati nel Reich e fu attivo dal marzo del 1944 sino ai primi di agosto dello stesso anno, quando la struttura principale di raccolta dei prigionieri destinati alla deportazione divenne il campo di Bolzano.
Roberta Mira, Il campo di Fossoli e il reclutamento di forza lavoro per la Germania nazista, Fondazione Fossoli, 2019

I nomi
Amabile Massimo. Nato a Ospedaletti (IM) il 5/9/1928. Matricola 5759 Blocco F Vipiteno. Fonti:24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma, evaso da Vipiteno, tornato a casa il 23/4/1945. 
Arnaldi Bruno. Nato a Sanremo (IM) il 15/2/1927. Blocco D H Vipiteno. Evaso il 20/4/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma, triangolo rosa.   
Avena Giulio. Nato a Pieve di Teco (IM) il 5/4/1891. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 18/12/1944. Fonti: 6.
Bernardini Pietro. Nato a Sanremo (IM) il 15/12/1891. Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Deceduto a Uberlingen il 26/2/1945. Fonti: 5.
Brussa Gaddini Teresa. Matricola 6153 Blocco F Merano. Fonti: 1, 2. Note: 2: 28/3 piazza Parasio Imperia.
Caprile Carlo. Nato a Imperia (IM) il 20/5/1905. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis.
Carli Benedetto. Nato a Rezzo (IM) il 21/5/1923, impiegato. Deportato da Bolzano l’1/2/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 2/3/1945. Fonti: 3.
Cassamagnago Fernando. Nato a Lissone (MI) il 2/6/1924. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Deceduto a Dachau il 9/3/1945. Fonti: 5.
Chiesa Federico. Nato a Carmagnola (TO) il 26/8/1911. Arrestato a Olivetta S. Michele (IM). Matricola 2994 Blocco A. Deportato da Bolzano il 14/12/1944 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 15/3/1945. Fonti: 3, 23. Note: 23: Elenco C pag 161.
Chittolini Esterino. Deportato il 16/1/1945. Matricola 8499. Blocco C A. Fonti: 1, 2. Note: 2: S. Lorenzo Imperia - Oneglia.
Corbellati Michelangelo. Nato a Sanremo (IM) il 23/12/1928. Matricola 5485 Vipiteno. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Cravaschino Antonio. Nato a Sanremo (IM) il 13/9/1909, frantoiano di olive. Arrestato a Sanremo loc. Suseneo Superiore (IM) il 15/11/1944. Deportato da Genova (GE) il 7/12/1944, arrivato l’8/12/1944. Matricola 7017 Blocco G. Liberato a Bolzano il 30/4/1945. Fonti: 2, 20. Note: 2: via Palma 1 S. Remo. 20: quest. 60. Citato in Pino Da Prati, Il triangolo rosso, Gastaldi, Milano-Roma 1946.
Dall’Orto Pinuccio. Deportato l’11/11/1944. Matricola 6018 Vipiteno E. Fonti: 1, 2. Note: 2: via S. Bernardo 49 Dolceacqua (Imperia).
Forte Antonio. Matricola 5971 Blocco G. Fonti: 1, 2. Note: 2: Lingueglietta Imperia.
Fucile Rosario. Nato a Messina (ME) il 26/11/1914, meccanico. Arrestato a Porto Maurizio (IM). Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Liberato a Bad Gandersheim il 4/4/1945. Fonti: 5. Note: 5: Sup.
Gazzano Mario. Matricola 9954 Blocco E B. Fonti: 1, 2. Note: 2: Carrano; Cazzano, Villa Talla Imperia.
Gianotti Pierluigi. Nato a Torino (TO) il 27/7/1916, impiegato. Arrestato a S. Lorenzo al Mare (IM) l’8/8/1944. Deportato da Genova (GE). Matricola 9087 Blocco E. Fonti: 1, 2, 32. Note: 1: Giannotti. 1, 2: Luigi. 32: quest. 226.
Lagorio Gianbattista. Nato a Imperia (IM) il 14/5/1887, agricoltore. Arrestato a Imperia (IM). Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 28/3/1945. Fonti: 3.
Levy Elia Amedeo. Nato a Compiegne (Francia) il 29/8/1895. Arrestato a Imperia (IM) il 30/11/1943. Deportato da Bolzano il 24/10/1944 a Auschwitz. Deceduto a Auschwitz il 24/1/1945. Fonti: 4.
Malugani Aldo. Nato a Sanremo (IM) il 28/10/1927. Matricola 5791 Blocco D H Vipiteno.
Modena Carlo. Nato a Sanremo (IM) il 26/9/1927. Blocco H. Deportato da Bolzano a Landeck-Tirol. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Morelli Giuseppe. Nato a Sanremo (IM) il 14/1/1897, interprete. Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Liberato a Mauthausen il 5/5/1945. Fonti: 3.
Musso Maria. Nata a Diano Arentino (IM) il 4/1/1924, casalinga. Arrestata a Diano Arentino (IM) il 2/9/1944. Deportata da Genova (GE). Deportata da Bolzano il 7/10/1944 a Ravensbrück. Liberata a Bergen Belsen. Fonti: 7, 32. Note: 32: quest. 321
Nardone Leonardo. Nato a Sanremo (IM) il 15/2/1927. Blocco D H Vipiteno. Evaso da Vipiteno il 20/4/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Novaro Dante. Nato a Porto Maurizio (IM) il 22/1/1912, impiegato. Arrestato a Genova (GE). Deportato da Genova (GE) il 22/10/1944. Matricola 5301 Blocco E. Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 20/4/1945. Fonti: 3, 23. Note: 23: Elenco P pag 174. Citato in Piero Caleffi, Si fa presto a dire fame, Edizioni Avanti!, Milano 1954.
Orengo Francesco. Nato a Badalucco (IM) il 25/12/1927. Fonti: 24. Note:24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Panizzutti Ruggero. Nato a Cugliate (VA) il 2/2/1908, tecnico. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Bolzano il 20/11/1944 a Mauthausen. Deceduto a Ebensee il 5/5/1945. Fonti: 3.
Paolucci Isio. Nato a Ventimiglia (IM) l’11/12/1924, macellaio. Arrestato a Ventimiglia (IM). Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Liberato a Mauthausen il 5/5/1945. Fonti: 3. Note: 3: Sup.
Pellegrini Pietro. Matricola 9987 Blocco E M Sarentino. Fonti: 1, 2. Note: 2: 11/3 - 24/3. Villa Talla (Imperia).
Piombo Aldo. Nato a Sanremo (IM) il 14/2/1928. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Genova (GE) il 15/11/1944. Matricola 7087 Vipiteno. Liberato a Vipiteno il 00/5/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 4, fascicolo 3: Scheda personale, attestato della Prefettura di Imperia, copia triangolo originale.
Ruggeri Giovanni. Matricola 7075 OT. Fonti: 2. Note: 2: San Remo (...).
Saglietto Francesco. Matricola 9976 Blocco E. Fonti: 1, 2. Note: 2: via Domenico Acquarone 16 Imperia.
Semeria Angelo. Nato a Sanremo (IM) il 16/7/1891. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 31/12/1944. Fonti: 6.
Soleri Giovanni. Nato a Bordighera (IM) l’8/4/1920. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis. Note: 6bis: Soleri.
Toesca Onorato. Matricola 9965 Blocco E. Fonti: 1, 2. Note: 2: Borgomaro (Imperia).
Tomasi Silvio. Nato a Trento (TN) il 23/6/1907, capitano dell’Esercito. Arrestato a Sanremo (IM) [n.d.r.: le fonti più diffuse riportano questo arresto come avvenuto nella zona di Vemntimiglia-Bordighera]. Deportato da Bolzano il 5/8/1944 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 5/5/1945. Fonti: 3. Intervista dell’Autore a Gianfranco Maris, 4/3/2005.
Trucco Gerolamo. Nato a Pieve di Teco (IM) il 18/9/1893. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 24/1/1945. Fonti: 6.
Verardo Danilo. Nato a Sanremo (IM) il 9/3/1914. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis.
Veronesi Ugo. Nato a Imperia (IM) il 3/2/1915. Matricola 9459 Blocco D C. Liberato a Bolzano. Fonti: 1, 2.
Viale Eraldo. Nato a Ventimiglia (IM) il 18/5/1911, meccanico auto. Arrestato a Ventimiglia (IM). Deportato da Bolzano il 5/8/1944 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 4/3/1945. Fonti: 3.
Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.982 storie individuali, Fondazione Memoria della Deportazione/Mimesis - Milano, Seconda edizione rivista e ampliata, aprile 2005. Ricerca realizzata con il contributo dell'Unione Europea

Emilio Baletti (detto Milio), di anni 56, nato a Castelnuovo Don Bosco (Asti) il 31 luglio 1888, lattoniere, coniugato con Luigina Capra (di Chieri, provincia di Torino). Assessore comunale socialista a Chieri, è arrestato nell’aprile del 1921 per cospirazione politica, detenuto per 23 mesi nelle carceri Nuove di Torino fino al processo, quando viene assolto. Trasferitosi ad Albenga (Savona), continua l’attività politica clandestina, che intensifica dopo l’8 settembre. Il 24 maggio 1944, in seguito a delazione, è prelevato da casa con una scusa di lavoro, incarcerato prima a Oneglia e poi a Genova. Torturato dalle SS, non fa nomi. È trasferito a Fossoli ai primi di giugno, matricola 1475. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 57, fu riconosciuto da una carta d’identità del Comune di Albenga; l’identificazione fu confermata dalla vedova il 26 giugno 1945. La salma di Baletti fu trasportata a Chieri con un solenne funerale il 1° luglio 1945. Dall’aprile 1965 è tumulata nel Sacrario degli Eroi della Resistenza del cimitero di Chieri.
[...] Aveva compiuto da poco vent’anni, Giuseppe Palmero, manovale alle Ferrovie di Ventimiglia: era membro del gruppo “Giovine Italia”, che agiva alle dipendenze dell’omonima associazione clandestina repubblicana formata da molti ferrovieri di Ventimiglia, civili, militari e carabinieri - più di sessanta persone - che prendeva ordini dal capitano di fanteria Silvio Tommasi, anch’egli passato da Fossoli, deportato a Mauthausen, e qui deceduto. L’organizzazione aveva lo scopo di ostacolare il traffico di materiale bellico sia in Francia sia In Italia, ritenendo imminente lo sbarco alleato. Il gruppo doveva occupare militarmente la stazione ed un tratto della linea ferroviaria, per preservarle da sabotaggi delle truppe nemiche durante la prevista evacuazione. Tra il 22 e il 23 maggio 1944 una ventina di affiliati furono arrestati per la delazione di due infiltrati. Giuseppe Palmero fu arrestato a Bordighera, il 23 maggio 1944, portato a Oneglia, assieme ai fratelli Remo ed Ettore Renacci, trasferito al carcere di Marassi (Genova) e poi a Fossoli.
[...] Ettore Renacci, di anni 37, nato il 6 gennaio 1907 a Bordighera, ivi residente, calzolaio, coniugato con Gatto Maria. Arrestato a Bordighera il 23 maggio 1944, incarcerato prima a Imperia, poi a Genova, quindi trasferito a Fossoli tra il 6 e il 9 giugno, matricola campo 1455. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 8, fu riconosciuto dalla cognata Carmelina Gatti e da un conoscente.
Anna Maria Ori - Carla Bianchi Iacono - Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, APM, 2004

Il Baletti, dopo drammatiche esperienze presso le varie polizie nazifasciste, fu inviato nel campo di concentramento di Fossoli. Tommaso Frontero (presidente del CLN cospirativo di Bordighera) compagno di prigionia del Baletti, racconta di lui con malcelata commozione che i nazifascisti lo sottoposero, per la sua fede antifascista e l’ostinato rifiuto a fare i nomi dei compagni di lotta, a dure sevizie ed a minacce severe; ma egli non venne mai meno ai suoi nobili sentimenti di altruismo. Il 12 luglio 1944 Emilio Baletti fu trucidato assieme ad altri patrioti e la Resistenza lo onorerà dando il suo nome ad una gloriosa brigata Matteotti che opererà nel Canavesano.
Di lì passò anche l’esuberanza giovanile di Bruno Gazzano di Porto Maurizio, che mi è stato caro amico di scuola.  […]
Carlo Rubaudo, Op. cit.

venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012

domenica 7 luglio 2024

Il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza

Fontane, Frazione del comune di Frabosa Soprana CN): manifestazione in ricordo della Resistenza del 21 ottobre 2013

A seguito dell'attacco a Baiardo [10 marzo 1945] da parte di Distaccamenti della V^ Brigata [della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"], si scatena furiosa la reazione nemica. Vittorio Guglielmo (Vittò), comandante della "Cascione", (il quale non aveva partecipato all'azione perché a livello tattico, secondo lui, era impossibile conquistare il caposaldo nemico), il "Curto", Armando Izzo comandante della V^ Brigata, il capitano inglese Bentley, il suo radiotelegrafista Mc Dougall, Guido Arnaldi (Guido), Felice Miraglio (Felice), Maiano Alfredo (Lupo), ed altri garibaldini quali staffette o addetti al deposito Intendenza sito nelle case della borgata di Gerbonte, si mettono in marcia verso la stessa grotta pensando di trovarvi rifugio sicuro. Intanto nella notte tra il 10 e l'11 giungono da Sanremo truppe tedesche appartenenti ai RAP (Raggruppamento Anti Partigiani), che riescono a prendere di sorpresa la suddetta borgata senza che fosse dato alcun allarme. Però la tattica partigiana era quella di non rimanere molto tempo nei luoghi abitati. Questa tattica salva il gruppo di uomini menzionati dall'accerchiamento. Infatti, su invito di "Vittò" e di "Curto", che intuiscono il pericolo vicino, prima dell'alba gli uomini, abbandonando Gerbonte e incamminandosi nel torrente Argentina, si dirigono verso la grande grotta che si apre su una parete verticale nelle rocche di Loreto-Ciaberta per rifugiarvisi (raggiungere la grotta voleva dire salire per una scala di corda lunga una ventina di metri). Però, durante lo spostamento, "Vittò", che è in testa alla colonna, scorge nell'oscurità una pattuglia, forse nemica, ad un centinaio di metri di distanza, che marcia in senso contrario. Per non destare allarme e dato che non è sicuro di chi siano, non dice niente e tutto finisce liscio.
Quando il gruppo raggiunge la grotta in posizione di sicurezza, il capitano Bentley si accorge di avere dimenticato l'antenna della radio trasmittente nelle case di Gerbonte, per cui si presenta la necessità di andarla a recuperare. Viene incaricato della missione la staffetta "Lupo", il quale, purtroppo, appena giunto sul posto, viene colpito dal nemico che già si trova nei dintorni: una raffica di arma automatica lo coglie ignaro e lo piega senza lasciargli il tempo di pronunciare una sola parola. Il ritardo del ritorno di "Lupo" fa insospettire il gruppo, per cui parte in missione il garibaldino "Felice". Anch'esso, dopo aver sentito le raffiche nemiche, cerca di mettersi al riparo, ma un colpo di Mauser lo colpisce a morte. E' giorno fatto e le mitragliatrici tedesche piazzate a Creppo impediscono ogni ulteriore tentativo di salvataggio per i due compagni, oramai caduti. Lo stesso giorno 11, nei pressi di Bregalla, viene ucciso dai Tedeschi il garibaldino Paolo Oddo (Bruno).
Catturati il 3 marzo in Grattino (Valle Argentina), dopo otto giorni di torture subite a Molini di Triora dove erano stati condotti, i garibaldini Quinto Verrando (Basilede) e Livio Maggi (Maggio) sono obbligati a ritornare nei pressi di Agaggio Superiore, in località dove i Tedeschi pensavano fossero i partigiani, perché ne indicassero l'ubicazione precisa. Rifiutatisi di parlare, in Pian del Carré ricevono un colpo di pistola alla nuca. Quinto muore subito, mentre il compagno Maggi viene lasciato agonizzante, nella sua pozza di sangue: soccorso dai contadini, morirà dopo una diecina di giorni di indicibili sofferenze. Anche i garibaldini Giobatta Lanteri (Seccù) e Gustavo Stoppiani cadono in combattimento, l'uno nei pressi di Goina (Triora) e l'altro a Molini di Triora. A Latte di Ventimiglia, il 13 è fucilato il garibaldino Guido Costanzo (Clark).
Ritornando alla grotta, il gruppo vi rimane per tre giorni. Ma, poiché le batterie della radiotrasmittente sono scariche, il radiotelegrafista inglese Mac Dougall, accompagnato da "Guido", è obbligato a recarsi alla centrale elettrica di Loreto per caricarle. Costruita un'antenna di emergenza, il radiotelegrafista tenta nuovi collegamenti con Nizza. Individuata la fonte delle onde della trasmittente, i Tedeschi continuano i rastrellamenti nel torrente Argentina e sulla montagna, ma con esito negativo. Non immaginano che le onde radio escano da una parete rocciosa, verticale, della montagna.
Dopo tre giorni, essendo la zona rastrellata dai Tedeschi, che continuano a pattugliare i dintorni, e non potendo quindi effettuare le trasmissioni per la vicina presenza nemica, "Curto" consiglia di cambiare zona. Alle prospettate difficoltà da parte di "Guido", che ritiene pericoloso lo spostamento, quello, nel tipico dialetto ligure, risponde: "Nel libro dei garibaldini non c'è scritta la parola paura", per cui esce per primo. Inosservato, tra colonne tedesche, riesce a spostarsi per raggiungere il territorio della V^ Brigata, a levante della Valle Argentina. Dietro di lui, uno ad uno, escono anche gli altri componenti il gruppo, tranne i due Inglesi, paralizzati dal terrore, ma sono obbligati a rassegnarsi alla sorte e a seguire gli altri.
Mentre ci stiamo avvicinando ai giorni dei lanci aerei, ai quali dedicheremo nei prossimi capitoli ampio spazio, seguiamo un momento l'itinerario di marcia e spostamento del Comando I^ Zona Operativa Liguria verso il campo dei lanci stesso.
Questo Comando istituito, come sappiamo, il 21 dicembre 1944, nel marzo 1945 è così composto:
Comandante: Nino Siccardi (Curto); Commissario: Lorenzo Musso (Sumi); Ispettore: Raffaello Paoletti (Giulio).
Il gruppo, messosi in movimento e attraversato il torrente Argentina, per Bregalla, Monte Pellegrino, verso mezzanotte giunge tra la galleria del Garezzo e San Bernardo dove pernotta. Il giorno dopo marcia verso la valle di Mendatica che è coperta di nebbia, mentre è in corso un vasto rastrellamento. Si odono raffiche di mitra e colpi di fucile Mauser. Infine, per San Bernardo di Mendatica e Valcona giunge a Upega, dove i componenti, dopo tre giorni di fame, riescono a mangiare un piatto di minestrone caldo. Nel pomeriggio al gruppo si aggregano tre prigionieri russi che hanno disertato dai Tedeschi. Il gruppo pernotta a Upega, dove il mattino del 16 da una centralina locale il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza; ma il collegamento non riesce a causa della corrente elettrica che è alternata. Successivamente il gruppo si sposta nuovamente a Valcona dove rimane altri tre gioni, e poi a Pian Rosso, a monte di Viozene, dove si prevede avvengano i lanci. Don Paolo Regis, parroco locale, si reca ad Ormea, nel tentativo di far ricaricare le batterie della trasmittente. Ma il tentativo non riesce, anzi, viene fermato dai Tedeschi mentre transita con la batteria sulla bicicletta. Si salva per fortuito caso. Il 23, nell'impossibilità di effettuare le trasmissioni, il radiotelegrafista Mac, "Sumi", il parroco e "Guido", tentano di raggiungere Fontane di Frabosa attraverso il Bochin d'Azeo (Mongioie) innevato. Vi riescono in un modo drammatico; ad ogni modo, giunti a Fontane, effettuano alcune trasmissioni. Il radiotelegrafìsta rimarrà sul posto fino al primo lancio che avverrà quasi alla fine di marzo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 238-241

sabato 20 aprile 2024

La salma di Ivanoe Amoretti è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio

Ivanoe Amoretti. Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Ivanoe Amoretti nacque a Imperia il 12 novembre del 1920 da Augusto e Antonietta Delbecchi. Rimasto orfano di padre dall’età di quattro anni, fin da giovanissimo fu attivo membro del circolo Giac «Giosuè Borsi» di Imperia Oneglia. I compagni di associazione, in una testimonianza scritta dopo la sua morte, lo descrissero come uno dei soci più impegnati: «L’associazione Borsi di Oneglia lo ebbe tra i suoi più assidui Aspiranti. In seguito passato alla Sezione Effettivi fece parte del Gruppo Studenti di cui fu uno dei più zelanti ed assidui. Si dimostrò sempre di carattere buono e serio, aperto ed affettuoso con gli amici, i quali ne serba[ro]no gelosamente un perenne ricordo. Ebbe incarichi direttivi nell’Associazione dove temprò l’anima ed il cuore».
Dopo gli studi elementari e medi presso la città natale, si iscrisse al liceo scientifico di Genova e, ottenuto il diploma, alla Facoltà di ingegneria dell’università del capoluogo ligure. Ben presto, però, temendo che la madre non potesse sostenere la spesa per continuare i suoi studi, decise di fare domanda per essere ammesso all’accademia militare di Artiglieria e Genio di Torino. Passate brillantemente le selezioni, dopo il periodo di formazione ottenne il grado di sottotenente in servizio permanente effettivo e si vide assegnato alla 6ª divisione fanteria Isonzo con la quale partecipò alle operazioni belliche della Seconda guerra mondiale.
Nel corso del 1941 venne dapprima spedito con il suo reparto in Grecia, successivamente trasferito in Croazia per il presidio delle postazioni italiane più avanzate. Fu in questa nuova destinazione che venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile che, pur ponendo fine alle ostilità con gli angloamericani, lasciava drammaticamente aperto il nodo circa i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico. In particolar modo, vista l’ambiguità degli ordini provenienti dal governo Badoglio e l’incertezza dei comandi militari sull’opportunità di resistere all’inevitabile offensiva tedesca, i reparti cominciarono a sbandarsi e diversi suoi commilitoni decisero di lasciare il loro posto per trovare una via di fuga e non rischiare la deportazione in Germania. Già il 9 settembre, infatti, la Wermacht attaccò le guarnigioni italiane presenti in Croazia e, dopo aver preso parte ai primi combattimenti ed essere stato ferito lievemente a una gamba, A. non poté che fare ritorno in patria unendosi ad altri ufficiali che avevano trovato il modo di recarsi a Roma.
Giunto nella capitale, prese immediati contatti con il movimento resistenziale che andava costituendosi. Dopo diversi colloqui con alcuni responsabili delle bande partigiane operanti nel territorio romano, decise di inserirsi tra le fila dell’organizzazione clandestina Travertino che era raccolta attorno alla figura di don Desiderio Nobels, carismatico parroco della chiesa di San Giuseppe nell’omonimo quartiere. Viste le sue capacità militari affinate durante il periodo di formazione e di servizio presso l’esercito, ad A. venne assegnato il compito di addestrare diversi nuclei di giovani volontari che si dicevano disponibili ad entrare tra le file dei partigiani, in particolar modo nei periodi successivi all’emanazione dei bandi di reclutamento fortemente voluti da Graziani. A questo, peraltro, aggiunse una delicatissima opera di informazione e contatto con le forze angloamericane che risalivano la penisola verso la capitale. Fu lo stesso don Nobels che nel dopoguerra ebbe modo di testimoniare: «Della sua attività nessuno sapeva nulla. Le preziose carte militari dei dintorni di Roma, arrotolate in una canna su cui sospendeva le cravatte, non furono scoperte. Nulla trapelò sull’organizzazione di cui faceva parte. Nulla, né a casa, né a via Tasso dove fu sottoposto a interrogatorio, né a Regina Coeli dove attendeva la fine. […] Il tenace e generoso Amoretti portò il suo segreto con fedeltà nel cupo silenzio delle fosse Ardeatine e vi fu sepolto con lui».
Il 12 febbraio del 1944 ebbe l’incarico di accertare gli effetti di un bombardamento effettuato dagli Alleati alla Cecchignola e di fornire notizie precise al fine di rettificare il lancio delle bombe per ottenere un risultato di maggior rilievo. Probabilmente a causa di una delazione, mentre era occupato in questo compito venne raggiunto da un manipolo di militi tedeschi che lo bloccarono e lo posero in stato di arresto. Condotto nelle carceri di via Tasso, A. fu duramente interrogato, percosso e torturato per diversi giorni, allo scopo di indurlo a confessare i nominativi dei responsabili del movimento resistenziale capitolino e le informazioni che attraverso la sua attività aveva recapitato al nemico. Trincerato dietro un ostinato silenzio, i suoi aguzzini dovettero infine arrendersi all’impossibilità di estorcergli rivelazioni e decisero di condurlo al carcere di Regina Coeli.
Il 23 marzo del 1944, a seguito di un’azione condotta da un Gap della capitale in via Rasella, in cui trovarono la morte trentatré militi della forza d’occupazione tedesca appartenenti alla XI Compagnia del III Battaglione Polizeiregiment Bozen, P. fu tra i 330, poi divenuti 335, nomi che vennero designati per la rappresaglia decisa dal comando nazista che scelse di condannare a morte dieci italiani per ogni tedesco morto nell’operazione gappista. Il giovane, dopo essere stato prelevato dalla sua cella, venne dunque condotto alle Fosse Ardeatine e trucidato insieme agli altri prigionieri designati. La salma di A. è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio.
Nel 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria con la qualifica di tenente in servizio permanente effettivo e la seguente motivazione: «Subito dopo l’8 settembre 1943, rientrato dalla Croazia, prese parte ad alcune operazioni nelle montagne di Imperia. Recatosi a Roma nel novembre del 1943, entrò nell’associazione clandestina “Traversito” [sic]; fra l’altro ebbe l’incarico di fare sopralluoghi per il servizio segreto di informazioni alle dipendenze della 5a armata americana. Durante una difficile missione, 12 febbraio 1944, venne arrestato dalle SS tedesche; incarcerato e seviziato non tradì mai la causa. Fu barbaramente trucidato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine».
Redazione, Ivanoe Amoretti, Biografie Resistenti

Ivanoe Amoretti nacque ad Imperia il dodici Novembre del 1920, figlio di Augusto ed Antonietta Delbecchi.
Entrato nell’esercito combatté durante la seconda guerra mondiale soprattutto nei Balcani: l’armistizio di Cassibile, l’otto Settembre del 1943, che segnò il termine delle ostilità tra italiani ed anglo-americani lo colse con il suo battaglione in Croazia, allora stato fantoccio guidato dal premier fascista Ante Pavelic. Riuscì fortunosamente a rientrare in Patria dove si unì alla pari di altri ufficiali e sottufficiali dell’armata italiana allo sbando ai partigiani.
Condusse la guerra di liberazione nel Lazio alle porte di Roma ed all’interno della città stessa. Fu inquadrato nella banda partigiana dell’Arco di Travertino, periferia sud- orientale di Roma, nata attorno alla figura del parroco belga della chiesa di San Giuseppe nell’omonimo quartiere, monsignor Desiderio Nobels. L’intento della banda, organizzata su volere degli anglo-americani, era quello di fornire il maggior numero di informazioni ai nuovi alleati proprio nel momento in cui essi stavano compiendo il maggior sforzo per liberare la capitale dall’oppressione nazi-fascista.
Amoretti fu un elemento molto prezioso di quella banda ma forse un tradimento da parte di una spia germanica ne decretò l’arresto. Candidato ad essere condannato a morte, Amoretti fu condotto nella tristemente nota pensione “Oltremare” di Via Principe Amedeo all’Esquilino e qui orrendamente torturato dagli sgherri della Gestapo. Fu tra i primi ad essere inserito, da Kappler, nell’elenco dei trucidandi alle Fosse Ardeatine.
Nel 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria.  
Redazione, Ivanoe Amoretti, Infinita memoria 

venerdì 23 febbraio 2024

Il risultato fu che chi si presentò nelle 48 ore prestabilite venne inviato in Germania

Lingueglietta, Frazione di Cipressa (IM)

In un mattino nebbioso del 17 gennaio 1945 un numeroso gruppo di fascisti perlustrava le campagne di Prelà. Secondo alcune fonti si sarebbe trattato di Cacciatori degli Appennini, secondo altre della compagnia operativa della G.N.R. del tenente Ferraris. Probabilmente l’azione fu condotta da entrambi i reparti. In due casoni posti ad una certa distanza avevano trovato ristoro per la notte alcuni uomini della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione". In un casone sopra Canneto, di fronte a Tavole, si stavano riposando Carlo Montagna Milan, comandante della Brigata [nato a Voghera il 16 agosto 1911, protagonista di numerose azioni, fra le quali spicca quella del 19 luglio 1944, la liberazione dei detenuti politici dal carcere di Imperia Oneglia], Gaetano Sibilla Ivan, Angelo Perrone Bancarà o Vinicio, vicecomandante della brigata, Sebastiano Acquarone Alpino e Ferrero Staffetta Gambadilegno. In un altro casone più in basso sostavano Mario Bruna Falco, commissario della Brigata, Luigi Peruzzi Luigi ed altri uomini. I fascisti intravvidero nella nebbiolina un uomo armato, che sembrava stesse facendo la sentinella. Spararono senza avvertimento e colpirono, uccidendolo, Angelo Perrone. Gli altri partigiani, intese le raffiche, fuggirono in direzione della cresta della montagna, che però era già stata occupata dai nemici. Ritornarono allora sui propri passi infilando il Vallone di Villatalla dove trovarono altri repubblichini in agguato che al loro avvicinarsi spararono. Montagna e Acquarone vennero colpiti a morte. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed, in pr., 2020

Faceva parte del distaccamento nemico, responsabile dell'informazione, il sergente Zeffiro Zara, che era anche membro della Guardia Nazionale Repubblicana di Sanremo. Le cause non si conoscono ma dopo alcuni giorni, lo stesso veniva arrestato, tradotto nel carcere di Imperia, quindi processato come traditore della Repubblica Sociale. Verrà fucilato nella Caserma "Asclepia Gandolfo" il 27 gennaio 1945 perché, "pur continuando a militare nella GNR era capo di una formazione di ribelli". Anche il garibaldino Guglielmo Bosco, catturato verrà fucilato, come vedremo, su Capo Berta il 31 gennaio 1945. Sulla morte dei garibaldini sopra menzionati veniva aperta una inchiesta per constatare se l'ex brigadiere Gastone Lunardi, comandante del Distaccamento "Folgore" della IV Brigata, avesse preso qualche iniziativa sbagliata nel campo della sicurezza. A livello politico, del triste episodio si interessava anche l'ispettore della I Zona Operativa Liguria, Carlo Farini (Simon) <6.
Quello che è accaduto nella Caserma Ettore Muti a Porto Maurizio (Piazza del Duomo), dove era di stanza una parte della Brigata Nera "Antonio Padoan", tra il 15 ed il 31 gennaio, ce lo racconta uno degli arrestati, Giovanni Piana, di Oneglia, il quale ci spiega che in quel tempo la costruzione adibita a caserma aveva tutte le caratteristiche deteriori di una spelonca:
"... Tutto vi era in disordine e brutti ceffi presidiavano e volgari sghignazzate e canzonette da lupanare giungevano alle due fetide celle del pianterreno dove rimanevano sprangati i vigilati. Il grosso dei nostri arresti avvenne tra il 15 ed il 31 gennaio del 1945. Le azioni di rastrellamento erano state compiute quasi tutte alla periferia della città, dove ci aveva sospinto lo sfollamento, con improvviso e numeroso impiego di brigatisti neri che penetravano nelle nostre case lasciandovi i segni di una educazione che le nostre famiglie, più di noi stessi, tuttora ricordano. Poi ci intruppavano, preferibilmente di notte, e ci conducevano alla caserma cantando con la sguaiatezza degli avvinazzati i "gloriosi inni del regime", e ci buttavano nelle celle come sacchi di palate. Non dico come ci dovessimo aggiustare in ognuna di esse dove lo spazio bastava appena a contenerci e la umidità che da quelle sporche mura trasudava e l'umiliazione a cui eravamo costretti per i nostri bisogni corporali, e la bestialità del trattamento di cui erano capaci gli aguzzini nelle loro truculenti visite e come la scabbia diventò un tormento della nostra cute cui finimmo per abituarci. Ricordo ancora molti dei compagni di clausura: Armando Filié che un "eroico" tenente non cessava di definire provocatore; Pietro Gazzano, il capitano, che avevo conosciuto tanti anni prima nell'organizzazione dei giovani socialisti e che si spense qualche anno dopo nella natia Coldirodi. Raffaelluccio Languasco di frequente in fase di malinconia pensando alla moglie ed al piccolo Giustino. Rinaldo Torelli arrestato in cambio del fratello Gigetto, riuscito ad allontanarsi per tempo. Ernesto Carli contro il quale si era dato peso allla sciocca accusa di un ragazzo deficiente che egli aveva sempre beneficato. Carlo Dellepiane prelevato una brutta mattina di buonora e condotto alla fucilazione sulla strada a mare verso Diano. Piero Panico sempre irrequieto e pensoso. E poi ancora Giuseppe Maccanò sospettato di tenere nascoste armi partigiane nel recinto del cimitero. Carlo Marvaldi, il più giovane di noi, dal morale alto e fermo. Dominici, il vecchio carrettiere che non sapeva nulla di nulla e temeva che gli capitasse qualche brutto imprevisto. E poi Francesco Sasso di Porto, e Novello, piombatoci addosso a suon di nerbate repubblichine poiché si trincerava in ostinati dinieghi sotto l'incalzare delle domande rivoltegli. Fernandez e Roncetti, due graduati della amministrazione carceraria, denunciati dalla famosa "Donna Velata" (Maria Zucco). In un'altra cella c'erano Faustino Zanchi, Salvatore Costa, Vincenzino Di Leo, Tomaso Dominici ed altri. Fino alla Liberazione altri entreranno ancora in queste carceri, altri ne usciranno per essere fucilati. La terribile atmosfera svanirà soltanto il giorno della Liberazione" <7.
[NOTE]
6 Isrecim, Archivi, Sezione II, cartelle, serie T; Sezione I, cartella 36. Vedasi pure Sezione III, cartella 20.
7 Dal giornale "Il Lavoro" del 12 febbraio 1955.

Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 86,87

Durante un rastrellamento nelle campagne di Prelà del 17 gennaio effettuato dalla compagnia operativa della GNR di Imperia comandata dal tenente Ferraris, che costò la vita a Carlo Montagna e Sebastiano Acquarone, venne catturato il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), il quale sottoposto a torture fu costretto a confessare dove si trovava acquartierato il X distaccamento Walter Berio della IV brigata "Elsio Guarrini". Gli uomini di questa formazione, già pesantemente provata dalle perdite subite nelle settimane precedenti, si erano rintanati in un rifugio ritenuto sicuro. Si trattava di un piccolo gruppo, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri”, Vittorio Aliprandi, e “Merlo”, Nello Bruno, si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla, in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro: un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana. I rastrellatori di Ferraris si avvicinarono al rifugio, sicuri che i partigiani fossero in quel punto. Dopo aver ispezionato palmo a palmo il terreno circostante iniziarono a togliere alcune pietre che celavano il rifugio e buttarono dentro alcune bombe a mano. Ormai i partigiani erano in trappola: Vittorio Aliprandi e Nello Bruno si tolsero la vita per non cadere nelle mani del nemico, gli altri nove uscirono dal rifugio con le mani alzate e vennero fucilati in momenti diversi: tra questi Luigi Guareschi (Camillo) il 9 febbraio 1945, Vincenzo Faralli (Camogli) il 9 febbraio 1945, Carletti Doriano (Misar) il 15 febbraio 1945, Giuseppe De Lauro (Venezia) il 15 febbraio 1945. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed, in pr., 2020

Dopo la prima quindicina del mese di gennaio 1945 gradatamente formazioni della Divisione nemica "Cacciatori degli Appennini" si trasferiscono verso l'estremo ponente ligure. Abbiamo già visto come durante un rastrellamento colpissero gravemente il Comando della IV Brigata "E. Guarini" nel vallone di Villa Talla. Nell'occasione del trasferimento affiggono un avviso che abbiamo ritenuto riportare integralmente poiché ci dà un quadro abbastanza preciso della situazione nella quale vennero a trovarsi i giovani che avevano disertato le chiamate nemiche, abitanti dei nostri paesi del retroterra.
Ecco il testo dell'avviso: "Gruppo Cacciatori degli Appennini. Si avverte la popolazione che il III Battaglione Cacciatori degli Appennini, desideroso di portare la tranquillità e la normalità nella zona, è disposto a venire incontro a tutti coloro che, avendo obblighi militari, hanno seguito consigli di elementi prezzolati del nemico e si sono dati alla macchia. A coloro che si costituiranno entro 48 ore dalla data del'affissione del presente avviso, si garantisce l'incolumità della vita. Contro quelli, invece, che, non avendo accolto questo appello, venissero catturati nel corso di operazioni militari, verrà applicata la legge di guerra. Z.O. 24 gennaio 1945, ore 8 del mattino. Il comandante del Battaglione maggiore Mario Rosa <1.
Il risultato fu che chi si presentò nelle 48 ore prestabilite venne inviato in Germania. Chi fu catturato dopo il termine dell'ultimatum venne passato per le armi.
Consultando ancora il memoriale del Polacchini, di cui abbiamo già parlato, risulta in modo evidente in che situazione si venissero a trovare i partigiani della IV Brigata. I giorni drammatici che ttrascorrono per il I Battaglione sono uguali a quelli del II e del III.
Scrive Polacchini nel suo memoriale: "... Alle prime luci dell'alba del 24 gennaio 1945 saliamo in vetta alla collina, al passo di Lingueglietta. La stagione è primaverile. Ci laviamo con l'acqua di un serbatoio usato per l'irrigazione. Tocca a me e a Renato Faggian (Gaston) andare in cerca di viveri. Decidiamo per Cipressa, ma partiamo imprudentemente in pieno giorno. Nei pressi di un caposaldo due Tedeschi stanno facendo legna in un boschetto. Hanno le armi a portata di mano. Quando ci vedono smettono di lavorare, ci osservano, parlano tra di loro, ma non ci fermano. Non abbiamo armi in vista, ma sotto la giacca le nostre pistole e, in un zainetto, quattro bombe a mano. Noi facciamo finta di niente e non succede nulla. Facciamo ritorno nel pomeriggio con pane, farina bianca, un fiasco d'olio d'oliva ed una vecchia pentola di alluminio. Tutta roba fornita da un tale del CLN. Dopo l'unico pasto quotidiano andiamo a dormire due a due in piccole costruzioni tra i rovi. Siamo visti da gente di Cipressa venuta a raccogliere le olive per cui decidiamo di cambiare ancora luogo di sosta. Ci portiamo sopra Torre Paponi, paese quasi completamente distrutto dai fascisti nel dicembre 1944. Passiamo la notte in una piccola costruzione tra gli ulivi. Al mattino presto io e Giuseppe Conio (Zabù) andiamo a Pietrabruna anche per avere qualche notizia fresca. Apprendiamo dell'avanzata sovietica in territorio tedesco (Prussia e Slesia), così ci rianimiamo un poco al pensiero che la guerra va verso la fine. Torniamo con pane, formaggio e sapone. Facciamo conoscenza con il nostro padrone di 'casa', è un agricoltore di Lingueglietta il quale ci offre del vino...".
Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gamba di legno), del X Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi <2. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[NOTE]
1 Isrecim, Archivio, Sezione I, cartella 96.
2 Dal giornale "La Verità" del 2 gennaio 1946.

Francesco Biga, Op. cit., pp. 88,89