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venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012

giovedì 9 novembre 2023

Aumentano i distaccamenti partigiani imperiesi ad aprile 1944

 

Il torrente Arroscia nei pressi di Ranzo (IM). Fonte: Wikipedia

Il distaccamento imperiese - comandante TITO (Rizzo Renato) [Rinaldo Rizzo, detto Tito] commissario GIULIO (Libero Briganti) - aveva dovuto impegnarsi in una lunga marcia forzata dalla Casa Rosa, sopra Diano Roncagli nel comune di Diano S. Pietro, dove era dislocato, sino a Caprauna (in provincia di Cuneo) per raccogliere un lancio che - secondo le notizie pervenute - gli Alleati avrebbero dovuto effettuare nei giorni dal 4 al 6 aprile [1944].
Il reparto <1 non giunse nel tempo prestabilito e si trovò ad affrontare la via del ritorno senza alcuna scorta di viveri e senza possibilità di rifornimenti <2; ciò rese particolarmente dura la marcia sino a Guardiabella (a occidente del Colle di S. Bartolomeo), da dove una pattuglia guidata da MIRKO (Angelo Setti) scese al comune di Aurigo e nella frazione di Poggialto alla ricerca di aiuti.
L'assistenza generosa di quelle popolazioni aiutò la piccola formazione a rimettersi in sesto; successivamente furono anche compiute azioni particolarmente rischiose allo scopo di prelevare vettovaglie in territorio presidiato dalle truppe germaniche, <3 ma l'esperienza aveva ormai confermato che anche il problema dei rifornimenti doveva avere una sua più organica soluzione.
Tanto più che - in meno di 20 giorni - vi fu un notevole afflusso di volontari, tale da trasformare in altrettanti distaccamenti (con circa 30 effettivi ciascuno) le tre squadre di cui inizialmente era composto il reparto.
Ai primi di maggio - comandati da CURTO [Nino Siccardi] e e dal commissario GIULIO - i distaccamenti avevano assunto le seguenti posizioni <4:
1°) comandante Tito, commissario Boris (Gustavo Berio) - dislocato presso i Tecci di Parodi sopra Pontedassio;
2°) comandante Ivan, commissario Dimitri (Bruno Nello) - dislocato al Passo della Mezzaluna;
3°) comandante Cion [Silvio Bonfante], commissario Federico (Federico Sibilla) - dislocato nel bosco di Rezzo.
Metodo piuttosto efficace ci sembra quello seguito dal comando partigiano imperiese - in modo abbastanza frequente in questo periodo - di designare per le azioni di guerra più importanti uomini scelti in egual numero da tutti e 3 i distaccamenti; tale criterio venne adottato - ad esempio - nell'attacco effettuato al posto di blocco del ponte di Ranzo; in questa occasione 6 partigiani (scelti 2 per distaccamento) volsero in fuga il presidio nemico - uccidendo un soldato germanico e catturando due G.N.R. - e si impossessarono di 2 mitragliatori, di due fucili tedeschi e di molte munizioni.
Si può anche rilevare in proposito - considerando l'armamento messo a disposizione del gruppo attaccante (su 6 effettivi, 4 fucili mitragliatori e 2 mitra) - che molto opportunamente il comando partigiano non aveva esitato ad affidare agli uomini prescelti per l'azione quasi tutte (molto probabilmente tutte, date le condizioni di allora) le armi automatiche in possesso della formazione, pur di ottenere un gruppo che unisse alla particolare agilità numerica una grande potenza di fuoco <5.
Nello stesso periodo si ebbe un ulteriore spostamento dello schieramento partigiano; il distaccamento di Tito venne stanziato a Bosco Nero, quello di Cion a Tecci di Parodi e quello di Ivan a Piani di Corte, nel comune di Triora.
Un nuovo distaccamento - anch'esso forte di circa 30 effettivi - venne costituito nella prima metà di maggio e dislocato, al comando di Mirko, in regione Castagna presso Bregalla, una località di particolare importanza strategica attraverso la quale il dispositivo partigiano della zona a levante di Imperia venne ad essere direttamente collegato con quello della zona a ponente, tramite un gruppo formatosi ai primi di marzo e comandato da MARCO (Candido Queirolo) e da TENTO.
Sempre a metà di maggio vi fu l'inquadramento definitivo del distaccamento operante nella zona di Cima Marta agli ordini di IVANO (Vittorio Guglielmo), commissario ERVEN (Mario Luppi) [invero Bruno Luppi]; questo reparto disponeva di circa 40 effettivi <6.
Anche nell'imperiese si era venuta intanto sviluppando l'azione intimidatoria delle Autorità fasciste e germaniche a seguito del bando Mussolini; dal primo al 20 maggio gli aerei avevano sorvolato le campagne lasciandovi cadere a migliaia i volantini dell'ULTIMA OCCASIONE:
"Coloro che all'Italia hanno offerto gli anni più belli della giovinezza per compiere il loro dovere di soldati e che oggi, fuorviati da una malvagia propaganda, rinnegano il loro valoroso passato di combattenti per rimanere tra le bande dei ribelli dove altro non sono che strumenti di ignobili sfruttatori che giocano sulla loro vita per guadagnarsi lo sporco denaro con cui il nemico paga i traditori, ricordino che la Patria li ha chiamati ancora a sé pronta a perdonare il loro traviamento e ad aiutarli a ritrovare la via del dovere e dell'onore.
Per volere del Duce, il Governo della Repubblica ha stabilito che chi si presenterà spontaneamente entro il 25 maggio p.v. andrà esente da qualsiasi pena e procedimento penale. È L'ULTIMA OCCASIONE. Non deve essere perduta. Dopo, per chi sarà rimasto sordo a quest'ultimo appello avverrà l'inesorabile.
Presentatevi al più presto a qualsiasi autorità civile o militare più vicina".
[NOTE]
1 Suddiviso in tre squadre: la prima comandata da IVAN (Giacomo Sibilla), la seconda da CION (Silvio Bonfante), la terza da MIRKO (Angelo Setti), per un totale di circa 30 effettivi. (Documentazione Biga).
2 Alcune testimonianze attribuiscono la perdita del lancio ad un non precisato sabotaggio.
3  La sera del 10 aprile, ad esempio, una decina di partigiani - tra i quali Cion, Mirko, Mancen (Massimo Gismondi), Carlo Siciliano - scesero, guidati da Curto, dal Colle di S. Bartolomeo sino alla prossimità di Pontedassio, celati sotto il tendone di un camion al volante del quale stava il partigiano Zò. Da lì, mentre il camion con a bordo il solo Curto compiva il percorso di fondovalle, essi raggiunsero Borgo d'Oneglia, passando per la collina, sino ad un deposito di viveri accaparrati da un grosso incettatore collaborazionista. Nella notte il camion veniva caricato dei viveri sequestrati e ripartì per la zona partigiana - con gli uomini armati occultati sotto il tendone - attraversando in pieno giorno i blocchi germanici e fascisti (ai quali Curto esibì dei falsi documenti tedeschi) posti sulla statale n. 28 di Pontedassio, Chiusavecchia, Ponte dei Grassi, Tesio, fino al Bosco di Rezzo. (Documentazione Biga).
4 Cfr. volume I° pag. 181
5 Invero l'armamento del piccolo reparto, potenziato dal considerevole bottino, impressionò favorevolmente alcuni ufficiali delle formazioni Mauri - incontrati sulla via di ritorno - i quali inutilmente proposero ai sei di entrare a far parte del nascente schieramento "Autonomi".
6 Ci viene segnalato - tra le prime azioni di questo distaccamento - il disarmo compiuto da un solo partigiano (FOLGORE) di una postazione della R.S.I. a Santa Brigida (Andagna) e la cattura di 10 soldati di presidio. (Doc. Biga, testimonianza di Angelo Setti).

Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria - Volume II, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 237-240

La popolazione tutta, specie quella dei paesi non sulla costa, è loro [ai partigiani] favorevole, li ospita, li nasconde e li rifornisce, nonostante che in parecchi casi si siano impossessati di bestiame e di derrate alimentari.   
La loro attività è sempre quella di scendere dai monti nei paesi, rifornirsi di viveri e tabacco, incitare i renitenti a non presentarsi e a cercare di impossessarsi di armi e munizioni assalendo caserme dei distaccamenti della G.N.R. (carabinieri), nonchè di molestare persone ritenute simpatizzanti per il Regime Fascista Repubblicano.   
A volte hanno prelevato ostaggi, fra cui qualche sottufficiale dei carabinieri, che sono stati poi rilasciati.   
Le località della Provincia più battute sono quelle confinanti con la provincia di Cuneo, in quanto tali bande si spostano dall'una all'altra provincia. Campi di azione delle bande di ribelli sono più frequentemente la vallata di Cervo, Diano Arentino, Diano Marina, Diano Roncagli, Chiusavecchia, Bestagno, Molini di Triora, Nava e Case di Nava.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione quindicinale sulla situazione..., 16 aprile 1944, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma

In questi giorni, per ben due volte, nell'abitato di Diano Marina sono stati sparati da ribelli colpi di pistola contro ufficiali dell'esercito repubblicano in divisa, che transitavano isolatamente in bicicletta, senza conseguenze.  Il reparto antiribelli della Questura di Imperia frequentemente si porta nelle località ove viene segnalata la presenza di ribelli, che sistematicamente riescono a sfuggire alle ricerche. In tali operazioni viene però proceduto al fermo di renitenti, disertori e sfaccendati, i quali ultimi vengono proposti per il lavoro in Germania.
Non infrequentemente si addiviene ad uno scontro di colpi di arma da fuoco.   
E' stata sottoposta, con provvedimento dell'apposita commissione, all'ammonizione, per un biennio, una suora del locale Istituto Nostra Signora della Misericordia, la quale, sull'insegnamento che impartiva ai bambini ed alle bambine, teneva contegno niente affatto consono al momento attuale e nettamente contrario all'opera ricostruttiva del Governo Fascista Repubblicano e del suo Capo. Difatti, detta suora, fra l'altro, nella lettura del libro di testo, faceva saltare tutte le pagine riferentisi al Duce ed al Fascismo, proibiva ai bambini di portare emblemi fascisti e di salutare romanamente.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione..., 24 aprile 1944, N. di Prot. 01384, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma 

giovedì 20 luglio 2023

La squadra dei mortaisti partigiani era composta da quattro soldati della divisione San Marco, che avevano disertato

Dintorni di Rezzo (IM). Fonte: Parco Naturale Alpi Liguri

Insomma, nella cameretta di Oliveto si dormiva - si fa per dire - meglio. Dopo aver trascorso una notte quasi insonne, all'alba del giorno 5 settembre 1944 tutto l'accampamento era in movimento: avevamo udito lunghe raffiche di mayerling (la terribile arma automatica tedesca) provenienti da lontano. Prestato un poco di attenzione, ne individuammo la direzione: giungevano dal passo della Fenaira, dove era dislocato il distaccamento di "Germano" che controllava la strada proveniente da Molini di Triora e Andagna. Purtroppo, oltre che da quella parte, stavano giungendo i primi drappelli tedeschi anche da Rezzo e da Montegrosso - Men­datica, mentre il grosso delle truppe aveva già occupato tutte le montagne che si ergono intorno alla conca di Rezzo. Un grande rastrellamento nemico era in atto.
"Germano" resistette fino al limite delle forze, ma poi, preso tra due fuochi (dalla parte di Andagna e da quella del Passo della Mezzaluna), dovette desistere, lasciando purtroppo sul terreno Ettore Bacigalupo ("Genovese"), Felice Spalla, Pietro Glorio ("Gambin"), Aldo Gagliolo ("Terribile") e Italo Ghirardi ("Gherardo"). Anche Montegrande era stato occupato dai tedeschi.
Fu ad un certo momento della mattinata che il comandante Silvio Bonfante ("Cion"), rivolgendosi a Massimo Gismondi ("Mancen"), disse: «Bisogna che tu vada a sloggiare i tedeschi da Montegrande, perché ci tengono sotto tiro».
Al che "Mancen" rispose: «Ti sembra una cosa facile?». La risposta di "Cion" fu drastica: «Se non ci vai tu, ci vado io». A questo punto "Mancen" si decise, chiedendo una quindicina di volontari. Io ero già stato aggregato al reparto mortaisti, ma, se così non fosse stato, non sarei stato di certo un volontario. L'avventura del molino dei Giusi e il miracolo di Oliveto avevano destato in me un poco di paura.
"Mancen" con i suoi uomini partì per Montegrande e noi mortaisti ci preparammo ad agevolargli la salita. L'azione si doveva svolgere in modo che, quando la squadra dei volontari fosse giunta ad una cinquantina di metri dalla vetta, fuori dalla vegetazione, dopo un segnale convenuto avremmo incominciato a sparare con i mortai. Dovevamo essere precisi per non colpire i nostri compagni. La squadra dei mortaisti era composta da quattro soldati della divisione San Marco, che avevano disertato e raggiunto le nostre file in montagna, abbandonando il presidio di Chiappa in val Steria. Essi maneggiavano i mortai, mentre un'altra trentina di disertori della stessa divisione faceva da supporto. Istruiti in Germania, erano gente molto preparata, e presto lo dimostrarono. Dopo circa mezz'ora che era partito "Mancen", lui ci segnalò di aprire il fuoco. Noi che nel frattempo avevamo puntato il mortaio nel modo giusto, sotto la guida del sergente mortaista, al segnale iniziammo a sparare, in verità con un poco di preoccupazione perché, durante il trasporto dell'arma da Chiappa a San Bernardo di Conio, il sistema meccanico di puntamento si era rotto. Il sergente dimostrò in quel frangente la sua abilità. Mise in opera un sistema di puntamento manuale che si dimostrò efficacissimo. Salito sul tetto della vecchia chiesetta di San Bernardo, guardò Montegrande e quindi il mortaio, si piazzò nelle direzione retta dei due punti di riferimento e lasciò cadere a terra un'assicina di legno che si piantò nel terreno. Fatto questo, saltò a terra dal tetto della chiesetta che era abbastanza basso e, estratto dalla tasca un taccuino, fece alcuni calcoli. lo non capivo niente di quello che stava facendo. Terminati i calcoli e raggiunto il mortaio, maneggiò i vari sistemi di alzo e di brandeggio. Infine disse: «Credo che così vada bene, possiamo iniziare il fuoco». Tra me pensavo che, se "Mancen" e gli altri avessero saputo in che modo era stato eseguito il puntamento, indubbiamente sarebbero velocemente fuggiti dal luogo dove si erano appostati.
Uno degli inservienti infilò nel mortaio una bomba da 81 che, con un colpo secco, partì immediatamente. Attendemmo con ansia l'arrivo della bomba su Montegrande. Quando vedemmo lo scoppio proprio in cima al monte dove i tedeschi erano piazzati, esultammo per l'abilità del sergente e per lo scampato pericolo della nostra squadra di volontari.
Era giunto il momento decisivo. I nostri iniziarono l'assalto sparando all'impazzata, mentre i tedeschi, raggiunti da altri colpi di mortaio, si ritirarono verso il passo della Fenaira.
Conquistata la cima del monte, "Mancen" iniziò l'inseguimento del nemico, accompagnato dai tiri del mortaio che il sergente spostava gradatamente a destra man mano che i colpi partivano, per non colpire gli inseguitori.
Dopo aver sparato ancora una decina di colpi, però, purtroppo dovemmo smettere perché le bombe incominciarono a scarseggiare. Non potevamo più sciuparne.
Dimenticavo di dire che il mio compito, durante gli spari, era molto importante: portavo le cassette delle bombe dal luogo dove erano state sistemate, lontano dal mortaio una cinquantina di metri per sicurezza, all'arma che era al riparo della chiesetta. Con altri tre compagni dovevo percorrere quel tratto allo scoperto, per cui ogni tanto sentivamo fischiare vicino pallottole nemiche. Al fianco del mortaio era stata piazzata una mitragliatrice pesante che, azionata da Giuseppe Gennari ("Gino"), impediva ai tedeschi di avanzare dalla strada di Rezzo verso San Bernardo di Conio. Quando le sparatorie si placarono, mentre stava scendendo con la sera anche la nebbia, la squadra di "Mancen" fu costretta a ritirarsi da Montegrande portando con sé prigioniero un sergente tedesco. Nell'azione solo un partigiano era stato leggermente ferito ad un braccio.
Giunta la notte, mentre i tedeschi, impressionati dall'azione partigiana, avevano sospeso momentaneamente il rastrellamento, i distaccamenti di Franco Bianchi ("Stalin"), di "Germano" e di altri comandanti adottarono la tattica di disperdersi nei boschi. Noi, invece, caricammo su una decina di muli i mortai, le armi pesanti, le marmitte, i viveri e le munizioni, e con "Mancen", i fratelli Gennari, "Mancinotto", "Sardena", "Cigré'" (eravamo circa una trentina) ci calammo verso Rezzo per tentare di passare da qualche parte nella valle di Pieve di Teco, per avviarci poi verso Montegrosso - Mendatica. Ma, giunti vicino a Rezzo, venimmo a sapere che il paese era occupato dai tedeschi. Fummo costretti ad incamminarci verso il passo delle Bisciaire e, quando stavamo per giungere sul crinale, fummo accolti da lunghe raffiche nemiche. Era evidente che, prima che facesse buio, i tedeschi avevano piazzato le mitragliatrici sulla mulattiera, e, quando avevano sentito il rumore prodotto da una decina di muli, avevano dato inizio alla sparatoria. Fortuna volle che non fossimo sulla giusta traiettoria, così fummo in grado di scaricare i muli cbe abbandonammo al loro destino. Nascondemmo in modo precario il materiale scaricato, quindi ci buttammo di corsa dentro il bosco di Rezzo, fuori tiro perché protetti da una costiera.
Durante la notte incominciò a piovere e ci inzuppammo all'inverosimile. Credo che nessuno sia riuscito a dormire. All'alba, a mille metri di altezza, faceva un freddo intenso, mentre noi non avevamo vestiti di ricambio per poterci togliere quelli bagnati di dosso. Ricordo che Mario Gennari ("Fernandel") batteva i denti dal freddo fino a dare fastidio: forse era meno coperto degli altri. Dovemmo stare due giorni fermi in quel bruttissimo posto, mentre i tedeschi con pattuglioni di quindici/venti uomini venivano giù dai passi sparando raffiche a casaccio nei boschi inaccessibili, come era il nostro, e perquisivano tutte le baite sui pianori.
Racconterò quanto mi dissero alcuni partigiani che erano nascosti con il comandante Nino Siccardi ("Curto") in una di queste baite, aggiungendo che, prima di perquisirle, con grande prudenza, i tedeschi piazzavano contro le porte e le finestre delle stesse le armi automatiche.
Quando una pattuglia nemica giunse davanti alla baita dove si erano rifugiati "Curto" e alcuni suoi compagni, essa fu attratta da un albero carico di magnifiche mele. I componenti la pattuglia si misero a raccoglierle e a mangiarle, mentre i partigiani, all'interno della baita, col cuore in gola, attendevano in silenzio il momento decisivo. Se i tedeschi si fossero avvicinati alla baita, loro sarebbero usciti sparando all'impazzata, e cercando di disperdersi. E' incredibile dire che il "Curto", con la sua nota flemma, mentre osservava attraverso una fessura della porta i tedeschi che mangiavano le mele, si rammaricava pensando che se le stavano mangiando tutte, senza lasciarne alcuna ai partigiani. Il "Curto" aveva un eccezionale sangue freddo. Non sapeva cosa fosse la paura. Lo dimostrò in numerosissimi episodi. E ciò infondeva coraggio a tutti i partigiani. La spasmodica attesa durò due giorni, poi il nemico andò via e noi ci portammo verso la Casa Rossa (una baita dispersa nel bosco), per vedere se fosse già stata raggiunta da altri partigiani. Infatti colà ne trovammo alcuni. La baita era stata la sede del Comando e qualcuno nei pressi aveva nascosto della pasta. Fu recuperata e cotta senza sale in una marmitta. Da due giorni eravamo digiuni, una fame nera ci tormentava. Non avendo un piatto o una gavetta, per non perdere il giro, feci servire la mia razione in un pezzo di carta che avevo trovato lì per terra.
Andammo poi singolarmente a scavare in un terreno dove avevano già tolto le patate, riuscendo a trovarne parecchie, che bollimmo e mangiammo.
Dunque, il rastrellamento nemico finì due giorni dopo che era iniziato. Perdemmo una decina di partigiani. I tedeschi uccisero alcuni civili. Giorni dopo recuperammo le salme di due carbonai del luogo. Se non avessimo sentito il loro cattivo odore, chissà per quanto tempo sarebbero rimaste insepolte! Le perdite nemiche furono indubbiamente superiori alle nostre, ma non saprei quantificarle.
Di notevole c'è da dire che, se fossimo stati bene informati, potevamo ritirarci tranquillamente lungo la strada San Bernardo di Conio - Colle San Bartolomeo (una decina di chilometri), poiché la strada non era stata percorsa dal nemico, quindi era rimasta sempre libera.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 52-57

venerdì 14 aprile 2023

Caricato sui muli tutto il materiale, i partigiani della Bonfante lasciarono Viozène

Viozène, Frazione del Comune di Ormea (CN). Fonte: www.loquis.com

Giunto ad Alto il Comando divisione [VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] aveva raccolto altri effettivi della banda della II e III Brigata proseguendo ancora verso Nord. Malgrado le voci contrarie era ormai evidente che il lancio non poteva aver luogo vicino al nemico e che la meta era ormai chiaramente oltre la «28» [n.d.r.: strada statale del Col di Nava].
Attraversata la «28» a Cantarana [n.d.r.: Frazione di Ormea (CN)] le forze della Bonfante si spinsero su Viozène [n.d.r.: altra Frazione di Ormea (CN)] per riunirsi a forti gruppi della Cascione: obiettivo era la difesa del comune campo di lancio di Pian Rosso.
Se in Liguria era già primavera, a Viozène il clima era ancora rigido. Penosi furono quei giorni d'aprile [1945] per la scarsità di viveri ed il ritorno della neve.
I partigiani della Cascione dovettero lottare alle Fascette con la tormenta. I turni di guardia notturni erano estenuanti perché dalle cime del Mongioie scendeva un vento gelato e molti partigiani avevano già cambiato i logori abiti invernali coi pantaloni corti e le magliette estive. Quei giorni di attesa pesarono anche sugli animi più forti: Cimitero [n.d.r.: Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Bonfante] stesso si presentò al Comando chiedendo di poter rientrare in Liguria perché i suoi uomini con i vestiti che avevano non potevano andare più avanti. Cimitero in quei giorni aveva ingoiato per errore una discreta dose di pastiglie contro il sonno che gli alleati avevano mandato col primo lancio e da tre giorni era di umore nero non riuscendo a dormire. Giorgio [Giorgio Olivero comandante della Divisione Bonfante] gli rammentò l'importanza che aveva per noi la riuscita del lancio e la necessità di disporre per la protezione di forti bande e di uomini come lui. Cimitero rimase.
Quale era lo schieramento della Bonfante e della Cascione? Non lo sapemmo con sicurezza perché nessuna comunicazione ufficiale venne inviata ai partigiani rimasti in Liguria. La zona di Viozène comunque si prestava ottimamente per una difesa: pochi varchi conducevano nella valle incassata e quei pochi erano facilmente controllabili anche con pochi uomini, purché ben armati. La Cascione a quanto pare aveva effettuato un largo schieramento di sicurezza verso sud prendendo sotto controllo tutta l'alta Val Tanaro comprendendovi Upega, Piaggia, Monesi, S. Bernardo. Era all'incirca lo schieramento adottato in ottobre, pur ottenuto con effettivi più ridotti. Evidentemente, più che bloccare l'offensiva nemica con una difesa ravvicinata ad oltranza si contava di opporre una difesa elastica rallentando l'avanzata nemica per il tempo necessario. La Bonfante si pose a immediata difesa del campo di lancio controllando anche con elementi della Cascione l'accesso da Ponti di Nava, dove la minaccia era maggiore. La Bonfante controllava anche il Bocchino a Nord e Carnino ad ovest. Il piano di difesa era buono e idoneo per resistere ad un attacco da molti lati.
Finalmente il 6 aprile [1945] il sospirato evento avvenne. Giorgio mi raccontò bene quel momento: «Passeggiavo fra i fuochi con Robert Bentley [n.d.r.: capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento degli alleati con i partigiani della I^ Zona Liguria] ed alla mia osservazione sull'eventuale pericolo di ricevere qualcosa in testa mi rispose: "Impossibile! Il regolamento vieta i lanci senza paracadute: li vedremo in tempo". Pochi minuti dopo eravamo stesi dietro una roccia terrorizzati da una pioggia di materiale in discesa libera compresi fusti da duecento chili di esplosivo. In termine tecnico il pilota aveva effettuato un free drop. Il lancio questa volta era veramente importante: c'erano mortai, mitragliatrici pesanti, materiale esplosivo, munizioni. Tutto venne suddiviso tra noi e la Cascione». Giorgio ebbe da lamentarsi che «il personale italiano, addetto alla confezione dei lanci al campo, di Livorno, avesse sostituito nei containers le divise nuove con le loro usate e stracciate, il cacao con polvere insetticida, come rilevammo in tempo dall'odore e avesse riempito gli astucci da cannocchiale con cartaccia. Grande stupore sollevarono certe scatole con dentro un pranzo luculliano, incluso il dessert e le sigarette. Erano le razioni di emergenza dei nostri alleati».
Caricato sui muli tutto il materiale la Bonfante lasciò Viozène, si portò verso Rezzo e ripassò la statale in un punto imprecisato. La Cascione, che già aveva avuto a Pian Rosso due lanci, restò in attesa del 4°, che avverrà verso il 19 aprile. Solo quest'ultimo lancio verrà disturbato dai tedeschi che attaccarono da Ponti di Nava. Ormai era tardi ed i partigiani, riforniti dai lanci precedenti, erano in grado di resistere. L'attacco tedesco venne contenuto ed il  materiale salvato quasi tutto, poi anche la Cascione lasciò Viozène.
La reazione tedesca si scatenò nella Val Tanaro deserta, Valcona venne incendiata, ma dei partigiani non era rimasta traccia.
Mentre oltre la 28 si attendeva il lancio, verso il mare la vita continuava normale.
CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA'
ADERENTE Al C.L.N.
6a DIVISIONE D'ASSALTO GARIBALDI LIGURIA S. BONFANTE
STATO MAGGIORE DIVISIONALE
N° PRO.23
OGGETTO:  L.II° RELAZIONE
Al Comando Divisione
Giorno 2.3 45. Alle ore 14,30 sento il messaggio. Parto in tromba
vado a Leverone a Aquila e salgo in Alto e metto tutti in moto visto
che nessuno sa nulla. Passo da Fernandel,metto i suoi uomini
in postazione passo S. Giacomo mentre dalle altre parti metto borghesi
di guardia. Libero lo tengo sul    campo. Meassa non viene, la staffetta
borghese non lo ha avvisato. Alle 21.00 accendo i fuochi, alle
ore 21,45 dopo esser passati cinque aereoplani,arriva il nostro.
Ci fa il medesimo segnale morse che facciamo noi poi incomincia la
pioggia. Un solo apparecchio. Abbiamo tanta nebbia,però tutto
procede bene. Ad un tratto danno l'allarme,hanno visto una luce.
Faccio montare i Bren,caricare i caricatori. Idem per gli Sten.
I muli arrivano,sono immediatamente caricati e spediti da Fernandel
alle 24 avevamo sgomberato il campo. Libero rimane incaricato per
il rastrellamento. L'operazione è finita. Tutto ha funzionato bene.
Sono stanco morto.
Prego di farmi sapere se altri lanci avranno luogo. Se è possibile
continuare con lanci piccoli. Materiale da sabotaggio per ora basta.
Chiedere :  STEN - BREN - MUNIZIONI E CARICATORI S.ETIENNE.
Munizioni PARABELLUM RUSSO.
Portatemi per me almeno un silenziatore per STEN. Anche una
pistola col silenziatore
Stò meglio saluti
                IL CAPO DI STATO MAGGIORE

Nell'archivio di Ramon ho trovato il presente documento. Vi è descritto un lancio che sarebbe avvenuto a Caprauna il 2 marzo e sarebbe stato il II lancio. Poiché non si ricorda, né vi è traccia documentata di un lancio precedente ed il lancio del 13 marzo viene concordemente indicato come il lancio I, penso che vi sia uno sbaglio di data e che il 2-3.45 sia il 2-4.45.
I documenti del comando divisione indicano come Lancio II quello di Pian Rosso.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 230-232

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - In considerazione del fatto che il campo di lancio scelto per la II^ Divisione offriva maggiori possibilità di ricezione per un grande lancio diurno, si reputava positivamente il fatto di trasferire per il momento parte della Divisione nella zona di lancio di Pian Rosso, mentre l'altra componente avrebbe dovuto attendere il lancio notturno già programmato [a Pian dell'Armetta nella zona di Caprauna (CN)]. Direttiva di effettuare sollecitamente il richiamato trasferimento, attesa l'imminenza del lancio.
31 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione, prot. n° 19, al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Veniva comunicato che i preparativi per il primo lancio erano stati ottimi.
4 aprile 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 23, al comando della VI^ Divisione - Comunicava le modalità del secondo riuscito lancio alleato del 2 aprile 1945 a Caprauna: "alle ore 14.30 sento il messaggio. Parto in tromba, vado a Leverone e Aquila, salgo in Alto (CN) e metto tutti in moto visto che nessuno sa nulla. Passo da Fernandel [Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione], metto i suoi uomini in postazione a Passo San Giacomo, mentre dalle altre parti metto borghesi in guardia [...] Alle ore 24 il campo era completamente sgombero". Ramon concludeva [...] Allegava un elenco di materiale ricevuto, dove figuravano 13 mine, 200 bombe a mano, 4 Bren, 8 Sten, 19 bombe incendiarie, 17 detonatori e molte munizioni.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione, prot. n° 310, al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Emanate disposizioni per un nuovo lancio e per la condivisione, con la II^ Brigata "Nino Berio", del materiale ricevuto.
9 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata - Inviava una dichiarazione della signora Giulia Capetti, in cui la donna sosteneva di essere stata rimessa in libertà dalla gendarmeria tedesca di Albenga alla condizione di fare arrestare il garibaldino "Cimitero" [Bruno Schivo].
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 30 marzo 2023

Terminato il rastrellamento, il Comando partigiano nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo

Il Bosco di Rezzo vicino al Passo della Teglia. Foto: Pampuco su Wikipedia

Finalmente anche il giorno 6 [settembre 1944] ha termine; il nemico riunisce i reparti rastrellanti [nd.r.: si trattava della battaglia di Montegrande], riforma le colonne, si concentra a fondo valle.
Il pugno di ferro si era stretto; che aveva preso? Che risultato aveva avuto il grande spiegamento di forze aiutate da circostanze eccezionali favorevoli? Nulla, quasi nulla: su più di un migliaio di partigiani, solo una diecina caduti nella rete. Ettore Bacigalupo, Aldo Gagliolo, Italo Ghirardi erano caduti il primo giorno. Germano Valsecchi (Germano) di Giovanni, nato a Bergamo il 14.4-1927, uno della IV brigata, catturato mentre, estenuato, dormiva in un fienile, venne impiccato a San Bernardo di Conio. I civili Michele e Luigi Vinai saranno trovati tra i cespugli crivellati di colpi (7).
Altri tre garibaldini, catturati dal nemico, riusciranno a fuggire con l'aiuto dei civili.
Alle ultime luci del tramonto i Tedeschi lasciano il bosco; le macerie fumanti di San Bernardo di Conio, di case Rosse, di case Dell'Erba, delle cascine e dei fienili distrutti, indicano che anche lì, come a Triora, a Molini, a Pornassio, a Villa Talla, erano passate le truppe di Hitler.
Non note le perdite nemiche. La popolazione aveva scorto scendere per la rotabile di Rezzo alcuni carri chiusi e sanguinanti.
Terminato il rastrellamento, il Comando divisionale nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo riuscendo a riorganizzare in brevissimo tempo tutta la divisione, dai Comandi ai distaccamnenti, per prepararla alle previste battaglie autunnali.
A livello della critica storica, non è stato ancora chiarito lo scopo degli annunci radio alleati della loro offensiva sulla costa ligure, poi mancata, con la conseguenza di creare, per alcuni giorni, una situazione precaria gravissima alle formazioni partigiane. Solo le autorità politiche e militari inglesi e americane avrebbero potuto dare una risposta all'interrogativo che si sono posti gli uomini del Comando militare unificato regionale e della Resistenza imperiese che, sempre, hanno avuto dagli alleati incitamenti alla lotta ma, in riscontro, per tutto il 1944, mai hanno ricevuto da loro un fucile o una cartuccia, e che il 5 di agosto ed il 5 di settembre hanno rischiato la vita per causa della leggerezza o di qualche equivoca intenzione... del Comando anglo-americano.
Come si sa, le formazioni garibaldine erano organizzate dal P.C.I., e la II divisione «F. Cascione» era una divisione garibaldina.
L'8 di settembre nella zona di Triora, una compagnia di Tedeschi a bordo di due camions, caduta in un'imboscata, lascia sul terreno parecchi morti.
Il nemico fucila a San Remo il partigiano Ciccio Corradi (Gigi) di Agostino, nato a San Remo l'8.5.1925, che in agosto aveva consegnato ad Alfredo Esposito di San Remo una trasmittente da portare in montagna (8).
 
San Bernardo di Conio. Foto: nico su Riviera Time

[NOTE]
(7) Encomi solenni e promozioni.
Il 15 settembre 1944 il Comando divisionale premiava coloro i quali si distinsero singolarmente o ad intere squadre nella battaglia di monte Grande, con splendide motivazioni, promozioni e proposte di decorazioni, che da sole costituiscono il più alto elogio allo spirito combattivo delle formazioni garibaldine:
1) Encomio solenne alla squadra d'assalto della I brigata «Silvano Belgrano» per l'eroico contegno avuto durante l'attacco al monte Grande nella giornata del 5 corrente mese. Guidata dal suo comandante «Mancen» [Massimo Gismondi], dopo aver raggiunto d'assalto la cima del monte causando gravissime perdite al nemico, si manteneva sulle posizioni malgrado i contrattacchi dell'avversario fino alle tarde ore della sera permettendo alle forze della divisione, poste in difficoltà, di ritirarsi in buon ordine e senza perdite.
2) Encomio solenne alla squadra mortaisti ed al suo comandante «Romano» per aver contribuito validamente al successo della squadra d'assalto con il suo tiro preciso mettendo in fuga il nemico, sotto la guida del comandante di brigata «Cion».
3) Encomio solenne alla squadra del distaccamento di «Socrate», guidata dal volontario «Vittorio il Biondo», per aver partecipato all'azione della conquista di monte Grande con impeto e coraggio; contribuendo al successo delle nostre forze.
4) Di «motu proprio» il Comando divisionale per i motivi suddetti: promuove il comandante di brigata «Cion» [Silvio Bonfante] vice comandante di divisione per il suo comportamento durante l'azione di monte Grande, per la perizia dimostrata e per tutta la sua attività che lo addita come uno dei migliori comandanti delle nostre brigate.
Promuove il comandante «Mancen» del distaccamento d'assalto «G. Garbagnati» della I brigata a vice comandante di brigata.
Propone al Comando militare della Liguria che al comandante «Cion» e al comandante «Mancen» sia conferita la decorazione al valore partigiano.
5) Proposta per la medaglia d'argento al valor militare alla memoria del garibaldino «Ettore Bacigalupo», vice comandante del distaccamento «A. Viani» con la seguente motivazione:
«Avvertito che una postazione attaccata dai Tedeschi aveva perduto il mitragliatore, si slanciava al seguito del comandante di distaccamento al contrattacco per recuperare l'arma. Accolti nel tentativo dalla violenta reazione del nemico ormai attestato sulla posizione perduta, i garibaldini persistevano sinché, visto inutile ogni tentativo, iniziavano un ripiegamento. Ettore Bacigalupo con le lacrime agli occhi per la perdita di quel mitragliatore tedesco da lui conquistato alcuni giorni prima, non volle desistere dall'impresa. Riportatosi sotto la postazione nemica l'attaccava nuovamente con l'audacia dei forti. Lanciatosi improvvisamente contro i Tedeschi dal riparo che aveva raggiunto, imbracciando un mitragliatore «Otcis», riusciva a far tacere la mitragliatrice nemica, ma, colpito da una raffica di machinen-pistole, cadeva esamine. Il suo corpo fu poi ritrovato deturpato dalla rabbia nazista. Monte Grande (Rezzo-Imperia) 5.9.1944».
(8) Come informa una lettera, del 16.9.1944, inviata da «Petrowich» a «Prof», il Corradi fu ucciso nella caserma «La Marmora» [di Sanremo, zona San Martino] con raffiche di mitra, prima alle gambe e poi alla testa, dai fascisti del comandante G. che, già, aveva fatto arrestare e rinchiudere nella villa Magnolia l'antifascista cap. Amilcare Rambaldi (Archivio [IsrecIm], fascicolo 4.11.1944).
 
Dintorni di Rezzo (IM). Fonte: Ponente Ligustico

Francesco Biga
, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

domenica 19 marzo 2023

Pare che in prossimità di Cesio i partigiani abbiano iniziato un'azione contro i Muti

Cesio (IM). Fonte: mapio.net

Per ritorsione e per vendicare i compagni caduti, il 4 ottobre 1944 attaccammo il caposaldo nemico di Cesio.
Insieme ad alcuni altri, il mio compito era quello di trasportare a spalle una mitragliatrice pesante con relative munizioni. Camminammo da Colle San Bartolomeo fin quasi al paese di Caravonica da dove era possibile battere il presidio nemico di guardia ad un ponte minato. Ma il nemico era ben protetto e il nostro attacco ebbe scarso successo.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998  

Bisognerà muoversi, tenere moralmente i distaccamenti in efficienza bellica e, oltretutto, vendicare nel modo più efficace i compagni caduti nell'imboscata di Pieve di Teco.
Il 2 ottobre 1944, presa la decisione di attaccare il presidio nemico di Cesio composto da circa quaranta uomini, brigate nere del battaglione «Muti», uccisori dei compagni di Nino Berio, viene studiato nei minimi particolari il piano di annientamento (per spazzare quel triste covo), partendo dalla considerazione che il presidio in avamposto, molto isolato, distava all'incirca sette chilometri da quello più vicino di Chiusavecchia.
Appostata una squadra a sud di Cesio sulla statale 28 per bloccare eventuali rinforzi nemici proveniente da Chiusavecchia, altre squadre avrebbero portato un attacco concentrico al paese, supponendo che in esso e alla periferia fossero dislocate le postazioni nemiche. A forze pari il fattore sorpresa avrebbe dovuto giocare a favore dei partigiani, scelti tra i più coraggiosi della brigata.
Lasciata Piaggia alle ore 8, trentasei garibaldini del distaccamento d'assalto «G. Garbagnati» e una squadra del battaglione «Nino Berio» unitamente al vice comandante di divisione «Cion» [Silvio Bonfante], al vice comandante di brigata «Mancen» [Massimo Gismondi] ed al commissario «Mario» [Carlo De Lucis], giungono a Pieve di Teco nella mattinata del 3 ove procedono ad una retata di spie e pernottano nel paese.
Però la spia annidata nel Comando partigiano riesce ad informare del prossimo attacco i fascisti di Cesio che nel corso della notte raddoppiano gli effettivi. Conosciuto il fatto e la fallita sorpresa, «Cion» decide di attaccare ugualmente: è nel suo stile.
Prima dell'alba del giorno 4 i garibaldini partono verso Cesio. La marcia di avvicinamento si compie senza ostacoli ma termina con alquanto ritardo sul previsto.
Ormai è già chiaro ad oriente quando i partigiani si accingono, col fiato grosso per la marcia affrettata, ad appostarsi.
Dal colle San Bartolomeo si staccano due squadre: una di cinque uomini con una mitragliatrice pesante va a piazzarsi a sud del paese per stroncare un eventuale invio di rinforzi da Chiusavecchia e per battere contemporaneamente, con più ampio respiro, tutta la zona. L'altro nucleo cala su Cesio bloccandone la periferia. Nel contempo il grosso delle forze, raggiunto il passo omonimo e divisosi in tre squadre, piomba dai tre lati sopra il ponte rotto.
«Cion» urla (altra sua romantica qualità di guerrigliero latino): "Fascisti... siamo i compagni di Nino... siamo venuti a vendicarlo... difendetevi ...fuoco!" <1.
L'azione ha inizio con una mitragliatrice pesante «Breda», tre «Machinen-Gravers», due «Saint-Etienne», tre lanciagranate ed alcune armi automatiche individuali.
Sono le 7,30 precise; all'urlo di «Cion» i fascisti, che stanno facendo colazione e l'alza bandiera, capiscono e riescono a dileguarsi tra gli alberi di ulivo. Il fuoco inizia violentissimo, i garibaldini scendono all'attacco benché la conformazione della vallata impedisca loro di battere con precisione l'accampamento nemico ove regna panico e disorientamento.
In un primo tempo il fuggi fuggi tra i fascisti, che lasciano sul terreno un morto ed un ferito grave (il comandante del presidio ten. Lo Faro), é generale <2.
I loro baraccamenti sono crivellati e sconvolti dalle raffiche dei mitragliatori, dalle bombe a mano e dai colpi ben piazzati dei lancia granate.
Frattanto, raggiunte a fatica le loro vantaggiose posizioni, i «Muti» aprono un fuoco intenso con due mitragliatrici pesanti «Fiat», alcuni mitragliatori, fucili e mortai da 45 mm.
La lotta dura circa due ore; tra gli spari si odono gli ordini e le invettive dei comandanti nemici: "Raggiungi il «Sant-Etienne»". "Non posso, signor tenente, mi tirano addosso", poi le vecchie canzoni di lotta «Fiamma Nera» e «Giovinezza», echeggiano nella vallata tra gli ulivi e le raffiche di mitragliatrice, poi ancora insulti ed invettive: "Tirate meglio... fatevi sotto, fatevi vedere se avete del fegato" <3.                                                                              
Il nemico, convinto di essere circondato da forze preponderanti, resiste con tutta la sua disperazione, consapevole della sorte che l'attenderebbe se venisse sopraffatto.
È una lotta mortale; i garibaldini sparano con cieco furore, il pensiero dominante é vendicare Nino e gli altri compagni.
Però venuta a mancare per le ragioni suddette la sorpresa, il fuoco incrociato delle armi del nemico rende problematico e oltremodo temerario un assalto. Sarebbe follia e morte certa, tanto più che non si conosce con precisione l'esatta ubicazione delle postazioni nemiche. Nonostante ciò qualcuno vorrebbe tentarlo. Però non resta che la determinazione di continuare un violento duello di logoramento col nemico.
In questa fase dello scontro vengono uccisi alcuni brigatisti neri compreso un borghese delatore, alcuni altri rimangono feriti. Nessuna perdita da parte garibaldina <4.
Intanto richiamati dagli spari, giungono rinforzi autocarrati al nemico da Chiusavecchia.
Le squadre partigiane data l'esiguità delle loro forze, ritenendo foriera di perdite la tattica di snidare i «Muti» dalle loro munite e difficili postazioni, risalgono a Cesio ove compiono pulizia di tutto ciò che é segno di collaborazione e aiuto ai fascisti <5.
Viene sequestrato, tra l'altro, il materiale di cucina che serviva per l'alimentazione dei «Muti» (marmitte, pentole, viveri ecc.) e completamente requisita o resa inutilizzabile la dotazione di un albergo che usava ospitare i fascisti e i loro famigliari (materassi, coperte, effetti, ecc.).
I fascisti giunti di rinforzo riescono a tagliare fuori del grosso una squadra del distaccamento «Marco Agnese» comandata da «Trucco» che, però, infiltratasi tra le maglie nemiche, miracolosamente raggiunge i compagni oltre il colle San Bartolomeo.
Il tenente Lo Faro, ferito, ordina ai suoi uomini di andare in paese per prelevare alcuni ostaggi da fucilare; la sentenza non viene eseguita ma sono fatte saltare alcune case e fienili ed é catturato un giovane presunto partigiano. L'azione non ha dato i risultati sperati. Il gruppo, ad eccezione del comandante «Boscia» <6 che con otto garibaldini rimane a Pieve di Teco per ragioni di servizio, nel tardo pomeriggio raggiunge Mendatica ed il giorno 5 perviene a Piaggia, mentre il distaccamento «F. Airaldi» riprende posizione nella casermetta del Tanarello.
Intanto il 5 di ottobre «Simon» [Carlo Farini] aveva avuto un colloquio con Giovanni Parodi (Michele) membro del Triunvirato Insurrezionale per la Liguria delle brigate Garibaldi, e con Baldini (Matteo) segretario della federazione del P.C.I. di Imperia e addetto ai collegamenti con la città, in cui si era discusso sulla formazione delle Giunte Popolari, presenti i candidati Sindaci di quasi tutti i Comuni della valle Impero.
Il 6 di ottobre riuniva in due casoni posti di fronte a Carpasio il Comando della IV brigata e tutti i comandanti e i commissari di distaccamento per discutere le cause che avevano determinato i precedenti sbandamenti garibaldini in seguito ai rastrellamenti nemici ed il ripiegamento in alta montagna (Piaggia) della I brigata.
Nel contempo emanava direttive per una maggiore disciplina ed un più stretto contatto tra i distaccamenti ed il comando e disponeva che la IV brigata rimanesse sulle sue posizioni (funzioni di collegamento tra la costa e l'alta montagna).
Nel pomeriggio il vice commissario della I brigata Osvaldo Contestabile (Osvaldo) era nominato commissario della V brigata ed il garibaldino Beniamino Miliani (Miliano) assumeva l'incarico lasciato libero da «Osvaldo».
Finite le riunioni, «Simon» rientrava al Comando divisione a Piaggia incalzato dalle notizie del rastrellamento tedesco iniziato nella valle Argentina e a Pigna contro la V brigata e del ripiegamento di questa sulle posizioni della I. A causa di questi precipitosi spostamenti a piedi o a dorso di mulo, «Simon» si ammalava di broncopolmonite. Il 12 di ottobre sembrava segnare un inizio di miglioramento, ma era mera illusione.
[NOTE]
1 Dal diario di Gino Glorio (Magnesia).
2 Dal diario di Luigi Massabò (Pantera).  
3 Dal diario di Gino Glorio (Magnesia).
2 Dal diario di Luigi Massabò (Pantera).                                            
4 Le perdite inflitte al nemico risultano nella relazione n. 330 di protocollo, del 4.10.1944, inviata dallo Stato Maggiore al Comando divisionale nel pomeriggio stesso della giornata dello scontro.
5 Nelle postazioni «Muti» di Cesio si trovava tutto il marciume della gioventù fascista e filotedesca della riviera, da Oneglia a Ventimiglia. Da lì partivano le rappresaglie contro i civili, le azioni di disturbo ed i rastrellamenti effettuati nelle zone adiacenti.
6 Il comandante Franco Bianchi (Stalin) aveva anche il nome di battaglia «Boscia».

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 141-144 

3 ottobre 1944
Questa notte forti contingenti di partigiani, provenienti dai pressi di Acquetico, sono transitati per Pieve di Teco, diretti versi il Colle S. Bartolomeo.
A quanto si vocifera, pare che in prossimità di Cesio i partigiani abbiano iniziato un'azione contro i Muti. Intanto è da ieri che Pieve è bloccata dalla parte di Imperia.
Questa mattina, con una macchina da turismo proveniente da Albenga, sono giunti sei o sette tedeschi per la misurazione dei ponti demoliti.
Sono le 18 e non si sa ancora niente di preciso circa ciò che sia accaduto verso Cesio.
Sono le 5 e si lancia «la grida» che, per ordine del Commissario Prefettizio, il coprifuoco è stabilito dalle ore 8 di stasera alle 5 di domani; il lanciatore proclama: «Le pattuglie spareranno su tutti quelli che dopo le ore 8 si troveranno fuori di casa».
Queste pattuglie sono formate da patrioti e tale grida l'hanno fatta lanciare per loro maggiore sicurezza.
Questi partigiani a Cesio hanno combattuto dall'albafino alle ore 10.
- All'una erano già a Pieve.
4 ottobre 1944
Si dice che nel combattimento svoltosi ieri a Cesio i repubblichini abbiano avuto perdite assai gravi e che in parte sono state danneggiate dal fuoco parecchie case - Però sono sempre notizie incerte. Mentre scrivo parecchi di questi partigiani vanno in cerca di uomini per farli andare alla Paperera al di là del ponte rotto ove, trovandosi un camion con un carico di viveri, vorrebbero farlo trasbordare per Pieve.
E tutto per non lasciarlo proseguire per Vessalico ove sono una quarantina di tedeschi al lavoro per la ricostruzione di quel ponte.
Questa notte io e mia moglie abbiamo pernottato nel Barcheto nella villa.
Questa decisione fu consigliata dallo strano caso delle cose incombenti e per assicurare tranquillità a mia moglie che vive sempre sotto l'incubo della drammatica notte del mio arresto.
5 ottobre 1944
L'azione a Cesio ha effettivamente dato luogo a rappresaglie da parte tedesca.
Si dice che in Vessalico siano giunti altri tedeschi di rinforzo per affrettare la riparazione del ponte.
6 ottobre 1944
Giornata d'acqua a dirotto - L'Arroscia è in piena e tutti si augurano che cresca maggiormente onde ostacolare ai tedeschi le riparazioni ai ponti - Si nota fin da stamattina un'insolita attività di patrioti: ve ne è una vera invasione.
L'acqua ha diminuito di intensità, ma piove sempre.
Manca totalmente la farina - Oggi si è ancora distribuito un etto e mezzo di pane procapite, ma si dice che domani non sarà più possibile alcuna distribuzione.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994,  pp. 123,124

martedì 28 febbraio 2023

Quel giorno il Comando della Divisione Garibaldi Bonfante era quasi al completo

Casanova Lerrone (SV): Fonte: Mapio.net

Il 6 marzo 1945 vado a Casanova Lerrone dove ci sono dei conti da pagare. C'è sempre il pericolo della pattuglia tedesca sulla carrozzabile ma per evitarla dovrei fare un giro lunghissimo. Poi evitarla del tutto non potrei perché una tappa è un negozio proprio sulla carrozzabile... La pattuglia: spara su ogni giovane, sia civile che partigiano.
I tedeschi che la compongono sono una decina, passano in bicicletta, distanziati uno dall'altro ed hanno il terrore delle imboscate. Sanno che una bomba, un'arma, è facile da nascondersi ed ogni uomo può esser nemico per loro. Mi è noto che giorni fa hanno sparato sulla piazza di Casanova ad un partigiano ed a quattro borghesi che sono fuggiti appena in tempo. Mi è noto che hanno catturato un giovane idiota portandolo al Comando di Cesio. Venne liberato in seguito appena accertata la sua assoluta innocuità. Possibile che arrivino proprio nei pochi minuti che a me sono necessari per entrare ed uscire dal negozio?!...
Entro, mi faccio vedere i buoni rilasciati in cambio della merce, li controllo, pago, mi faccio firmare i buoni per ricevuta, li intasco, esco. Vedo che una ragazzina che è seduta di fronte a me dall'altro lato della carrozzabile mi fissa con uno sguardo strano: poi mi dice a bassa voce senza muoversi: «Magnesia i tedeschi!».
Quindici metri mi separano dall'angolo della casa, potrò girarlo prima che arrivino? E' possibile. E dopo l'angolo? Non ricordo cosa ci sia. Se c'è un muro sono perduto, se invece c'è aperto potrò saltare negli orti di sotto. Se mi metto a correre e poi trovo chiuso sono finito senza scampo, se invece cammino può darsi che non si allarmino e tirino dritto. E' questione di secondi: pure una ridda di pensieri si affollano nella mia mente. Affretto il passo. Sento dietro di me il rumore del primo tedesco che arriva: deve avere il mitragliatore appoggiato al tubo della bicicletta perché ne sento il rumore metallico degli urti ripetuti e non può farlo il moschetto che viene tenuto a tracolla. Per ora è uno solo, l'altro seguirà a trenta metri ma in bicicletta e in discesa si fa presto a percorrerli. Però fin che sono in sella non possono sparare. Cosa troverò dietro l'angolo? Sono pochi secondi, sento dietro di me una brusca frenata, non mi volto, non mi occorre, capisco che mi hanno visto e che scenderanno dalle biciclette. Svolto l'angolo: in fondo c'è una rete metallica con un cancelletto chiuso. Mi lancio di corsa, dopo cinque metri piombo sul cancello, lo sfondo, sento il rumore degli altri tedeschi che frenano, faccio di corsa tre metri oltre il cancello e salto in un orto due metri più sotto. Avranno i tedeschi voltato anche loro l'angolo prima del mio salto? Quanto tempo impiegheranno per piazzare le mitraglie? Qualcuno avrà una pistoia automatica? Dalla risposta a queste domande dipende la mia vita. Davanti a me il pendio è tutto a terrazze e farei presto a saltare ancora di sotto, ma sarebbe un errore aver fretta perché so di compagni che sono stati colpiti al volo durante tali salti. Mi sposto allora di lato di dieci metri e poi salto, mi sposto ancora sempre al coperto del muro e poi salto ancora in modo che il nemico non possa mai indovinare prima in che punto apparirò. Non sento sparare dietro di me e penso che abbiano rinunciato alla caccia; dopo parecchi minuti la speranza diventa certezza: anche questa volta sono salvo.
In aprile tornai in quella bottega e vidi che la padrona non c'era. Chiesi notizie al marito che mi rispose: «Come, non lo sa? Quel giorno che lei venne qui le prese un attacco di cuore e dovemmo portarla ad Albenga. Non si è ancora ripresa».
«Perché si è spaventata tanto? In caso i tedeschi avrebbero preso me».
«Già, ma lei aveva i buoni con la nostra firma in chiaro e neanche noi l'avremmo passata liscia». Avevano ragione.
Un'ora dopo la fuga da Casanova sono a Poggiobottaro, al Comando.
«A Casanova ci sono i tedeschi». «Davvero!...».
Quel giorno il Comando era quasi al completo:  Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della Divisione], Livio [n.d.r.: Ugo Vitali, responsabile del SIM, Servizio Informazioni Militari], Citrato [n.d.r.: Angelo Ghiron, vice responsabile del SIM]... Decisi di fermarmi anche la sera perché ci sarebbero stati gnocchi.
Era mia abitudine in quel tempo, e credo fosse una tendenza diffusa, il cercare al tramonto di raggiungere il rifugio dove da mesi avevo il giaciglio. Era il ricordo del 20 gennaio quando, se mi fossi indugiato a dormire a Bosco il nemico mi avrebbe colto in un luogo a me poco noto e forse non mi sarei salvato. O era forse l'istinto dell'animale selvaggio che ogni sera torna alla sua tana? Quando alla sera mi avviavo nel bosco di castagni dove una tana scavata nella terra con un po' di paglia e due coperte mi attendeva, provavo un senso di riposo e di sicurezza difficile a spiegare. I rami scheletrici degli alberi proiettavano ombre paurose al fioco lume della lanterna ed un barbagianni lanciava il suo lugubre grido nelle notti di luna, pure la natura mi pareva amica e quando toglievo le pietre che occultavano il mio rifugio mi pareva quasi di tornare a casa, di rivedere un luogo caro.
Ma quella sera c'erano gnocchi ed erano mesi che non ne mangiavo. Il pomeriggio era passato calmo, avevo dato un'occhiata alle circolari, avevo ascoltato i racconti, i commenti della situazione fatti dai compagni. Del lancio nessuno ne parlava, l'argomento era delicato. Giorgio accennò ad una sua impresa recente: il minamento della ferrovia. Erano scesi tra Diano e Cervo nel tratto dove i binari passavano in pianura. Il luogo non era ideale perché era molto abitato e le conseguenze di un deragliamento sarebbero state minori che se fosse avvenuto in galleria o con sotto uno strapiombo.
Giorgio era sceso con gli uomini della I^ Brigata, avevano attraversato la Via Aurelia, avevano cercato le mine dove i cartelli tedeschi indicavano pericolo: niente! Il primo campo minato non esisteva. Nel successivo invece l'insidia c'era. Vennero prese mine in quantità sufficiente, poi si portò turto sulla ferrovia. Mentre i partigiani disponevano gli ordigni passò un borghese. Venne fermato, interrogato, disse che abitava lì vicino. Venne diffidato a non uscire di casa fino a giorno inoltrato. Poi i partigiani se ne andarono.
Verso l'alba il borghese ripassò nella zona. Probabilmente aveva capito che era stato preparato un attentato e temeva di esser coinvolto in rappresaglie. Inciampò in una mina e ci rimise una gamba. I tedeschi accorsi all'esplosione arrestarono il traffico e tolsero le mine. «Se avessi saputo che era scemo al punto da lasciarci una gamba lo avrei fatto portare via con noi» disse Giorgio pensando a come era fallita l'impresa.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, dopo aver ricevuto il documento n° 162 del 4 marzo 1945, aveva predisposto 3 stazioni per l'ascolto di Radio Londra; che il campo che doveva accogliere il lancio di materiale alleato si presentava colmo di pietre e con una casetta di recente costruzione al centro; che il Distaccamento "Giuseppe Catter" [della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] era appostato, pronto ad intervenire, ad un'ora di cammino dal campo; che si era dovuto desistere dallo scavare le buche prescritte [per l'occultamento dal basso dei fuochi di segnalazione] in ragione della natura rocciosa del terreno; che i paracadute, appena recuperati, sarebbero stati nascosti in un anfratto già predisposto; che il vento, se continuava a soffiare in direzione di Alto (CN), sembrava ottimale; che a protezione dell'operazione aveva predisposto nei pressi del campo di lancio i Distaccamenti della II^ Brigata. Al documento era allegata la cartina topografica in scala 1:25.000 del campo di lancio.
7 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Comunicava che ad Albenga era imminente l'arrivo di nuove truppe, probabilmente un reggimento della Divisione San Marco; che a Pieve di Teco dovevano giungere circa 400 soldati dalla Germania, "elementi giovani già appartenenti all'aereonautica"; che a Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] ed a Vessalico sarebbero stati inviati soldati tedeschi a presidiare i ponti; che i tedeschi a Cervo continuavano le esercitazioni con un'arma anticarro "che con l'esplosivo è in grado di fondere la parte del carro che viene colpita"; che i tedeschi a Capo Cervo controllavano le mine lungo la strada che portava ad Andora.
7 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 183, alla banda locale di Ginestro - Disponeva la presenza di una pattuglia sul Passo di Cesio per il giorno successivo dalle ore 23 alle ore 9 e la segnalazione di allarme al Distaccamento garibaldino più vicino una volta avvistati i nemici che lungo la strada di Testico, non transitabile da automezzi, sarebbero necessariamente saliti a piedi.
8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 8, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva le informazioni ricevute il 6 marzo dal Distaccamento "Torcello" della II^ Zona Operativa Liguria.
9 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. 81, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che era imminente un rastrellamento nemico nella zona di Albenga (SV); che di conseguenza la Brigata doveva assumere misure di sicurezza...
10 marzo 1945 - Da "K. 20", prot. n° 2, alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Diano Marina in regione Chiapazzo si stava installando una radio rice-trasmittente presso la compagnia mortai.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 29 ottobre 2022

È una vera e propria arma contro i fascisti





[...] banda [...] guidata dal giovane medico Felice Cascione, per tutti “u megu”. Inizialmente essa è stanziata in località “Magaietto” nel comune di Diano Castello, dove si raccolgono e si organizzano i gruppi di giovani che per primi vi affluiscono.
Verso la fine di novembre 1943 le condizioni del momento consiglieranno lo spostamento della banda in via di formazione in una zona ritenuta più sicura dietro la montagna del Pizzo d’Evigno, che sovrasta le Valli di Oneglia, di Diano e di Andora, in alcuni casoni nella zona del “Passu du Beu” sopra la frazione Duranti nel Comune di Stellanello (SV) in Val Merula dove resterà fino al 20 dicembre.
Durante questo periodo [...] nei periodi di calma, alla sera intorno al fuoco nasceranno le prime strofe della canzone “Fischia il  vento”,  destinata  in  breve  tempo  a  diventare, attraverso la sua diffusione spontanea, l’inno di tutta la Resistenza. [...]
Tra questi giovani volontari c’è il partigiano “Ivan”, Giacomo Sibilla, reduce dalla campagna di Russia dove aveva imparato una popolare canzone, “Katiuscia”, che parlava della nostalgia di una ragazza per il suo soldato al fronte.
Il motivo suonato con la chitarra da “Ivan” è orecchiabile e accattivante per tutti e, le stesse condizioni di questi partigiani e la dura vita che conducono, assieme all’anelito che li spinge, suggeriscono all’animo sensibile del Comandante Cascione le parole ed i primi versi del loro inno. “Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna ardir, a conquistare la rossa primavera, in cui sorge il sol dell’avvenir”. [...]
In seguito alla Battaglia di Colla Bassa, detta anche di Montegrazie, del 13 e 14 dicembre 1943, la sede del comando della banda di Felice Cascione al Passu du Beu divenne insicura, troppo esposta alla prevedibile reazione fascista. [...]
All’alba del 21 dicembre 1943 iniziò il trasferimento verso la nuova destinazione. 
Si discese al paese di Testico (SV) e da qui verso il fondovalle del torrente Lerrone passando da Poggio Bottaro. 
Giunti sotto il paese di Casanova Lerrone i partigiani di Cascione risalirono la montagna verso Nord [...]
La Notte di Natale del 1943 gli abitanti della frazione Curenna del Comune di Vendone, uscendo dalla messa di mezzanotte, avranno la sorpresa di trovare il gruppo dei partigiani armati sul sagrato della chiesa, ad intonare la loro nuova canzone “Fischia il vento” nella sua primitiva stesura, che verrà rifinita e completata nel Casone dei Crovi i giorni seguenti.
Ogni partigiano fu accolto il giorno di Natale presso le famiglie del paese che si strinsero a loro in un abbraccio fraterno e solidale. [...]
Il 6 gennaio 1944 Felice Cascione e buona parte della banda in pieno assetto si portano a scopo esplorativo al paese di Alto dove vengono accolti dagli altri partigiani e da parte della popolazione. Viene improvvisata una piccola festa nel corso della quale verrà cantato ufficialmente l’inno della  banda  nel  suo  testo  definitivo.
Roberto Moriani, Tra quei sentieri nacque “Fischia il vento, Patria Indipendente, n° 1, gennaio 2013
 
Fonte: Eppur bisogna andar

È una vera e propria arma contro i fascisti. Li fa impazzire, mi dicono, solo a sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.

(B. Fenoglio, “Il partigiano Johnny”)
Tra i boschi, nel Comune di Stellanello (SV), coperto dalla vegetazione incolta, sorge un vecchio casolare. All’apparenza non è che un rudere, ma sul finire del 1943 il casone di “Passu du Beu” fu il rifugio della banda di partigiani di Felice Cascione e proprio lì fu ideato “Fischia il vento”, inno dapprima della Divisione Garibaldi e poi della Resistenza tutta. A riscoprire il luogo è stata l’associazione “Eppur bisogna andar”, che si propone di recuperare e valorizzare i siti, i sentieri, i manufatti che hanno segnato il difficile cammino di giustizia e dignità dei partigiani della “I Zona Operativa Liguria”.
[...] Nel dicembre del 1943, poco più di venti giovani partigiani della divisione garibaldina al comando di Felice Cascione - per tutti “u Megu” (il medico) - cominciano a percorrere un sentiero che sale da Casanova Lerrone, entroterra di Albenga, verso le prime pendici delle Alpi Marittime. Su quel sentiero, questo gruppo di ventenni alla guerra cammina di notte, si ferma di giorno, nei casoni dove si ripara il bestiame, o dove i contadini tengono gli attrezzi o qualcosa per affrontare la fame della guerra.
Cascione ha solo 25 anni, bello e carismatico come dev’essere un eroe; orfano di padre in tenera età, cresce con la madre, maestra elementare determinata e antifascista, che riesce a farlo studiare. È uno sportivo, campione italiano di nuoto e pallanuoto: capitano della squadra imperiese del Gruppo Universitario Fascista e secondo ai Mondiali con la nazionale universitaria, lascia Genova per la Sapienza a Roma e infine si laurea in Medicina a Bologna nel ’42, in fuga dalla burocrazia fascista che lo ostacolava negli esami e nelle graduatorie per un posto alla Casa dello Studente.
Il giovane Felice era nel mirino per le sue frequentazioni, che lo avevano introdotto nel partito comunista clandestino e presentato a Natta e Pajetta: decide di aderire al partito ancora prima di essere medico, la sua scelta di vita. Appena laureato, diventa subito popolare a Oneglia perché non fa pagare medicine né visite a chi ha bisogno e non ha soldi. Arrestato con la madre durante le manifestazioni successive alla caduta di Mussolini, nell’agosto del ‘43 sconta venti giorni di prigione per adunata sediziosa e, dopo l’armistizio, si rifugia sui monti coi compagni.
Tra loro c’è Giacomo Sibilla detto Ivan, operaio che ha fatto la campagna di Russia e porta una chitarra a tracolla accanto al mitra. È lui che la sera, nei casolari diroccati, strimpella Katjuša, la celebre melodia popolare russa; il testo del poeta Isakovskij parlerebbe di meli e peri in fiore, ma già i soldati italiani nella steppa l’avevano storpiato con riferimenti al vento e alle loro scarpe di cartone. “U Megu” s’ingegna a riadattarlo, per questa nuova guerra.
La canzone viene scritta su un foglietto staccato da un ricettario medico, il suo; nevica, fa freddo, la tramontana scura urla sui costoni.
“Soffia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna agir / a conquistare la nostra (?) primavera in cui sorge il sol dell’Avvenire”, recitava la prima strofa a matita, in calligrafia ordinata.
Cascione la spedisce dai monti liguri alla mamma Maria, che gliela fa riavere corretta e dattiloscritta: soffia è diventato fischia, agir è ardir, e la primavera non ha più punto interrogativo, non è più nostra ma rossa. La prima volta viene intonata dalla brigata di Cascione davanti al portone della chiesa di un borgo isolato in valle Arroscia, dopo la messa della vigilia di Natale, davanti a un pentolone di castagne; la ricanteranno, questa volta completa, davanti alla chiesa di Alto, il giorno dell’Epifania del ‘44.
Pochi giorni più tardi Cascione viene trucidato dai fascisti, dopo solo 141 giorni di lotta partigiana, mentre i suoi versi, cantati di bosco in bosco, diventano l’inno ufficiale della Resistenza, prima ancora della più trasversale “Bella ciao”.
Alberto Quattrocolo, 1944, viene ucciso il partigiano Felice Cascione, autore di "Fischia il vento", Me.Dia.Re., 27 gennaio 2019 

Alla fine di novembre del 1943, Felice Cascione e la sua banda di partigiani, sempre più braccati dai nemici nazisti e fascisti, dal casone di Magaietto (Diano Castello) si spostarono a nord, per trovare un luogo più sicuro nella boscaglia, dove, in considerazione dell’arrivo della fredda stagione, dovettero prendere strategiche decisioni di attacco al nemico.
Trovarono nella zona di Stellanello, sopra Andora, il casone a due piani di “U Passu du Beiu”. In questo luogo impervio dei monti liguri, in un momento epico e decisivo della guerra, il comandante Felice Cascione, insieme ai compagni della sua banda, decise di scrivere una canzone come “inno” alla Resistenza italiana: “Fischia il Vento”.
Alla presenza di Cascione, la canzone fu poi cantata per la prima volta dai partigiani ad Alto (CN) il giorno dell’Epifania del 1944.
Tre settimane dopo Felice Cascione, nel tentativo di salvare i suoi compagni da una imboscata nazifascista, perse la vita da eroe.
Christian Flammia, Alle origini della nostra civiltà: il casone di “U Passu du Beiu” dove fu scritta la canzone “Fischia il Vento”. Un luogo leggendario per la Liguria, Rete Genova, 22 settembre 2018
 
Il monumento dedicato alla canzone "Fischia il vento", realizzato dall'artista Flavio Furlani. Foto: Trucioli art. cit. infra

Sabato 17 luglio 2021, alle 11,00 presso i Giardini “Libero Nante”, zona Pontelungo di Albenga solenne inaugurazione del Monumento “Partigiani cantano Fischia il Vento”, dell’artista Flavio FURLANI, donato al Comune dal Prof. Nicola Nante in memoria del padre.
Libero Nante, già medico condotto nell’entroterra ingauno (7 Specialità e Primario Chirurgo), partigiano e Dirigente Sanitario dell’ospedaletto da campo a Carnino e poi della Brigata Nino Berio ad Alto. Imprenditore nella ricostruzione postbellica della rete di assistenza sanitaria ingauna, fondò due Case di Cura, di cui una, la “San Michele” in attività.
[...] Il testo fu partorito sotto la regia del Capo Partigiano, Dr. Felice CASCIONE, uno dei primi martiri della Guerra di Liberazione (settembre 1943-aprile 1945), Medaglia d’Oro al Valore Militare, nelle lunghe notti passate con i compagni d’arme nei “Casoni” di montagna, baite che li ospitavano via via, in preparazione degli assalti o in fuga dalle rappresaglie nazi-fasciste. Nel “Casone di Votagrande” presso “u Passu du Beu”, alle spalle del Pizzo d’Evigno (Stellanello-SV, inizio dicembre 1943) ai gregari della banda ribelle viene l’idea di scrivere un proprio inno: Giacomo SIBILLA (IVAN), reduce dalla Campagna di Russia (agosto 1941-dicembre 1943, sempre nel contesto della Seconda Guerra Mondiale), accompagnandosi con la chitarra intona l’aria di Katiuscia (canzone popolare russa, testo di Ivan ISAKOVSKIJ, musica di Matvej BLANTER).
Felice (U MEGU - il Medico) e Silvano ALTERISO (VASSILI) scrivono i primi versi. Le strofe vengono completate tra il 15 ed il 25 dicembre, nel “Casone dei Crovi”, sul monte Castellermo (Vendone-SV), con la collaborazione di altri Partigiani della Banda; la madre di Felice, Maria BAIARDO, maestra, vi apporterà le prime correzioni. Una prima prova del testo completo avvenne a Curenna (frazione di Vendone-SV), dalle cui famiglie i Partigiani vennero ospitati la sera di Natale del ’43.
Vi furono (e vi sono) incertezze su alcune parole, in particolare sulla prima (inizialmente “soffia” oppure “urla” oppure “fischia”), ma anche tra “ardir” ed “andar”, nonché, soprattutto, sull’aggettivo “rossa” oppure “nostra”, attribuito a “primavera” e “bandiera”: chi le voleva più marcatamente di parte, chi preferiva rispecchiare in quei versi l’unione di tutte le forze partigiane, senza distinzione di colore, così da unire in una sola causa tutti i combattenti antifascisti, manifestando un sentimento universale di fratellanza e unione tra gli uomini. La canzone riceverà forma matura a “Case Fontane” (sopra il Lago della Madonna di Alto-CN, alle pendici del Monte Dubasso), dove, pochi giorni dopo, Felice CASCIONE troverà eroica morte sotto il fuoco nazi-fascista, il 27 gennaio 1944.
“Fischia il Vento” fu ufficialmente cantata per la prima volta in pubblico dalla Banda Partigiana, passata in rassegna da Felice CASCIONE, sul sagrato della Chiesa di San Michele in Alto (CN), il giorno dell’Epifania 1944, divenendo rapidamente “la canzone più nota ed importante nella Lotta di Liberazione”.
[...]
Fischia il vento, urla la bufera

Scarpe rotte e pur bisogna andar

A conquistare la nostra primavera

In cui sorge il sol dell’avvenir.

Ogni contrada è patria del ribelle

Ogni donna a noi dona un sospir

Nella notte ci guidano le stelle

Forte il cuore e il braccio nel colpir.

Se ci coglie la crudele morte

Dura vendetta verrà dal Partigian

Ormai sicura è la bella sorte

Contro il vil che ognun di noi cerchiam

Cessa il vento, calma la bufera

Torna fiero a casa il Partigian

Sventolando la nostra bandiera

Vittoriosi alfin liberi siam.

Redazione, Albenga, grata, inaugura: ‘Partigiani cantano Fischia il Vento’. Monumento di Furlani donato al Comune dal prof. Nicola Nante in ricordo del padre, Trucioli, 15 luglio 2021

sabato 10 settembre 2022

Un provvedimento casuale dell'amministratore della Divisione partigiana Bonfante

Ubaghetta, Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM). Fonte: Comune di Borghetto d'Arroscia

Mi sarebbe forse stato facile sapere qualcosa di più chiedendo a Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], con i quali ero a frequente contatto [n.d.r.: in quanto Gino Glorio Magnesia, di cui qui si riproduce una testimonianza, era amministratore della richiamata Divisione garibaldina]. Pure non lo feci. Non che mi mancasse l'interesse, ma la vita che conducevo da due mesi era tale che non potevo  più escludere la possibilità di essere catturato vivo dal nemico. Già a Fontane i membri del Comando erano stati disarmati dei fucili e delle altre armi che potevano garantire una difesa efficace per armare gli sbandati che tornavano. In tali condizioni, se fossi stato sorpreso durante le marce, con una piccola pistola non avrei potuto colpire efficacemente il nemico. Avrei dovuto arrendermi sperando che una circostanza propizia mi consentisse la fuga. Purtroppo ciò mi avrebbe esposto ad interrogatori accompagnati da sistemi persuasivi. Sentivo che in tali ipotesi la migliore garanzia di poter mantenere il silenzio era il non sapere. Ridussi pertanto nel periodo invernale il mio interesse a quanto  era indispensabile all'assolvimento dei miei compiti ed alla mia sicurezza.
Il giorno 5 marzo [1945], lasciato Gazzo [n.d.r.: Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM)], tornando in Val Lerrone, ripasso da Ubaghetta [n.d.r.: Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM)]. Sono digiuno dalla sera prima e devo trovare la famiglia che ospitava i partigiani dell'intendenza e che dovrebbe avere parte dei viveri. L'intendenza non c'è più perché nessuno ha sostituito i caduti ed i prigionieri di gennaio e i superstiti, consumati e distribuiti parte dei viveri, sono passati alle altre intendenze; pure avevo sentito dire che qualche partigiano ad Ubaghetta ci doveva essere. Li trovo: sono un gruppetto di feriti e malati che vivono come possono, dimenticati dai Comandi e dai compagni, senza cure né medicine, aiutando le famiglie del luogo, stendendo i cavi della luce che avrebbero portato l'energia elettrica da fondo valle fino ad Ubaghetta. I borghesi danno loro un po' di cibo in cambio del lavoro svolto, qualcosa dei viveri dell'intendenza è rimasto. Mangio con loro: castagne bollite; poco per dei convalescenti.
Ce n'è uno ferito alla spalla che ha perso in parte l'uso del braccio. «Quando è stato?» gli chiedo. «In febbraio, il giorno 11. Ero della banda di Libero. Durante l'ultimo rastrellamento di gennaio avevamo passato la «28» perché di qua era un inferno e ci eravamo fermati ad Aurigo. Vi eravamo rimasti anche in febbraio perché il posto era buono. Poi una spia deve aver parlato ed una notte son venuti i tedeschi. Se ci siamo salvati lo dobbiamo a Libero che non perse la testa. I tedeschi ci avevano circondato e sparavano come dannati. Noi eravamo appena svegli perché l'allarme era stato dato all'ultimo istante. Libero ci fece segno di seguirlo e si lanciò in una direzione. Noi siamo tutti dietro a lui sparando come diavoli e siamo passati. Uno dei nostri è caduto, mi hanno preso alla spalla, tutti gli altri si sono salvati ma anche dei tedeschi ne devono esser morti».
La banda di Libero era il distaccamento G. Maccanò. Non avevo saputo nulla fino ad allora dello scontro di Aurigo. Mi raccontano la loro vita: piantano pali della luce e poi mettono i fili: «Loro possono lavorare perché hanno solo dei reumatismi, io invece con questo braccio posso far poco».
«Avete mai visto nessuno del Comando? - chiedo loro - Non avete mai detto alle staffette che siete qui?». «Il Comando? Cosa vuoi che se ne faccia di noi. Quando saremo guariti torneremo in banda, per ora ci arrangiamo come possiamo. Tempo fa abbiamo visto Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante] che ci ha augurato di guarire presto». «Se il Comando non ha dottori né ospedali, ha però una amministrazione. Tenete quattromila lire, andate a Ranzo dove deve esserci il medico condotto, compratevi le  medicine che vi ordina e che potete trovare e dei viveri perché, con solo castagne, non vi rimetterete di certo. Se potete lavorare meglio, altrimenti è nostro dovere sussidiarvi come facciamo con gli altri feriti e con le famiglie dei partigiani caduti o bisognosi. Sarebbe compito dei Comandi brigata, ma, se non possono farlo, potrebbero almeno avvisarmi. Tenete nota di come spendete questi soldi, quando mi manderete il conto ve ne darò degli altri».
I quattro accettano il denaro commossi e felici. Il ferito, capito che ero del Comando, mi dà del «lei». «Eri della S. Marco?» gli chiedo. «Sì». «Si sente... Adesso che so dove siete vi verrò a trovare quando ripasserò da Ubaghetta».
Mi rimetto in cammino piano, senza fretta. Mi fermo ogni tanto nelle radure del bosco a prendere il sole primaverile, ad osservare il panorama, a raccogliere i manifestini che gli aerei alleati avevano lanciato a centinaia.
Il 6 marzo vado a Casanova Lerrone dove ci sono dei conti da pagare.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 190,191

 

5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 175, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Ordinava di compiere azioni di disturbo lungo la strada Albenga-Garessio; di recuperare ogni possibile esplosivo; di controllare se c'erano riserve di munizioni per  St. Etienne , nascoste dal partigiano "Falco"; di stimolare i Distaccamenti ad inviare regolarmente relazioni.

5 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/79, al comando della Divisione - Segnalava che un informatore di Ormea (CN) aveva comunicato che la stazione radiotrasmittente, con un effettivo di 8 soldati tedeschi, era stata riattivata; che lungo la strada 28 i tedeschi stavano costruendo posti di sbarramento tra Cantarana ed Ormea; che un capitano tedesco aveva detto che i nazisti se ne sarebbero andati dai paesi occupati solo a guerra finita; che a Vegliasco vi erano 34 tedeschi; che ad Acquetico erano arrivati 200 tedeschi; che a Pieve di Teco con l'aggiunta di nuove 200 unità i tedeschi ammontavano a 500.

5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio", ma senza causare perdite tra i partigiani; che tedeschi provenienti da Nava avevano fatto prigionieri due uomini dell'intendenza garibaldina; che "Turbine" [Alfredo Coppola], fuggito nell'occasione citata, abbandonando uomini e materiale, era stato arrestato, poiché non aveva fornito plausibili giustificazioni.

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 2, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Rammentava che a partire dal 9 marzo tutti i Distaccamenti della Brigata dovevano essere pronti ad agire al segnale convenuto: il Distaccamento "Filippo Airaldi" avrebbe sorvegliato Passo San Giacomo e Passo Saline; il Distaccamento "Igino Rainis" Passo Cosimo e la strada per Alto; il Distaccamento "Giuseppe Catter" il Passo San Bartolomeo; il Distaccamento "Giannino Bortolotti" la via d'accesso da Albenga e Cerisola alla vallata di Nasino (SV).

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 5, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che con un'ispezione alla II^ Brigata aveva riscontrato in quei garibaldini un morale alto, ma anche che portavano un vestiario malridotto; che era meglio "allontanare in modo garbato" dal Distaccamento ["Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio"] di "Basco" [Giacomo Ardissone] il commissario "Turbine" [Alfredo Coppola], in quanto "elemento che non fa altro che lamentarsi del C.D.[comando di Divisione]"; che "Basco" era un buon comandante; che nella zona di Albenga non erano presenti molti nemici; che il Centa, invece, risultava minato in molti tratti; che i cannoni nemici a Coasco era salito di numero sino a 12; che si chiedeva perché non fosse stata ancora bombardata Pieve di Teco, dove si trovavano 500 tedeschi.

6 marzo 1945 - Dal comando [comandante "Domatore" Domenico Trincheri] della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", prot. n° 4, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che alcuni reparti tedeschi, accompagnati da alcuni delatori, tra cui "Carletto"ed il "Boia", erano arrivati da Albenga e da Ponti di Nava in Val Pennavaira, dove si erano "limitati a rastrellare il fondo valle senza avventurarsi nelle campagne"; che a Nasino 200 soldati nemici avevano bruciato diverse case ed operato alcuni arresti, tra i quali anche quello del commissario prefettizio Ballerin; che nell'operazione su Nasino una donna era stata uccisa mentre tentava la fuga; che "Pastorino" era stato arrestato dalla gendarmeria tedesca. Si chiedeva, infine, essendo critica la situazione finanziaria, di inviare del denaro.

6 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che, con la cattura del nucleo repubblichino SIDA, operato dallo scrivente Distaccamento, si era appurato che 14 persone, di cui si indicavano, altresì, le generalità, erano sotto stretta sorveglianza delle Bande Nere e che come agenti delle Brigate Nere, ufficio SIDA, risultavano tali L. Brinis, "Pippo", "Scippa" e "Giacomo", tutti abitanti ad Albenga o zone limitrofe.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)” - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999