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martedì 5 novembre 2024

Hanno preso Aldo, il capo della Stella Rossa

Mondovì (CN). Fonte: mapio.net

Arnera, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano", a quel tempo ancora incorporata nella II^ Divisione "Felice Cascione", venne arrestato in Val Tanaro il 18 dicembre 1944 a seguito di un'involontaria delazione e fu fucilato a Mondovì (CN) il 27 dicembre 1944. A lui venne intitolata la IV^ Brigata della nuova Divisione "Silvio Bonfante".
Si presero contatti anche con le formazioni autonome di "Mauri".
Rocco Fava, La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste,  Anno Accademico 1998-1999

Domenico Arnera, nato a Savona il 25 aprile 1917, aiuto disegnatore, già sottufficiale di marina. Come molti savonesi di Villapiana, quartiere dove abita, aderisce al movimento della Resistenza. Agli inizi di luglio 1944 è tra gli organizzatori delle formazioni garibaldine liguri in Val Tanaro, comandante del Distaccamento "Bellina", dislocato a Fontane di Frabosa Soprana: è attivissimo nella raccolta di derrate alimentari, coperte ed abiti per i distaccamenti. A fine ottobre è Capo di Stato Maggiore della Brigata "Belgrano" della Divisione Garibaldi "Felice Cascione". È arrestato in Val Corsaglia il 18 dicembre 1944, a seguito di una involontaria delazione di un abitante del luogo che, vedendolo passare scortato da un tedesco armato, pare abbia commentato: "Hanno preso Aldo, il capo della Stella Rossa". In realtà Arnera, in compagnia di Fred Sutterline (disertore tedesco ancora in divisa, appena arruolatosi con i partigiani) è in viaggio verso l'ospedale di Mondovì per ricevere cure appropriate e debellare un'infezione. È condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza e rinchiuso nelle carceri della Caserma Galliano. I tentativi dei comandi partigiani per uno scambio di prigionieri non danno l'esito sperato; Aldo viene fucilato il 27 dicembre 1944.
Decorato alla memoria di medaglia di bronzo al valor militare: "Durante un forte rastrellamento da parte del nemico, incurante del pericolo, sotto l'imperversare di un'intensa azione di fuoco, provvedeva ad occultare un ingente quantitativo di viveri evitando che cadesse in mani nemiche. Sebbene ferito, rimaneva ancora per cinque giorni al suo posto di lotta, finché sfinito di forze, veniva fatto prigioniero; sottoposto a torture e sevizie le sopportava fieramente destando l'ammirazione dello stesso avversario. Affrontava serenamente la morte senza svelare alcuna notizia". Val Corsaglia-Mondovì, 10-27 dicembre '44
Redazione, Arrivano i Partigiani - inserto 2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona, I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

Prima di proseguire con la storia di Elia accenno alla fine drammatica del suo carissimo compagno ed ex comandante "Aldo" Domenico Arnera. Di questa morte Elia ne sarà edotto quando a sua volta sarà arrestato e giungerà nella medesima stanza di reclusione. Ecco gli avvenimenti.
Il grande rastrellamento delle forze nazi fasciste iniziato il 7 dicembre 1944 ha portato alla morte molti partigiani dell'intendenza garibaldina ligure comandata dal tenente "Aldo". Sono stati fucilati: De Grossi, Regis, Grondona, Pastorelli, altri sono dispersi o sono in arresto. Il 17.12.1944 Domenico Arnera è affetto da un'infezione alla mano causata da una ferita prodotta dalla ventola di una macchina o da una catena della moto (l'incidente non è chiaro): si è ferito mentre la stava riparando. L'alta febbre gli pervade tutto il corpo, nonostante le cure prestate dal dottore partigiano Severino Travaglio, nato a Mondovì (CN) il 18.12.1918, con i medicinali di fortuna allora disponibili.
"Aldo" decide a questo punto di farsi ricoverare nell'ospedale di Mondovì. In tasca ha un permesso tedesco ed è accompagnato da un disertore tedesco ancora in divisa, Fred Sutterline, un alsaziano di Moulhouse, recentemente arruolato tra i partigiani (sequestrato a Mondovì - vedi lettera precedente di "Aldo").
"Aldo" ha passato la notte a Corsaglia nell'albergo Europa e si avvia verso l'ospedale di buon'ora. <31 Passa davanti alla trattoria di Corsagliola dove vi sono seduti il calzolaio Giovanni Viglietti, il panettiere Giovanni Prucca ed il suo garzone Volpe. Seduto ad un altro tavolo c'è il maresciallo degli Alpini del Cadore M. Massa. Scorgono il passaggio di "Aldo" accompagnato dal disertore tedesco armato ed il commento che echeggia dalla bocca del calzolaio è: "Hanno arrestato Aldo, il capo delle Stelle Rosse". Il maresciallo repubblichino intuisce, si precipita fuori dalla trattoria, li rincorre e li arresta.
Questa delazione forse involontaria o superficiale procura in seguito un processo partigiano al calzolaio Giovanni Viglietti che, nonostante i buoni rapporti di collaborazione con le forze resistenti, vede svolgersi un'accurata indagine sul fatto da parte garibaldina, effettuata dai comandante "Lello" Raffaello Nante, di Nicola, nato ad Imperia il 07.10.1924, valoroso capo partigiano sottoposto di "Fra Diavolo". <32 "Lello" ha aderito al movimento ribelle assieme al fratello "Libero", Libero Nante, nato a Imperia il 30.lO.1920, allora studente universitario in medicina, e alla sorella Angela Nante, nata nel 1929.
Il Viglietti è convocato a Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)] per il processo, viene accompagnato dal partigiano Francesco Bellotto, "Valleggia", nato a Teolo (PD) il 05.07.1925, ma Quilianese di adozione. <33  Dall'interrogatorio delle persone presenti e dal Viglietti stesso emergono delle dichiarazioni un po' discordi, forse un po' reticenti, ma "Lello" lo tratta con umanità, senza il rigore del tempo. Altri partigiani del Gruppo del Cap. Cosa testimoniano a favore del Viglietti: tra essi figurano il famoso gruppetto di Sardi, Giovanni Salis, Mauro Pisano, Agostino Schirra, Raffaele Mannai e i monregalesi Claudio Manfredi e Piero Basso. <34 E' fuor di dubbio che Arnera conoscesse il calzolaio con cui ha intrattenuto rapporti per l'acquisto di scarponi: l'esclamazione incriminata forse è dovuta alla sorpresa del passaggio. Dopo aver redatto diligentemente le dichiarazioni degli interrogati, la sentenza conclude il processo non toccando la vita ma solo il portafoglio. Sono ben duecentomila lire di multa comminate e regolarmente pagate dal Viglietti, come attesta la ricevuta (rintracciata nell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia) controfirmata da Germano Tronville. E' una cifra notevole ma commisurata all'alto grado che rivestiva il ten. "Aldo". <35
Torno all'arresto di Arnera:
Domenico è condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza e rinchiuso nelle carceri della Caserma Galliano; da una sua lettera fatta uscire fortunosamente dalla prigione dalla staffetta "Iuccia/Sonia", Rustichelli Martini Maria, nata a
Moline di Vicoforte Mondovi (CN) 10.11.1900, e "Matilde", Cuniberti Martini Margherita, nata a Vicoforte Mondovì (CN) 03.08.1903, ci ricorda la sua triste condizione di prigioniero "carico di pidocchi" e la drammaticità della sua detenzione. Spera di uscire vivo da quell'inferno ventilando uno scambio tra prigionieri partigiani/fascisti. Purtroppo per il tenente "Aldo" l'agognata libertà sarà solo un sogno: c'è la fretta di un nuovo bagno di sangue nel comando tedesco di Mondovì, dopo quello del 18.12.1944, dove sono stati giustiziati Domenico Penazzo, Giovanni Scotto, Giuseppe Regis "Placido", suo inseparabile compagno di banda, savonese di adozione, e Giovanni Audisio, una guardia campestre che, prigioniera dei partigiani, è arrestata nel rastrellamento dai tedeschi e accusata di essere un partigiano. Non viene creduta la sua fede fascista e deve soccombere al pari degli altri partigiani.
Ecco il testo della lettera di "Aldo" <36:
"all'interrogatorio ho detto di essere venuto nei partigiani il 12 Agosto circa, perché convinto dalla propaganda per la paura di essere portato sul fronte a combattere. Ho riferito che facevo soltanto il servizio di rifornimenti viveri, vestiario, ecc. Ho detto che mi ha accompagnato un tizio che non conosco verso i partigiani e sono sempre stato in magazzino. Le località in cui io sono stato sono: Ponti di Nava, Piaggia, Viozene, Fontane. Se è possibile comunicare al Curto della mia prigionia e far sì di avere un cambio, quindi se prendono dei prigionieri tenerli per me, oppure rivolgersi anche ad altre formazioni del Piemonte ed in caso prendano qualcuno tenerlo per il cambio con me. Io non ho parlato. Ho detto che a Mondovì ed in altre zone io non ho nessun collegamento. Mi occorre: sigarette, fazzoletto e quello che si può perché sono pieno di pidocchi. Saluti fraterni a tutti, Aldo".
Dopo circa dieci giorni dal suo arresto, mercoledì 27.12.1944, per il tenente e i suoi compagni di sventura, Luigi Borini, Francesco Leonardi, Alberto Tallone, RoccoVerdone è l'ultimo giorno di vita. Si salva una donna, "Mitzi", madre di quattro figlie, con il marito in guerra (così dice lei): condannata a morte e detenuta con gli uomini (cosa alquanto strana), è graziata e rilasciata all'ultimo minuto.
Viene comunicata l'esecuzione: di lì a poco tempo arriva il prete Don Vincenzo Sclavo, che raccoglie le ultime volontà dei condannati, i pochi oggetti personali da far pervenire ai famigliari ed amici <37. Dopo un sentimento di ribellione ad una morte così crudele che attanaglia tutti i reclusi, subentra la rassegnazione. Francesco Leonardi ha sperato fino all'ultimo nello scambio: dal mese di novembre c'è in piedi una trattativa, il suo nome compare in un documento tedesco (ne parlerò in seguito) con una lunga serie di persone.
Il 07.12.1944 sono ceduti 31 tedeschi catturati a Pogliola (CN) e liberati 90 ostaggi delle Nuove a Torino ma per lui nulla, nessuna liberazione, una crudeltà. "Mitzi", dopo aver salutato e baciato i condannati, sviene. Forse si è affezionata durante la prigionia a questi compagni, non regge vederli andare incontro alla morte. Borini, il più giovane, recrimina su questa sorte; solo un prigioniero già ferito e claudicante nella via Vasco che li porta alla fucilazione, si lamenta penosamente preso dallo sconforto. Gli altri condannati con le mani legate dietro la schiena ma con coraggio affrontano il plotone di esecuzione e i ghigni dei giustizieri comandati da un maggiore che non li fa fucilare tutti assieme, ma per incutere ancora più dolore e paura li uccide uno per volta. Arnera è il terzo, il suo ultimo pensiero per l'amata Minnie si ferma tra gli schizzi di sangue prodotti dalle raffiche dei mitra. Poi i corpi sono portati al cimitero con l'ausilio del comune che fornisce le casse di legno e l'opera pietosa di alcune donne del soccorso.
Il tenente "Aldo" è decorato con medaglia di bronzo.
Un'ultima annotazione da tenere a mente: "Aldo" muore due giorni prima dell'arresto di Elia Sola, che sarà imprigionato a sua volta nello stesso stanzone e con i medesimi compagni reclusi con "Aldo".
[NOTE]
32 Verbale all'Isrecim
33 Testimonianza orale di Francesco Bellotto
34 Verbale all'Isrecim
35 Documento originale in Isrecim
36 Lettera inviata ad Alfonso = Aldo Peirone, Isrecim
37 Diario scritto di Don Vincenzo Sclavo a Niella Tanaro

Ferruccio Iebole, Partigiani, Martiri Liguri, Piemontesi e Cacciatori degli Appennini, Edizione AeC - Mondovì, 2005, pp. 47-50 

sabato 28 settembre 2024

Ai primi di dicembre 1944 i partigiani imperiesi si riorganizzarono

Marmoreo, frazione di Casanova Lerrone (SV). Fonte: mapcarta.com

Il giorno dopo [30 novembre 1944], verso sera, lasciammo Casanova diretti a Marmoreo [n.d.r.: frazione del comune di Casanova Lerrone (SV)]: Sandro, il dattilografo, aveva trovato una casa tra gli ulivi a qualche chilometro dal paese, forse sarà adatta per noi. Mentre seguivamo il mulo con i materassi, pareva che lassù non vi fosse fieno, una voce mi chiamò tra gli alberi. Mi voltai e vidi un giovane con la vanga: «Livorno, come mai sei qui?» gli chiesi. Mi fermai con lui per qualche minuto. Livorno, un ex San Marco, ai tempi di Piaggia era conducente di muli. Quando il clima era peggiorato mi aveva chiesto più volte come avrebbe potuto raggiungere la Toscana per passare le linee. Lo avevo consigliato di accompagnare Citrato che andava periodicamente di staffetta alla Divisione di Savona. Di banda in banda avrebbe potuto arrivare fino a La Spezia e forse più oltre, ma il coraggio del primo passo gli era mancato. Nello sbandamento di Piaggia era scomparso. Ora lo rivedevo contadino a Casanova: era riuscito a salvarsi ed ora lavorava da una famiglia che lo nutriva e gli aveva fornito un vestito borghese. Non lo vedrò più nè saprò nulla di certo di lui. Qualche tempo dopo il Comando denuncerà il tradimento di un partigiano di nome Livorno.
Dopo qualche giorno di permanenza nelia nuova base presso Marmoreo il Comando si accorse di non aver raggiunto la sicurezza cercata. Per la necessità di rifornirsi di viveri al vicino distaccamento di Domatore [Domenico Trincheri], per l'atteggiamento di Mancen [Massimo Gismondi] che conduceva in sede partigiani in ogni occasione, fu in breve noto a partigiani e borghesi che il Comando Brigata era nei dintorni di Marmoreo.
Trovare una nuova sistemazione non era semplice, sperammo così che la voce si diffondesse con una certa lentezza, che il nemico non ne venisse presto informato. Continuammo a lavorare nella stessa sede, solo verso l'alba, l'ora più pericolosa, vedevo che spesso Gigi si svegliava ed usciva: tra noi ed il nemico non c'era nessuna banda né alcuna sentinella. Gigi che, più anziano, aveva il sonno più leggero di noi e forse anche più giudizio, montava spontaneamente la guardia per i compagni che dormivano.
La nuova situazione venne esaminata a fondo da Giorgio, vicecomandante della Cascione, che giunse a Casanova in quei giorni portando la circolare 23 del 24 novembre [n.d.r.: a quella data la I^ Zona Operativa Liguria coincideva ancora con la menzionata Divisione "Felice Cascione", ma la I^ Brigata "Silvano Belgrano", alla quale appartenevano molti dei partigiani qui citati dall'autore, Gino Glorio "Magnesia", di questo diario - ed egli stesso, va da sé - si sarebbe trasformata il 19 dicembre 1944 nella Divisione "Silvio Bonfante" con comandante Giorgio, Giorgio Olivero]. Le disposizioni dei Comandi superiori erano precise: la meta non era più l'occupazione imminente della costa, con l'appoggio degli alleati avanzanti, bensì la sopravvivenza come movimento organizzato. Non più quindi aumentare il numero, l'armamento, la coesione dei reparti, ma conservare fino alla primavera un minimo di effettivi, di armni, di quadri intorno a cui ricostruire rapidamente le bande onde esser pronti quando, tornato il buon tempo, i giovani sarebbero riaccorsi sui monti. Era necessario superare i rastrellamenti, i disagi, resistere alla stanchezza, alla demoralizzazione. Era urgente adottare una nuova tattica, l'esperienza del passato inverno era stata tragica: le bande badogliane che avevano mantenuto fino a marzo l'organizzazione autunnale erano state disfatte: solo adottando nuovi metodi di guerriglia potevamo sperare di salvarci.
Il Comando doveva limitare ulteriormente gli effettivi e suddividersi in gruppi. Un gruppo: comandante e vicecomandante, commissario e vicecommissario doveva stabilirsi in una sede segreta appoggiandosi ad una famiglia sicura. Venivano eliminati cuoco e dattilografo. Due componenti del comando a turno avrebbero dovuto restare in sede, gli altri due avrebbero ispezionato i distaccamenti. In caso di rastrellamento ci si sarebbe uniti alla banda più vicina o ci si sarebbe organizzati in precedenza scavando un rifugio sotterraneo.
Altro gruppo sarebbe stato il S.I.M. [Servizio Informazioni Militare], che avrebbe dovuto spingersi il più possibile verso la costa. I due gruppi sarebbero stati collegali fra loro e con le bande per mezzo del recapito staffetta. L'amministratore [n.d.r.: nel caso della Brigata "Belgrano" l'autore del diario, Gino Glorio "Magnesia"] sarebbe stato autonomo girando per i pagamenti per i paesi ed i distaccamenti, e fissando la sua base dove gli sarebbe parso meglio l'arrivo dei fondi e i contatti col C.L.N. sarebbero stati curali dal S.I.M.
Disposizioni analoghe erano state adottate dal Comando divisionale e dal comando zona, si riteneva quindi che fossero possibili.
Per quanto riguardava le bande era necessario ridurre gli effettivi. Tutti coloro che per la stanchezza e la demoralizzazione erano ormai un elemento disgregatore per le bande venissero pure congedati; era però opportuno non perdere definitivameme i contatti con questi elementi. Le disposizioni del Comando ci parvero poco chiare su questo punto. Si parlava di costituire squadre di riserva agli ordini di un comandante di valle, persona di valore, posata, già facente parte del movimento. Il garibaldino che lasciava la banda avrebbe consegnato l'arma al comandante di valle che ne avrebbe curato la custodia, indi avrebbe potuto tornare al proprio paese o impiegarsi presso qualche famiglia locale per il raccolto delle olive.
I commissari avrebbero dovuto mettersi in contatto con le giunte comunali, che si andavano organizzando, per sapere quanta mano d'opera avrebbe potuto assorbire ogni paese. Lo scopo di tutto ciò era che i partigiani che chiedevano il congedo non si sentissero abbandonati alla loro sorte e si trattenessero nella zona da noi controllata. In caso di bisogno un capobanda in transito avrebbe potuto rivolgersi al comandante di valle per ottenere la collaborazione degli ex partigiani presenti per un servizio di guardia o un appoggio armato. Per essere in grado di appoggiare i compagni che continuavano la lotta armata il garibaldino delle squadre di riserva, con l'eventuale collaborazione delle S.A.P. locali, avrebbe dovuto scavare un rifugio per sè e per i compagni delle bande armate, impratichirsi dei sentieri e del terreno onde poter guidare in caso di bisogno i compagni in missione.
Per coloro che restavano nelle bande a continuare la lotta armata era necessario ad ogni costo rialzare il tenore di vita, fornire vitto abbondante, vestiario e tabacco. Le bande armate avrebbero avuto il distintivo di reparti d'assalto mentre, per quelli passati alla riserva, i mesi di licenza sarebbero stati calcolati come mesi di appartenenza al movimento. Come si vede il progetto era ben studiato e la collaborazione dei partigiani di riserva nei paesi avrebbe potuto riuscirci preziosa come lo era stato l'appoggio che ci avevano fornito a Carnino Rico e gli altri ex partigiani di Umberto quando avevamo recuperato i feriti da Upega.
Se un difetto si può trovare a questo progetto era che difficilmente sarebbe stato possibile applicarlo integralmente. Vi sarebbe stata una inevitabile dispersione di coloro che lasciavano le bande armate e l'autonomia riacquistata li avrebbe portati a subire influenze diverse e maggiori dell'autorità del comandante di valle. La maggior parte dei congedati sarebbe stata inevitabilmente sottratta all'ambiente partigiano. Era poi necessario un tempo abbastanza lungo per prendere contatto con le giunte, scegliere i comandanti di valle, scavare i rifugi, provvedimenti che, quasi tutti, avrebbero dovuto precedere il congedo degli uomini.
In base alle notizie recate da Giorgio questo tempo pareva mancare: il concentramento di sempre nuove forze nemiche faceva prevedere l'inizio di un nuovo rastrellamento prima di Natale.
Dopo il rastrellamento, che avrebbe coinvlto tutta la nostra zona, il nemico avrebbe tentato di riaprire al traffico la Albenga-Pieve interrotta da noi in più di nove punti. I tedeschi avrebbero posto presidi in quasi tutti i paesi per requisire tutto il raccolto dell'olio, poiché la Liguria era ormai l'ultima regione occupata dalla Germania che producesse olio d'oliva.
Per evitare che il nemico conoscesse le nostre basi avremmo dovuto attaccarlo solo a distanza da esse ed occultarci evitando la lotta, se colonne nemiche fossero passate a breve distanza dalle nostre sedi. Nei giorni immediatamente prima del rastrellamento tutte le azioni avrebbero dovuto esser sospese.
C'era il pericolo che tali misure, interpretate oltre il loro significato letterale, inducessero ad astenersi comunque dalla lotta con conseguenze morali imprevedibili.
All'inizio del rastrellainento era previsto un ripiegamento generale oltre la carrozzabile Albenga-Garessio nel territorio della divisione di Savona.
Sarebbe stata una manovra molto difficile perché tutte le carrozzabili erano perpendicolari alla direzione di marcia, pure tornare oltre il Mongioie non sarebbe staro possibile per la neve ormai alta, né ritornare nella zona di Piaggia priva di risorse alimentari.
Era necessario che la riduzione degli effettivi e l'applicazione della organizzazione invernale precedessero l'attacco nemico.
Appena partito Giorgio, le conseguenze delle nuove disposizioni furono chiare quasi subito. Mancen rifiutò in pratica di adottare la tattica cospirativa e comparve al Comando solo saltuariamente; non c'era quindi la possibilità di alternarsi. Il S.I.M. si trasferì a Poggio, a fondo valle sotto Casanova, sottraendosi così alla diretta influenza del comando. Abbandonati a loro stessi, i vari uffici, invece di riorganizzarsi, entrarono in una specie di letargo. Appena giunta la circolare i capibanda invitarono chi voleva ad andarsene immnediatamente.
A metà dicembre, giunse un contrordine: un supplemento alla circolare 23, ma in parte era tardi.
La circolare nuova rettificava ed in gran parte modificava radicalmente le disposizioni precedenti. Dallo stile e dallo spirito che l'animava era chiaramente opera di Simon.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 62-65

lunedì 4 dicembre 2023

Era Stalin con i suoi partigiani e quando giunsero il paese si animò d'improvviso

Aquila d'Arroscia (IM). Fonte: Wikipedia

Molti erano come Basco [n.d.r.: Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], tutti anzi vivevano giorno per giorno senza chiedersi più se quello che facevano era bene o male o perché lo facevano. Avevano deciso una volta, quando erano venuti sui monti. Avevano meditato ancora sul da farsi quando la situazione era mutata, seguendo un impulso interno dettato più dai sentimenti che da ragionamento. Continuavano la lotta perché era ormai una seconda natura. Quali erano i sentimenti inespressi che covavano nell'inconscio di quei giovani che li avevano sostenuti, nei momenti di scoramento, quando l'abitudine non bastava più? Alcuni avevano sentito la necessità di riscattare il passato dell'Italia, di riconquistarle la libertà dall'oppressione con la forza non intendendola come un dono del più forte. Per i comunisti era la speranza di fondare un mondo nuovo, di gettare le basi per una società più giusta. E per gli altri? E' difficile dirlo perché ne parlavamo poco. Forse erano stati sufficienti i sentimenti che covavano in tutti: l'astio per il nemico, il desiderio di vendicare i compagni morti, i paesi bruciati, gli ostaggi fucilati, anche a costo di nuovi lutti; la speranza di prendersi una sanguinosa rivincita per tutto quello che avevamo sofferto; l'orgoglio di non piegarsi, di poter scendere alla costa a testa alta, il desiderio di non confondersi con la massa dei deboli, di quelli che sono vissuti nel terrore del nemico; la coscienza magari indistinta di essere tra gli attori del grande dramma, di una pagina di storia, di aver afferrato da forti una occasione unica che basterà a riempire di ricordi o di orgoglio tutta una vita per aver sfidato il nemico temuto da tutti e per non aver piegato quando i più l'avevano fatto.
"Una volta in Croazia" - raccontava Basco - " ero in postazione fuori paese quando avvistammo su una collina di fronte degli uomini in pantaloncini bianchi che scendevano con cautela. Era inverno e ci pareva strana una divisa di quel genere. Venivano verso di noi e non erano armati. Quando furono vicini ci accorgemmo che erano scalzi ed in mutande. Il nostro capitano uscì dalle linee, uno di loro scattò sull'attenti e si presentò, diede il nome del reparto e poi concluse: 'Catturati dai ribelli e poi liberati'. Il capitano esaminò il tenente da capo a piedi: 'Andate giù in paese a rivestirvi!'. Mentre scendevano per la mulattiera vedemmo che sul retro delle mutande avevano scritto con pittura rossa e azzurra VINCERE. Come erano stati presi? Lo seppi il giorno dopo da uno di loro che trovai in paese. Erano andati in perlustrazione fin quando avevano avvistato una sentinella partigiana; si erano buttati al riparo delle rocce, poi il tenente impugnando la pistola: 'Ragazzi, si attacca! Savoia!'. Gli altri risposero: 'Savoia!' ma poiché il tenente restava con la testa dietro al sasso, nessuno si mosse. Qualche minuto di attesa, poi di nuovo 'Savoia!' e di nuovo tutti fermi. Infine dopo aver gridato Savoia cinque o sei volte vennero i ribelli e li catturarono".
Il discorso fu interrotto dall'entrata di un partigiano: "C'è gente in cresta dalla parte di Aquila [Aquila d'Arroscia]". Uscimmo in due o tre: sulla mulattiera che scendeva dalla cappella di S. Cosimo scendeva una ventina di armati. "Forse son quelli della I che vengono per le armi. Fra poco li vedremo meglio". Era Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] con i suoi e quando giunsero il paese si animò d'improvviso.
Pranzammo e poi dividemmo le armi. C'era anche Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] con Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante], c'era un capobanda della Divisione di Savona cacciato in Val Pennavaira da un attacco tedesco. Anche sopra Savona avevano avuto un lancio: ci promise munizioni per mitraglie che avevano ricevuto in abbondanza mentre a noi mancavano ancora.
"Da oggi ha inizio la campagna di primavera", disse Giorgio, mentre gli uomini riempivano i caricatori dei mitra con i colpi per gli Sten. "Si riprendono gli attacchi, si abbandona la tattica cospirativa: piena libertà di azione per ogni banda, attaccate come e quando volete, non occorre più l'autorizzazione del Comando. Ragazzi, distruggete la scatola delle munizioni, in paese non deve restare traccia del lancio".
L'armamento della Divisione era finalmente aumentato, venne esaminata la situazione di ogni banda sotto l'aspetto delle armi automatiche in dotazione: col nuovo materiale era possibile creare un maggiore equilibrio. L'esplosivo, la miccia, tutto il materiale da sabotaggio che ci era piovuto dal cielo venne consegnato direttamente ai comandi brigata: sarebbe finalmente finita la ricerca snervante nei campi minati.
In quelle ore giunse notizia che una colonna nemica scendeva su Caprauna, l'annuncio sollevò l'entusiasmo: finalmente avremmo affrontato il nemico ad armi pari. La notizia era errata e l'eccitazione si spense, era però buon segno che i partigiani anelassero di nuovo ad incontrarsi col nemico.
La banda di Stalin col Comando divisionale lasciò la valle di Alto, lo schieramento protettivo venne sciolto, la situazione tornò normale. L'operazione L 1 si era conclusa con un successo.
La campagna di primavera
L'inizio della campagna di primavera annunciata da Giorgio al distaccamento «G. Garbagnati» e ripetuto lo stesso giorno [16 marzo 1945] agli uomini di Cimitero coincise con una forte ripresa offensiva solo nella zona costiera.
La I Brigata preparava in collaborazione col S.I.M. la distruzione del posto di blocco fascista di Cervo progettando di far saltare la casa dove era trincerato con esplosivo collocato nella cantina. Al progetto si oppose il C.L.N. di Cervo del quale faceva parte Semeria che, salvatosi in ottobre dal disastro di Upega, collaborava ora con Batè (Cotta) nelle S.A.P. e nel C.L.N. Semeria era entrato in contatto coi fascisti del posto di blocco avendone la garanzia che, oltre a non molestare nessuno, avrebbero dato informazioni sul traffico di persone e reparti. Il posto di blocco era messo in posizione errata, poiché controllava solo la Via Aurelia e chi non voleva farsi notare poteva evitarlo passando per il paese. Gli argomenti erano buoni ed i partigiani rinunciarono consolandosi con l'intensificazione delle imboscate. Nelle zone più interne l'iniziativa rimaneva ai tedeschi che intensificavano le puntate.
Era a conoscenza il nemico del lancio avvenuto? Taluni indizi ce lo facevano supporre; era però poco probabile che fosse al corrente del punto preciso.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 209-211

19 marzo 1945 - Dal CLN mandamentale di Diano Marina al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Chiedeva di desistere da un'azione prevista contro il posto di blocco nemico di Cervo, del resto pericolosa perché sussisteva già allarme tra i soldati e la popolazione stessa, anche per evitare una rappresaglia contro i civili, e sottolineava che questo assunto era stato già sollevato in un incontro, alla presenza di un delegato del CLN provinciale, con il commissario "Federico" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Federico Sibilla] e con il comandante "Mancen" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Massimo Gismondi]
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

lunedì 20 novembre 2023

Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi...

Alto (CN). Fonte: Wikimedia

Il giorno 16 giunsi ad Alto. Là terminava la carrozzabile che saliva da Albenga per Castelbianco e Nasino. Inerpicato su un ripido pendio il paesino di Alto in quel marzo 1945 assomigliava stranamnente a Fontane in novembre. Castani spogli, cielo grigio piombo, viuzze fangose, cime e creste brulle ed a pascolo chiudevano a semicerchio la valle mascherando il varco che lasciava passare la mulattiera per Capraùna.
Alto; strano che Cascione avesse scelto per culla del movimento un luogo così cupo che, pur essendo ancora in Liguria, aveva già l'aspetto dei paesini d'alta montagna, dove la neve si fermava più a lungo, il clima era più freddo. Inesperienza? Motivi di sicurezza? Chi sa! Il fatto che la carrozzabile finisse ad Alto e quindi gli automezzi nemici potessero attaccare da una sola direzione e dopo una dura salita, la lontananza da altri paesi, quindi un maggiore controllo sugli abitanti e sullo spionaggio nemico possono aver fatto cadere la scelta su Alto. Ne dedussi anche che la banda di Cascione, dopo lo scontro di Montegrazie, dovette avere un atteggiamento difensivo analogo più o meno a quello adottato da noi nel periodo di stasi e depressione che ci colpì all'inizio del secondo inverno.
L'aspetto di Alto il 16 marzo era normale, nulla indicava che un lancio avesse luogo nelle vicinanze o che vi fossero concentramenti inconsueti di partigiani.
Che differenza con Garessio in luglio o Piaggia in ottobre. Allora una decina di partigiani riempiva un paese. Parevano migliaia e dopo un po' ti accorgevi che erano sempre le stesse facce. Ora invece pare che abbiano l'arte di scomparire.
Trovai Germano sulla piazza del paese; mi indicò la casa di Turbine [n.d.r.: Alfredo Coppola, capo squadra in seno alla II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"], uno degli incaricati del lancio. "Sta con la moglie" mi disse. Infatti anche Turbine nei giorni si scorsi si era sposato. Entrai: Basco [Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata], Turbine, Trentadue e qualche altro erano intorno a piatti di castagne e di latte.
"Sempre la solita cagnara" -  diceva Basco - "chi si alza prima comanda. Nessuno di noi conosce il messaggio speciale, né i comandanti di brigata, né i capibanda ed è giusto. Poi ti trovi tra i piedi uno del S.I.M. che ascolta la radio con te e si mette a gridare: «Ecco il messaggio, stasera c'è di nuovo il lancio!» - e tu ci fai la figura dello scemo. Il Comando ti garantisce che di lancio ne fanno uno solo perché la zona è pericolosa e così ti fa perdere il secondo. Ma perdere è poco, ti fa scannare a correre nel buio e tutto per niente. Poi ti fa aspettare tre giorni i signori della I Brigata ["Silvano Belgrano"] che vengano con comodo a ritirare la loro parte. Adesso la zona non è più rischiosa secondo il Comando...".
Ricordavo il Basco dello scorso luglio caposquadra della Matteotti: "Questa volta ci hanno fregato: siamo al buio in una zona che non conosciamo, ma domani non ci stiamo più".
Il capobanda del distaccamento "I. Rainis" aveva conservato lo spirito ribelle di allora. "Ci fanno i lanci adesso i signori inglesi. Sperano che diamo loro una mano quando verranno avanti. Quando avevamo bisogno di armi per difenderci, per vivere, allora niente".
"A Mauri i lanci; noi, che siamo comunisti, più moriamo meglio è. Ma i primi inglesi che vedo... Ma siamo in pochi e finirebbe come in Grecia. Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi... Naturalmente i signori del Comando non la penseranno così. L'anno scorso quando speravamo di scendere avevano abolito le stelle rosse, i fazzoletti, le bandiere, tutto quello che c'era di rosso, come se gli inglesi non ci conoscessero. Quelli del Comando stavano al centro a decidere e noi sui passi intorno a far la guardia, a difendere quelli che decidevano. Quando abbiamo capito che la nostra vita valeva la loro e abbiamo cercato un posto meno rischioso, il Comando è sparito, è diventato clandestino. Adesso che viene il buon tempo verranno di nuovo fuori, pianteranno gli uffici in un paese e diranno a noi delle bande di schierarci a difenderli, ma stavolta non ci riusciranno".
"Guardate Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante]: non ha preso mai un rastrellamento. Che furbo! Prima era al S.I.M. e quando le notizie eran brutte cambiava aria. Adesso è commissario e fa i comodi suoi. A Nasino ha un rifugio che è impossibile trovarlo. I poveri diavoli siamo noi che dobbiamo salvare gli uomini, il materiale e poi noi, se avanza il tempo".
"L'altro giorno trova un contadino che ha un permesso del Comando tedesco sotto il nastro del cappello, lo interroga e poi ci dà ordine di fucilarlo. Come se la vita degli altri non contasse niente! Noi abbiamo detto di sì e poi lo abbiamo lasciato andare. E' difficile giudicare uno ed è terribile condannarlo se non confessa. E' capitato a me con un S. Marco. Lo abbiamo interrogato per un giorno intero, ha sempre negato. Pure eravamo sicuri che era una spia.
Dovevo essere io a giudicarlo e vi assicuro che non ho chiuso occhio quella notte. Il giorno dopo era scappato. L'abbiamo ripreso per un miracolo ed allora ha confessato: era venuto su per tradirci. Ma se non avesse parlato non avrei avuto forse il coraggio di ucciderlo, neanche dopo la fuga".
Il tempo passava intorno alla stufa, qualcuno entrava, altri uscivano. Lungo il muro i sacchi del lancio erano comodi sedili, nella stanza più interna Trentadue aveva dormito immerso nei paracadute. Basco raccontava del tempo in cui era in Croazia come paracadutista: un giorno aveva aiutato i contadini a spegnere un incendio appiccato dagli alpini. Avevano avuto come compenso chili di miele. Un'altra volta avevano appostato una staffetta partigiana che passava di solito in uno stesso punto. L'avevano attesa a lungo, poi, appena avvistatala: una raffica e la staffetta era caduta: "Ci avvicinammo cautamente, quando fummo a pochi metri lo slavo fece scoppiare una bomba a mano. Si uccise ma distrusse i documenti che portava".
Episodi ed episodi, raccontati con naturalezza ed indifferenza. Ora si combatte da una parte, allora dall'altra. Ora si è rastrellati, allora si rastrellava. Si era mai chiesto Basco se vi era contraddizione fra le due guerre, se allora o ora si era nel giusto?
Allora il governo comandava di fare quello ed era naturale farlo, nessuno pensava a disubbidire apertamente. Ora i tedeschi non sono più sulle ali della vittoria, l'opinione pubblica è contro di loro e così è naturale esser partigiani. Cosa ha sostenuto questi giovani nel duro inverno? Il gusto dell'avventura? Il rancore per gli anni di guerra passati e subiti? Chissà...!
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 206-209

17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle tre linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera di cui si invia traduzione circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che "... il quartier generale tedesco si è trasferito nella palazzina Faravelli a Nava. I tedeschi, portandosi dietro il russo catturato ad Alto, hanno fatto una puntata a Gazzo e a Gavenola per arrestare 'Ramon' [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante"] e gli altri, ma, fortunatamente, il russo si è dimostrato leale e ha reso vana la puntata".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

domenica 1 ottobre 2023

Cimitero ha mandato ai fascisti una sua fotografia che ora figura in tutti i posti di blocco

Il partigiano Cimitero è il primo a sinistra. Fonte: Gino Glorio, op. cit. infra

Il giorno 13 [marzo 1945] sono di nuovo a Ginestro [Frazione del comune di Testico in provincia di Savona]: al centro staffette si è sempre informati degli ultimi avvenimenti. A Ginestro sono in allarme perché sulla carrozzabile per Testico è in transito una macchina nemica; poi i tedeschi si allontanano e tutto torna normale. Vedo Venezia: la staffetta per la Cascione che si sposta a cavallo di un mulo: «Eri tu il partigiano cui la pattuglia tedesca ha sparato addosso?».
«Esatto, e me la sono cavata con una storta».
Venezia era contento per l'incidente. Compresi solo allora quale incubo fosse per lui passare tutti i giorni la «28» [n.d.r.: statale del Col di Nava] pattugliata dal nemico. Mai una volta si era lamentato di quell'incarico, pure l'incidente che lo immobilizzava e che da tutti noi era temuto perché l'esser bloccati in caso di attacco poteva essere la fine, faceva brillare di gioia gli occhi di Venezia. Conobbi la nuova staffetta, provvisoria perché appena guarito Venezia avrebbe ripreso il suo servizio. «Mancen [n.d.r.: Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] ci ha chiamato tutti», mi aveva detto. «C'è bisogno di una staffetta per la Cascione, ci ha detto. E' una cosa rischiosa perché c'è da passar la strada tutti i giorni. Chi si offre? Nessuno ha risposto. Benissimo allora va tu. Ed ha preso me. Dir di no non potevo. Avrebbe detto che avevo paura e sarebbe stata la verità. Al posto del moschetto ho la pistola, dà meno nell'occhio e spara lo stesso», ha detto Mancen. «Se ti vuoi sparare poi è più comoda. Se ci penso mi sento sudare... Dirlo è facile... Ma certo vivo non mi faccio prendere». Almeno Venezia guarisse presto!
Al pomeriggio lasciai Ginestro accompagnando fin quasi a Testico la staffetta della I^ Brigata. Mi raccontò un episodio di pochi giorni prima nella Valle di Diano.
Uno sbandato si era presentato al parroco di Diano Arentino. Il prete gli aveva dato un biglietto indirizzandolo a suo nome a chi gli avrebbe dato dei viveri; lo sbandato era caduto nelle mani dei fascisti ed il biglietto era stato sequestrato. Il giorno dopo, mentre il parroco diceva la Messa, venne uno di corsa ad avvertirlo che una macchina saliva per lo stradone: erano fascisti che venivano a cercare lui. Il prete cercò di affrettarsi ma l'auto era più veloce ed in pochi minuti fu in paese e si fermò sulla piazza della chiesa. Ad Arentino c'erano Mancen e suo fratello, udirono il rumore della macchina, i fascisti su un'auto non potevano essere molti ed attaccando risolutamente... Mancen piombò sulla piazza spianando il mitra: «Arrendetevi!». Due fascisti che stavano uscendo dall'auto cercarono di sparare, ma vennero fulminati da una scarica, gli altri due si arresero. Il parroco uscì di chiesa. Mancen lo chiamò: «Reverendo cercano di voi». «Eravamo venuti per una informazione... Una cosa amichevole...» balbettò il commissario di polizia.
«Per una informazione siete venuti con tutte queste armi?» ribattè il parroco. Il bottino era di due mitra, quattro pistole Berretta ed una Mauser. I due prigionieri vennero portati al Comando e fucilati, malgrado le loro implorazioni. Il parroco si rese irreperibile. Il giorno dopo i fascisti tornarono ad Arentino, incendiarono la canonica e altre case; ripiegarono poi rapidamente prima dell'arrivo di Mancen con i suoi. Gli eventi della Val di Diano indicavano che il morale dei partigiani andava migliorando, che a poco a poco tornava il desiderio di misurarsi col nemico direttamente, non limitandosi più alla tattica dell'imboscata.
Le imboscate erano pur sempre le azioni più redditizie e provocavano al nemico un lento stillicidio di perdite, un'inquietudine per ogni spostamento.
Il nemico aveva terrore di noi e resisteva ad oltranza. Non era facile catturar vivo un repubblicano ed un fascista come l'anno scorso. Russo [n.d.r.: Tarquinio Garattini, comandante del Distaccamento "Angiolino Viani" della già citata I^ Brigata] con i suoi intimò la resa a due repubblicani, quelli estrassero le armi e vennero uccisi. Un tedesco sorpreso da quei di Pippo [n.d.r.: detto anche Bill, Giuseppe Saguato, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata] in Diano S. Pietro si fece ammazzare ma non si arrese. Un altro, appostato da quei di Stalin [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata] sulla «28» mentre passava in motocicletta frenò bruscamente alla prima raffica, sterzò e si gettò nella cunetta trincerandosi dietro alla macchina. Di là rispose al fuoco dei partigiani appostati a semicerchio finché un camion di truppe ci obbligò a sgomberare. Ricordavo che Stalin aveva preso in giro un altro capobanda perché aveva appostato gli uomini ai due lati della strada: «Al momento buono, per non colpirsi fra di loro, avevano dovuto rinunciare a sparare!», aveva commentato. Se quella volta però avesse avuto anche lui qualcuno oltre la «28» avrebbe preso il tedesco alle spalle.
Lasciata la staffetta della I presso Testico raggiungo Poggiobottaro [Frazione del comune di Testico (SV)].
Mi fermo pochi minuti perché trovo solo Livio [n.d.r.: Ugo Vitali responsabile SIM, Servizio Informazioni della Divisione "Silvio Bonfante"] e Citrato [n.d.r.: Angelo Ghiron, vice responsabile SIM della citata Divisione], poi prendo la mulattiera a fondovalle che porta a Degna [Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV)]. A poco a poco, inavvertitamente, riprendiamo confidenza con le mulattiere, con le strade battute dal nemico, qualcosa però dentro di noi si mantiene sempre in allarme, ad ogni curva sostiamo istintivamente attenti se udiamo dei passi. A fondovalle, ad una curva, sento due che salgono: uno scatto fuori strada, ma è troppo tardi: i due mi compaiono di fronte ed uno abbassa il mitra in posizione di sparo. L'altro gli tocca il braccio: «E' l'amministratore!» Il compagno solleva l'arma, fa un passo avanti e mi tende la mano: «Sono Cimitero. Due occhi neri, profondi, una capigliatura corvina che gli scende ad onde sulle spalle, statura alta, torace d'atleta. Tale mi apparve quella sera Cimitero [n.d.r.: Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio"] che avevo visto in agosto, ma che più non ricordavo. «Hanno ucciso suo padre e sua madre, mi avevano detto». Hanno preso la sua fidanzata e le hanno ucciso davanti un uomo: «Così finirai anche tu se non ci dai modo di prenderlo!». Le avevano detto, poi, visto che taceva, l'avevano uccisa.
Cimitero ha mandato ai fascisti una sua fotografia che ora figura in tutti i posti di blocco. «Ora lo conoscono ma non lo prenderanno mai!».
Arrivato a Degna trovo la popolazione in subbuglio: «E' passato Cimitero con un compagno tranquilli per lo stradone, poco dopo di loro sono passati i tedeschi della pattuglia, se si incontravano succedeva un macello!».
A poco a poco nella fantasia e nell'affetto popolare la figura di Cimitero con la giacca di telo da tenda, la capigliatura fluente, il nome funebre come il destino dei suoi fa presa ed ingigantisce.
La sera del 13 radio Londra manda l'atteso messaggio: il lancio è per questa notte. Le staffette partono dai posti di ascolto, il dispositivo di sicurezza entra in funzione, i distaccamenti incaricati occupano i passi, il Catter  [n.d.r.: distaccamento della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della richiamata Divisione Bonfante] si schiera sul campo di lancio.
Scesa la notte, un aereo volteggia nel cielo di Capraùna, in basso palpitano nel buio le luci accese dai partigiani. I paracadute si aprono l'uno dopo l'altro, poi in cielo si accende una piccola luce: è il segnale che il lancio è finito. L'aereo si allontana rombando. Recuperati ed aperti febbrilmente i bidoni vengono estratti Sten, fucili, caricatori e pacchi di munizioni. Luci sospette vengono segnalate, le nuove armi vengono caricate febbrilmente al chiarore dei tizzoni che si spengono, partigiani si alternano nella difesa e nella raccolta, le armi vengono distribuite perché il campo di lancio deve esser difeso ad oltranza fino a raccolta ultimata.
Recuperato il materiale scompaiono anche le luci sospette. I partigiani rientrano a Capraùna.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 199-202

15 marzo 1945 - Da "Marco" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che occorreva avvisare "Cimitero" dei rischi di delazione che stava correndo.
15 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che era giunto "a Diano Marina un numero consistente di soldati appartenenti alla fanteria tedesca che si fermeranno per la notte"; che, oltre alle 3 compagnie della GNR, ne agiva un'altra, O.P., al comando del capitano Ferraris; che ad Imperia vi era un'altra compagnia ancora dell'esercito repubblichino.
17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" ["Livio", Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ['Giorgio' Giorgio Olivero, comandante] - Riportava le notizie ricevute il 12 marzo da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Groot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio e, ancora, che sempre il 12 il comando della II^ Brigata "Nino Berio" aveva condannato e fatto giustiziare il commissario di P.S. Santo Miglietta e l'agente Attilio Sorbara, che erano stati catturati armati di mitra nella zona di Diano Marina.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati [n.d.r.: di cui si riportano qui di seguito significativi stralci]: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortai leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [n.d.r.: capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle...".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 25 novembre 2022

Un lancio alleato che non era stato destinato ai partigiani imperiesi

Rifugio Mongioie. Fonte: Mapio.net

Il mattino del 16 [novembre 1944] lasciammo Viozene [Frazione di Ormea (CN)]. Discutemmo un po' sulla via da tenere. La strada della Fascette era la più breve, ma forse era gelata. Pure parecchi di noi avrebbero voluto passare per Upega a salutare le tombe di Cion, Giulio e di tanti compagni noti ed ignoti. Scegliemmo infine l'altra via, quella del varco del Tanarello. Marciammo fino al pomeriggio, conoscevo la strada per averla fatta il 13 agosto. Pure quel giorno mi parve più lunga e più triste. Anche qui, come già oltre il Mongioie, alberi spogli e cumuli di foglie, fango gelato, ghiaccio e squallore.
Superato il varco del Tanarello trovammo una colonna di muli che bloccava il sentiero: erano le bestie che le popolazioni di Pigna, Langan, Triora avevano affidato alla V^ Brigata quando i tedeschi avevano cacciato i partigiani dalle retrovie del fronte francese. Erano sessanta muli che ci avevano seguito nella ritirata: «Se un giorno tornerete ci ridarete le nostre bestie. Se saranno morte pazienza, tanto se restano qui le prenderanno i tedeschi...», avevano detto i contadini di Pigna, ma ora i partigiani della V^ tornavano con i muli verso il sud. Chissà per dove erano passati? Forse per Val Casotto, non certo per il Bocchino. Anche la strada del Tanarello era in qualche punto impraticabile per i muli, solo le pecore vi passavano facilmente. Quelli della V^ vi si erano inoltrati restando bloccati. Dovemmo così lasciare la strada più breve ed inerpicarci sulla mulattiera di Baussun, il percorso era così allungato di qualche ora. Salimmo con la colonna fino in cresta, poi l'abbando­ nammo per scendere lungo il ripido pendio e raggiungere di nuovo il fiume. Passammo da Baussun dove in settembre c'era Battaglia con i suoi; ora i casoni erano deserti. Il tetto sfondato, la paglia fradicia.
Marciammo ancora a fondovalle per raggiungere Piaggia, intorno sempre lo stesso abbandono: fuochi spenti, carbonaie abbandonate, casolari deserti: dove i mesi scorsi ferveva la vita ora il freddo sole invernale stentava a fondere i ghiaccioli che ogni notte sulle rive del fiume si riformavano più spessi. Solo i partigiani si aggiravano ormai tra i rami stecchiti ed i pascoli brulli: il vento gelido delle cime ha spinto pastori e boscaioli verso il mare.
Ecco un gruppo di uomini che viene verso di noi sul nostro sentiero. Chi sono? Partigiani. Li abbiamo riconosciuti subito perché ci siamo accorti della loro presenza a breve distanza: il sentiero corre nel bosco.
Sono uomini di Martinengo, ci salutiamo, poi continuiamo il cammino. Ho già visto il primo di loro da qualche parte, non ricordo dove, poi marciando rammento: è lui, Nasone, il commissario di una banda della V che per conto di Turbine avevo cercato a Case di Nava [nel territorio del Comune di Pornassio (IM)] il 10 luglio. Giungiamo a Piaggia alle tre, troviamo Curto, Boris, Achille e qualche altro del comando divisionale. Pantera e gli altri del comando I^ Brigata erano partiti qualche istante prima verso la Val di Triora alla ricerca del gruppo di Osvaldo e Pablo. Scorgemmo il gruppo di Pantera che saliva rapido per la mulattiera che portava alla cima del Frontè, non ci sarebbe stato possibile raggiungerlo, eravamo stanchi e Pantera aveva un particolare motivo per sbrigarsi: i contadini, che avevano visto le giacche militari dei partigiani della V Brigata che erano con noi, gli avevano segnalato che un forte nucleo di tedeschi o repubblicani si avvicinava a Piaggia.
Sostammo a Piaggia. Poco dopo di noi giunse il dottore e comunicò di aver visto nel bosco dei paracadute impigliati nei rami. Era bene mandare degli uomini a controllare ed in caso a recuperare il materiale.
Perché gli alleati avevano effettuato un lancio in quella zona deserta? A chi era diretto? E' possibile che qualche fuoco acceso da sbandati abbia tratto in inganno gli aerei. Comunque quello era per noi il primo lancio! Qualche illusione, qualche speranza, ma per poco: non c'era niente di utile per noi, solo bombe di mortaio di un tipo inglese. Le seppellimmo, avremmo avvertito i badogliani, forse avremmo potuto combinare con loro qualche scambio, poi recuperammo i paracadute.
Curto e Boris partirono anche loro verso Triora. Noi restammo ancora. Era inutile inseguirci l'un l'altro, non ritenevamo probabile che il gruppo Osvaldo fosse in Val di Triora, fuori della zona della I^ Brigata: fin quando non avessimo saputo con precisione dove fossero ambedue i nuclei del comando I^ Brigata non ci saremmo mossi da Piaggia.
Il 15 passammo il Mongioie, il 16 rimanemmo a Viozene, il 17 giungemmo a Piaggia, il 18 partì Curto. Poco prima della partenza di Curto anche il dottor Caduceo e Cobra l'infermiere ci lasciarono. Ne avevano avuto autorizzazione dal Curto. Motivi di salute, hanno detto, in realtà le incognite della situazione e lo spostarsi in zone a loro poco note avevano fiaccato il loro morale. Caduceo sarebbe tornato a Viozene dove la popolazione mancava di dottori, Cobra lo avrebbe accompagnato. Non erano i primi e non sarebbero stati nemmeno gli ultimi compagni a lasciarci. Cobra mi affidò una valigetta con pochi medicinali. Io gli diedi una mia giacca, ci abbracciammo.
Eravamo stati buoni compagni perché rari erano gli studenti fra i garibaldini e la sua partenza mi rattristò. De Marchi e Gazzelli erano morti, Caduceo ci lasciava, la I^ Brigata restava così senza dottori, solo con Libero che era ancora uno studente di medicina, ma nessuno d'ora in poi sarebbe rimasto con noi se non per sua volontà. Purtroppo anche lasciando le formazioni partigiane gli ex San Marco non cancellavano il loro passato, venivano solo a perdere l'appoggio che, malgrado tutto, eravamo ancora in grado di dare con la nostra organizzazione e le nostre povere armi. Cobra e Caduceo si fermarono nell'alta Val Tanaro sperando di trovarvi una relativa sicurezza. Fu un errore che avrebbero scontato amaramente.
Passarono altri cinque partigiani, avevano lasciato la loro banda a Montegrosso di Mendatica, anche loro abbandonavano la lotta: la Cascione si andava lentamente sfaldando.
Un gruppo di noi era ancora occupato nel bosco col materiale del lancio quando scese la sera. A Piaggia eravamo rimasti in tre: Luigi, Cappello ed io.
Luigi era anziano, l'avevo conosciuto la sera del 2 luglio nel bosco di Rezzo quando ci eravamo presentati al comando garibaldino; Luigi quella sera aveva cantato la nostra canzone Katiuscia che io udivo allora per la prima volta. Chissà se se ne ricordava. Luigi si sarebbe fermato a Piaggia dove aveva delle conoscenze, Cappello ed io esitammo. L'ambiente di Piaggia era già freddo in ottobre; al nostro ritorno poi erano sorte divergenze col Curto per la scomparsa di zucchero ed altro materiale di Faravelli che prima dell'ultimo rastrellamento era stato affidato a civili. La popolazione, che, come abbiamo visto, si era allarmata credendoci tedeschi, pareva in quei giorni angustiata dalla nostra presenza: pure non avrebbe dovuto preoccuparsi per rappresaglie tedesche. Non ne aveva subite in ottobre per quanto il nemico avesse scoperto che era stata sede del nostro comando. Un contadino infatti era stato preso con un permesso di circolazione del comando della Cascione. Interrogato aveva portato i tedeschi all'albergo Saccarello dove il lasciapassare gli era stato consegnato. Le SS che occupavano il paese si erano limitate ad arrestare Pastorelli, proprietario dell'albergo ed a condannarlo a morte per un ordine del comando geoerale che prevedeva tale pena per tutti coloro che ospitavano partigiani. Anche Pastorelli si salvò, perché le SS lasciarono il paese ed il reparto di fanteria subentrato si convinse che l'albergo poteva esser stato da noi occupato senza il consenso del proprietario. Al posto del padre arrestarono il tredicenne figlio Pietro. Lo portarono nelle caserme di Tanarello nella neve e poi di nuovo a Piaggia a pelare patate fino allo sgombero del paese. Cosa la gente di Piaggia abbia pensato dell'imprevedibile contegno tedesco non saprei, era però evidente che aveva paura di noi e così prendemmo un po' di riso e di farina, resti di quella nascosta prima del rnstrellamento, e partimmo per Valcona dove avremmo trovato una famiglia amica che già in passato ci aveva accolto.
La strada per Valcona era coperta di uno strato di ghiaccio, il sentiero percorso decine di volte al buio o con la pioggia era diventato insidioso in pieno giorno. Rivedemmo Seppà dove era stato il comando della I^ in agosto: i due casoni erano deserti, gli usci scardinati. Ecco: lì erano state le stalle, qui il dormitorio; c'era ancora un po' di paglia, e lassù erano gli uffici: c'era ancora il rustico parapetto di legno costruito da noi. Sulla strada la fontana gettava sempre acqua, solo la vasca era in più punti gelata.
Proseguimmo, il rumore dei nostri passi era l'unico suono nel freddo crepuscolo. Anche a Valcona silenzio: che fossero partiti tutti?
Ecco il nostro ospedale, vediamo che ne è stato. La villetta esiste ancora, non l'hanno bruciata. Lì ci fermammo con Turbine il 4 luglio durante il temporale, lì sostai dal 1 al 9 settembre quando De Marchi vi curava i feriti. Ora De Marchi è nel cimitero di Upega. Che ne sarà stato della moglie di Curto e di quell'altra ragazza bionda che ci curavano? Come si chiamava? Silvana mi pare; doveva essere un'infermiera diplomata tanto era brava ed attiva.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

venerdì 11 dicembre 2020

Il rientro dei partigiani imperiesi da Fontane

Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN)
 
La partenza delle due brigate è concordata il 4 novembre 1944 durante una riunione dei comandanti e dei commissari, convocati nella sede del Comando divisionale.
Decisa la dislocazione della I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] nelle valli Arroscia, Pennavaira, Lerrone, Andora, Steria e nel Dianese, a levante del torrente Impero, partono nella mattinata del 5 novembre per la Liguria l'ufficiale alle operazioni Ercole Pario (Pablo) e il commissario "Osvaldo" [Osvaldo Contestabile], onde studiare i luoghi di destinazione dei distaccamenti.
Il giorno successivo iniziano il trasferimento verso Piaggia i distaccamenti "A. Viani" (che lascia la Val Corsaglia nelle prime ore del mattino), "G. Maccanò", "F. Airaldi" e il servizio SIM con una parte del Comando I^ Brigata.
I movimenti sono facilitati dalle informazioni del SIM, il quale accerta che, oltre la statale n. 28 e la val Tanaro, i Tedeschi avevano sgomberato l'alta valle Arroscia tra San Bernardo di Mendatica e Pogli (presso Albenga).
[...] Il commissario "Osvaldo", che durante il rientro aveva avuto colloqui con le Giunte Comunali di Mendatica, Pornassio e Pieve di Teco per discutere il modo di aiutare le formazioni in arrivo, a Gazzo il comandante "Ramon" [Raymond Rosso], rimasto in Liguria, che lo mette al corrente della situazione e dei movimenti del nemico, intento a preparare un rastrellamento nella zona; inoltre incarica il comandante Firminio Ghirardo di recuperare il materiale precedentemente nascosto. Pure a Gazzo, via Pieve di Teco, giungono altri elementi del Comando I^ Brigata: cuochi, intendenti, armieri, dattiografi, ecc.
Dopo la ritirata in Piemonte erano rimasti tagliati fuori, e in gran parte dislocati nella zona C (valli di Arroscia, di Albenga, di Andora) gruppi di garibaldini che vennero sovvenzionati, nel periodo di isolamento, dal CLN di Albenga (1° Settore circondariale). Inizialmente vi erano solo i distaccamenti di "Ramon" a Gazzo e di "Domatore" a Casanola Lerrone, in totale circa settacinque uomini. Vi giunsero poi "Basco" con 45 uomini, "Firmino", "Cipriano" e "Ugo" con cinquanta uomini, "Germano" con quindici e "Marco" con molti altri sbandati. In totale circa trecento uomini.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977
 
Il mese di novembre 1944 si apre per la IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" con nuovi attacchi ai suoi effettivi: la zona di accerchiamento è localizzata nell'alta Valle Argentina e nella zona di Pontedassio (IM).
Al Passo della Pistona uomini del VI° Distaccamento e del Battaglione "Peletta" cercarono di fermare i tedeschi, causando con più imboscate la morte di molti nemici.
Il giorno successivo, 2 novembre, le SS entrarono nella Chiesa di Ville San Pietro [Frazione di Borgomaro (IM)] per prelevare alcuni ostaggi.
Il 3 novembre i garibaldini contarono le loro perdite in vite umane in questi ultimi scontri, perdite che ammontavano a 10 unità.

Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN)

I partigiani dislocati [dopo la drammatica ritirata strategica del precedente mese di ottobre] a Fontane  [Frazione di Frabosa Soprana (CN)] divennero pessimisti circa la loro possibilità di rientro in Liguria, a causa delle informazioni che a loro giungevano circa l'occupazione tedesca delle Valli Impero e Argentina.
La sera del 5 novembre 1944 pervenne, però, la notizia che il nemico stava evacuando Ormea, Nava, Piaggia, Pieve di Teco ed altre località di rilievo strategico. La strada statale n. 28 del Colle di Nava poteva essere presa in considerazione per gli spostamenti delle forze garibaldine.
Il comando della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione" stabilì allora che reparti della I^ [I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" formata il 20 luglio 1944, che di lì a breve sarebbe stata accorpata alla nuova Divisione "Silvio Bonfante"] e della IV^ Brigata rientrassero scaglionati alle zone di provenienza.
Il 6 novembre iniziò il deflusso verso le Valli Arroscia, Pennavaira, Lerrone, Andora e Steria da parte della I^ Brigata, in particolare dei distaccamenti "A. Viani", "G. Maccanò", e "F. Airaldi", con parte del comando di Brigata. Vennero raggiunti il giorno successivo dal distaccamento mortaisti diretto a Montegrosso.
Avveniva, intanto, un gigantesco rastrellamento ai danni delle brigate "Mauri", che ebbe termine il 20 dicembre successivo, ma con la cancellazione di fatto delle forze badogliane dal Basso Piemonte. Tra le centinaia di questi partigiani, uccisi dai tedeschi, dai repubblichini della Divisione "Monterosa", dalla fame e dal freddo, figurava anche colui che aveva avuto il compito di recuperare il materiale lasciato dai garibaldini: Domenico Arnera (Aldo), di cui si dirà di più in seguito.
Il 6 novembre 1944 anche la V^ Brigata Garibaldi "Luigi Nuvoloni" iniziò un lento e cauto ritorno verso la Valle Argentina. Completato il rientro e reintegrati i dispersi degli ultimi giorni di ottobre, era adesso forte di 3 battaglioni per un totale di 10 distaccamenti.
Il comando della Divisione Garibaldi "Felice Cascione" pose la propria sede a Carpasio (IM). Data l'estrema difficoltà di collegamento tra la V^ e la I^ Brigata da una parte e con la IV^ dall'altra, il mese successivo stabilì che i due raggruppamenti, pur restando cooperanti, divenissero autonomi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 

Il 4 di novembre era giunta alle formazioni garibaldine in Piemonte, come abbiamo già scritto, la notizia che i Tedeschi avevano sgomberato la strada statale n. 28 e molti paesi del retroterra. La manovra fu chiara invece quando non procedettero anche allo sgombero della statale: Imperia, Cesio, colle San Bartolomeo, San Bernardo  di  Conio, passo della Teglia, Rezzo, Triora. Su questa rotabile potevano ancora transitare, ricostruendo con un minimo sforzo qualche ponte o tratto di strada distrutto. I Tedeschi avevano abbandonato le zone dove le strade erano più gravemente danneggiate od inservibili, ripromettendosi di ricostruire gradatamente tutti i ponti, guarnirli di stabile presidio e rioccupare così tutte le zone ove le distruzioni erano state riparate. Provvisoriamente il nemico poteva giungere a Pieve di Teco attraverso San Bernardo di Conio e Rezzo; altrove i danni provocati dalle distruzioni erano troppo  ingenti.
Intanto, uniformandosi alla circolare 53/D/4 dell'11 novembre 1944, trasmessa dal Comando divisionale alle brigate, che invitava a riprendere e ad intensificare la guerriglia contro il nemico, e autorizzava gli stessi distaccamenti a  procedere di propria iniziativa nell'azione, i Comandi e i garibaldini furono ben orgogliosi di riprendere i combattimenti, dopo venti giorni di stasi e di riorganizzazione, su tutta quella zona che i Tedeschi pensavano di aver ripulita dalle forze partigiane durante il rastrellamento di ottobre.
La Resistenza, con insistenti ed accaniti attacchi, faceva sentire ben viva la sua presenza e faceva comprendere al nemico, demoralizzato per le sconfitte subite sui fronti occidentale ed orientale, che nulla valevano i rastrellamenti contro la popolazione e i partigiani, decisi fino in fondo a difendere la libertà del loro paese.  
Francesco Biga, Op. cit.
 
... la costituzione del Centro Addestramento Reparti Speciali (CARS), voluto da Rodolfo Graziani nel marzo 1944 nel tentativo di debellare la presenza partigiana in zone strategicamente decisive per il controllo del territorio, come il Piemonte... Il centro era formato da tre reggimenti di cacciatori degli Appennini, il cui personale era fornito dalle forze armate di Graziani, dalla GNR e dalle federazioni fasciste; il CARS era connesso alla Wehrmacht da un ufficio di collegamento (Deutsche Verbindungs Kommando, DVK). Posti sotto il comando del generale Amilcare Farina fino alla fine di agosto e fissata la sede di comando a Torino, i reparti del CARS si erano distinti per la partecipazione alle maggiori operazioni antiguerriglia nell’area compresa tra Basso Piemonte e Liguria occidentale dal luglio al dicembre 1944 e nei primi due mesi dell’anno successivo. Il CARS operava alle dirette dipendenze del Co.Gu o comando controguerriglia, sorto per decisione dello Stato Maggiore Italiano nell’estate 1944 in una zona, il Piemonte, ritenuta ad alta concentrazione di «bande» con il compito specifico di combattere i «ribelli» e di organizzare i reparti presenti, quali appunto il CARS, la X Mas e diversi altri. L’azione del comando del Co.Gu era coordinata a quella di Tensfeld e del LXXV corpo d’armata della Wehrmacht. Nel luglio 1944 scendevano poi in Italia, dopo i mesi di addestramento in Germania, la divisione di marina San Marco (così ridenominata nell’aprile precedente; si trattava in realtà di una grande unità granatieri appartenente all’esercito), e la divisione da montagna Monte Rosa... Vaste azioni erano state poi condotte lungo le fondamentali direttrici di Cuneo-Imperia-Savona...  Di qui la decisione di Kesselring di indire due «settimane di lotta alle bande», sotto il comando di Willy Tensfeld e con il coinvolgimento delle truppe inquadrate nell’Armata Liguria, formalmente sotto il comando di Rodolfo Graziani, costituita dai reparti tedeschi che in precedenza avevano fatto parte prima del LXXXVII corpo d’armata e poi dell'Armeeabteilung von Zangen a cui si erano aggiunte le divisioni salodiane San Marco e Monterosa...
Fiammetta Balestracci, RASTRELLAMENTI E DEPORTAZIONE IN KL NELL'ITALIA OCCUPATA 1943-1945 in Il libro dei deportati, Vol. 4: L'Europa sotto il tallone di ferro. Dalle biografie ai quadri generali, Ugo Mursia Editore, 2015

venerdì 3 aprile 2020

La divulgazione tra i partigiani imperiesi di un telegramma di Togliatti


Circolare partigiana per la divulgazione di un telegramma di Togliatti - Fonte: Fondazione Gramsci

3 gennaio 1945 - Dal comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio Bonfante" a tutti i reparti dipendenti - Comunicava che "la zona in cui si opera è di immediato retrofronte, per cui serve gente convinta, mettendo al bando ogni forma di disfattismo. Occorre reagire agli atti di vandalismo del nemico". 

3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Ettore Bacigalupo” - Direttiva: "Occorre provvedere, nei paesi in cui non vi sono garibaldini, ad inquadrare i giovani nelle squadre di riserva locali. Queste dovranno sorvegliare i passi durante la notte. Si ricorda che l'adesione ha carattere volontario. Il comando di tali squadre spetta al vice comandante di Brigata".

3 gennaio 1945 - Da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] a Simon [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona Operativa Liguria] - Relazione sulla visita del comandante Curto alla Divisione Bonfante.

3 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria a Simon - Comunicava che "qualche elemento della Divisione Bonfante si è  presentato ai tedeschi, guidandoli in qualche azione di rastrellamento".

3 gennaio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 46, ai comandi dei Battaglioni ["Carlo Montagna", "G.B. Rodi" e "Orazio 'Ugo' Secondo"]: Trasmissione dell'ordine di sorvegliare attentamente la zona di appartenenza. Ricordati i doveri del capopattuglia. Consiglio di continuare l'addestramento all'uso delle armi ed alla guerriglia. Raccomandazione di fornire precise informazioni militari sulle formazioni nemiche.

3 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria, prot. n° 49, al comando della II^ Divisione ed al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante": Comunicazione del contenuto del telegramma di Ercoli (Palmiro Togliatti) del 1° novembre 1944. Monito a combattere ed a coinvolgere nella lotta i contadini.

3 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della II^ Divisione: Incarico ad alcuni partigiani di sgombrare determinati campi minati con il conseguente recupero di ordigni esplosivi.

3 gennaio 1945 - Dal comando della VI^ Divisione ai comandi dipendenti: Precisati i compiti delle varie intendenze.

4 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della II^ Divisione ed al comando della VI^ Divisione: Il massimo di spesa giornaliera per le missioni era fissato in 100 lire. Tutti gli oggetti di valore requisiti dovevano pervenire al Comando di Zona con apposita documentazione.

4 gennaio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Mario Bini" [comandante Gino Napolitano] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", prot. n° 33, al comando della V^ Brigata: Relazione militare: presenti a Pigna (IM) 60 tedeschi equipaggiati con armi leggere; artiglierie nemiche nel frattempo spostate da Pigna a Passo Muratone, Gouta e Margheria dei Boschi [località di Pigna (IM)].

4 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata, prot. n° 250, al comando della II^ Divisione: Trasmessa la relazione militare del I° Battaglione ricevuta con prot. n° 31

4 gennaio 1945 - Dal comando del I° Battaglione al comando della V^ Brigata: Comunicato che il comandante Gino [Luigi Napolitano, poi vicecomandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni"], Danko [Giovanni Gatti, comandante di un Distaccamento] e le loro squadre chiedevano chiarimenti sul comportamento dell'ex comandante Peletta [Giovanni Alessio], che si era nuovamente autodefinito comandante del I° Battaglione.

4 gennaio 1945 - Dal comando del I° Battaglione, prot. n° 32, al comando della V^ Brigata: Relazione militare: a Isolabona (IM) presenti 200 tedeschi; 200 tedeschi anche ad Apricale (IM); 300 a Dolceacqua (IM); a Perinaldo (IM) una squadra di 20 tedeschi per riparare la strada Perinaldo-San Romolo; da Sanremo (IM) 2 M.A.S., con a bordo uomini della X^ Flottiglia disertori dalle fila repubblichine, forse diretti alla costa francese. A Baiardo (IM) il tenente dei bersaglieri ben visto dalla popolazione perché per Natale aveva regalato sigarette e liquori. 

5 gennaio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" ed al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Si rendeva noto l'arrivo a Taggia (IM) di bersaglieri che avrebbero dovuto compiere rastrellamenti a Sanremo, Ceriana e Valle Argentina. Continuavano i lavori difensivi del nemico sul litorale e lungo la Valle Argentina.
 
5 gennaio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Mario Bini" al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" - Relazione sul mese di dicembre 1944: "riorganizzati i 3 Distaccamenti dipendenti. Uccise 4 spie. Uccisi il 1° dicembre un capitano ed tenente tedeschi. Il 3 dicembre una squadra ha attaccato il presidio dei bersaglieri di Ceriana, uccidendone 20. Il 13 alcune mine provocavano la morte di 16 tedeschi. Il 20 dicembre morivano 2 garibaldini".

5 gennaio 1945 - Da "Nilo" [Quanito De Benedetti] al C.L.N. di Sanremo (IM) - Comunicava che nella notte era avvenuto uno scontro a fuoco tra partigiani e tedeschi nella zona di Madonna della Costa a Sanremo. 
 
6 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" [comandante "Giorgio" Giorgio Olivero] a tutti i reparti - Si comunicava che il comandante "Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione] era autorizzato a prelevare somme presso il C.L.N. ed i privati.

6 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" ai commissari delle Brigate dipendenti - Sollecito a fornire pensieri scritti da garibaldini per creare un giornale partigiano.

6 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" al C.L.N. di Imperia - Richiesta di autorizzazione a prelievo forzato di merci varie a carico di 5 privati.

6 gennaio 1945 - Dal Distaccamento di "Pancho" [Giacomo Corradi] al comando del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che c'era stato un rastrellamento nemico al Passo della Verna ai danni del Distaccamento "Luigi Novella" del I° Battaglione "Carlo Montagna", ma che erano stati, tuttavia, catturati 2 tedeschi (o austriaci).

6 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. N° 253, al comando della II^ Divisione - Comunicava un rastrellamento avvenuto nella zona di Badalucco da parte di 3 colonne nemiche, provenienti da Molini di Triora (IM), Diano Marina (IM) ed Imperia. Una colonna che lasciava Badalucco era stata attaccata dalla V^ Brigata, che aveva recuperato un mortaio da 81 mm. La forza attaccante era composta in massima parte da fascisti e repubblichini, quasi tutti liguri: pochi i tedeschi.

6 gennaio 1945 - Dal II° Battaglione "Marco Dino Rossi" [comandante "Moscone" Basilio Mosconi] al comando della V^ Brigata - Comunicava che i Distaccamenti "Mia" e "Serpe" avevano effettuato uno scontro a fuoco contro i nemici vicino a Glori [località di Molini di Triora (IM), in Valle Argentina] e  recuperato un mortaio da 81 mm abbandonato dal nemico in fuga.

6 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" al comando della I^ Brigata S.A.P. "Walter Berio" - Si chiedeva, dato che l'8° Distaccamento aveva prelevato senza autorizzazione 40 kg. di olio d'oliva, che poi distribuì alla popolazione, una verifica della correttezza della distribuzione così effettuata e si diffidava dal compiere altre iniziative personali di tale genere.

7 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] di Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione - Si avvertiva di un prossimo rastrellamento ad opera della compagnia O.P. del capitano Ferrari di concerto con tedeschi di stanza a Taggia (IM) o nella Val Tanaro. "I 100 uomini della O.P. hanno morale alto e sono forniti di armamento automatico. Ad un milite è stato chiesto il motivo per cui osavano avventurarsi in così  pochi in zone infide". La risposta era stata che potevano per l'appunto contare sul supporto di forze tedesche.

7 gennaio 1945 - Dalla II^ Divisione al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Sulla risposta di giovani alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale si opina che "coloro che si sono presentati sono i giovani imboscati di sempre; gli ex garibaldini si contano sulla punta delle dita e sono quasi tutti presi [si contava probabilmente sulla possibilità che questi ultimi facessero da infiltrati]. Da rammentare ai giovani quanto accaduto a Baiardo "dove i giovani presentatisi vennero in parte fucilati ed in parte inviati in Germania. Fenomeno, comunque, da circoscrivere a Molini di Triora, l'unica che ha sempre una netta ostilità contro il movimento partigiano".

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999