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domenica 7 luglio 2024

Il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza

Fontane, Frazione del comune di Frabosa Soprana CN): manifestazione in ricordo della Resistenza del 21 ottobre 2013

A seguito dell'attacco a Baiardo [10 marzo 1945] da parte di Distaccamenti della V^ Brigata [della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"], si scatena furiosa la reazione nemica. Vittorio Guglielmo (Vittò), comandante della "Cascione", (il quale non aveva partecipato all'azione perché a livello tattico, secondo lui, era impossibile conquistare il caposaldo nemico), il "Curto", Armando Izzo comandante della V^ Brigata, il capitano inglese Bentley, il suo radiotelegrafista Mc Dougall, Guido Arnaldi (Guido), Felice Miraglio (Felice), Maiano Alfredo (Lupo), ed altri garibaldini quali staffette o addetti al deposito Intendenza sito nelle case della borgata di Gerbonte, si mettono in marcia verso la stessa grotta pensando di trovarvi rifugio sicuro. Intanto nella notte tra il 10 e l'11 giungono da Sanremo truppe tedesche appartenenti ai RAP (Raggruppamento Anti Partigiani), che riescono a prendere di sorpresa la suddetta borgata senza che fosse dato alcun allarme. Però la tattica partigiana era quella di non rimanere molto tempo nei luoghi abitati. Questa tattica salva il gruppo di uomini menzionati dall'accerchiamento. Infatti, su invito di "Vittò" e di "Curto", che intuiscono il pericolo vicino, prima dell'alba gli uomini, abbandonando Gerbonte e incamminandosi nel torrente Argentina, si dirigono verso la grande grotta che si apre su una parete verticale nelle rocche di Loreto-Ciaberta per rifugiarvisi (raggiungere la grotta voleva dire salire per una scala di corda lunga una ventina di metri). Però, durante lo spostamento, "Vittò", che è in testa alla colonna, scorge nell'oscurità una pattuglia, forse nemica, ad un centinaio di metri di distanza, che marcia in senso contrario. Per non destare allarme e dato che non è sicuro di chi siano, non dice niente e tutto finisce liscio.
Quando il gruppo raggiunge la grotta in posizione di sicurezza, il capitano Bentley si accorge di avere dimenticato l'antenna della radio trasmittente nelle case di Gerbonte, per cui si presenta la necessità di andarla a recuperare. Viene incaricato della missione la staffetta "Lupo", il quale, purtroppo, appena giunto sul posto, viene colpito dal nemico che già si trova nei dintorni: una raffica di arma automatica lo coglie ignaro e lo piega senza lasciargli il tempo di pronunciare una sola parola. Il ritardo del ritorno di "Lupo" fa insospettire il gruppo, per cui parte in missione il garibaldino "Felice". Anch'esso, dopo aver sentito le raffiche nemiche, cerca di mettersi al riparo, ma un colpo di Mauser lo colpisce a morte. E' giorno fatto e le mitragliatrici tedesche piazzate a Creppo impediscono ogni ulteriore tentativo di salvataggio per i due compagni, oramai caduti. Lo stesso giorno 11, nei pressi di Bregalla, viene ucciso dai Tedeschi il garibaldino Paolo Oddo (Bruno).
Catturati il 3 marzo in Grattino (Valle Argentina), dopo otto giorni di torture subite a Molini di Triora dove erano stati condotti, i garibaldini Quinto Verrando (Basilede) e Livio Maggi (Maggio) sono obbligati a ritornare nei pressi di Agaggio Superiore, in località dove i Tedeschi pensavano fossero i partigiani, perché ne indicassero l'ubicazione precisa. Rifiutatisi di parlare, in Pian del Carré ricevono un colpo di pistola alla nuca. Quinto muore subito, mentre il compagno Maggi viene lasciato agonizzante, nella sua pozza di sangue: soccorso dai contadini, morirà dopo una diecina di giorni di indicibili sofferenze. Anche i garibaldini Giobatta Lanteri (Seccù) e Gustavo Stoppiani cadono in combattimento, l'uno nei pressi di Goina (Triora) e l'altro a Molini di Triora. A Latte di Ventimiglia, il 13 è fucilato il garibaldino Guido Costanzo (Clark).
Ritornando alla grotta, il gruppo vi rimane per tre giorni. Ma, poiché le batterie della radiotrasmittente sono scariche, il radiotelegrafista inglese Mac Dougall, accompagnato da "Guido", è obbligato a recarsi alla centrale elettrica di Loreto per caricarle. Costruita un'antenna di emergenza, il radiotelegrafista tenta nuovi collegamenti con Nizza. Individuata la fonte delle onde della trasmittente, i Tedeschi continuano i rastrellamenti nel torrente Argentina e sulla montagna, ma con esito negativo. Non immaginano che le onde radio escano da una parete rocciosa, verticale, della montagna.
Dopo tre giorni, essendo la zona rastrellata dai Tedeschi, che continuano a pattugliare i dintorni, e non potendo quindi effettuare le trasmissioni per la vicina presenza nemica, "Curto" consiglia di cambiare zona. Alle prospettate difficoltà da parte di "Guido", che ritiene pericoloso lo spostamento, quello, nel tipico dialetto ligure, risponde: "Nel libro dei garibaldini non c'è scritta la parola paura", per cui esce per primo. Inosservato, tra colonne tedesche, riesce a spostarsi per raggiungere il territorio della V^ Brigata, a levante della Valle Argentina. Dietro di lui, uno ad uno, escono anche gli altri componenti il gruppo, tranne i due Inglesi, paralizzati dal terrore, ma sono obbligati a rassegnarsi alla sorte e a seguire gli altri.
Mentre ci stiamo avvicinando ai giorni dei lanci aerei, ai quali dedicheremo nei prossimi capitoli ampio spazio, seguiamo un momento l'itinerario di marcia e spostamento del Comando I^ Zona Operativa Liguria verso il campo dei lanci stesso.
Questo Comando istituito, come sappiamo, il 21 dicembre 1944, nel marzo 1945 è così composto:
Comandante: Nino Siccardi (Curto); Commissario: Lorenzo Musso (Sumi); Ispettore: Raffaello Paoletti (Giulio).
Il gruppo, messosi in movimento e attraversato il torrente Argentina, per Bregalla, Monte Pellegrino, verso mezzanotte giunge tra la galleria del Garezzo e San Bernardo dove pernotta. Il giorno dopo marcia verso la valle di Mendatica che è coperta di nebbia, mentre è in corso un vasto rastrellamento. Si odono raffiche di mitra e colpi di fucile Mauser. Infine, per San Bernardo di Mendatica e Valcona giunge a Upega, dove i componenti, dopo tre giorni di fame, riescono a mangiare un piatto di minestrone caldo. Nel pomeriggio al gruppo si aggregano tre prigionieri russi che hanno disertato dai Tedeschi. Il gruppo pernotta a Upega, dove il mattino del 16 da una centralina locale il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza; ma il collegamento non riesce a causa della corrente elettrica che è alternata. Successivamente il gruppo si sposta nuovamente a Valcona dove rimane altri tre gioni, e poi a Pian Rosso, a monte di Viozene, dove si prevede avvengano i lanci. Don Paolo Regis, parroco locale, si reca ad Ormea, nel tentativo di far ricaricare le batterie della trasmittente. Ma il tentativo non riesce, anzi, viene fermato dai Tedeschi mentre transita con la batteria sulla bicicletta. Si salva per fortuito caso. Il 23, nell'impossibilità di effettuare le trasmissioni, il radiotelegrafista Mac, "Sumi", il parroco e "Guido", tentano di raggiungere Fontane di Frabosa attraverso il Bochin d'Azeo (Mongioie) innevato. Vi riescono in un modo drammatico; ad ogni modo, giunti a Fontane, effettuano alcune trasmissioni. Il radiotelegrafìsta rimarrà sul posto fino al primo lancio che avverrà quasi alla fine di marzo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 238-241

martedì 4 giugno 2024

Era partita una donna con l'incarico di spiare i garibaldini

Pompeiana (IM)

29 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 233/SIM, al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che una donna, figlia di una persona uccisa dai partigiani, intendeva fare catturare "Veloce" dalle SS, per cui, essendo risaputo che scendeva spesso a Pompeiana (IM), sottolineava che occorreva avvertire quel garibaldino del pericolo incombente.
31 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militare] "Fondo Valle" della II^ Divisione "Felice Cascione" all'Ufficio informazioni e spionaggio della I^ Zona Operativa Liguria - Relazionava che "... nella giornata in corso sono stati fucilati 10 garibaldini prigionieri lungo la salita di Capo Berta come rappresaglia all'uccisione di 2 tedeschi. Il mio cuore sanguina troppo per commentare. La causa di tutto è la famosa donna che ben conoscete..."
10 febbraio 1945 - Dal CLN di Genova al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Invito a processare il signor Bossi e la moglie per tradimento.
22 febbraio 1945 - Documento con il quale ai quadri partigiani interessati si trasmetteva la descrizione fisica della spia Rina Bocio, del servizio informazioni del nemico: "alta 1,65 metri, bruna, capelli corti, molto scura in viso..."
23 febbraio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando del I° Battaglione "Carlo Montagna" - Venivano richieste informazioni di carattere organizzativo e si emanava l'ordine di arrestare la signorina "Vera" di Montegrazie [Frazione di Imperia] che, già inquadrata nella I^ Brigata partigiana, era diventata ausiliaria della divisione fascista San Marco, nonché di sorvegliare il fidanzato di quella, un altro ex garibaldino, "Daladier".
7 marzo 1945 - Dalla GNR comando provinciale, ufficio servizi, prot. n° 3124/B.5P, al nucleo della polizia investigativa della GNR di Alassio (SV) - Si indicava al maresciallo Ferrero di chiedere alla signora Ernesta Ordano informazioni sui "ribelli" della zona di Stellanello, numero, movimenti, nominativi delle famiglie che li informavano, dato che la signora voleva la cattura della figlia che faceva parte dei "ribelli" in quella zona.
7 marzo 1945 - Da Ernesta Ordano al nucleo della polizia investigativa della G.N.R. di Alassio (SV) - Riferiva che la figlia, partigiana "Paola", era armata di pistola e moschetto, che il numero di "ribelli" a Stellanello era imprecisato, perché "tutta Stellanello ne è infestata", e forniva un elenco, con annotazioni sui singoli, di cittadini di Villarelli [Frazione di Stellanello (SV)], sottolineando che erano "tutti a favore dei fuorilegge" (nel fascicolo sono presenti anche due lettere del marito alla Ordano per tranquilizzarla sulle "buone intenzioni della polizia investigativa").
15 marzo 1945 - Dal CLN di Alassio alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, in risposta alla lettera prot. n°1/83 del 9 marzo 1945, erano state date disposizioni verso il Brinis residente ad Alassio; che riguardo a "Scippa" era stato informato il CLN di Albenga; che si stava indagando su "Pippo" e "Giacomo"; ... che in giornata era partita una staffetta recante notizie di Ernesta [Ordano, rivelatasi presto una spia nemica] e del marito Vittorino "Barbetta".
27 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110 bis, al CLN di Alassio ed al comando della VI^ Divisione - Chiedeva quale fosse la data per l'arresto ed il processo alla spia Ernesta Ordano, stabilita in un primo tempo per il 26 marzo, ma fatta annullare, come riferito da "Lillo", dal CLN di Alassio...
29 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava, in riferimento alla lettera del SIM prot. n° 107 del 21 marzo 1945, che la signora Scialdema era "partita per ignota destinazione"; che si stava praticando "una stretta sorveglianza" sulla signora Maria Raffaello...
28 marzo 1945 - Da "Carmelita" al C.L.N. di Sanremo - Segnalava che ... un'altra informatrice era una donna sudamericana di nome "Pegg", intima amica del Neri stesso.
30 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM [responsabile "Livio", Ugo Vitali] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Avvertiva che "... alla Prefettura di Imperia si trova una donna che funge da interprete: risulta facilmente corruttibile dal punto di vista sentimentale..."
2 aprile 1945 - Da "Violetta" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che "... sussistevano gravi indizi a carico della concubina del commissario Franco [Giovanni Trucco caduto in combattimento a Trovasta il 27 marzo], signora Angiolina, che era con i tedeschi a San Luigi..."
2 aprile 1945 - Da "Sergio" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava... che Vittorio Castellani, di professione carrettiere, aveva fornito informazioni alla già nota Ernesta Ordano...
3 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 126, al comando della VI^ Divisione - Si segnalava l'individuazione della spia Rina Boero a Gazzo [Frazione di Erli (SV)].
3 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando del Distaccamento "Franco Piacentini" ed al comando del Distaccamento "Marco Agnese" - Segnalava che da Alassio era partita una donna, di cui veniva fornita la descrizione fisica, "diretta verso la montagna con l'incarico di spiare i garibaldini".
7 aprile 1945 - Da "Biscio" alla sezione S.I.M. della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che dopo la cattura degli uomini del Distaccamento di "Franco", Angiolina [Angela Bertone], ex fidanzata del commissario di quel Distaccamento, aveva accompagnato i tedeschi in una puntata su Vergana con la quale i nemici avevano bruciato 25 case, tra cui quella di "Ilda" [Gilda Piana], informatrice della Divisione, la quale aveva già subito un arresto sempre per opera della ricordata Angiolina...
11 maggio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Carlo Montagna" [comandante Giovanni Alessio "Peletta", commissario politico G.B. Pastorelli "Sferra"] della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" [comandante Umberto Bonomini "Brescia", vice comandante Angelo Setti "Mirko", commissario Mario Bruna "Falco"] della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione - Comunicava che... il 16 aprile 1945 una pattuglia del III° Distaccamento "Nino Stella" [comandante Maurizio Massabò "Italo"] a Piani [Frazione di Imperia] aveva catturato insieme alla moglie il soldato "Romolo", nota spia ed aveva passato entrambi per le armi.
da documentiIsrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Anche nel caso riguardante Angela B. guerra civile e guerra tra i generi si contaminano <232. La donna aveva fornito informazioni ai reparti tedeschi di stanza ad Acquetico (in provincia di Imperia) a proposito di una banda partigiana di cui faceva parte anche il fidanzato, Nino D. In seguito i tedeschi operavano un rastrellamento, catturavano e uccidevano dodici partigiani, tra cui lo stesso fidanzato di Angela. La ragazza lavorava per i tedeschi, come addetta alla cucina, si era legata in una nuova relazione amorosa con un milite fascista repubblicano, e secondo un informativa del 30 aprile 1945, aveva avuto relazioni sessuali con altri soldati <233. L’informatore ricordava che “in paese correva voce che quest’ultimo [Nino D.] fosse nei confronti della fidanzata molto geloso e talvolta - per pretesa infedeltà - minaccioso e violento” <234 e dunque non escludeva che “l’incriminata [avesse] fatto la spia per togliere di mezzo il fidanzato e salvarsi così dalle sue giustificate reazioni, non esclusa quella di toglierle la vita” <235.
Tra queste vicende in cui si intrecciano amore, sesso e morte, devono essere menzionate anche quelle riguardanti alcune prostitute, che troviamo spesso tra le imputate di collaborazionismo. In alcuni casi si ravvisa un intreccio tra la loro attività professionale e le delazioni che esse compiono al fine di far arrestare dei partigiani o dei loro sostenitori. Entrando in intimità con i loro clienti infatti spesso potevano carpire notizie sull’identità clandestina o su dislocazioni di bande e armi, e non esitavano quindi a informarne le autorità competenti, spesso per denaro, per ottenere piccoli vantaggi o per rovesciare le dinamiche di potere sui loro clienti. Spesso sono infatti i deboli, gli esclusi della società ad avvicinarsi al potente di turno per riscattarsi dell’emarginazione subita e per rivalersi su chi li sfruttava in tempo di pace.
Si riporta per esempio la vicenda che coinvolge due prostitute imperiesi, Silvana M. e Alba P., accusate di aver provocato l’arresto di un partigiano <236. Dalle testimonianze e dalle deposizioni delle imputate si evince che Alba P. aveva incontrato in strada il partigiano, che conosceva di vista e che gli aveva chiesto di organizzare un incontro con Silvana M., con la quale desiderava avere un rapporto sessuale. Alba P. lo aveva accompagnato nella loro abitazione, dove però Silvana si era rifiutata di soggiacere ai desideri dell’uomo. Tuttavia i tre erano rimasti per un po’ a parlare e l’uomo aveva confidato alle due donne di essere un partigiano, fornendo anche alcune indicazioni più precise sulla sua attività. Silvana M. si allontanava allora per circa dieci minuti con il pretesto di avere un appuntamento con un suo amico marinaio. Una volta rientrata in casa, dopo qualche minuto, si udiva un fischio e la donna si allontanava precipitosamente. Subito dopo irrompevano quindi nell’abitazione quattro o cinque tedeschi armati che dichiaravano immediatamente in arresto il partigiano, mentre altri tedeschi sostavano all’ingresso del portone. Fra i tedeschi era presente anche certo Fritz, amante della stessa Silvana M. <237.
[...] Nel dicembre 1944 per esempio Giuseppina C. e sua sorella si erano trasferite da Mondovì a Vasia per partecipare alla stagionale raccolta di olive. Durante la loro permanenza nel paese, avevano stabilito rapporti di amicizia con un gruppo di partigiani, con i quali si intrattenevano spesso, e in particolare Giuseppina si era fidanzata con uno di loro, Giuseppe S. La loro relazione era trascorsa serenamente, finché il partigiano aveva trovato una lettera scritta dalla donna a un milite della compagnia Ordine Pubblico (OP) di Savona. Dalla deposizione dello stesso partigiano al processo sembra che il contenuto della missiva fosse privato, sembra insomma che la donna avesse anche col milite fascista repubblicano una relazione amorosa. Tuttavia Giuseppina e la sorella furono sospettate e accusate dai partigiani di essere delle spie infiltrate e, dopo otto giorni di reclusione e dopo aver subito un processo da un Tribunale partigiano, furono portate in una località appartata e fucilate. La sorella di Giuseppina moriva sul colpo, mentre lei, riusciva a salvarsi. Ferita a una gamba, si fingeva morta e successivamente riusciva a raggiungere la compagnia OP di Dolcedo e a mettersi quindi in salvo. La mattina seguente si offriva di guidare i soldati nella zona, per rintracciare il corpo della sorella. Veniva quindi avviata un’azione di rastrellamento durante la quale venivano incendiate diverse abitazioni <239.
[...] Ancora, Erminia O. era una fervente fascista ed era sposata con un maresciallo della Gnr che, il 28 agosto 1944, fu prelevato e ucciso dai partigiani. Erminia stessa, precedentemente, era stata catturata e le erano stati tagliati i capelli, ma successivamente era stata rilasciata. Dopo l’uccisione del marito aveva così pronunciato l’intenzione di farla pagare ai resistenti. Secondo le accuse avrebbe quindi indicato i nominativi di sette partigiani della zona di Case di Nava (Imperia), uno dei quali sarebbe poi stato fucilato <252.
[...] Per alcune la violenza è metodo della guerra ideologica, che si collega a quella che è stata definita la “prima guerra civile” degli anni ’20. Maria S. infatti rivendica con orgoglio la propria appartenenza alle squadre d’azione dell’imperiese e le proprie azioni violente <263. Il 23 marzo 1939 infatti scriveva al segretario federale del Pnf di Imperia per richiedere la qualifica di squadrista:
"Io sottoscritta Rag. S. Maria, impiegata di ruolo nel comune di Sanremo, donna fascista iscritta al Pnf dalla fondazione, madre di 5 figli (4 viventi), porge rispettosa istanza a V. S. Ill.ma affinché voglia compiacervi e riconoscere e concedermi la qualifica di squadrista per mio alto onore e ad esempio dei miei quattro figli!
Specifico che negli anni 1920 e seguenti ero studentessa ad Imperia […] fui delle primissime fasciste ed appartenni alla squadra d’azione studentesca […]. Il capitano R[…] Giuseppe potrà confermare che ero con lui nella squadra quando diedero le salde manganellate al professor B [...] sul piazzale delle nostre scuole a Porto Maurizio […]
Io sono quella studentessa fascista che con il capitano R […], P[…], tenente di vascello R […], rag. Mario M […], rag. M […], capitano C […], durante gli scioperi ferroviari nella stazione di P. Maurizio, ho attaccati due vagoni merci, ad un vagone viaggiatori il tutto pilotato da studenti[…] sfidando il pericolo minacciato che avrebbero fatto saltare il treno […]" <264
Aderire al fascismo repubblicano dovette dunque sembrarle una naturale continuazione di quella sua attività ante-regime: collaborava infatti come informatrice con brigate nere e SS tedesche, provocando arresti e rastrellamenti. Dai testimoni al processo venne descritta come donna violenta, che si aggirava armata per il paese alla ricerca di notizie scottanti da riferire ai suoi superiori. Così per esempio la descriveva un suo compaesano:
"[…] è risultato che la S. Maria collaborava in tutti i modi con le SS tedesche, tanto che andava armata di pistola, che portava dentro la borsetta, arma che nessun’altra si sarebbe permessa di portare se non fosse stata autorizzata, come era lei, e se non avesse avuto i motivi per portarla" <265.
Maria S. fu responsabile solo indirettamente dei rastrellamenti, informando le autorità competenti della presenza di partigiani, tuttavia dimostrò sempre un carattere aggressivo. Diverse vittime riportavano alcune sue espressioni, in cui manifestava le sue intenzioni di agire in modo violento. Diceva per esempio Assunta G. nel verbale del 4 luglio 1945 nella stazione dei Carabinieri di Sanremo:
"[…] Allora la S. aggiunse che [se] le avessero dato il comando a lei per 4 o 5 ore avrebbe distrutto tutti i ribelli e gli avrebbe tagliato gli organi virili e glieli avrebbe fatti mangiare prima di ucciderli" <266.
[...] Nei giorni seguenti proseguivano poi le azioni per sgominare la banda partigiana con cui era entrata in contatto la “donna velata”: tra il 13 e il 14 gennaio [1945] venivano arrestati alcuni componenti della formazione, tra cui Adolfo S. e Girolamo A., che venivano sottoposti a giudizio di fronte a un tribunale militare tedesco insieme ad un’altra ventina di uomini. Durante il processo, in seguito alle accuse mosse dalla stessa donna, veniva decretata la pena di morte, eseguita tramite fucilazione nei giorni successivi <276.
Lo stesso 14 gennaio, Maria Z. partecipava a un rastrellamento nella zona di S. Agata condotto da italiani e tedeschi insieme. Uomini e donne venivano prelevati dalle proprie abitazioni e portati sulla piazza della chiesa, dove a uno a uno erano interrogati con i soliti metodi brutali. Giovannina M., che aveva conosciuto Maria Z. personalmente durante la sua permanenza tra i partigiani nel novembre 1944 e a cui aveva confidato che il proprio fidanzato, Carlo M., era un partigiano, per esempio dichiarava:
"Dopo circa due mesi e precisamente il 14 gennaio u.s. durante un rastrellamento effettuato in Sant’Agata, mi rividi nella mia abitazione, mentre mi trovavo a letto, la donna velata, la quale avvicinatasi al mio letto nell’impormi di alzarmi mi diede uno schiaffo. Poi, dietro il fatto della mia confidenza fattale, come sopra ho detto, essa donna velata mi chiese dov’era il mio fidanzato. Dopo averle risposto negativamente essa mi portò unitamente ad elementi nazifascisti nella Piazza della Chiesa, ove venni ancora interrogata e di nuovo picchiata dalla donna velata, dal tenente F. e da alcuni tedeschi. Dopo di ciò fui portata nella caserma “Muti” di Porto Maurizio ove rimasi rinchiusa per circa una settimana ed in seguito liberata" <277.
Raccontava anche Ernesto R., sfollato nel comune di S. Agata [n.d.r.: in effetti, Frazione del comune di Imperia]:
"[…] Dopo che siamo stati riuniti sulla piazza, ad uno ad uno venivamo chiamati in disparte e dopo un breve interrogatorio venivamo picchiati a sangue dai sopraddetti dirigenti l’operazione di rastrellamento. Quando fu la mia volta, fui interrogato dalla Z. Maria, la quale insisteva perché le dessi i nomi dei partigiani del paese. Alle mie risposte negative, che d’altronde dichiaravo di non conoscere nessuno del paese essendo ivi sfollato, la Z. Maria mi percuoteva a sangue sul viso con la pistola che essa teneva, gridandomi in faccia che lassù eravamo tutti ribelli e che nessuno voleva confessarlo. Finito il rastrellamento io e altro gruppo di circa quindici rastrellati fummo condotti a Imperia nella Caserma della Gnr ove parte di noi venne nuovamente interrogata e malmenata. Dopo circa un’ora io ed altre sei persone fummo rilasciati mentre gli altri venivano avviati alle carceri <278.
Tra gli arrestati vi era anche Faustino Z., partigiano che aveva accompagnato la donna velata tra le formazioni di montagna nel novembre 1944. Svegliato alle 5 di mattina da colpi alla porta, veniva portato nella piazza della chiesa con gli altri abitanti della zona, dove ardeva un fuoco in cui veniva gettato. Mentre le fiamme incominciavano a bruciare gli abiti, veniva preso e accompagnato di fronte al tenente F. e a Maria Z., che lo interrogavano e lo picchiavano a sangue. Trasportato in caserma, dove era di nuovo interrogato e malmenato, e i militi organizzavano una falsa fucilazione per convincerlo a parlare. Veniva invece trattenuto nelle locali carceri fino al 23 aprile, quando riusciva ad evadere <279.
[...] Nella maggior parte dei casi invece le donne vengono tosate per aver compiuto delazioni o perché accusate di simpatie per il fascismo. È il caso per esempio di Erminia O., a cui nel giugno 1944 nell’imperiese erano stati tagliati i capelli perché di sentimenti fascisti. La violenza può essere interpretata come un avvertimento per la donna e i suoi familiari, tanto che dopo questa vicenda, due mesi dopo, nell’agosto 1944, veniva prelevato e ucciso il marito, maresciallo della Gnr <384.
[...] Alla rappresentazione di “mogli-mostro” si oppongono invece quelle di mariti non solo deboli vittime, ma anche succubi marionette nelle mani delle loro consorti, come si evince dal caso dei coniugi B., processati insieme dalla Cas di Imperia per essersi posti al servizio delle SS tedesche e aver compiuto delazioni. Nelle denunce a carico dei due è la donna ad essere descritta come principale responsabile dell’attività delittuosa. Ida D. viene infatti definita una donna “volgare, di pessima moralità, e capace di qualsiasi cattiva azione”, ritenuta la responsabile dell’attività delittuosa del marito, colpevole invece soltanto di assecondare le pressanti richieste della moglie. Emerge insomma l’immagine di una moglie che istiga il marito e che dunque può essere considerata l’unica colpevole morale dei fatti, come si rileva dalla denuncia del commissario di polizia di Sanremo del 14 giugno 1945 e dal rapporto del nucleo della polizia giudiziaria presso la Cas di Imperia del 19 giugno 1945:
"Da accertamenti eseguiti nei confronti dei coniugi in oggetto indicati è risultato che la moglie del Burchi fascista sfegatata istigava il marito a porgere denuncia presso il Commissariato di Polizia di Sanremo contro antifascisti e patrioti, avvalendosi della sua qualità di Brigadiere di polizia. Tutte le denunce a carico dei coniugi B. dovrebbesi attribuirle in causa prima alla moglie Ida, perché insisteva presso il marito di denunciare presso l’Ufficio di polizia" <523.
"La B. Ida era iscritta al Pfr e svolgeva continua attività a favore del partito stesso. La stessa era in relazione con le SS tedesche, tanto che quando essa si recava al comando di queste, era ricevuta immediatamente. Essa istigava sempre il marito, B. Silvio, brigadiere di PS, perché, avvalendosi della sua qualità, procedesse a denuncia di tutte le persone che manifestavano sentimenti antifascisti o che comunque fossero contrari al cessato regime" <524.
[...] Le donne che sconfinano nel campo d’azione maschile vengono quindi descritte non solo come prive dei caratteri femminili, ma anche in forme disumanizzate, come esseri ferini: Salvatore C. per esempio si riferisce all’imputata sempre con l’appellativo di “belva”, e fa riferimento inoltre alle sue “tigrine sembianze”. Altre volte l’accostamento non è solo con le bestie, ma con esseri malvagi e diabolici, assetati di sangue, rinviando al topos letterario della donna-vampiro <541.
[...] Le donne sono quindi presentate come madri che incoscientemente agiscono per il bene dei figli. Lo stesso artificio retorico è utilizzato anche nel caso di Rosa P., imputata presso la Cas di Imperia per aver denunciato un uomo che aveva espresso pubblicamente le sue opinioni antifasciste, in contrasto con le posizioni del figlio, arruolato nella Brigata nera. Già nell’interrogatorio del 17 giugno 1945 la donna sosteneva di aver agito “non per odio, bensì per dolore dell’unico mio figlio esposto a tanti pericoli” <549. Lo stesso giudice, pur ritenendo la piena consapevolezza dell’imputata nelle conseguenze che la sua delazione avrebbe comportato e che comportò, essendo stato l’uomo poi fucilato da militi della Gnr, e dunque ritenendola colpevole, ritenne però di doverle accordare le attenuanti generiche, “per la sua qualità di madre”, diminuendo così la sua pena da dieci anni a quattro anni e cinque mesi <550. Infine l’avvocato difensore continuava a solcare questa strada nell’intento di scagionarla definitivamente, nel ricorso in Cassazione, in cui sosteneva:
"In lei e nella sua azione non vi era che lo sfogo istintivo ed impulsivo di una madre che, colpita nel suo profondo dolore e ben lontana dal provvedere quelle che la sentenza definisce “le gravi conseguenze che ne sarebbero derivate”, non pensa più in là del fatto immediato e contingente" <551.
[...] Dello stesso avviso risulta il marito di Maria Delfina R., condannata dalla Cas di Imperia a 9 anni di reclusione per essere stata una fervente fascista, per essersi arruolata tra le ausiliarie di Imperia e per aver provocato un rastrellamento nel paese di Montegrazie, il quale così si esprime in un esposto al Presidente della Corte di Cassazione dell’11 novembre 1945:
"Il 3 agosto mia moglie venne processata e su accusa di 5 o 6 persone di Montegrazie, tutte imparentate tra loro, che avevano dei rancori personali verso la famiglia di mio suocero per vecchie questioni d’interesse, venne condannata a 9 anni per propaganda fascista. […] Credo che dopo tanti anni di guerra e di lontananza dalla famiglia, quella famiglia che ho sempre anelato di possedere e che il destino avverso non mi ha fatto mai godere, abbia quasi il diritto di vivere un poco in pace. È il grido di dolore di un reduce, che ha combattuto tutta la guerra sul mare […] E pensare che se fossi rimasto a casa, con la mia guida, con la mia presenza tutto questo non sarebbe successo. Ecco ciò che amareggia ancor di più noi reduci: aver subita la guerra ed aver trovato casa e famiglie distrutte, e cioè senza colpa alcuna" <568.
[NOTE]
232 Asge, Cas Imperia, fasc. 64/45.
233 Rapporto di Angiolina Bertone del 30 aprile 1945, in Ivi, ff. 12-14.
234 Ivi, f. 12.
235 Ivi, f. 13. La Cas di Imperia il 19 febbraio 1946 assolve l’imputata per insufficienza di prove. Cfr. sentenza, in Ivi, ff. 32-36.
236 Asge, Cas Imperia, b. 34, fasc. Silvana M. e Alba P.
237 Denuncia della Questura di Imperia del 27 luglio 1945, in Ivi, f. 3. Con sentenza del 10 settembre 1945 inoltre la Cas di Imperia condannava a 6 anni e 8 mesi di reclusione Silvana M. con la concessione delle attenuanti generiche in considerazione del fatto che “la denuncia non ebbe esito funesto e che era dovuta, più che a gravità d’animo, all’ambiente in cui sciaguratamente viveva […] ed alle suggestioni del suo amante tedesco”. Alba P. invece veniva assolta con formula piena per non aver commesso il fatto. Cfr. Sentenza contro Silvana M. e Alba P.del 10 settembre 1945, in Ivi.
239 Non si può sapere se effettivamente le due donne fossero o meno informatrici infiltrate, tuttavia la Cas di Imperia il 1/10/1945 assolve l’imputata perché il fatto non sussiste, accogliendo l’istanza difensiva di Giuseppina Comino che sosteneva di aver guidato i militi fascisti in rastrellamento solo al fine di ritrovare il cadavere della sorella. Cfr. Asge, Cas Imperia, fasc. 54/45.
252 La Cas di Imperia tuttavia con sentenza del 28 novembre 1945 la assolveva per insufficienza di prove, cfr. Asge, Cas Imperia, b. 35, fasc. 60/45 Erminia O.
263 Asge, Cas Imperia, b. 34, fasc. 36/1945 Maria S. La Cas di Sanremo con sentenza dell’11 gennaio 1946 condanna l’imputata a 11 anni e 6 mesi di reclusione. In data 13 novembre 1946 però la Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio perché il reato risulta estinto per amnistia. Sulle donne squadriste, cfr. D. Detragiache, Il fascismo femminile da S. Sepolcro all‟affare Matteotti. 1919-1925, «Storia contemporanea», a. XIV, n. 2, aprile 1983, pp. 211-251.
264 Istanza di Maria S. al segretario federale del Pnf di Imperia del 23 marzo 1939 per richiedere la qualifica di squadrista, in Ivi, f. 39.
265 Verbale di Gastone L. di fronte ai carabinieri di Sanremo del 2 luglio 1945, in Ivi, f. 25.
266 Verbale di Assunta G. del 4 luglio 1945, in Ivi, f. 27.
276 Dichiarazioni di Alfredo T., capoguardia delle carceri di Imperia, del 21 settembre 1945 e del 21 gennaio 1946, in ivi, ff. 16-17; Dichiarazione di Silvio R. del 13 agosto 1945, in ivi, f. 18.
277 Dichiarazione Giovannina M. del 19 novembre 1945, in ivi, f. 31.
278 Dichiarazione di Ernesto R. del 15 novembre 1945, in ivi, f. 32.
279 Dichiarazione di Faustino Z. del 14 gennaio 1945, in ivi, ff. 35-37.
384 Asge, Cas Imperia, fasc. 10/1945, Ermina O.
522 Istanza di grazia da parte della madre di Margherita A. del 16 marzo 1956, in Acs, Ministero grazia e giustizia, Direzione generale affari penali. Grazie casellario. Ufficio grazie. Collaborazionisti, b. 61, fasc. 012323, Margherita A.
523 Asge, Cas Imperia, b. 39, fasc. Ida D., f. 22.
524 Ivi, f. 29.
541 A proposito di Rosa S., accusata di aver ingiuriato e percosso un partigiano, averlo denunciato e assistito alle sevizie, in una denuncia a suo carico per esempio si dice che dopo averlo bastonato, “ancora non esaudita la sua sete di sangue” continuava a persiguitare il malcapitato, assistendo alle torture durante il suo interrogatorio. Cfr. Asto, Cas Torino, 1946, b. 256, fasc. 119, f. 9. La visione delle donne armate come minaccia alla virilità e un attentato alla mascolinità è riscontrabile anche nella descrizione di Maria S., già citata sopra a p. 83, delineata da una testimone a carico che ricorda che la donna manifestò il suo intento di abbattere il movimento partigiano, dicendo che “se le avessero dato il comando a lei per 4 o 5 ore avrebbe distrutto tutti i ribelli e gli avrebbe tagliato gli organi virili e glieli avrebbe fatti mangiare prima di ucciderli”, cfr. Verbale di Assunta G. del 4 luglio 1945, in Asge, Cas Imperia, b. 34, fasc. 36/1945 Maria S., f. 27. Sulle donne-vampiro, B. Dijkstra, Idoli di perversità,cit.; Id., Perfide sorelle. La minaccia della sessualità femminile e il culto della mascolinità, Milano, Garzanti, 1997.
549 Asge, Cas Imperia, b. 39, fasc. Rosa P., f. 7.
550 Sentenza della Cas di Imperia del 20 luglio 1945, in Ivi, ff. 12-13.
551 Ricorso in Cassazione del 23 luglio 1945, in Ivi, f. 18.
568 Esposto di Evaristo M. al Presidente della Suprema Corte di Cassazione di Roma del 11 novembre 1945, in Asge, Cas Imperia, b. 39.

Francesca Gori, Ausiliarie, spie, amanti. Donne tra guerra totale, guerra civile e giustizia di transizione in Italia. 1943-1953, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

giovedì 30 maggio 2024

Dal fronte a Savona le truppe tedesche ammontano a circa 4000 uomini, tutti appartenenti alla 34^ Divisione

Mentone

22 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 296, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Riferiva che quella mattina 62 tedeschi con 17 muli si erano recati in località Campi di Taggia per asportare di nuovo del foraggio e che, sempre nella stessa giornata, alle ore 10 aerei alleati avevano effettuato un bombardamento su Sanremo, seguito a cinque ore di distanza da un bombardamento navale, ma che di entrambi non si conoscevano ancora gli esiti.

22 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militare] Fondo Valle della II^ Divisione al comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione - Relazionava che "è in atto un ripiegamento dei tedeschi dalla riviera ligure verso nord; osservando la via Aurelia si notano drappelli di tedeschi che, approfittando di mezzi civili e militari, si dirigono verso i centri ferroviari di Ceva ed Ormea. I ponti tra Oneglia e Ceva fatti saltare dai garibaldini e ricostruiti in legno sono sorvegliati a vista dagli stessi. I tedeschi che sono stati avvicinati dimostrano timore verso i partigiani e sentono che la fine si avvicina; sono gentili e puoi pensare 'che siano come il polpo: più lo batti e più diventa tenero'. I partigiani della zona di Fossano sono molto organizzati: bloccano treni, assaltano autocarri tedeschi, compiono azioni di polizia annonaria e sono ben visti dalla popolazione. Il famigerato capitano Ferrari è defunto. Tra Ormea ed Oneglia si trovano solo truppe tedesche. Nella giornata in corso correva voce che i tedeschi volevano disarmare la milizia, ma trattasi di notizia falsa".

22 febbraio 1945 - Dal comando delle Brigate S.A.P. di Sanremo al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" ed al C.L.N. di Sanremo - Comunicava che il lavoro di riorganizzazione, nonostante la carenza di armi e la difficoltà di reperire uomini dotati di qualità militari, procedeva bene, con Brigate già suddivise in Distaccamenti. 

23 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione - Relazionava che nella giornata in corso era stato effettuato un bombardamento su Imperia in due riprese. La prima volta l'incursione era avvenuta alle 15.30 ed aveva come obiettivo un fortino ubicato sul molo di Oneglia. Il secondo attacco, che aveva seguito di 45 minuti il precedente, intendeva colpire il comando tedesco di marina di Via Siffredi e quello italiano [posto nell'attuale Corso Roosevelt]. Il primo "è stato centrato in pieno, ma la bomba, dopo avere passato due piani abitati da civili, giunse nel comando in questione ma non è esplosa... il comando italiano non è stato colpito ma la bomba è scoppiata a pochi metri di distanza dall'edificio e ha ferito leggermente al capo un milite ed il maggiore Trotta. La reazione contraerea del nemico è stata nulla". 

23 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM del I° Battaglione "Mario Bini" V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", prot. n° 44, al comando della V^ Brigata ed al comando della II^ Divisione - Comunicava che era in aumento il numero di effettivi delle forze nemiche presenti come presidio ad Imperia. Il giorno precedente erano, infatti, giunti nella città 20 tedeschi da Pigna, 15 da San Bernardo di Conio e, in nottata, altri due gruppi di cui non si conoscevano né entità né provenienza. Aggiungeva che a Molini di Triora, in Valle Argentina, il presidio ammontava ad un centinaio di soldati, in prevalenza tedeschi e che era probabile l'arrivo nel paese anche di una compagnia di SS. Concludeva riferendo di voci non controllate relative ad un rastrellamento nemico in quel periodo in corso in Piemonte.

25 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Avvisava che "nei giorni scorsi salivano da Pigna, provenienti da Isolabona, 17 soldati della RSI, di cui 6 tra tedeschi e russi, per rinforzare il presidio di Molini; inoltre, giunsero altri 15 militari della RSI provenienti da San Bernardo di Conio. A Pigna il presidio è di 40 uomini; a Isolabona vi sono 3 batterie antiaeree che sono bersaglio dei bombardamenti alleati. Intenso il traffico sulla rotabile Isolabona-Ventimiglia, soprattutto di carriaggi che trasportano fieno per le salmerie. A Briga ogni giorno parte un treno merci per Cuneo. A Sanson i nazisti minano nel bosco tratti di sentieri. Dal fronte a Savona le truppe tedesche ammontano a circa 4000 uomini, tutti appartenenti alla 34^ Divisione".

26 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata della II^ Divisione "Felice Cascione", Sezione SIM, prot. n° 306, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalava che il giorno 22 febbraio i tedeschi avevano effettuato un rastrellamento nella zona di Cetta, Loreto e Creppo [Frazioni di Triora (IM), in Alta Valle Argentina] e che i militi repubblichini di stanza a Molini di Triora avevano perlustrato la zona di Andagna, Frazione di Molini di Triora. E che nell'ultima notte 60 tedeschi provenienti da Taggia erano arrivati sino a Molini di Triora senza conseguire risultati di sorta.

26 febbraio 1945
- Dal comando della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" a tutte le formazioni dipendenti - Comunicazione dell'encomio solenne e della nomina a capo di Stato Maggiore della Brigata di "Artù" [Arturo Secondo]

27 febbraio 1945 - Da "Rina" alla Sezione SIM del CLN di Sanremo - Chiedeva di effettuare indagini su di un certo Poli che trafficava nel mercato nero e si pensava fosse un agente provocatore.

28 febbraio 1945 - Da "Mimosa" [Emilio Mascia, della Brigata SAP "Giacomo Matteotti", della zona di Sanremo] al CLN di Sanremo ed al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Informava che i tedeschi stavano trasferendo viveri da Villa Santa Croce di Sanremo, distrutta da un bombardamento aereo, a Villa King di Corso XXIII Marzo [attuale Corso Felice Cavallotti].

1 marzo 1945 - Da "Baffino" e "Tito R." [Rinaldo Risso, vice comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"] al comandante "Vitò" [anche "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"] - Segnalavano che ad Andagna vi erano 21 tedeschi in procinto di obbligare 200 civili al lavoro per la ricostruzione della strada di Drego e che per intervenire si poteva impiegare anche parte dei garibaldini che stavano rientrando da Pigna.

1 marzo 1945 - Dal comando della II^ Divisione a "Franco" - Segnalava la necessità di immagazzinare nella zona di Realdo e Verdeggia, Frazioni di Triora (IM), 80 proiettili da mortaio da 81 mm, "oltre che cariche aggiuntive e da lancio".

1 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. 348, al CLN provinciale ed alla Sezione SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che per ragioni cospirative il segretario [Mario Mascia] del Comitato scrivente aveva cambiato il suo pseudonimo da "Cammeo" ad "Ulisse".

1 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. 349, al comando della V^ Brigata - Comunicava che, nonostante la stretta sorveglianza nemica sussistente in Sanremo, era prossimo l'invio ai partigiani di 6 pacchi contenenti medicinali, indumenti e tabacco.

1 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. 350/SIM, al "Capitano Roberta" [capitano Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento] - Comunicava che nell'occasione venivano inviati i lucidi richiesti in relazione alle operazioni di sbarco materiali progettate dalla Missione Alleata, esprimendo, altresì, rammarico per il ritardo con cui si era proceduto a tale inoltro, ritardo determinato dal rastrellamento nemico del 18 febbraio.

3 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della V^ Brigata al commissario "Orsini" [Agostino Bramè] della V^ Brigata - Chiedeva di ricevere giornalmente la posta e segnalava che si era saputo da informatori che "Poeta", "Milan" e "Pompeo" erano trattenuti dai bersaglieri di Ceriana.
 
4 marzo 1945 - Da "Gori" [Domenico Simi, comandante del III° Battaglione "Candido Queirolo" della della V^ Brigata] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che lo stato di salute della famiglia di "Curto" [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria], che egli aveva in custodia, era buono; che cambiava spesso dimora per paura di delazioni; che era preoccupato per la sorte di alcuni garibaldini; che "Chicò" era stato ucciso ed aveva lasciato 6 figli.
 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

mercoledì 24 aprile 2024

Lo svolgimento del processo non piaceva all'amministratore della Divisione Garibaldi

Trovai il paracadutista in piedi accanto alla lettera che aveva scritto

Il 27 marzo [1945] vengono condotti ad Alto due prigionieri catturati ad Ortovero. Li portano in casa di Turbine [Alfredo Coppola, capo squadra, distaccamento "I. Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione partigiana "Silvio Bonfante"]: quando entro li trovo rannicchiati in un angolo col viso gonfio dalle percosse. Con Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Turbine e qualche altro facciamo passare i due in un'altra stanza ed iniziamo un rapido interrogatorio. II primo, un ex partigiano di Ramon [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante"], sbandato al principio dell'inverno, era stato catturato dai repubblicani ed iscritto a forza nelle Brigate Nere. Dopo aver prestato servizio ad Albenga era stato inviato ad Ortovero con l'incarico di catturare una nostra informatrice. Il suo compagno affermava di essere stato paracadutatista, di aver disertato da tempo, di esser stato preso dai fascisti di Albenga e tenuto in carcere in attesa di processo per diserzione. Gli era stata proposta quella prima missione che avrebbe dimostrato il suo pentimento. Aveva accettato di uscire dalla prigione con l'intenzione non di compierla ma di venire con noi. Era difficile controllare quanto vi fosse di vero. Come era avvenuta la loro cattura? Ad Ortovero una nostra informatrice ci aveva avvertito che avrebbe attirato in paese con un appumamento un ufficiale delle Brigate Nere. Ortovero era nella terra di nessuno, così ai nostri sarebbe stato facile catturarlo. L'ufficiale fascista, al quale l'amore non aveva annebbiato il cervello, si era fermato all'ultimo posto di biocco repubblicano inviando i due uomini con l'incarico di avvertire la ragazza che il luogo dell'appuntamento era spostato.
L'imboscata tesa all'ufficiale aveva così portato alla cattura dei due che avevamo davanti. Questo era il racconto dei partigiani reduci dall'imboscata. Avrebbero condotto a termine la missione se non fossero stati catturati? Oppure sarebbero venuti con noi come affermavano? Era il problema essenziale ma non il solo. Avevano militato nelle Brigate Nere per qualche tempo? Uno lo aveva ammesso e con ciò aveva meritato la morte, ma l'altro aveva negato, ma che valore aveva? Appena presi avevano detto di esser fuggiti dalle carceri di Albenga, ma l'esser in possesso di una pistola e di una bomba a mano aveva smentito la loro affermazione. Quando, sotto le percosse, avevano raccontato di esser stati inviati da un ufficiale delle Brigate Nere che li attendeva, i nostri erano partiti di corsa, ma all'appuntaimento non c'era nessuno.
«Se aveste detto la verità lo avremmo preso e vi sareste salvati» dicevano i partigiani. «Eravate d'accordo con lui, così morirete voi al posto suo».
Li portammo fuori paese e li obbligammo a scavarsi la fossa: con un piccone ed una pala li vidi lavorare in silenzio mentre quattro o cinque partigiani li sorvegliavano da vicino incitandoli a sbrigarsi. Il terreno era duro ed argilloso, quindi, malgrado le parole, il lavoro procedeva lentamente. Quando la fossa fu fonda una trentina di centimetri li portammo di nuovo al Comando. Li interrogammo separatamente ed ambedue confermarono di aver chiesto ad un contadino se c'erano partigiani perché volevano disertare.
Chiesi loro se volevano confessarsi ed ambedue accettarono. Andai personalmente in canonica; il parroco, che stava pranzando, fece sulle prime qualche difficoltà a seguirmi, poi quando comnprese di che si trattava, prese la stola e venne subito con me. Lasciammo soli il sacerdote ed il paracadutista e ci ritirammo nell'altra stanza.
Passarono parecchi minuti: osservavo l'altro prigioniero, ma nel viso livido dai pugni era inutile cogliere un'espressione. «A che pensi?» gli chiede un partigiano. «A mia madre», rispose. «Quante madri avete fatto piangere voi delle Brigate Nere!» ribattè il partigiano.
Poi il paracadutista uscì ed il secondo andò a confessarsi.
«Se vuoi scrivere a casa fa presto», gli disse Boris. «Fuciliamo te ed il tuo compagno perché siete delle Brigate Nere».
«Io non sono delle Brigate Nere... Volevano che mi iscrivessi in carcere, ma ho sempre rifiutato», ribatté il prigioniero con voce umile ma ferma.
«Tutti dicono così... Se vuoi scrivere ci incaricheremo noi di spedirla, metti l'indirizzo».
Lo svolgimento del processo non mi piaceva. Non avendo prove né a favore né a carico non potevamo respingere a priori il racconto degli imputati. Il primo aveva ammesso di essersi iscritto alla Brigata Nera di Albenga, magari costrettovi, ma poi vi era rimasto, e per noi questo era sufficiente per condannarlo. Ma l'altro negava accanitamente... e se avesse detto il vero? L'armamento che avevano al momento della cattura era talmente modesto che non comprendevo come l'ufficiale fascista avesse rischiato due dei suoi uomini in quel modo. La risposta ovvia era che erano due della cui vita non gli importava niente e che temeva portassero a noi le armi che avesse loro affidato.
Uscì il parroco solo: «Mi ha detto che va al gabinetto, ma non è più uscito...».
Un grido di tutti: «E' scappato!».
Un istante di trambusto e sciamiamo tutti per il paese. La popolazione ci incita a prenderlo: «Se si salva e racconta che siete ad Alto siamo tutti perduti».
Il fuggiasco è avvistato tra i castani: una raffica di Sten, il prigioniero si getta a terra, viene raggiunto, trascinato presso la fossa poi spinto giù sul pendio erboso. Due colpi di fucile e il condannato cade supino. Osservo per qualche istante una macchia rossa che si allarga sul maglione del ferito: una palla lo ha colpito al torace ed il sangue esce a fiotti sospinto dal respiro affannoso, l'altra gli ha squarciato una guancia: le labbra sono contratte sui denti bianchi in una espressione di dolore e di angoscia, gli occhi socchiusi ci fissano intensamente.
«Ha da patire prima di morire...» mormora un partigiano. Qualcuno rimane ad osservare l'agonia del nemico, mentre io con gli altri mi avvio per tornare in paese. Due contadini mi raggiungono mentre sono ancora presso il ferito: «Non seppellittelo lì perché sotto c'è la fontana». «Allora incaricatevene voi, noi un'altra fossa non la facciamo». Quando giunsi in paese un colpo di moschetto mi avvertì che l'agonia del ferito era finita.
Trovai il paracadutista in piedi accanto alla lettera che aveva scritto. Presso di lui era Boris: « Avrebbe potuto scappare anche lui!», mi disse, poi fa un gesto ai compagni ed il condannato è condotto fuori al suo destino.
Boris non aveva chiesto il parere di nessuno. Era regolare quella procedura?
Aveva detto di volerli fucilare ambedue. Era quella la sentenza?
Aveva cambiato idea dopo la fuga di uno? Decisi di intervenire, l'esecuzione poteva aver luogo da un istante all'altro. Presi la lettera e mi rivolsi al commissario: «Boris, non si potrebbe aspettare? Se effettivamente avesse voluto disertare? Non ha ammesso di essere stata una Brigata Nera e forse esiste quel contadino cui ha chiesto dove fossero i partigiani e come potesse raggiungerli. Cerchiamolo e vediamo se quel che ha detto è vero. Ognuno di noi avrebbe fatto come lui se, arrestato, non avesse avuto altro mezzo per tornare libero».
Boris non rispese, rimase qualche istante sopra pensiero poi uscì.
«Anche a me secca fucilarlo specie quando ho visto che non è scappato quando, per prendere l'altro, lo abbiamo lasciato solo». Disse Turbine.
Uscimmo tutti per andare a pranzare in trattoria, la giornata movimentata ci aveva messo appetito. «Fortuna che quello che era scappato l'avete preso!» ci disse un contadino quando entrammo. «Cercate di sistemare presto l'altro prima che vi scappi». Poi visto che guardavamo tutti una porta dietro di lui tacque e si volse: era entrato Boris col prigioniero: «E' stato graziato, d'ora in avanti sarà partigiano come noi: lo chiameremo Lazzaro perché era morto e adesso è vivo!».
«Se però ne combina qualcuna la responsabilità è tua!» disse Turbine rivolto a me.
Lazzaro fu accolto fraternamente, lo facemmo sedere accanto a noi, dividemmo con lui il pranzo. Libero [Libero Nante della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], il dottore di brigata, gli medicò le ammaccature. Finito il pasto Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi, comandante della Brigata d'Assalto Garibaldi "Val Tanaro" della Divisione "Silvio Bonfante"] lo arruolò nella sua banda rivolgendogli alcune parole di circostanza: «Devi dimenticare il passato comprese le botte che hai preso. Da oggi sei uno dei miei e sarai trattato come gli altri compagni. Se farai il tuo dovere non avrai da lamentarti, altrimenti pagherai come pagano tutti i partigiani quando mancano».
Il brusco cambiamento mi impressionò. Come era possibile che un uomo, che pochi istanti prima era odiato a morte, potesse ad un tratto esser considerato un compagno, un fratello, pure quello era l'animo partigiano: non odiavamo l'uomo ma la divisa che indossava, la parte per la quale combatteva. Se l'uomo non era stato fascista, ed anzi diventava partigiano, ogni motivo di rancore spariva. La teoria era facile, ma la pratica non cessava di meravigliarmi. E le parole di Turbine, che peso avevano? Il tono era scherzoso, ma la realtà poteva esserlo meno. Avrei voluto obiettare che io non avevo detto arruolatelo con noi, ma sospendete l'esecuzione e fate altri accertamenti. Ma compresi che non era il caso. Sarebbero stati capaci di dirmi: «Insomma decidi tu o lo teniamo con noi o lo fuciliamo...».
Non ebbi più notizie di Lazzaro fino al 15 maggio.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, p. 216-220

sabato 20 aprile 2024

La salma di Ivanoe Amoretti è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio

Ivanoe Amoretti. Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Ivanoe Amoretti nacque a Imperia il 12 novembre del 1920 da Augusto e Antonietta Delbecchi. Rimasto orfano di padre dall’età di quattro anni, fin da giovanissimo fu attivo membro del circolo Giac «Giosuè Borsi» di Imperia Oneglia. I compagni di associazione, in una testimonianza scritta dopo la sua morte, lo descrissero come uno dei soci più impegnati: «L’associazione Borsi di Oneglia lo ebbe tra i suoi più assidui Aspiranti. In seguito passato alla Sezione Effettivi fece parte del Gruppo Studenti di cui fu uno dei più zelanti ed assidui. Si dimostrò sempre di carattere buono e serio, aperto ed affettuoso con gli amici, i quali ne serba[ro]no gelosamente un perenne ricordo. Ebbe incarichi direttivi nell’Associazione dove temprò l’anima ed il cuore».
Dopo gli studi elementari e medi presso la città natale, si iscrisse al liceo scientifico di Genova e, ottenuto il diploma, alla Facoltà di ingegneria dell’università del capoluogo ligure. Ben presto, però, temendo che la madre non potesse sostenere la spesa per continuare i suoi studi, decise di fare domanda per essere ammesso all’accademia militare di Artiglieria e Genio di Torino. Passate brillantemente le selezioni, dopo il periodo di formazione ottenne il grado di sottotenente in servizio permanente effettivo e si vide assegnato alla 6ª divisione fanteria Isonzo con la quale partecipò alle operazioni belliche della Seconda guerra mondiale.
Nel corso del 1941 venne dapprima spedito con il suo reparto in Grecia, successivamente trasferito in Croazia per il presidio delle postazioni italiane più avanzate. Fu in questa nuova destinazione che venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile che, pur ponendo fine alle ostilità con gli angloamericani, lasciava drammaticamente aperto il nodo circa i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico. In particolar modo, vista l’ambiguità degli ordini provenienti dal governo Badoglio e l’incertezza dei comandi militari sull’opportunità di resistere all’inevitabile offensiva tedesca, i reparti cominciarono a sbandarsi e diversi suoi commilitoni decisero di lasciare il loro posto per trovare una via di fuga e non rischiare la deportazione in Germania. Già il 9 settembre, infatti, la Wermacht attaccò le guarnigioni italiane presenti in Croazia e, dopo aver preso parte ai primi combattimenti ed essere stato ferito lievemente a una gamba, A. non poté che fare ritorno in patria unendosi ad altri ufficiali che avevano trovato il modo di recarsi a Roma.
Giunto nella capitale, prese immediati contatti con il movimento resistenziale che andava costituendosi. Dopo diversi colloqui con alcuni responsabili delle bande partigiane operanti nel territorio romano, decise di inserirsi tra le fila dell’organizzazione clandestina Travertino che era raccolta attorno alla figura di don Desiderio Nobels, carismatico parroco della chiesa di San Giuseppe nell’omonimo quartiere. Viste le sue capacità militari affinate durante il periodo di formazione e di servizio presso l’esercito, ad A. venne assegnato il compito di addestrare diversi nuclei di giovani volontari che si dicevano disponibili ad entrare tra le file dei partigiani, in particolar modo nei periodi successivi all’emanazione dei bandi di reclutamento fortemente voluti da Graziani. A questo, peraltro, aggiunse una delicatissima opera di informazione e contatto con le forze angloamericane che risalivano la penisola verso la capitale. Fu lo stesso don Nobels che nel dopoguerra ebbe modo di testimoniare: «Della sua attività nessuno sapeva nulla. Le preziose carte militari dei dintorni di Roma, arrotolate in una canna su cui sospendeva le cravatte, non furono scoperte. Nulla trapelò sull’organizzazione di cui faceva parte. Nulla, né a casa, né a via Tasso dove fu sottoposto a interrogatorio, né a Regina Coeli dove attendeva la fine. […] Il tenace e generoso Amoretti portò il suo segreto con fedeltà nel cupo silenzio delle fosse Ardeatine e vi fu sepolto con lui».
Il 12 febbraio del 1944 ebbe l’incarico di accertare gli effetti di un bombardamento effettuato dagli Alleati alla Cecchignola e di fornire notizie precise al fine di rettificare il lancio delle bombe per ottenere un risultato di maggior rilievo. Probabilmente a causa di una delazione, mentre era occupato in questo compito venne raggiunto da un manipolo di militi tedeschi che lo bloccarono e lo posero in stato di arresto. Condotto nelle carceri di via Tasso, A. fu duramente interrogato, percosso e torturato per diversi giorni, allo scopo di indurlo a confessare i nominativi dei responsabili del movimento resistenziale capitolino e le informazioni che attraverso la sua attività aveva recapitato al nemico. Trincerato dietro un ostinato silenzio, i suoi aguzzini dovettero infine arrendersi all’impossibilità di estorcergli rivelazioni e decisero di condurlo al carcere di Regina Coeli.
Il 23 marzo del 1944, a seguito di un’azione condotta da un Gap della capitale in via Rasella, in cui trovarono la morte trentatré militi della forza d’occupazione tedesca appartenenti alla XI Compagnia del III Battaglione Polizeiregiment Bozen, P. fu tra i 330, poi divenuti 335, nomi che vennero designati per la rappresaglia decisa dal comando nazista che scelse di condannare a morte dieci italiani per ogni tedesco morto nell’operazione gappista. Il giovane, dopo essere stato prelevato dalla sua cella, venne dunque condotto alle Fosse Ardeatine e trucidato insieme agli altri prigionieri designati. La salma di A. è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio.
Nel 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria con la qualifica di tenente in servizio permanente effettivo e la seguente motivazione: «Subito dopo l’8 settembre 1943, rientrato dalla Croazia, prese parte ad alcune operazioni nelle montagne di Imperia. Recatosi a Roma nel novembre del 1943, entrò nell’associazione clandestina “Traversito” [sic]; fra l’altro ebbe l’incarico di fare sopralluoghi per il servizio segreto di informazioni alle dipendenze della 5a armata americana. Durante una difficile missione, 12 febbraio 1944, venne arrestato dalle SS tedesche; incarcerato e seviziato non tradì mai la causa. Fu barbaramente trucidato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine».
Redazione, Ivanoe Amoretti, Biografie Resistenti

Ivanoe Amoretti nacque ad Imperia il dodici Novembre del 1920, figlio di Augusto ed Antonietta Delbecchi.
Entrato nell’esercito combatté durante la seconda guerra mondiale soprattutto nei Balcani: l’armistizio di Cassibile, l’otto Settembre del 1943, che segnò il termine delle ostilità tra italiani ed anglo-americani lo colse con il suo battaglione in Croazia, allora stato fantoccio guidato dal premier fascista Ante Pavelic. Riuscì fortunosamente a rientrare in Patria dove si unì alla pari di altri ufficiali e sottufficiali dell’armata italiana allo sbando ai partigiani.
Condusse la guerra di liberazione nel Lazio alle porte di Roma ed all’interno della città stessa. Fu inquadrato nella banda partigiana dell’Arco di Travertino, periferia sud- orientale di Roma, nata attorno alla figura del parroco belga della chiesa di San Giuseppe nell’omonimo quartiere, monsignor Desiderio Nobels. L’intento della banda, organizzata su volere degli anglo-americani, era quello di fornire il maggior numero di informazioni ai nuovi alleati proprio nel momento in cui essi stavano compiendo il maggior sforzo per liberare la capitale dall’oppressione nazi-fascista.
Amoretti fu un elemento molto prezioso di quella banda ma forse un tradimento da parte di una spia germanica ne decretò l’arresto. Candidato ad essere condannato a morte, Amoretti fu condotto nella tristemente nota pensione “Oltremare” di Via Principe Amedeo all’Esquilino e qui orrendamente torturato dagli sgherri della Gestapo. Fu tra i primi ad essere inserito, da Kappler, nell’elenco dei trucidandi alle Fosse Ardeatine.
Nel 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria.  
Redazione, Ivanoe Amoretti, Infinita memoria 

mercoledì 24 gennaio 2024

L'autonomia doveva essere lasciata alle Brigate partigiane ora nascenti

Cesio (IM). Foto di Davide Papalini su Wikipedia

A fine marzo 1945 la I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" con la costituzione del Distaccamento "Marco Agnese", comprensivo di 21 garibaldini, e del Distaccamento "Franco Piacentini" (15 partigiani) portava a cinque il numero dei suoi Distaccamenti. In quel periodo il Distaccamento "Francesco Agnese" [comandante "Buffalo Bill"/"Bill"/"Pippo", Giuseppe Saguato] aveva in organico 36 uomini, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandante "Stalin", Franco Bianchi] 37 ed il Distaccamento "Angiolino Viani" [comandante "Russo", Tarquinio Garattini] 29.
Il 28 marzo ad Alassio venne momentaneamente smarrito un elenco di garibaldini, subito recuperato, di modo che venne evitata per un soffio una strage di partigiani, come quella purtroppo avvenuta proprio quel giorno a Latte, Frazione di Ventimiglia.
Il 30 marzo il capo di Stato Maggiore ["Cis", Giorgio Alpron] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" faceva saltare gli aghi di scambio nella stazione ferroviaria di Andora. In effetti dal resoconto delle azioni compiute dalla Brigata nel mese di marzo 1945, inviato in data 3 aprile 1945 al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", si legge: "il Capo di Stato Maggiore 'Cis", recatosi da solo nella stazione ferroviaria di Andora, faceva saltare con l'uso di plastico gli aghi di scambio e più di 20 metri di binario, lato Genova. Il treno che doveva transitare quella notte rimase fermo a Laigueglia fino alle ore 10 del mattino seguente".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) -Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 29 [marzo 1945] Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] aveva invitato al Comando Stalin per esaminare la possibilità di creare uno schieramento organico a protezione della Val d'Andora. Ritirate le bande che operavano in Val di Cervo e di Diano, spostato il Comando da Diano Arentino a S. Gregorio la I Brigata doveva schierare il distaccamento «A. Viani» a Villarelli controllando l'accesso da Villa Faraldi-Cona e la carrozzabile da Andora. Il «Piacentini» doveva controllare il passo del Merlo ed il passo dei Pali, bloccando così i varchi dalla valle di Cervo e da quella di Diano; il « F. Agnese» sorvegliava la mulattiera che saliva dalla «28» al passo S. Giacomo, il «Marco Agnese» accampato a S. Damiano avrebbe bloccato la carrozzabile che saliva da Alassio. Infine il cerchio avrebbe dovuto essere chiuso dal «G. Garbagnati» che, presidiando Tèstico, avrebbe controllato l'accesso dalla Val Lerrone da Cesio. Il Garbagnati rifiutò di occupare la posizione.
Il colloquio tra Giorgio e Stalin, che fece fallire il progetto di una difesa organica della Val d'Andora, è indice del morale e della autonomia esistenti alla fine di marzo nelle bande della I Brigata.
Innanzitutto a Tèstico non c'era mai stato nessun presidio, nemmeno gli alpini fascisti in gennaio avevano osato sostarvi. Situato all'incrocio della carrozzabile Alassio-Cesio e delle mulattiere che da Stellanello in Val d'Andora portano a Poggiobottaro ed in Val Lerrone, Téstico poteva essere attaccato evidentemente da molte direzioni, offrendo però anche molte vie di ritirata.
Di esse la migliore sarebbe stata quella di Stellanello perché protetta dagli alberi. Un accerchiamento nemico, assai difficile per le asperità del terreno, avrebbe dovuto esser condotto con quattro colonne simultanee, il che lo rendeva problematico. Le viuzze strette e le case antiche avrebbero consentito una lunga difesa.
Questa la posizione di Tèstico: in teoria lo schieramento delle altre bande avrebbe dovuto garantire il presidio di Tèstico dalle minacce da Alassio e da Stellanello; rimaneva scoperta la più grave minaccia da Cesio, si poteva ovviarvi presidiando in permanenza con una squadra la cresta di Ginestro; ciò avrebbe dato tempo al presidio di contrattaccare o di sganciarsi al coperto del bosco. Come si vede la Matteotti in luglio a S. Bernardo di Garessio e molte altre bande intorno a Rezzo ed a Piaggia avevano presidiato posizioni ben più rischiose con armamento inferiore. Il Garbagnati stesso, in gennaio a Ginestro, aveva combattuto in una posizione tatticamente peggiore attestato su un pendio semiscoperto, battibile facilmente dal versante di fronte e ne era uscito brillantemente. C'era però allora l'illusione di non essere attaccati essendo lontani dalle principali mulattiere, mentre ora si trattava di controllare una carrozzabile per dove più volte era passato il nemico. In verità nel marzo 1945 non c'era ancora nessuna banda accampata su una carrozzabile od un nodo stradale. Se ora volevamo riprenderci era necessario tornare ai vecchi sistemi e se qualcuno doveva cominciare doveva essere il Garbagnati che a ragione era ritenuto il miglior distaccamento della Bonfante. Qual era l'armamento della banda di Stalin? Per il comando divisionale era una incognita. Sapevamo che avevano due lanciagranate, mitra e mitraglie pesanti, ma si sospettava che il numero dichiarato fosse inferiore al vero. Improvvisi sopralluoghi non riuscirono mai a risolvere il problema.
Il rifiuto di Stalin di occupare Tèstico fu abbastanza netto: capiva i vantaggi del controllo della Val d'Andora, non aveva però fiducia di essere appoggiato dalle altre bande. «Non posso garantire che arrestino il nemico, si può però contare che diano l'allarme. Esser garantiti da una sorpresa può essere sufficiente» affermava Giorgio.
«Se non fosse rischioso vorrei provare questa notte ad attaccare quelli di Pippo: vedresti che scappano tutti senza sparare» replicava Stalin scuotendo il capo. «Se vuoi che venga a Tèstico non rispondo delle conseguenze: può darsi che i miei uomini si rifiutino di obbedire e non posso dar loro torto. Se veniamo attaccati uno sbandamento è sicuro e francamente mi dispiacerebbe perdere uomini e materiali che ho salvato per tanti mesi».
«Non si pretende da voi una difesa impossibile: sappiamo che i tedeschi possono strisciare fin sotto ad una nostra posizione e farla fuori a colpi di bombe a mano. Era solo il primo tentativo di riprendere il controllo di una zona per poter attaccare un nemico non molto forte che si infiltrasse nel nostro schieramento ed evitare sorprese in caso di rastrellamento. II cerchio sarebbe stato chiuso: quelli di Marco hanno accettato di controllare lo stradone a S. Damiano e si sono impegnati, in caso di attacco soverchiante, di ripiegare su Tèstico per appoggiarti. Se non vuoi stai pure a Pian Bellotto. Troveremo un'altra banda che accetterà l'incarico, per ora diremo a Pippo di mandar una pattuglia» concluse Giorgio.
Ricordavo un altro colloquio di mesi prima tra Giorgio e Stalin: un partigiano di guardia ad una mitraglia aveva avvistato una pattuglia tedesca che si avvicinava. Appena aveva iniziato il fuoco il compagno che portava le munizioni era fuggito lasciando il mitragliatore col solo caricatore infilato nell'arma. Sparando un colpo alla volta questi era riuscito a tenere a bada il nemico obbligandolo poi a ripiegare. Stalin era allora dell'opinione di fucilare il fuggiasco: «Quando si ha un compito bisogna adempierlo fino in fondo, non si può tollerare che uno scappi lasciando gli altri nei guai per colpa sua».
«Ha avuto paura» - sosteneva Giorgio. «Se fuciliamo lui dovremmo fucilare anche tutti quelli che stanno a casa percbé hanno meno coraggio di lui. Lui per lo meno ha una fede; è più facile fare il partigiano avendo paura, che, essendo coraggioso».
«Nessuno lo aveva pregato di esser dei nostri» - ribatteva Stalin. «Siamo volontari e se uno accetta un compito devo esser sicuro che lo adempia, altrimenti dica chiaro che non se la sente».
Stalin infatti aveva detto chiaro che non se la sentiva di venire a Tèstico.
Quando uscì chiesi a Giorgio se era sicuro di trovare un'altra banda da piazzare al posto di quella di Stalin. «Appunto perché sono i più forti quelli di Stalin hanno più spiccata degli altri l'indisciplina caratteristica delle bande partigiane: per stare a Tèstico non occorrono degli eroi, basta un po' di senso del dovere. Lo diremo al Catter, vedrai che Fernandel [Mario Gennari, a quella data ancora vice comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] accetterà».
L'atteggiamento di Giorgio può forse meravigliare, ma date le circostanze era il migliore. Dimostrava che l'esperienza degli eventi passati non era stata del tutto inutile. Anziché tentare di imporre la propria volontà provocando forse un dissidio, se non un nuovo urto anche col comando della I Brigata, Giorgio preferì mostrarsi tollerante, accettare l'autonomia della I Brigata riservandosi in pratica solo funzioni di controllo. Era la soluzione migliore. Giorgio ebbe fiducia nelle capacità organizzative del Comando brigata: osservammo così con gioia sincera il giovane virgulto della Bonfante che si sviluppava e si irrobustiva. Vedemmo le prime disposizioni date dal Comando brigata alle bande, i collegamenti tra i distaccamenti potenziati, la creazione del S.I.M. di brigata, lo sviluppo dell'intendenza, il risorgere del morale offensivo negli uomini, il Comando brigata che operava alla luce del sole. Tutto ciò era necessario perché con l'aumento degli effettivi la Bonfante si avviava ad essere una Divisione anche di fatto, come la scorsa estate lo era stata la Cascione. L'autonomia che avevano goduto lo scorso anno le Brigate V, IV e I doveva essere lasciata alle Brigate ora nascenti.
Solo così potrà stabilirsi una reciproca stima e collaborazione tra gli uomini d'azione ed i tecnici, tra i proletari ed i borghesi. Vi era una spiccata differenza di stile, di mentalità, di abitudini tra Giorgio, Boris [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] da un lato e Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], Federico [Federico Sibilla, vice comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"], Stalin. Pantera non era comunista, per Giorgio e Boris il comunismo pareva più una condiscendenza ad una moda che una vera fede. Lo stesso non si poteva invece dire del comando della I Brigata che sentivamo come l'ambiente più rosso della Divisione. Anche fisicamente Stalin, con capelli lunghi fino alle spalle, pareva l'incarnazione dello spirito ribelle ad ogni disciplina e consuetudine. Con lui erano alcri capibanda eredi di una tradizione di lotta e di autonomia.
Già altre volte la volontà di Stalin si era scontrata con quella del Comando divisione. Il soldato tedesco Jahob Unkelbach il 18 febbraio si era presentato al Garbagnati. Il Comando aveva consigliato la sua eliminazione, ma Stalin si era rifiutato: il disertore tedesco era uno studente di medicina e poteva essergli utile. Gli aveva dato il nome di battaglia «Antonio» e lo aveva messo alle dipendenze di Esculapio, medico della I Brigata, che si servì di lui per tutto marzo per curare feriti e malati. Purtroppo si vedranno più tardi le conseguenze dei due rifiuti di obbedienza ed anche il Comando della I Brigata dovrà trarne le conseguenze. Si cambierà allora il commissario del Garbagnati promuovendo Athos a commissario della II Brigata ponendo accanto a Stalin un commissario nuovo, ligio ai comandi superiori. La scelta non sarà felice e l'autorità di Stalin non verrà per questo ad essere diminuita. Così finiva il mese di marzo: un alternarsi di duri colpi e di successi, una ripresa sicura per quanto lenta, sintomi del crollo nemico sempre più chiari.
In marzo avvenne il nostro primo sabotaggio ferroviario riuscito sulla Albenga-Imperia. Un treno venne fatto deragliare bloccando la linea per qualche tempo.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 225-228

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Segnalava, rispetto al corso, di cui aveva già fatto cenno in un precedente rapporto, per la preparazione delle spie, istituito dalla Gestapo, che il medesimo era iniziato a metà marzo 1945, diretto dal capitano Maranzano; che partecipavano al corso Antonio Bracco, Gennaro Iacobone e Marchetti; che gli idonei al corso si sarebbero, poi, dovuti infiltrare nell'esercito alleato e prendere collegamenti con i tedeschi già insinuatisi in quelle file. Comunicava, inoltre, che [...] ad Andora (SV) l'Orstkommandatur aveva ceduto il posto a 30 repubblichini.
1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.
2 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 266, ai comandi del Battaglione "Ugo Calderoni", del Distaccamento "Filippo Airaldi", del Distaccamento "Giannino Bortolotti", del Distaccamento "Giovanni Garbagnati", del Distaccamento "Angiolino Viani", del Distaccamento "Marco Agnese" - Disponeva che per sicurezza della zona occupata dalle formazioni in indirizzo queste dovevano collocare ad una distanza di circa 25 metri delle bombe a mano a sbarramento dei sentieri e dei terreni circostanti; che nelle ore notturne doveva essere fatto "rispettare il coprifuoco per evitare incidenti alla popolazione civile"; che solo le persone dotate di permessi scritti a macchina, rilasciati da membri del Comando Operativo di Zona o del comando divisionale, potevano lasciare la mentovata zona; che nessun garibaldino poteva scendere a Viozene; che per qualsiasi necessità "essendo proibito comprare dai privati" i partigiani dovevano rivolgersi alla propria intendenza.
2 aprile 1945 - Da "Gigino" [Umberto Capelli] e "Germano" [forse Germano Tronville] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 3 aprile ci sarebbe stata a Mondovì (CN) una riunione, presenti elementi comunisti ed il locale CLN, per formare una squadra di garibaldini e che venivano inviate 55.000 lire come ricavato dalla vendita di un mulo.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

lunedì 4 dicembre 2023

Era Stalin con i suoi partigiani e quando giunsero il paese si animò d'improvviso

Aquila d'Arroscia (IM). Fonte: Wikipedia

Molti erano come Basco [n.d.r.: Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], tutti anzi vivevano giorno per giorno senza chiedersi più se quello che facevano era bene o male o perché lo facevano. Avevano deciso una volta, quando erano venuti sui monti. Avevano meditato ancora sul da farsi quando la situazione era mutata, seguendo un impulso interno dettato più dai sentimenti che da ragionamento. Continuavano la lotta perché era ormai una seconda natura. Quali erano i sentimenti inespressi che covavano nell'inconscio di quei giovani che li avevano sostenuti, nei momenti di scoramento, quando l'abitudine non bastava più? Alcuni avevano sentito la necessità di riscattare il passato dell'Italia, di riconquistarle la libertà dall'oppressione con la forza non intendendola come un dono del più forte. Per i comunisti era la speranza di fondare un mondo nuovo, di gettare le basi per una società più giusta. E per gli altri? E' difficile dirlo perché ne parlavamo poco. Forse erano stati sufficienti i sentimenti che covavano in tutti: l'astio per il nemico, il desiderio di vendicare i compagni morti, i paesi bruciati, gli ostaggi fucilati, anche a costo di nuovi lutti; la speranza di prendersi una sanguinosa rivincita per tutto quello che avevamo sofferto; l'orgoglio di non piegarsi, di poter scendere alla costa a testa alta, il desiderio di non confondersi con la massa dei deboli, di quelli che sono vissuti nel terrore del nemico; la coscienza magari indistinta di essere tra gli attori del grande dramma, di una pagina di storia, di aver afferrato da forti una occasione unica che basterà a riempire di ricordi o di orgoglio tutta una vita per aver sfidato il nemico temuto da tutti e per non aver piegato quando i più l'avevano fatto.
"Una volta in Croazia" - raccontava Basco - " ero in postazione fuori paese quando avvistammo su una collina di fronte degli uomini in pantaloncini bianchi che scendevano con cautela. Era inverno e ci pareva strana una divisa di quel genere. Venivano verso di noi e non erano armati. Quando furono vicini ci accorgemmo che erano scalzi ed in mutande. Il nostro capitano uscì dalle linee, uno di loro scattò sull'attenti e si presentò, diede il nome del reparto e poi concluse: 'Catturati dai ribelli e poi liberati'. Il capitano esaminò il tenente da capo a piedi: 'Andate giù in paese a rivestirvi!'. Mentre scendevano per la mulattiera vedemmo che sul retro delle mutande avevano scritto con pittura rossa e azzurra VINCERE. Come erano stati presi? Lo seppi il giorno dopo da uno di loro che trovai in paese. Erano andati in perlustrazione fin quando avevano avvistato una sentinella partigiana; si erano buttati al riparo delle rocce, poi il tenente impugnando la pistola: 'Ragazzi, si attacca! Savoia!'. Gli altri risposero: 'Savoia!' ma poiché il tenente restava con la testa dietro al sasso, nessuno si mosse. Qualche minuto di attesa, poi di nuovo 'Savoia!' e di nuovo tutti fermi. Infine dopo aver gridato Savoia cinque o sei volte vennero i ribelli e li catturarono".
Il discorso fu interrotto dall'entrata di un partigiano: "C'è gente in cresta dalla parte di Aquila [Aquila d'Arroscia]". Uscimmo in due o tre: sulla mulattiera che scendeva dalla cappella di S. Cosimo scendeva una ventina di armati. "Forse son quelli della I che vengono per le armi. Fra poco li vedremo meglio". Era Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] con i suoi e quando giunsero il paese si animò d'improvviso.
Pranzammo e poi dividemmo le armi. C'era anche Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] con Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante], c'era un capobanda della Divisione di Savona cacciato in Val Pennavaira da un attacco tedesco. Anche sopra Savona avevano avuto un lancio: ci promise munizioni per mitraglie che avevano ricevuto in abbondanza mentre a noi mancavano ancora.
"Da oggi ha inizio la campagna di primavera", disse Giorgio, mentre gli uomini riempivano i caricatori dei mitra con i colpi per gli Sten. "Si riprendono gli attacchi, si abbandona la tattica cospirativa: piena libertà di azione per ogni banda, attaccate come e quando volete, non occorre più l'autorizzazione del Comando. Ragazzi, distruggete la scatola delle munizioni, in paese non deve restare traccia del lancio".
L'armamento della Divisione era finalmente aumentato, venne esaminata la situazione di ogni banda sotto l'aspetto delle armi automatiche in dotazione: col nuovo materiale era possibile creare un maggiore equilibrio. L'esplosivo, la miccia, tutto il materiale da sabotaggio che ci era piovuto dal cielo venne consegnato direttamente ai comandi brigata: sarebbe finalmente finita la ricerca snervante nei campi minati.
In quelle ore giunse notizia che una colonna nemica scendeva su Caprauna, l'annuncio sollevò l'entusiasmo: finalmente avremmo affrontato il nemico ad armi pari. La notizia era errata e l'eccitazione si spense, era però buon segno che i partigiani anelassero di nuovo ad incontrarsi col nemico.
La banda di Stalin col Comando divisionale lasciò la valle di Alto, lo schieramento protettivo venne sciolto, la situazione tornò normale. L'operazione L 1 si era conclusa con un successo.
La campagna di primavera
L'inizio della campagna di primavera annunciata da Giorgio al distaccamento «G. Garbagnati» e ripetuto lo stesso giorno [16 marzo 1945] agli uomini di Cimitero coincise con una forte ripresa offensiva solo nella zona costiera.
La I Brigata preparava in collaborazione col S.I.M. la distruzione del posto di blocco fascista di Cervo progettando di far saltare la casa dove era trincerato con esplosivo collocato nella cantina. Al progetto si oppose il C.L.N. di Cervo del quale faceva parte Semeria che, salvatosi in ottobre dal disastro di Upega, collaborava ora con Batè (Cotta) nelle S.A.P. e nel C.L.N. Semeria era entrato in contatto coi fascisti del posto di blocco avendone la garanzia che, oltre a non molestare nessuno, avrebbero dato informazioni sul traffico di persone e reparti. Il posto di blocco era messo in posizione errata, poiché controllava solo la Via Aurelia e chi non voleva farsi notare poteva evitarlo passando per il paese. Gli argomenti erano buoni ed i partigiani rinunciarono consolandosi con l'intensificazione delle imboscate. Nelle zone più interne l'iniziativa rimaneva ai tedeschi che intensificavano le puntate.
Era a conoscenza il nemico del lancio avvenuto? Taluni indizi ce lo facevano supporre; era però poco probabile che fosse al corrente del punto preciso.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 209-211

19 marzo 1945 - Dal CLN mandamentale di Diano Marina al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Chiedeva di desistere da un'azione prevista contro il posto di blocco nemico di Cervo, del resto pericolosa perché sussisteva già allarme tra i soldati e la popolazione stessa, anche per evitare una rappresaglia contro i civili, e sottolineava che questo assunto era stato già sollevato in un incontro, alla presenza di un delegato del CLN provinciale, con il commissario "Federico" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Federico Sibilla] e con il comandante "Mancen" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Massimo Gismondi]
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

lunedì 20 novembre 2023

Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi...

Alto (CN). Fonte: Wikimedia

Il giorno 16 giunsi ad Alto. Là terminava la carrozzabile che saliva da Albenga per Castelbianco e Nasino. Inerpicato su un ripido pendio il paesino di Alto in quel marzo 1945 assomigliava stranamnente a Fontane in novembre. Castani spogli, cielo grigio piombo, viuzze fangose, cime e creste brulle ed a pascolo chiudevano a semicerchio la valle mascherando il varco che lasciava passare la mulattiera per Capraùna.
Alto; strano che Cascione avesse scelto per culla del movimento un luogo così cupo che, pur essendo ancora in Liguria, aveva già l'aspetto dei paesini d'alta montagna, dove la neve si fermava più a lungo, il clima era più freddo. Inesperienza? Motivi di sicurezza? Chi sa! Il fatto che la carrozzabile finisse ad Alto e quindi gli automezzi nemici potessero attaccare da una sola direzione e dopo una dura salita, la lontananza da altri paesi, quindi un maggiore controllo sugli abitanti e sullo spionaggio nemico possono aver fatto cadere la scelta su Alto. Ne dedussi anche che la banda di Cascione, dopo lo scontro di Montegrazie, dovette avere un atteggiamento difensivo analogo più o meno a quello adottato da noi nel periodo di stasi e depressione che ci colpì all'inizio del secondo inverno.
L'aspetto di Alto il 16 marzo era normale, nulla indicava che un lancio avesse luogo nelle vicinanze o che vi fossero concentramenti inconsueti di partigiani.
Che differenza con Garessio in luglio o Piaggia in ottobre. Allora una decina di partigiani riempiva un paese. Parevano migliaia e dopo un po' ti accorgevi che erano sempre le stesse facce. Ora invece pare che abbiano l'arte di scomparire.
Trovai Germano sulla piazza del paese; mi indicò la casa di Turbine [n.d.r.: Alfredo Coppola, capo squadra in seno alla II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"], uno degli incaricati del lancio. "Sta con la moglie" mi disse. Infatti anche Turbine nei giorni si scorsi si era sposato. Entrai: Basco [Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata], Turbine, Trentadue e qualche altro erano intorno a piatti di castagne e di latte.
"Sempre la solita cagnara" -  diceva Basco - "chi si alza prima comanda. Nessuno di noi conosce il messaggio speciale, né i comandanti di brigata, né i capibanda ed è giusto. Poi ti trovi tra i piedi uno del S.I.M. che ascolta la radio con te e si mette a gridare: «Ecco il messaggio, stasera c'è di nuovo il lancio!» - e tu ci fai la figura dello scemo. Il Comando ti garantisce che di lancio ne fanno uno solo perché la zona è pericolosa e così ti fa perdere il secondo. Ma perdere è poco, ti fa scannare a correre nel buio e tutto per niente. Poi ti fa aspettare tre giorni i signori della I Brigata ["Silvano Belgrano"] che vengano con comodo a ritirare la loro parte. Adesso la zona non è più rischiosa secondo il Comando...".
Ricordavo il Basco dello scorso luglio caposquadra della Matteotti: "Questa volta ci hanno fregato: siamo al buio in una zona che non conosciamo, ma domani non ci stiamo più".
Il capobanda del distaccamento "I. Rainis" aveva conservato lo spirito ribelle di allora. "Ci fanno i lanci adesso i signori inglesi. Sperano che diamo loro una mano quando verranno avanti. Quando avevamo bisogno di armi per difenderci, per vivere, allora niente".
"A Mauri i lanci; noi, che siamo comunisti, più moriamo meglio è. Ma i primi inglesi che vedo... Ma siamo in pochi e finirebbe come in Grecia. Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi... Naturalmente i signori del Comando non la penseranno così. L'anno scorso quando speravamo di scendere avevano abolito le stelle rosse, i fazzoletti, le bandiere, tutto quello che c'era di rosso, come se gli inglesi non ci conoscessero. Quelli del Comando stavano al centro a decidere e noi sui passi intorno a far la guardia, a difendere quelli che decidevano. Quando abbiamo capito che la nostra vita valeva la loro e abbiamo cercato un posto meno rischioso, il Comando è sparito, è diventato clandestino. Adesso che viene il buon tempo verranno di nuovo fuori, pianteranno gli uffici in un paese e diranno a noi delle bande di schierarci a difenderli, ma stavolta non ci riusciranno".
"Guardate Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante]: non ha preso mai un rastrellamento. Che furbo! Prima era al S.I.M. e quando le notizie eran brutte cambiava aria. Adesso è commissario e fa i comodi suoi. A Nasino ha un rifugio che è impossibile trovarlo. I poveri diavoli siamo noi che dobbiamo salvare gli uomini, il materiale e poi noi, se avanza il tempo".
"L'altro giorno trova un contadino che ha un permesso del Comando tedesco sotto il nastro del cappello, lo interroga e poi ci dà ordine di fucilarlo. Come se la vita degli altri non contasse niente! Noi abbiamo detto di sì e poi lo abbiamo lasciato andare. E' difficile giudicare uno ed è terribile condannarlo se non confessa. E' capitato a me con un S. Marco. Lo abbiamo interrogato per un giorno intero, ha sempre negato. Pure eravamo sicuri che era una spia.
Dovevo essere io a giudicarlo e vi assicuro che non ho chiuso occhio quella notte. Il giorno dopo era scappato. L'abbiamo ripreso per un miracolo ed allora ha confessato: era venuto su per tradirci. Ma se non avesse parlato non avrei avuto forse il coraggio di ucciderlo, neanche dopo la fuga".
Il tempo passava intorno alla stufa, qualcuno entrava, altri uscivano. Lungo il muro i sacchi del lancio erano comodi sedili, nella stanza più interna Trentadue aveva dormito immerso nei paracadute. Basco raccontava del tempo in cui era in Croazia come paracadutista: un giorno aveva aiutato i contadini a spegnere un incendio appiccato dagli alpini. Avevano avuto come compenso chili di miele. Un'altra volta avevano appostato una staffetta partigiana che passava di solito in uno stesso punto. L'avevano attesa a lungo, poi, appena avvistatala: una raffica e la staffetta era caduta: "Ci avvicinammo cautamente, quando fummo a pochi metri lo slavo fece scoppiare una bomba a mano. Si uccise ma distrusse i documenti che portava".
Episodi ed episodi, raccontati con naturalezza ed indifferenza. Ora si combatte da una parte, allora dall'altra. Ora si è rastrellati, allora si rastrellava. Si era mai chiesto Basco se vi era contraddizione fra le due guerre, se allora o ora si era nel giusto?
Allora il governo comandava di fare quello ed era naturale farlo, nessuno pensava a disubbidire apertamente. Ora i tedeschi non sono più sulle ali della vittoria, l'opinione pubblica è contro di loro e così è naturale esser partigiani. Cosa ha sostenuto questi giovani nel duro inverno? Il gusto dell'avventura? Il rancore per gli anni di guerra passati e subiti? Chissà...!
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 206-209

17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle tre linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera di cui si invia traduzione circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che "... il quartier generale tedesco si è trasferito nella palazzina Faravelli a Nava. I tedeschi, portandosi dietro il russo catturato ad Alto, hanno fatto una puntata a Gazzo e a Gavenola per arrestare 'Ramon' [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante"] e gli altri, ma, fortunatamente, il russo si è dimostrato leale e ha reso vana la puntata".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999