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venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012

mercoledì 28 giugno 2023

All'alba del 10 di agosto 1944 i tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio

La zona del Col di Nava. Foto: Mauro Marchiani

Alle tre del mattino del 2 agosto 1944 la cresta della montagna che si estende dal Pizzo d'Evigno al Pizzo della Ceresa, ancora in ombra, emerge netta sullo sfondo del cielo chiaro e stellato.
Ad un tratto, un bisbiglio di pronuncia straniera giunge all'orecchio di Albino Biga della banda di Roncagli, accovacciato in un cumulo di fieno nei prati di "Scornabò".
Alzata la testa ancora piena di sonno e volto lo sguardo verso la cresta, ad una ventina di metri scorge le ombre di una lunga fila di uomini sagomate contro il cielo, che gesticolano verso il fondo valle. I Tedeschi, pensa. Ma no! Non può essere, altrimenti i partigiani accampati ai "Fussai" lo saprebbero.
Il S.I.M. li avrebbe informati di un probabile rastrellamento. Saranno i disertori polacchi unitisi ai partigiani, che stanno per trasferirsi in Valle Arroscia. Infatti, il giorno precedente gli uomini di "Mancen" [n.d.r.: Giuseppe Gismondi, pochi mesi dopo comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] a Borello, a Borganzo, a Roncagli, ad Arentino, ed a Evigno, avevano preso in prestito dai contadini una trentina di muli per il trasporto degli equipaggiamento.
Albino, che nella penombra osserva ancora, ad un tratto intuisce che le ombre sono veramente soldati tedeschi che stanno per iniziare il rastrellamento.
Con movimenti impercettibili riesce a raggiungere l'oscurità del bosco sottostante. Scivola rapido tra gli sterpi ed i cespugli di un ruscello, si avvicina, giù in basso, al casone dei "Fussai" dove sono accampati e dormono i partigiani della "Volantina"; della presenza tedesca avvisa la sentinella che attizza il fuoco sotto la marmitta del caffè e che, disgraziatamente non crede alla notizia, poi scende rapidamente le scogliere del "Negaesso" e si rifugia in inaccessibili tane insieme ad alcuni compagni. Altri contadini che, in piena fienagione, stavano dormendo per i prati, sono protagonisti dello stesso episodio, tra cui la ragazza Lucia Ardissone che, dopo una corsa di qualche chilometro per la montagna, riesce a mettere in allarme una decina di giovani di Roncagli che stavano riposando in una baita in località "Pian della Chiesa". Appena vi giunge, tutta la vallata già rimbomba di scoppi di bombe a mano, colpi di fucile, raffiche di mitragliatrici.
I soldati tedeschi giunti nella notte dalla Valle Impero, dalla Valle di Andora, dalla Valle Steria, dal Passo della Colla, dal Monte Ceresa, dal Colle del Lago e dal Monte delle Chiappe, scendono a valle. Alle sette del mattino i borghi di Evigno, Arentino, Roncagli e Borganzo vengono investiti e saccheggiati. Con qualche masserizia e col bestiame, gli abitanti fuggono disperati per tentare di nascondersi nei rifugi della campagna. Intanto i grandi stormi di fortezze volanti americane attraversano il cielo, lasciando lunghe strisce bianche. Il rumore assordante prodotto dai motori degli aerei fa vibrare il terreno, in modo insopportabile si ripercuote nelle tane costruite nelle fasce ulivate.
Ogni cespuglio del torrente Evigno viene battuto da raffiche di mitra e bombe a mano. Chi vi si trova nascosto prova momenti di indescrivibile terrore.
L'attacco del 2 agosto 1944 alla “Volantina” nella valle di Diano Marina, con il rastrellamento tra il Merula e l'Impero, e la marcia della colonna nazifascista, che pervenuta da Garessio si arresta ad Ormea, vanno intese come operazioni preliminari al vasto rastrellamento vero e proprio. Il piano del Comando tedesco prevedeva azioni su un territorio molto ampio. Infatti i contingenti militari partirono da direzioni notevolmente distanti l'una dall'altra: Garessio-Ormea, Albenga, colle San Bartolomeo. Sono toccate ben tre province (Cuneo, Savona, Imperia) e due regioni (Piemonte e Liguria).
L'obiettivo è importante ma, nell'agosto, il fine si presenta più limitato rispetto al precedente mese di luglio, risultando ormai ben difficile l'eliminazione totale dei garibaldini della I^ Zona Liguria.
Perciò il grande schieramento di forze è rivolto ad ottenere il controllo di alcune vie di comunicazione.
I tedeschi, dopo aver operato le marce di spostamento ed essersi assicurati il controllo della Statale n. 28 per il tratto che va dal litorale al Colle San Bartolomeo, iniziano il giorno 9 o il 10 (a seconda della provenienza delle diverse colonne) le operazioni di rastrellamento.
L'epicentro dell'azione è Caprauna, paesello ubicato nel cuore del territorio da accerchiare su cui convergono da ogni direzione, a raggiera, numerose vie di comunicazione; ma il primo obbiettivo nazista è l'occupazione di Pieve di Teco.
Su questa località si dirigono le tre principali colonne accerchianti.
La prima parte da Ormea, dove era giunta per mezzo di un treno che era stato attaccato dai partigiani appostati sulla riva destra del Tanaro (nel corso dell'operazione erano state divelte in parte le rotaie della strada ferrata, ma le carrozze non si erano rovesciate); da Ormea si avvia per la statale a Case di Nava e scende a Pieve di Teco.
La seconda proviene da Albenga, percorre la carrozzabile, ed a sua volta si ramifica in due colonne: una raggiunge Nasino, Alto e punta su Caprauna; l'altra prosegue lungo la strada per Borghetto di Arroscia e si inoltra a Pieve di Teco.
La terza infine, proveniente dal litorale, parte da colle San Bartolomeo e procede lentamente e in maniera molta guardinga per il timore di imboscate lungo la Statale n. 28 fino a Pieve di Teco e, verso mezzogiorno, entra nel paese, malgrado la resistenza opposta dal distaccamento di “Orano” presso villa Baraucola. Durante il percorso il grosso della truppa è preceduto da pattuglia di avanguardia che, passando, provocano vasti incendi che sprigionano alte colonne di fumo. Il comando tedesco ha ormai racchiuso il territorio della I Brigata in una grande sacca e si appresta a sferrare l'attacco decisivo per eliminare i partigiani circondati.
Il comando garibaldino, però, essendo già stato informato dal giorno 5 del prospettato rastrellamento nazista, pur senza conoscerne la data esatta, aveva provveduto ad avvertire le formazioni dipendenti del pericolo, prendendo misure di immediata difesa, sicché era venuto a mancare ai tedeschi il vantaggio del fattore sorpresa. La sede del comando della I^ Brigata, con perfetta scelta di tempo, dopo l'occultamento del materiale e dei documenti delle formazione, si era trasferita da Pieve di Teco a Moano (Frazione di Pieve di Teco in Valle dei Fanchi). Anche l'ospedale civile era stato evacuato, con la messa in salvo dei partigiani malati. La “Matteotti”, che da Lovegno seguiva i movimenti dei Tedeschi, invia staffette per avvisare le altri formazioni del pericolo imminente.
Nella notte tra il 9 e il 10 di agosto Silvio Bonfante (Cion) attacca i tedeschi a Pieve di Teco; poi si sposta verso Madonna della Neve dove poco tempo prima si era portato “Pantera” [n.d.r.: Luigi Massabò, in seguito vice comandante della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] con i suoi uomini e, sulla dominante vetta del Frascianello, aveva trovato la Matteotti. “Pantera” prima dell'arrivo di “Cion”, aveva rivelato alla “Matteotti” i suoi propositi di forzare l'accerchiamento nemico per cercare la salvezza nel bosco di Rezzo, ed a tal proposito aveva chiesto l'autorizzazione del Comando, ma gli era giunto l'ordine di non muoversi, di restare a presidio del luogo e di mandare pattuglie di sorveglianza alla carrozzabile Pieve di Teco-Moano [Frazione di Pieve di Teco (IM)]. Non si sa se l'ordine fosse impartito senza un'esatta cognizione della vastità del rastrellamento o se si intendesse effettuare l'attacco in un unico punto dell'accerchiamento nemico, dal quale passare tutti insieme dopo aver evitato dispersione di forze, maggiori rischi e perdite di vite umane. Successivamente per mezzo di staffette “Cion” ordina a tutti i distaccamenti di portarsi immediatamente verso Case di Nava. 
Oltre al Comando della I^ Brigata ed ai distaccamenti “Volantina” e “Matteotti”, si trovano nella zona le formazioni comandate da “Pantera”, “Orano”, “Renzo” [Renzo Merlino], “Vittorio”, “Battaglia” e “Domatore” [Domenico Trincheri]. All'alba del 10 di agosto 1944 i tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio.
La colonna nazista dell'Alta Val Tanaro scende in direzione quasi parallela alla statale; altre due, partite da un unico punto dalla medesima strada equidistante da Ormea e da Case di Nava, si inoltrano anch'esse verso sud, nel cuore del territorio della I^ Brigata; una colonna da Armo punta a nord; una da Ranzo tende a Gavenola [n.d.r.: Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]; un'altra ancora da Pieve di Teco oltrepassa Lovegno [Frazione di Pieve di Teco (IM)]; ed infine una da Vessalico punta su Lenzari [Vessalico (IM)] e si avvia a Madonna della Neve. Nel pomeriggio del 10 vi fu tutto un dilagare di Tedeschi, in ogni direzione, in ogni paese e frazione e anche presso case sparse e sulle mulattiere.
I luoghi, che poche ore prima erano stati le sedi dei garibaldini, ora sono investiti dall'ondata nemica.
I partigiani per vie dirupate e sentieri da capre, attraverso boschi e crinali, devono operare complicate deviazioni per sganciarsi dal nemico. “Cion” da Madonna della Neve giunse a Case di Nava [Pornassio (IM)] con altri distaccamenti, attaccò decisamente i Tedeschi di presidio (circa una trentina), li disperse e riuscì in tal modo ad aprire un varco nell'accerchiamento.
La “Matteotti”, invece, dopo una lunga marcia, riuscirà ad oltrepassare il Tanaro presso Eca Nasagò.
Ma non tutte le formazioni fanno in tempo a sganciarsi: quella di “Battaglia” resta ferma, o quasi, tra Gavenola e Leverone [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)], mentre quella di “Renzo” si occulta nei boschi dell'alta Val Pennavaira.
Il giorno seguente, 11 agosto, prosegue ancora il rastrellamento, ma poi verso sera si estingue. Le perdite garibaldine non sono lievi: alcuni partigiani sono stati catturati ed uccisi, tra cui il comandante Giuseppe Arrigo (Orano).
I tedeschi non hanno conseguito risultati di grande rilievo. Hanno commesso gravi errori nel corso dell'operazione. Primo fra tutti, l'aver rinforzato eccessivamente le colonne rastrellanti a scapito di quelle d'accerchiamento. Altri gravi errori sono stati lo sgombero notturno di paesi e passi e l'aver presidiato tutti i ponti sul Tanaro il giorno 11, anziché il 10. La disposizione del presidio di Case di Nava ed il passaggio della “Matteotti” attraverso il ponte sul Tanaro rivelano infatti l'imperfetta riuscita dell'accerchiamento e la precarietà della sorveglianza notturna.
Il vantaggio ottenuto è il controllo della Statale n. 28, d'altronde quasi impraticabile per i ponti distrutti dai partigiani. Questi, infatti, per la ragione opposta che ha spinto i tedeschi alle azioni militari per il controllo delle vie di comunicazione, proseguono la battaglia dei ponti per impedire il libero transito ai nazifascisti. L'opera di ricostruzione o riparazione, lunga e non agevole, sarà continuamente ostacolata e ritardata dal sabotaggio dei partigiani. Dal resto, ormai la Resistenza è diventata esperta nella guerriglia e sa parare ogni colpo, affrontare ogni mezzo nemico, sfuggire un attimo prima, passare un attimo dopo il passaggio del nemico. I distaccamenti possono frazionarsi in squadre e nuclei ed in singoli uomini e, in seguito, ricostituirsi in breve tempo, come per magia.
Il partigiano, ora, sa occultare il materiale, salvandolo dalla furia dei nazifascisti, prevedere l'immediato futuro, dosarsi le forze per tutte le stragrandi difficoltà dei momenti peggiori. Egli sa tendere ad un luogo di salvezza valutando gli eventuali pericoli che potrà incontrare lungo la via, sa vegliare tutta la notte, digiunare a lungo e camminare senza posa, riposarsi due ore per riprendere il cammino; conosce la necessità del sangue freddo nelle occasioni più difficili e pericolose, sceglie il momento adatto per rispondere al fuoco dalla posizione migliore; è più veloce, agile e spedito dei tedeschi incolonnati e timorosi dell'agguato, carichi d'armamento pesante, guidati dalle carte, ma ignari dei sentieri, delle curve, della presenza partigiana. I patrioti procedono per luoghi impervi, informati dalla gente della presenza o vicinanza nemica o del viottolo che offre salvezza.
Immancabilmente, poco tempo dopo ogni grande battaglia o rastrellamento, le formazioni garibaldine ritornano nella zona occasionalmente abbandonata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

venerdì 19 maggio 2023

Contrasti tra partigiani garibaldini e partigiani autonomi nei dintorni di Nava

La zona del Col di Nava, comune di Pornassio (IM). Foto: Mauro Marchiani

Giorgio (Giorgio I, poi Cis) Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri [Enrico Martini] e con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto", come risulta da una sua memoria scritta (oggi documento IsrecIm, studiato da Giorgio Caudano). Passò, poi, a militare nelle formazioni garibaldine della I^ Zona, nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della  I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante". 
Adriano Maini

L’ordine di catturare i ribelli era stato emanato dal colonnello Paolo Ceschi “Rossi”, comandante locale che, con il suo attendismo, in pratica manteneva l’ordine nella zona per conto dei nazifascisti. Basti pensare che in quel periodo le caserme di Mondovì e Fossano, città controllate da tedeschi e repubblicani, erano presidiate da uomini agli ordini di Ceschi! Il colonnello aveva il controllo della zona Monregalese - Langhe fin dal convegno di Val Casotto del 24 ottobre 1943 (cui, con tutta probabilità, aveva preso parte anche l’avvocato Astengo, poche ore prima di essere catturato), in cui la mentalità attendistica degli ufficiali era stata aspramente criticata, fra gli altri, da un personaggio del calibro di Duccio Galimberti, un monumento della Resistenza azionista.
[...] Questa vicenda evidenziò una frattura mai del tutto ricomposta fra resistenti “rossi” e “azzurri”. Inoltre, insieme alla crescente impazienza dei partigiani “colpisti” decisi ad attuare una vera guerriglia contro il nemico, fu la causa della sfiducia del CLN regionale piemontese al generale Operti dell’ex Quarta Armata del disciolto Regio Esercito, che ebbe tra le sue conseguenze la rimozione dal comando del colonnello Ceschi, rimpiazzato dal maggiore Enrico Martini “Mauri”.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000

I partigiani locali, allora al  comando di Enzo Marchesi (col. Musso)  catturano alcune autorità fasciste  il 20 dicembre  1943 in  valle  Corsaglia  (CN).  Il  26  dicembre  giunge  a  comandare  il  gruppo il  maggiore  Enrico  Martini “Mauri”. Il 13 gennaio 1944 i tedeschi, con un ultimatum, chiesero la restituzione di “Sarasino, il criminale capo dell’OVRA. In caso di mancata restituzione i tedeschi minacciavano rappresaglie per il giorno dopo”. Mauri disse che i tedeschi bluffavano e non volle provvedere ad una maggiore difesa. Verso mezzogiorno i tedeschi  attaccarono  in  forze  quasi  tutti i partigiani dell’avamposto del Pellone, con alcuni abitanti, caddero nelle loro mani e furono trucidati.
Italo Cordero, Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 56-57

Aldo Romei (Roma) fu dapprima per circa tre mesi con Martinengo  [Eraldo Hanau, comandante in seguito della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri']poi nel giugno, luglio e agosto 1944 con il capitano Umberto (Candido Benassi) e infine entrò nelle SAP sanremesi...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Mandammo tutti gli sbandati della 4^ Armata che transitavano nella nostra zona, specialmente quelli che arrivavano da Albenga, a Valcasotto. Vestivamo quei soldati con abiti civili e li accompagnavamo in montagna, a Valcasotto dove si stavano organizzando le formazioni di Mauri.
Il primo maggio del '44 successe una cosa curiosa. Di solito in quella giornata venivo fermata, mi trattenevano a Mondovì oppure agli arresti domiciliari; quell'anno un signore mi fece una soffiata che giunto un ordine ai carabinieri di arrestarmi per una settimana.
Mi nascosi e non mi feci prendere; poi lasciai trascorrere un po' di tempo e scrissi al questore domandandogli perché avevano paura di una donna piccola come me, tanto da ordinare di arrestarmi senza un motivo preciso.
Le autorità misero in guardia i carabinieri, volevano sapere chi mi aveva fatto la soffiata.
Ricevetti l'ordine di recarmi immediatamente a Cuneo alla questura.
[...] Dunque a Valcasotto c'erano le formazioni di Mauri; Bogliolo e Gaietto lavoravano con altri piccoli gruppi. Le brigate Garibaldine vennero una volta, in occasione della battaglia del S. Bernardo (ne parla anche Mario Giovana nel suo libro “I Garibaldini delle Langhe”).
Una volta rischiai la vita. C'era un compagno, si chiamava Dino; lo volli conoscere perché venni a sapere che aveva dipinto falce e martello sul vessillo del suo gruppo di partigiani. Aveva abbandonato le formazioni di Mauri ed organizzato un gruppo di quindici uomini. A Mauri la cosa non piacque perché voleva mantenere il controllo dell'intero territorio, quindi si giunse ad uno scontro.
Salii una notte a Valcasotto con un membro del C.N.L. Per parlare con Mauri e far terminare queste lotte intestine, ma fu inutile.
Dopo qualche giorno ero in casa quando sentii che stava accadendo qualcosa sul crocevia, c'era la mitraglia piazzata. Mi precipitai pensando che volessero uccidere Dino e i suoi uomini. Avevano preso Dino e tre dei suoi. Era presente Bogliolo, tentai di farlo ragionare, ma l'unica risposta che ottenni fu uno schiaffo che mi spostò la mandibola.
Volli parlare con Mauri.
Partimmo per Bagnasco; mentre aspettavamo udimmo una raffica: avevano ucciso un partigiano di Ceva. Bava, che venne nella nostra zona dopo l'incendio di Boves, si trovava quel giorno a Bagnasco e venne a sapere che mi avevano preso - ormai ero nelle loro mani - così fece arrestare il gen. Paolini e il console Gobbi e disse a Bogliolo che se mi fosse successo qualcosa ne avrebbero pagato loro le conseguenze.
Mauri non era a Bagnasco, così partimmo per le Langhe, dopo aver saputo che la situazione a Garessio era di massima tensione. Durante il tragitto fermarono il camion su cui viaggiavano Dino e i suoi e li uccisero. A Rocca Cigliè c'era il comando generale di Mauri. Mi fecero entrare nella torre e alla mia richiesta di avere qualcosa da mangiare, perché ero ancora a digiuno, mi risposero che chi era passato di là non aveva più né mangiato né bevuto. C'era prigioniero con me un tenente d'aviazione, che avendo saputo che ero comunista volle sapere cosa fosse il comunismo, perché non ne sapeva nulla. Sul momento, a pancia vuota, dopo aver visto fucilare quattro persone e con la prospettiva di essere fucilata io stessa, gli dissi semplicemente che per me il comunismo era lottare per la libertà.
La prima reazione nel rivedere Mauri fu il pianto; mi sentivo tradita dalle stesse persone che avevamo aiutato; molte donne a Garessio lavoravano a fare le calze che poi inviavano, insieme al tabacco, su in montagna ai partigiani.
Non riuscivo veramente a capire quelle lotte intestine.
Alla fine Mauri mi mandò in cucina a mangiare qualcosa, ma io non riuscivo a deglutire nulla, un po' per lo spavento, un po' per la mandibola ancora dolorante. Raccontai al cuoco ciò che era successo in Alta Val Tanaro, ed egli si schierò dalla mia parte. Mauri mi accompagnò poi in albergo e mi mise due piantoni alla porta perché non scappassi. Il giorno successivo mi accompagnò con l'auto fino al forte di Ceva. Oltre non si poté proseguire perché Ceva era occupata dai tedeschi. Di lì dovetti proseguire da sola; Mauri mi diede i soldi per il treno perché non avevo preso nulla quando ero uscita di corsa da casa.
A Garessio mi aspettavano due partigiani per accompagnarmi dal comando che si trovava ad Ormea. Andammo su con la locomotiva del treno, perché non c'era altro mezzo di trasporto, ed anche dal Partito arrivò l'ordine che non mi esponessi più così.
Testimonianza di Lucia Canova in Sergio Dalmasso, Lucia Canova, donna e comunista, CIPEC, Quaderno n° 1, Cuneo, 1995 

La notizia che “Turbine” faceva disarmare gli sbandati e che si era approvvigionato di viveri a Viozene si era diffusa e, passando di bocca in bocca, si era naturalmente deformata. Al Comando badogliano fu detto che gruppi badogliani erano stati disarmati da noi, che un deposito di viveri di “Martinengo” era stato saccheggiato. “Martinengo, che già ci riteneva degli intrusi nella zona, inviò un forte nucleo dei suoi contro le squadre di “Gapon” e di “Stalin”: i garibaldini dovevano essere disarmati. La mattina del 10 [luglio 1944] quelli della “Matteotti”, che si erano fermati a Nava tutto il giorno 9, erano seduti sulle panchine dell'albergo, dove in quei giorni avevano mangiato, quando videro un gruppo di badogliani armati che passava davanti a loro, mentre un altro, fermatosi sullo stradone un po' prima, piazzava una mitragliatrice. I garibaldini guardavano meravigliati ed incuriositi la manovra strana. Il gruppo che era passato loro davanti si ferma in fondo alla strada ed apposta anch'esso le sue armi, poi un ufficiale viene verso l'albergo: 'Ho l'ordine del mio comando di disarmarvi, ci risulta che avete tolto le armi a dei nostri uomini. E' inutile che tentiate di resistere, la strada è sbarrata e siete tra due fuochi'. Effettivamente la 28, che passava fra le case, era bloccata. Alle spalle dell'albergo c'era il Tanaro. “Stalin” [Franco Bianchi] sorrise ironico: 'Queste armi non sono vostre ed io ho dal mio comando l'ordine di non cederle. Se la strada è sbarrata entreremo nell'albergo e spareremo dalle finestre'. La mattina del 10 scendevo lungo la 28 da Case di Nava [comune di Pornassio (IM)] verso Ponti quando vidi un badogliano che saliva in bicicletta. Lo chiamai: 'Dani, c'è qualcosa di nuovo che mi sembri arrabbiato?' L'aspetto di Dani mi impensieriva. Il badogliano si fermò, parlò senza scendere: 'Ci hanno mandato a Ponti a disarmare i vostri. Non abbiamo potuto rifiutare. ma siamo andati con le armi scariche, non vogliamo sparare sulla Stella Rossa. Ora vado al Comando a vedere cosa dobbiamo fare perché i vostri non si vogliono arrendere. Se al Comando insistono pianto tutto e me ne vado. Non sono venuto sui monti per sparare sui compagni. Se vedi i tuoi, di' loro che non sparino, se ci ammazziamo tra di noi è finita. Di' ai tuoi che i miei compagni hanno le armi scariche'. Il buon senso degli uomini evitò il peggio. I garibaldini non vollero sparare per primi, gli altri non potevano farlo. Da Viozene venne giù “Turbine” e “Martinengo” arrivò in moto; intervennero altri comandi, si discusse a lungo mentre gli uomini delle due formazioni si univano ed i badogliani mostravano i caricatori vuoti. Cosa si dissero i comandanti? Non lo sapemmo. Come conclusione la “Matteotti” rientrò in serata a Viozene con l'ordine di partire appena possibile per San Bernardo di Garessio.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

Il secondo caso è più eclatante: quando nei primi giorni di agosto 1944 Mauri fu catturato nelle Langhe, immediatamente giunse dal comando di Verona un inviato di Harster, il capitano Adolf Wiessner, anch’egli un esperto in materia, il quale non per caso in precedenza aveva operato a Kiew contro il movimento partigiano nazionalista ucraino e che probabilmente fu tra gli artefici della politica di “assorbimento” attuata dai servizi tedeschi nei loro confronti. Wiessner elaborò un piano semplicissimo il cui contenuto lo possiamo ricavare da una serie di appunti vergati a mano su di un registro del comando generale SS di Karl Wolff che recita: “Il capobanda Mauri [è stato] arrestato [e si trova presso il comando] SD di Cuneo. Wiesner [sic] attualmente a Cuneo per le trattative […] Mauri ritorna [presso le sue formazioni partigiane]. Accordo: niente attacchi contro la Wm [ovvero la Wehrmacht]; informazioni sui gruppi comunisti; rastrellamento e presidio delle aree comuniste; prima i comunisti e poi Mauri” [101].
Con quali intenzioni il comandante autonomo, il cui anticomunismo è ben noto [102], abbia effettivamente condotto queste trattative è una domanda alla quale, in mancanza dei documenti del comandante partigiano, non possiamo rispondere. E nemmeno siamo in grado di dire se egli abbia intuito la parte del piano tedesco riassunta nell’espressione “prima i comunisti e poi Mauri”.
Probabilmente, da comandante abile e astuto quale egli era, lo fece. Appare tuttavia evidente che la versione ufficiale fornita da Mauri, fuga rocambolesca dalle mani naziste durante il trasferimento a Torino, sia da considerare una chiara falsificazione. Dobbiamo infine anche considerare il fatto che, al di là di come egli intendesse regolarsi al suo rientro presso le sue formazioni, la presenza di una missione inglese, giunta proprio durante la sua breve assenza, non poté non influire sulla sua decisione di continuare la lotta nel movimento di Liberazione.
[NOTE]
[101] BAB, R 70 Italien/3, p. 2a s. Il testo originale è: "Bandenführer Mauri festgenommen bei SD Cuneo. Wiesner z.Zt. in Cuneo [...] betr. Verhandlungen [...] Mauri zurück. Regelung: keine Angriffe auf Wm. Hinweise auf Kommunengruppen [sic]. Bekämpfung u. Nachsicherung von K[ommunistische]P[artei]-Räumen; erst K[ommunistische]P[artei], dann Mauri“ (la punteggiatura e le integrazioni sono mie).
[102] Mario Giovana, Guerriglia e mondo contadino. I garibaldini nelle Langhe 1943-1945, Bologna, Cappelli, 1988.

Carlo Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia, 1943-1945 in Aa.Vv., (a cura di) Paolo Ferrari e di Alessandro Massignani, Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Franco Angeli Edizioni, 2010 

Il 12 settembre 1944 “Mauri” ordina alla brigata “Val Tanaro”, della IV divisione Alpina, di recarsi in Val Casotto in virtù degli sviluppi della guerra sul fronte occidentale e delle direttive del CMRP (Comitato Militare Regione Piemonte) del 27.8.44. Il giorno seguente vengono diramate nuove comunicazioni del CLNRP (Comitato di Liberazione Nazionale Regione Piemonte) per l'insurrezione.
[...] nella seconda metà di luglio, “Mauri” crea il Comando del 1° settore cuneese e delle Langhe, che comprende due divisioni alpine: la I, valli di Peveragno, Pesio, Ellero, Miroglio, Corsaglia; la II, Casotto, Mongia, Tanaro; e una divisione Langhe. Sotto questo comando non risultano esserci formazioni di partito, che vengono quindi escluse da questa zona, a meno che formazioni politiche che intendano operare in queste zone non si sottopongano come le altre al Comando del 1° settore. Il comando dichiara la sua esclusiva dipendenza dal CLN, e si specifica il carattere militare delle divisioni Alpine che fanno capo al Comando. All'interno di questo comando di settore, “Mauri” crea un ulteriore organismo, il comando del 1° GDA, composto inizialmente da circa tredici distaccamenti.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

Negli ultimi giorni di gennaio [1945] in una meravigliosa giornata di sole (con noi c'era anche Rustida [Costante Brando] che coi suoi ci aveva nel frattempo raggiunto) andavamo verso Nasino [(SV)] senza nessuna meta particolare, quando vediamo venire verso di noi un uomo.
[...] Mi appartai con lui, che era latore di una lettera del Comandante della I^ Zona Liguria, una lettera di Curto [Nino Siccardi].
Prima di aprirla gli chiesi se ne conosceva il contenuto. «Parzialmente sì» mi rispose.
Gli dissi che quello che non conosceva non mi interessava, perché certamente sarebbero state parole poco lusinghiere per me.
Aggiunse che era certo che mi sbagliavo e iniziò a spiegarmi il perché della sua visita.
Il Comitato Liberazione Nazionale di Garessio (CN) e quello di Ormea (CN) avevano deliberato di dar vita ad una formazione Garibaldina Ligure-Piemontese che operasse nell'alta Val Tanaro e nell'alta Val d'Arroscia, nella quale far confluire tutti i giovani desiderosi di combattere contro i tedeschi e i fascisti, ma che per vari motivi non intendevano farlo nelle formazioni Autonome (che noi allora chiamavamo Badogliani, come loro ci chiama­vano Stelle Rosse).
Tradotto in pratica, tutto questo poteva voler dire che gli Autonomi non davano grande importanza al C.L.N. e che, per questo motivo, molto probabilmente, lo stesso aveva deciso di creare o di favorire la formazione di una Brigata garibaldina.
E proprio a me, che ero il «rompiballe» della I^ Zona Liguria, affidava la gatta da pelare.
Allora pensai a quanto mi aveva raccontato Italo Cordero [n.d.r.: in seguito autore di Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991], uno degli artefici della difesa della Val Casotto, quando per divergenze coi Comandi Autonomi s'era allontanato con sua moglie, rifugiandosi nel bosco di Rezzo [in provincia di Imperia].
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994 , p. 166

1 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 173/CL, all'Ispettorato della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione: "Il capitano Umberto [n.d.r.: Candido  Benassi, già comandante di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, operante tra Baiardo (IM) e Ceriana (IM), che, prima di venire sciolta intorno al 20 settembre 1944, aveva sporadicamente collaborato con i garibaldini e aveva anche momentaneamente incorporato Italo Calvino] starebbe costituendo un distaccamento da spostare in Piemonte per poterlo unire ai badogliani, ai quali comunicherebbe altresì l'esigenza di eliminare le formazioni garibaldine".
10 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" all'ispettore Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale della I^ Zona Liguria] - Comunicazione circa la presunta cattura del comandante Mauri [n.d.r.: probabile riferimento, fatto, dati i tempi, in netto ritardo, all'arresto di Mauri da parte dei tedeschi avvenuto ai primi dell'agosto precedente nelle Langhe; sul ritorno in libertà del comandante badogliano esistono due versioni: fuga rocambolesca (memorie di Mauri stesso, riprese anche con questo articolo pochi mesi or sono da Patria Indipendente, rivista dell'ANPI) e trattativa con i teutonici con conseguente rilascio (come in Carlo Gentile, non solo in I crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-1945), Einaudi, 2015, ma anche in vedere infra] "... giurata da Mauri una lotta feroce contro fascisti e garibaldini...
15 gennaio 1945 - Dalla II^ Divisione, Sezione S.I.M., al comando della II^ Divisione - Relazione generale, da cui si evince: che il comando tedesco aveva dato ordine agli industriali di vendere loro i macchinari o di renderli inservibili; che Mauri sarebbe stato rilasciato dai tedeschi e si era ripromesso una lotta feroce contro fascisti e garibaldini; che il generale della Divisione tedesca operante in zona era stato nominato Gauleiter di Ormea (CN), Ceva (CN), Mondovì (CN) e Cuneo; che erano transitati molti uomini dei Cacciatori degli Appennini [della Repubblica Sociale] in direzione di Albenga (SV) [...]
27 febbraio 1945 - Da Mimosa [Emilio Mascia di Sanremo, quadro della V^ Brigata S.A.P. "Giacomo Matteotti" della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Avvisava che ad Alassio era stato visto il capitano Umberto [Candido Benassi], il quale aveva incitato loro uomini ad aggregarsi al Battaglione "San Remo" da lui formato per andare in Piemonte.
18 marzo 1945 - Dal comando della III^ Divisione "Alpi" a "Curto", comandante della I^ Zona Operativa Liguria - Scriveva che "in risposta alla richiesta di chiarimenti sull'uccisione dei due ex garibaldini "Lino Bruno" e "Gianni" si comunica che essi furono giustiziati su indicazione del tenente "Aldo" della I^ Zona prima che questi morisse eroicamente. "Aldo" aveva comunicato a questo comando che i due soggetti agivano in traffici illeciti ai danni dell'organizzazione partigiana: in dicembre, infatti, nel culmine del grande rastrellamento venivano sorpresi a gestire i loro traffici. Nel caso in cui sarà necessario fornire ulteriori informazioni queste verrano date dalla polizia giudiziaria divisionale. Per rafforzare la linea di reciproca collaborazione, che già da tempo  esiste, si auspica di avere nuovi fruttuosi contatti".
31 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalazione circa "... atteggiamento ostile da parte delle Brigate Mauri nei confronti delle squadre della Divisione mandate ad operare in Val Tanaro... inviata una lettera a Mauri con cui si ricordava la comune causa di tutti i patrioti...".
16 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Comunicava che ... 'in Val Tanaro i bandi di reclutamento di "Mauri" rimanevano inascoltati'.
18 aprile 1945 - Dal  comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Ordine di inviare una squadra presso Martinengo [Eraldo Hanau, comandante della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'], con cui erano già stati presi accordi, per ritirare 250.000 colpi per mitragliatori St. Etienne.
da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

CARLI, CARLO, 20.05.1918 Imperia.
Aosta 3° corso, 1° dicembre 1941, alla Testafochi con il cap. Rasero ed il ten. Scagno (di essi serbo un ricordo meraviglioso!). Campo invernale ad Oropa. Sergente a Merano, Maja Bassa, con il col Martinoja ed il ten. Formato (poi caduto in Russia). Campo a Solda, rientro a Merano, quindi a Bassano. A fine giugno, per me fine del corso: appendicite, operato ad  Alessandria, un mese di convalescenza ed eccomi al 3° Alpini a Pinerolo dove rimasi all’addestramento reclute fino al drammatico 8 settembre 1943.
- Armistizio! Il Maresciallo Badoglio l’ha chiesto, il generale Eisenhower lo ha concesso: ma noi? Che siamo adesso noi, lasciati senza ordini? Che cosa siamo per i tedeschi ed i fascisti, che di ordini precisi sono ben forniti?
A queste domandine non proprio leggere risposi prendendo il treno delle 4.40 per Torino Lingotto - Ceva - Ormea e così, proseguendo sempre per vie secondarie a piedi e in bicicletta, arrivai a casa il 10.
Contattai un amico, che sapevo antifascista e Guardiamarina alla Capitaneria di Porto ad Imperia. Risposta: - Qui non è rimasto nessuno, ma le armi sì.
Lo raggiunsi con un furgoncino Balilla, presi moschetti, pistole, una mitragliatrice Breda con relative munizioni e portai il tutto in casa di amici in un paesetto della vallata. Questa fu la seconda risposta alle domandine di cui sopra.
Il 18 settembre uscì il bando di presentazione.
Carlo Verda (poi “Lucio”), sottotenente appena uscito da Bassano, altri due amici nelle mie condizioni ed io, zaini pieni di generi alimentari, prendemmo la via dei monti e ci sistemammo in un casolare. Ben presto la zona si riempì di “renitenti”, subito pressati da comunisti che li volevano “arruolare”. Io raggiunsi gli amici presso i quali avevo nascosto le armi e organizzammo un paio di bande (questo era il termine) di 25 uomini ciascuna raccogliendo i giovani che non intendevano unirsi ai Garibaldini.
A marzo [1944], constatando che la convivenza con le formazioni comuniste era difficile, cercai contatti con formazioni del basso Piemonte e là mi trasferii, alla V Div. Alpina, Brg Val Tanaro; era comandata dal “capitano Martinengo” (al secolo Eraldo Hanau) che dipendeva dal maggiore Enrico Martini “Mauri”, comandante di tutte le formazioni che operavano nelle Langhe.
Ebbi il comando di una “squadra” di 40 uomini. La valle che solitamente occupavamo era l’alta Val Tanaro, ma a volte, per sfuggire ai rastrellamenti, passavamo nelle contigue Val Casotto o Val d’Inferno. Il comando tedesco era al Grand Hotel Miramonti di Garessio, quindi le nostre azioni di disturbo e contrasto avvenivano sulla S.S. 28, che collega la provincia di Imperia con quella di Cuneo.
Un giorno mi venne consegnato un foglio:
ESERCITO ITALIANO NAZIONALE DI LIBERAZIONE
V Divisione alpina
XXX, 24.11.1944
Siamo autorizzati dalle competenti autorità militari a venire incontro alle richieste a suo tempo avanzate dai rappresentanti della provincia di Imperia.
Pertanto deleghiamo il Sig. Carli Carlo a concludere in forma definitiva, e quali saranno nella veste del C.L.N. gli esponenti delle masse rappresentate.
In forza di tale autorizzazione riconosciuta verranno appoggiati dalle Forze Armate dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Il Comandante della V Div. Alpina
Cap.. Martinengo
Il Rappresentante Militare
dell’Esercito It.Naz. di Liberazione
Dott. Sismondi

Lessi e rilessi. La località XXX era Viozene in Val Tanaro; il Dott. Sismondi era l’Ammiraglio Marenco di Moriondo, e fin qui ci arrivavo, ma il resto non brillava per chiarezza. Il cap. Martinengo mi spiegò che i tempi erano quelli, che la prudenza non era mai troppa e che, in sostanza, dovevo prendere contatti con il C.L.N. di Imperia al fine di costituire la Brigata Liguria dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Tale costituzione non avvenne: tutti i giovani erano “occupati”, o con i partigiani, o con i fascisti, o con la Todt, oppure “occupavano” qualche compiacente cantina. Sì, i tempi erano quelli.
A metà gennaio tornai al mio reparto, che un rastrellamento aveva fatto spostare in Val Casotto. Il 25 aprile, ultimo scontro con fascisti e tedeschi a Garessio, poi la Liberazione.
Partigiano Combattente. Croce al Merito di Guerra. Laureato in scienze economiche e commerciali, ora sono Presidente della Fratelli Carli, con sede ad Oneglia. Cominciai la ricostruzione dello stabilimento, distrutto dalla guerra, con i soli mezzi di famiglia, nel 1945, terminando nel 1950. L’azienda, fondata da mio padre nel 1911, era rimasta inattiva per otto anni ed io subito riavviai la produzione industriale puntando sull’alta qualità del prodotto e sulla vendita per corrispondenza. Ora, lasciatemelo dire, serviamo a domicilio con mezzi nostri settecentomila clienti. Dal 2002 l’azienda ha un prestigioso “Museo dell’Olivo”, ricco di storia e di preziosi cimeli archeologici, visitatissimo.
Sono Membro dell’Accademia Nazionale dell’Olivo, Cavaliere del Lavoro e Ragazzo di Aosta ’41, tessera n° 397. [...]
Redazione, A -Z, Ragazzi di Aosta ’41 

venerdì 14 aprile 2023

Caricato sui muli tutto il materiale, i partigiani della Bonfante lasciarono Viozène

Viozène, Frazione del Comune di Ormea (CN). Fonte: www.loquis.com

Giunto ad Alto il Comando divisione [VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] aveva raccolto altri effettivi della banda della II e III Brigata proseguendo ancora verso Nord. Malgrado le voci contrarie era ormai evidente che il lancio non poteva aver luogo vicino al nemico e che la meta era ormai chiaramente oltre la «28» [n.d.r.: strada statale del Col di Nava].
Attraversata la «28» a Cantarana [n.d.r.: Frazione di Ormea (CN)] le forze della Bonfante si spinsero su Viozène [n.d.r.: altra Frazione di Ormea (CN)] per riunirsi a forti gruppi della Cascione: obiettivo era la difesa del comune campo di lancio di Pian Rosso.
Se in Liguria era già primavera, a Viozène il clima era ancora rigido. Penosi furono quei giorni d'aprile [1945] per la scarsità di viveri ed il ritorno della neve.
I partigiani della Cascione dovettero lottare alle Fascette con la tormenta. I turni di guardia notturni erano estenuanti perché dalle cime del Mongioie scendeva un vento gelato e molti partigiani avevano già cambiato i logori abiti invernali coi pantaloni corti e le magliette estive. Quei giorni di attesa pesarono anche sugli animi più forti: Cimitero [n.d.r.: Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Bonfante] stesso si presentò al Comando chiedendo di poter rientrare in Liguria perché i suoi uomini con i vestiti che avevano non potevano andare più avanti. Cimitero in quei giorni aveva ingoiato per errore una discreta dose di pastiglie contro il sonno che gli alleati avevano mandato col primo lancio e da tre giorni era di umore nero non riuscendo a dormire. Giorgio [Giorgio Olivero comandante della Divisione Bonfante] gli rammentò l'importanza che aveva per noi la riuscita del lancio e la necessità di disporre per la protezione di forti bande e di uomini come lui. Cimitero rimase.
Quale era lo schieramento della Bonfante e della Cascione? Non lo sapemmo con sicurezza perché nessuna comunicazione ufficiale venne inviata ai partigiani rimasti in Liguria. La zona di Viozène comunque si prestava ottimamente per una difesa: pochi varchi conducevano nella valle incassata e quei pochi erano facilmente controllabili anche con pochi uomini, purché ben armati. La Cascione a quanto pare aveva effettuato un largo schieramento di sicurezza verso sud prendendo sotto controllo tutta l'alta Val Tanaro comprendendovi Upega, Piaggia, Monesi, S. Bernardo. Era all'incirca lo schieramento adottato in ottobre, pur ottenuto con effettivi più ridotti. Evidentemente, più che bloccare l'offensiva nemica con una difesa ravvicinata ad oltranza si contava di opporre una difesa elastica rallentando l'avanzata nemica per il tempo necessario. La Bonfante si pose a immediata difesa del campo di lancio controllando anche con elementi della Cascione l'accesso da Ponti di Nava, dove la minaccia era maggiore. La Bonfante controllava anche il Bocchino a Nord e Carnino ad ovest. Il piano di difesa era buono e idoneo per resistere ad un attacco da molti lati.
Finalmente il 6 aprile [1945] il sospirato evento avvenne. Giorgio mi raccontò bene quel momento: «Passeggiavo fra i fuochi con Robert Bentley [n.d.r.: capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento degli alleati con i partigiani della I^ Zona Liguria] ed alla mia osservazione sull'eventuale pericolo di ricevere qualcosa in testa mi rispose: "Impossibile! Il regolamento vieta i lanci senza paracadute: li vedremo in tempo". Pochi minuti dopo eravamo stesi dietro una roccia terrorizzati da una pioggia di materiale in discesa libera compresi fusti da duecento chili di esplosivo. In termine tecnico il pilota aveva effettuato un free drop. Il lancio questa volta era veramente importante: c'erano mortai, mitragliatrici pesanti, materiale esplosivo, munizioni. Tutto venne suddiviso tra noi e la Cascione». Giorgio ebbe da lamentarsi che «il personale italiano, addetto alla confezione dei lanci al campo, di Livorno, avesse sostituito nei containers le divise nuove con le loro usate e stracciate, il cacao con polvere insetticida, come rilevammo in tempo dall'odore e avesse riempito gli astucci da cannocchiale con cartaccia. Grande stupore sollevarono certe scatole con dentro un pranzo luculliano, incluso il dessert e le sigarette. Erano le razioni di emergenza dei nostri alleati».
Caricato sui muli tutto il materiale la Bonfante lasciò Viozène, si portò verso Rezzo e ripassò la statale in un punto imprecisato. La Cascione, che già aveva avuto a Pian Rosso due lanci, restò in attesa del 4°, che avverrà verso il 19 aprile. Solo quest'ultimo lancio verrà disturbato dai tedeschi che attaccarono da Ponti di Nava. Ormai era tardi ed i partigiani, riforniti dai lanci precedenti, erano in grado di resistere. L'attacco tedesco venne contenuto ed il  materiale salvato quasi tutto, poi anche la Cascione lasciò Viozène.
La reazione tedesca si scatenò nella Val Tanaro deserta, Valcona venne incendiata, ma dei partigiani non era rimasta traccia.
Mentre oltre la 28 si attendeva il lancio, verso il mare la vita continuava normale.
CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA'
ADERENTE Al C.L.N.
6a DIVISIONE D'ASSALTO GARIBALDI LIGURIA S. BONFANTE
STATO MAGGIORE DIVISIONALE
N° PRO.23
OGGETTO:  L.II° RELAZIONE
Al Comando Divisione
Giorno 2.3 45. Alle ore 14,30 sento il messaggio. Parto in tromba
vado a Leverone a Aquila e salgo in Alto e metto tutti in moto visto
che nessuno sa nulla. Passo da Fernandel,metto i suoi uomini
in postazione passo S. Giacomo mentre dalle altre parti metto borghesi
di guardia. Libero lo tengo sul    campo. Meassa non viene, la staffetta
borghese non lo ha avvisato. Alle 21.00 accendo i fuochi, alle
ore 21,45 dopo esser passati cinque aereoplani,arriva il nostro.
Ci fa il medesimo segnale morse che facciamo noi poi incomincia la
pioggia. Un solo apparecchio. Abbiamo tanta nebbia,però tutto
procede bene. Ad un tratto danno l'allarme,hanno visto una luce.
Faccio montare i Bren,caricare i caricatori. Idem per gli Sten.
I muli arrivano,sono immediatamente caricati e spediti da Fernandel
alle 24 avevamo sgomberato il campo. Libero rimane incaricato per
il rastrellamento. L'operazione è finita. Tutto ha funzionato bene.
Sono stanco morto.
Prego di farmi sapere se altri lanci avranno luogo. Se è possibile
continuare con lanci piccoli. Materiale da sabotaggio per ora basta.
Chiedere :  STEN - BREN - MUNIZIONI E CARICATORI S.ETIENNE.
Munizioni PARABELLUM RUSSO.
Portatemi per me almeno un silenziatore per STEN. Anche una
pistola col silenziatore
Stò meglio saluti
                IL CAPO DI STATO MAGGIORE

Nell'archivio di Ramon ho trovato il presente documento. Vi è descritto un lancio che sarebbe avvenuto a Caprauna il 2 marzo e sarebbe stato il II lancio. Poiché non si ricorda, né vi è traccia documentata di un lancio precedente ed il lancio del 13 marzo viene concordemente indicato come il lancio I, penso che vi sia uno sbaglio di data e che il 2-3.45 sia il 2-4.45.
I documenti del comando divisione indicano come Lancio II quello di Pian Rosso.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 230-232

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - In considerazione del fatto che il campo di lancio scelto per la II^ Divisione offriva maggiori possibilità di ricezione per un grande lancio diurno, si reputava positivamente il fatto di trasferire per il momento parte della Divisione nella zona di lancio di Pian Rosso, mentre l'altra componente avrebbe dovuto attendere il lancio notturno già programmato [a Pian dell'Armetta nella zona di Caprauna (CN)]. Direttiva di effettuare sollecitamente il richiamato trasferimento, attesa l'imminenza del lancio.
31 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione, prot. n° 19, al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Veniva comunicato che i preparativi per il primo lancio erano stati ottimi.
4 aprile 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 23, al comando della VI^ Divisione - Comunicava le modalità del secondo riuscito lancio alleato del 2 aprile 1945 a Caprauna: "alle ore 14.30 sento il messaggio. Parto in tromba, vado a Leverone e Aquila, salgo in Alto (CN) e metto tutti in moto visto che nessuno sa nulla. Passo da Fernandel [Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione], metto i suoi uomini in postazione a Passo San Giacomo, mentre dalle altre parti metto borghesi in guardia [...] Alle ore 24 il campo era completamente sgombero". Ramon concludeva [...] Allegava un elenco di materiale ricevuto, dove figuravano 13 mine, 200 bombe a mano, 4 Bren, 8 Sten, 19 bombe incendiarie, 17 detonatori e molte munizioni.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione, prot. n° 310, al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Emanate disposizioni per un nuovo lancio e per la condivisione, con la II^ Brigata "Nino Berio", del materiale ricevuto.
9 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata - Inviava una dichiarazione della signora Giulia Capetti, in cui la donna sosteneva di essere stata rimessa in libertà dalla gendarmeria tedesca di Albenga alla condizione di fare arrestare il garibaldino "Cimitero" [Bruno Schivo].
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

martedì 14 marzo 2023

La successiva battaglia di Nava dell'11 marzo 1944 vide altre perdite significative tra i partigiani

Colle di Nava: il Forte Centrale. Fonte: Alpi del Mediterraneo

Altro avvenimento degno di nota fu la battaglia di Garessio che si svolse tra il 25 e il 27 febbraio. La cittadina piemontese era stata occupata dai nazisti al fine di compiere severi rastrellamenti, per cui i partigiani tentarono di respingerli nel corso di combattimenti assai sanguinosi, nei quali perse la vita un altro esponente di rilievo del movimento di liberazione: Sergio Sabatini. La successiva battaglia di Nava dell'11 marzo 1944 vide altre perdite significative tra i partigiani, che dovettero anche subire, nei giorni immediatamente successivi, un pesante rastrellamento che chiuse questo periodo di scontri sostanzialmente a favore dei nazifascisti per quanto i partigiani avessero combattuto con estrema energia.
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell'estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012

Olivio Fiorenza.
Nato a Pornassio (IM) il 15 marzo 1924, contadino. Si aggrega con alcuni partigiani di Albenga e dintorni al 3^ distaccamento della Colla di Casotto nelle squadre di Trappa e Valdinferno. Il giorno 10 marzo 1944, “Martinengo” [Eraldo Hanau] delle Formazioni “Mauri”, con gruppi di badogliani fatti affluire da Garessio, unitamente a partigiani di Ormea disarma il presidio dei carabinieri di tale località. Il giorno successivo gruppi di badogliani e gruppi di resistenti del posto, non ancora collegati ad alcuna organizzazione, combattono nella zona di Pornassio contro i tedeschi che vengono respinti ai Forti di Nava (nota 5). Nel corso del combattimento cade Fiorenza Olivio.
Da “Storia partigiana della 13^ Brigata Val Tanaro” di Renzo Amedeo - Testimonianza dell’autore: “L’uomo che stava alla mia sinistra, un giovanissimo ligure giunto al mattino e che ancora era in borghese (Olivio Fiorenza) ha il cranio attraversato da un colpo e cade bocconi sull’arma, versando fiotti di sangue e grida ancora “Viva l’Italia”.
Ad Olivio Fiorenza è intitolato un Distaccamento della Brigata “Arnera” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
(nota 5) FORTI di NAVA
Il 9 marzo 1944, data la grande necessità di armi, venne effettuato da una trentina di volontari, capitanati dal tenente Renzo Merlino un assalto alla caserma dei carabinieri di Pieve di Teco. Dopo uno scontro a fuoco, breve, ma intenso, il presidio si arrese consegnando armi e munizioni; ipotizzando, però, una reazione nemica, i partigiani si trasferirono da Ormea ai Forti di Nava.
Da “Storia partigiana della 13^ brigata Val Tanaro” di Renzo Amedeo.
“Diario” del colonnello Ilario Bologna: "In previsione della reazione nazifascista, la mattina del 10, onde poter controllare la provenienza da Imperia, si provvide ad occupare alcuni costoni tra Pieve di Teco e i Forti di Nava. Il nemico, preannunciato da un forte rumore di autocarri, non si fece attendere molto. Pochi colpi sparati lo costrinsero a fermarsi ed ad abbandonare celermente gli automezzi… La posizione più elevata… consentì un’azione efficacissima, che bloccò sul posto i tedeschi… Iniziò allora la caccia al nemico nascosto, con rabbiose riprese di fuoco seguite da silenziosi intervalli. Con tale andamento la lotta continuò per tutto il giorno. La mitragliatrice pesante catturata il giorno prima… piazzata in posizione predominante… poté battere tutto lo schieramento avversario portandovi un notevole scompiglio. Verso l’imbrunire i nazifascisti, con il loro orgoglio alquanto malconcio, ci voltarono la schiena sparendo dalla nostra vista".
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011

L'11 marzo 1944 nello scontro nella zona di Nava, nel comune di Pornassio (IM), perirono altri due patrioti imperiesi, Olivio Livio Fiorenza e Giovanni Ramò. Al fatto d'armi parteciparono partigiani autonomi di Martinengo [anche Capitano Martinengo, Eraldo Hanau] e gruppi di resistenti del posto non ancora collegati con le organizzazioni antifasciste.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

In relazione ai combattimenti dei giorni 11-12-13 marzo 1944, il primo scontro è avvenuto verso mezzogiorno dell'11 marzo in prossimità del Ponte della Teglia, che parecchi giorni prima era stato fatto saltare dai Patrioti e poi riattato in forma provvisoria dai tedeschi attraverso la Todt (che era un'organizzazione tedesca diretta dall'ing. Todt, generale nella riserva, col mandato di riparare i danni e di costruire opere di difesa occorrenti per la guerra in Italia).
In detta località le prime due avanguardie tedesche vi giunsero, unitamente a fascisti, verso il mezzogiorno e furono immediatamente attaccati dai patrioti disseminati nelle macchie sovrastanti.
Il fuoco violento e repentino cagionò perdite alla milizia ed ai tedeschi.
I patrioti ebbero un solo morto, un giovane di Eca frazione di Ormea. Sopraggiunti maggiori rinforzi, i patrioti, temendo d'essere sorpresi alle spalle si ritirarono verso i forti Bellarasco e il Centrale, ove passarono tutta la notte per riprendere il mattino seguente 12, la lotta che si protrasse per alcune ore.
Alla fine, sempre nella tema di accerchiamenti e per la scarsità di munizioni, lasciarono i «forti» e si ritirarono sulle rocce che fiancheggiano la Nazionale che scende a Ponti di Nava, dalle quali con tiri precisi decimarono il nemico che non riusciva a precisarne i nidi di raccolta e a colpirli.
La lotta fu veramente intensa e ferrea, per cui i tedeschi furono costretti a chiedere sempre maggiori rinforzi e artiglieria.
Intanto le autoambulanze tedesche, con un viavai veramente insolito ed allarmante, provvedevano ai trasporti di feriti e morti verso Albenga e verso Oneglia.
La lotta continuò per tutta la giornata e si riaccese il mattino del giorno 13, fin verso mezzogiorno, quando per assoluta mancanza di munizioni i patrioti furono costretti a sbandarsi come era loro tattica, senza aver lasciato un solo uomo prigioniero.
Fu questa però anche la tattica dei Garibaldini nel primo Risorgimento, specialmente nella Campagna del 1860 - ma allora la chiamavano «Il pittoresco disordine dei partigiani».
In questo giorno ebbero però un morto (cioè due, complessivamente, in tre giorni di lotta).
La notizia che il tenente del genio Ing. W. Sabatini fosse caduto in combattimento fu immediatamente smentita.
Un graduato tedesco ebbe a dichiarare che le perdite complessive dei tedeschi e della Milizia, siano state di 100 morti e 200 feriti.
Ma erano voci che non avevano riscontro ufficiale e perciò occorreva starsene sui si dice, perché i bollettini di guerra non solo non esistevano, ma la tendenza era quella di occultare addirittura ogni cosa.
Sbandati così i patrioti, le truppe tedesche e fasciste passarono il Tanaro a Ponte di Nava, occupandola, e marciarono senza resistenza su Ormea, che invasero nel pomeriggio dello stesso giorno 13.
Di lì proseguirono per Casotto, sede del Comando dei Patrioti e lo occuparono pare a causa (si dice) del tradimento di un maggiore.
Comunque sia, cessata la resistenza, dalla stretta di Ponte di Nava, gli invasori ebbero la strada libera alle loro imprese, ed incominciarono le rappresaglie.
Iniziarono quindi le perquisizioni, i furti e gli incendi, con numerose vittime innocenti.
A Ponte di Nava incendiarono tre case, fra cui la villa residenza estiva del Vescovo di Albenga, la casa degli Agaccio e quella di Merlino.
Dalla segheria Merlino asportarono 7 ettolitri di vino - un motore, e farina, con un danno di L. 60.000 - e così fecero in altre case.
In Ormea portarono il terrore. Per prima cosa radunarono sulla piazza dell'Olmo tutti gli uomini dai 15 ai 70 anni e, nel frattempo, perquisirono un'infinità di case.
Mentre erano in Piazza, uccisero il cognato di Cleto' Merigone e ferirono ad una gamba, con un colpo di moschetto, Antonio Basso (Gasparun) di 78 anni.
In seguito alle minacce severissime, diedero ordine di consegnare immediatamente tutte le radio, le macchine da scrivere e da cucire, e tutti i ferri da stiro elettrici.
In tal modo furono carpite circa 300 radio.
In questa terribile circostanza si svolse un episodio veramente mostruoso.
Nell'Ospedale Civico di Ormea era giacente un patriota di Diano Castello, con una gamba rotta per ferite riportate nell'ultimo combattimento di Nava, si chiamava Domenico Novaro.
I tedeschi lo seppero ed un maresciallo, con due della Milizia fascista, si recarono all'Ospedale.
Rintracciarono il ferito e lo fecero portare con un carretto nel cimitero, ov'era una fossa aperta.
Colà lo gettarono nella fossa come una bestia o come un cencio.
Dietro a questo triste corteo s'erano accodate alcune donne col parroco, che imploravano pietà; ma a nulla valsero le preghiere e le invocazioni di quelle popolane, perché quel maresciallo, estratta la rivoltella lo freddò nella fossa.
Mi è stato detto che perfino i due della Milizia si erano rifiutati di ucciderlo così barbaramente e freddamente.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994,  pp. 56,57,58

Fra gli uomini di Martinengo [Eraldo Hanau] alla battaglia di Pornassio (o di Nava) aveva anche partecipato il partigiano dianese Domenico Novaro che qualche giorno più tardi resterà ferito in uno scontro avvenuto quale strascico della battaglia stessa presso il forte di Bellerasco [n.d.r.: ubicato anche questo nel comune di Pornassio (IM)] e verrà ucciso dai tedeschi il 17 marzo...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Imperia.
Sono in corso operazioni di rastrellamento nella zona di Pieve di Teco, contro i ribelli sistemati nelle montagne circostanti i forti di Nava. Vi partecipano, dall'11 corrente, la G.N.R., agenti della polizia repubblicana e reparti tedeschi. Riserva di notizie.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 19 marzo 1944, p. 21. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti 
 

domenica 12 dicembre 2021

Carabinieri partigiani della I^ Zona Liguria

Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

«Lasciatelo stare, il capo sono io; questo giovane era un mio prigioniero». Corre il tristissimo mattino del 27 gennaio dell'anno 1944. Felice Cascione è ferito gravemente ad una gamba dopo aver tentato, spinto dalla sua nota generosità, un'ardita azione per stanare i nazifascisti rinchiusi in un casone. Siamo presso Madonna del Lago, sulle montagne soprastanti Alto. La zona è suggestiva, abbellita da un ridente laghetto e da un Santuario dell'epoca tardo medievale. Ad una quindicina di minuti dal luogo, sono i casoni in cui ha sede la banda di Cascione.
«U Megu» giace da molto tempo immobile, dietro un muricciolo a secco, sotto l'infuriare del combattimento. Non lontano da lui, è un altro partigiano ferito, disteso a terra, come morto. l Tedeschi avanzano, lo vedono, s'accorgono che è vivo ed iniziano a seviziarlo per fargli rivelare il nome del Comandante, ma il partigiano non risponde, accetta stoicamente la tortura, pronto all'estremo sacrificio.
Allora Cascione, appoggiando il gomito sul terreno, si leva sul busto e, rivolto ai nemici, pronuncia le sue ultime parole, quelle della definitiva rinuncia che nessun combattente della nostra Resistenza potrà mai dimenticare, riportate all'inizio di questo capitolo. I Tedeschi lo vedono, gli s'avvicinano e, inesorabilmente, lo uccidono con una raffica di mitra e si portano dietro il prigioniero per ricoverarlo all'ospedale.
Quel partigiano si chiama Giuseppe Cortelucci [n.d.r.: il cognome, nella maggior parte delle altre fonti, viene riportato come Cortellucci] e il suo nome di battaglia è «Carabiné»: traduzione ligure della parola carabiniere.
È un ex carabiniere che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, obbedisce al suo spontaneo sentimento per l'onore patrio e la libertà e s'avvia volontario verso la montagna. È tra i primi partigiani amico fedele di Cascione, generoso amico di tutti. Della sua gloriosa Arma ha portato la tradizione di lealtà e di fedeltà.
Affronta disagi e rischi; vive girovagando con i primi gruppi patriottici; osserva la dura realtà deicontadini, ne conosce meglio l'animo, la dura esistenza, la serietà di vita.
Cortelucci, nato a Teramo l'11 luglio 1924 (1), porta nelle nostre campagne la freschezza della sua razza e della sua terra. Anche in essa il popolo lavora, fatica, soffre come qui da noi, su queste aride zolle che rifiutano all'uomo l'aiuto delle macchine agricole perché le fasce sono troppo strette.
Settembre 1943 - 27 gennaio 1944: pochi mesi, tutti passati sui nostri monti, nei casoni, tra sofferenze e rischi quotidiani.
Uomini girovaganti e braccati da un nemico spietato che non perdona. Mangiano come e quando possono, soprattutto durante le marce di trasferimento perché, quando sono in qualche paesello, la popolazione, pur nella sua povertà, trova sempre un piatto di minestra, qualche patata, un tozzo di pane per sfamarli. L'animo degli uomini si irrobustisce nelle sofferenze e nei pericoli, maestri insostituibili di vita.
Il 27 gennaio 1944 Cortelucci è ormai temprato a tutte le bufere. È al fianco del Comandante che lo salva con le sue ultime parole. Entra nell'ospedale, si ristabilisce e fugge ancora. Va a riprendere il posto di combattimento a fianco dei compagni di Cascione, dei suoi compagni.
Per un anno intero combatte. È un valoroso. Sul campo di battaglia si guadagna il grado di Vice Comandante di battaglione.
Giunge il 29 dicembre 1944. Ancora meno di un mese e sarà l'anniversario di quel tragico fatto. Ma il destino non lascia più corda a Cortelucci; ancora una volta, stavolta a Pantasina, frazione di Vasia, sta per essere catturato da un nemico sempre più crudele e sempre più straripante per numero e per mezzi.
Ora è lui ad uccidersi. Non più nelle mani dei nazifascisti. Il partigiano, diventato Comandante, segue nella sorte il suo primo ed indimenticabile Capo.
La Resistenza inchina le sue bandiere; la Divisione «Cascione» è in lutto per un significativo dolore che ne rievoca un altro più lontano nel tempo.
Cortelucci, alla cui memoria verrà assegnata la Medaglia d'Argento, si eleva a simbolo del valore spirituale di tutta un'Arma: quella gloriosa e benemerita dei carabinieri che, per molta parte dei suoi uomini, ha scelto la via giusta nella tragica vicenda dell'Italia. Perché, sia chiaro: l'esempio di Cortelucci non è né isolato, né sporadico.
Non pochi lettori resteranno sorpresi nell'apprendere che nelle fila della nostra Resistenza i carabinieri sono stati sorprendentemente numerosi se dall'elenco presso l'Istituto Storico della Resistenza di Imperia possiamo contare ben sessantasei combattenti. A parte, naturalmente, qualche possibile dimenticanza. Sessantasei partigiani, venuti dalle fila dei carabinieri, rappresentano un organico pari ad un intero distaccamento e mezzo, un organico di tutto rilievo.
Un grosso nucleo che trova affiancati i nativi delle province liguri a quelli piemontesi, e i calabresi uniti ai lombardi ed ai laziali, né manca il siciliano.
Se Cortelucci porta l'onore della sua amata Teramo, Avellino e Verona e Caserta non sono assenti nella lotta per la libertà della I Zona Liguria. Da Padova a Bari, da Foggia a Parma e a Piacenza e a Lecce, dallo sperduto paesello alle grandi città, sono giunti i giovani, passati attraverso la dura milizia della loro Arma, sulle nostre montagne per combattere una lotta decisiva per i nostri destini.
Il 15 e il 20 giugno 1944, una ventina di carabinieri del presidio di Realdo, piccola frazione del Comune di Triora, sono invitati dai partigiani ad arrendersi. I carabinieri non solo s'arrendono, ma aderiscono al movimento della Resistenza e passano, con armi e bagagli, nelle formazioni partigiane distribuiti in quei vari distaccamenti che, nel luglio successivo, costituiranno la gloriosa V^ Brigata «Luigi Nuvoloni» (2).
In un breve comunicato, inviato al Comando della IX Brigata il 18 giugno 1944, il commissario «Federico» [Federico Sibilla] dà notizia dell'arrivo di un tenente dei carabinieri presso il suo Comando di Imperia Porto Maurizio. Nel breve scritto «Federico» avvisa che detto tenente è al servizio della Resistenza ed in contatto con il CLN provinciale di Imperia (3).
I Tedeschi ogni tanto azzardano puntate con dei camion, con i fari colorati in blu, nel territorio della «Libera Repubblica di Triora».
Ad Agaggio Inferiore, sulla piazza della Chiesa, al pianterreno della casa canonica, vi sosta una squadra partigiana. Un'altra squadra è dirimpetto, di là dal torrente, presso il casone del «Cuccolo». Nella notte tra il 18 ed il 19 giugno Nello Bova, di guardia sulla strada, avvista un camion e dà l'allarme. Si apre il fuoco: il camion, colpito nel radiatore, si ferma. Ma, in luogo dei Tedeschi, scende un carabiniere che, abbandonata Parma ove prestava servizio, per non servire la Repubblica di Salò cerca di raggiungere Triora con tutto il suo mobilio. Impegnatosi a far parte delle formazioni, è lasciato libero.
Strano destino: la raffica dei garibaldini non lo ha colpito; il camion, per miracolo, si è fermato presso un fosso profondo scavato dall'esplosione che aveva fatto saltare la strada. L'ex carabiniere in seguito verrà catturato a Molini di Triora dai nazifascisti, durante il rastrellamento dei primi di luglio e, il giorno cinque, bruciato vivo con altri civili nella casa Campoverde (4).
Alla periferia di Pigna ha sede una quindicina di carabinieri. «Vittò» ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed «Erven» [Bruno Luppi] decidono di catturare tutti i componenti del presidio. Suddividono l'ottantina di partigiani in squadre. Destinati all'azione diretta sono «Erven», «Assalto», «Argo», «Marussia» di Ventimiglia e «Gena».
Arrivano circospetti, vedono la canna di un mitragliatore piazzata alla finestra. Rasentano il muro, arrivano alla porta e gridano ai carabinieri d'arrendersi. Dopo un po' di silenzio uno di loro apre la porta: i partigiani si impossessano del mitragliatore ed intimano la resa. Sopraggiunge il brigadiere che invita i suoi uomini ad arrendersi. I quindici carabinieri seguono i partigiani portando materiale di casermaggio, munizioni e viveri. Sono inviati a Carmo Langan e tutti, tranne il brigadiere, aderiscono alle formazioni partigiane (5).
Non tutti hanno assaporato la grande gioia del 25 aprile vittorioso, perché ci fu chi cadde col fucile in pugno o fucilato dal plotone d'esecuzione. Altri riportarono ferite, anche gravi.
Sotto le bandiere della «Cascione» e della «Bonfante» della I Zona Liguria, come sotto ogni bandiera della Resistenza Italiana, i partigiani ex carabinieri hanno portato un grande contributo di sacrificio, d'onestà e d'amor patrio.
Anche nel limitrofo Piemonte, il contributo dato dai carabinieri alla lotta partigiana è consistente.
Prendiamo qualche notizia in proposito da un volume inedito del prof. Renzo Amedeo, partigiano combattente della XIII Brigata «Val Tanaro» (6): «... Ed ecco che il 24 maggio, la famosa vigilia del Bando Graziani­ Mussolini, relativo alla consegna di tutti i renitenti e partigiani, nella tarda mattinata giunge a Piaggia il maresciallo dei carabinieri di Nava su una Topolino. Scopo principale della sua venuta era soltanto la ricerca di formaggio, ma una pattuglia partigiana che si trovava da quelle parti formata da Guido Bologna, Renzo Amedeo e dal sottoscritto (7) lo lascia entrare nell'albergo e poi, intimatagli la resa, lo cattura. Avendo dichiarato che lui e la quindicina dei suoi uomini sono disposti a scappare con i partigiani, lo si lascia tornare in caserma con la sua arma (per difendersi da chi eventualmente non la pensasse come lui, dice) e ci si accorda per un assalto alla caserma di Nava, proprio la notte tra il 1° ed il 2 di giugno, per simulare uno scontro con la conseguente fuga degli uomini e prelievo del materiale.
Così avviene. Avvertito Martinengo [Eraldo Hanau], una folta squadra scende tra Ponti di Nava e Case di Nava [nel territorio del comune di Pornassio (IM)], circonda la caserma, mentre un gruppo rimane più in alto presso il Forte Pozzenghi per proteggere il gruppo nel caso di sorprese.
Accesa una nutrita ma fitta sparatoria, maresciallo e carabinieri fuggono tutti in montagna con Martinengo, portando un'abbondante razione di armi, munizioni, viveri e materiale di caserma. Rientrati a Piaggia ed Upega, il maresciallo sceglierà poi di trasferirsi a Fontane con il gruppo partigiano dei carabinieri...».
Ancora, dal medesimo volume: «... Qui c'era già Gaglietto, che aveva riorganizzato i suoi famosi carabinieri. L'intesa sembrava raggiunta con questa ripartizione di compiti e comandi:
Comandante generale della Val Corsaglia: Gomez.
Comandante amministrativo: Gaglietto.
Comando operativo della squadra: Martinengo.
[... ] Là è Gaglietto con un gruppo di una cinquantina di uomini, quasi tutti carabinieri. A Garessio il carabiniere Angelo Battaglia (8) forma una squadra di partigiani che passa dopo pochi giorni alle dipendenze di Martinengo...».
Anche l'Arma dei carabinieli era partecipe della situazione tragica del momento. Continui rapporti pervenivano ai Comandi tedeschi e fascisti circa lo stato di demoralizzazione dei carabinieri e sulla loro resistenza a collaborare con un'Autorità non riconosciuta e, sovente, avversata.
Molte furono le deportazioni nei campi di concentramento in Germania. I Comandi nazifascisti decisero di affrettare i tempi per lo scioglimento dell'Arma stessa (9).
Dall'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia abbiamo tratto il documento del mese di giugno 1944, che di seguito riportiamo, dal quale si rileva che i carabinieri erano anche al servizio della «Libera Repubblica di Triora», quindi della Resistenza e del popolo:
Comune di Triora
al Comandante  della divisione «Garibaldi»
e p.c. al Comandante la V brigata «Garibaldi»
In base agli accordi avuti dal Vice-Comandante Musso, ho costituito il distaccamento di Polizia in Triora, affidando il Comando al Maresciallo Capo Scarpa Salvatore precettando i seguenti carabinieri:
Appuntato  Fili Domenico
"    Miraglio Carlo
"    Mazzili Valentino
"    Grespan Ernesto
"    Amaldi Emanuele
Carabiniere Sorrentino Alessio
"    Destradis Michele
"    Alberti Giusto
"    Dentoni Erminio
Come da accordi convenuti codesto Comando è pregato di provvedere all'invio dell'armamento necessario per gli uomini di cui sopra.
Il distaccamento verrà preso in forza dal Comando della V Brigata Garibaldi.    
Il Podestà (Pesce)
[NOTE]
(1) Giuseppe Cortelucci, fu Luigi e di Paolina De Laurentis, dichiarazione integrativa n. 4600.
(2) Testimonianza di Vittorio Guglielmo (Vittò).
(3) Cfr. F. Biga, Diano e Cervo nella Resistenza, Milano Stampa, Farigliano, 1975, pag. 99.
(4) Vedasi l'Unità (edizione clandestina imperiese), anno l, n. 2, l5 agosto 1944.
(5) Cfr. G. Strato, 1° volume della presente opera, pagg. 295, 298.
(6) Il volume inedito è conservato presso l'Archivio del Comune di Garessio.
(7) Il fatto riportato dall'autore è ricavato da una pubblicazione di Enrico Martini (Mauri).
(8) Angelo Battaglia, nato a Garessio il 20-8-1921, carabiniere della Legione di Genova, ora pensionato invalido, militò nella Brigata Val Tanaro dal 10/1/1944 al 416/1945. Il Battaglia risiede attualmente ad Imperia nella zona di Castelvecchio.
(9) Vedasi G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vol. 2°, op. cit., pag. 35.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 576-581
 
Nel frattempo Avogadro, in veste di collaboratore dell’intelligence britannica, per allacciare col Piemonte un servizio informativo alle dipendenze degli inglesi si era recato in Liguria, dove l’Arma «aveva perso molto terreno in seguito alla condotta degli ufficiali di quella Legione che in massa avevano aderito alla repubblica» <14. Riconoscendo improba l’impresa di impiantare un’organizzazione clandestina, per le sue forze e per la limitatezza delle sovvenzioni, riuscì a raggruppare una cinquantina di carabinieri nella zona tra Imperia e Sanremo, affidati alle cure del pretore di Taggia, il giudice Alessandro Savio, insieme al quale incontrò un comandante di una banda in costituzione (probabilmente Michele Silvestri “Milano”, comandante del distaccamento Gap di Verezzo, confluito poi nelle Sap di Imperia), ma i contatti con gli uomini di questo territorio furono saltuari per il resto della guerra.
Prima di rientrare dalla Liguria nel Biellese, Avogadro ricevette l’informazione che era ricercato dalla Gnr, che aveva fatto irruzione al castello degli Avogadro nel Biellese: ripiegò a Rovasenda, dove proprio in quel periodo si stava formando una banda composta prevalentemente da ex carabinieri. Nella relazione Avogadro non precisa le date, ma nel territorio della Baraggia vercellese, che aveva ospitato fino ad allora solo gruppi partigiani della 50a brigata “Garibaldi”, la presenza di questa formazione partigiana autonoma, inizialmente denominata “Quo fata volunt” e poi brigata “Santorre di Santarosa”, si colloca fra i mesi di agosto e di ottobre del 1944.
Enrico Pagano, “A favore dell’Arma”. L’attività nel periodo clandestino di Rodolfo Avogadro di Vigliano, questore di Vercelli nominato dal Cln, l’impegno, a. XXXV, nuova serie, n. 2, dicembre 2015, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia 
 
Nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943 un gruppo di cittadini sanremesi guidati dal dottor Giovanni Cristel, coadiuvato da Antonio Canessa e Alfredo Esposito, raggiunsero un accordo con il maggiore Ferrari e il dottor Samà per poter prelevare armi e munizioni dal Presidio di via Lamarmora, che era stato abbandonato dai militari il 9 settembre, mentre altri armi furono asportate da un deposito di corso Garibaldi e consegnate a Michele Silvestri, che faceva parte di un gruppo operante a Verezzo, da dove sarebbero state riportate in città con la collaborazione del già ricordato Canessa, il quale le fece portare in un luogo più sicuro per evitare che finissero nelle mani di tedeschi o fascisti.
Nel corso del 1944 il già citato partigiano Michele Silvestri (Milano), coadiuvato anche dalla giovanissima figlia Dilanda, organizzò i primi gruppi di resistenza a Verezzo, dove costituì una propria banda, facente parte dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), che il 1° ottobre 1944 sarebbe stata inclusa nelle formazioni cittadine SAP.
Durante la guerra di Liberazione il distaccamento GAP di Verezzo operò diversi colpi di mano grazie ai quali furono recuperati denaro, indumenti e viveri poi inviati alle formazioni partigiane di Gino Napolitano e Vincenzo Orengo.
Da segnalare inoltre che il 4 dicembre 1944, nei pressi di Verezzo, un gapista uccise un soldato tedesco che voleva arrestarlo.
(fonti: testo di Andrea Gandolfo...)
Redazione, Storia di Verezzo, Sanremo. Storia e Tradizioni 


Giuseppe Cortellucci

Il 27 dicembre 1944, a Vasia (Imperia), il giovane Carabiniere Giuseppe CORTELLUCCI, appena ventenne, si immolò per la Libertà della Patria. Per la sua eroica Audacia nella guerra di liberazione, fu decorato con la Medaglia di Argento al Valor Militare - alla memoria, per la seguente motivazione: "Già bravo carabiniere, entrava all'8 settembre nella resistenza battendosi quale vice comandante di distaccamento partigiano, con capacità e audacia. Nel tentativo di trarre in salvo il proprio comandante ferito, veniva catturato. Riuscito ad evadere raggiungeva di nuovo la propria formazione. Durante un duro rastrellamento avversario, attaccato da forze preponderanti, combatteva con animo intrepido, sempre primo dove più accanita ferveva la lotta, incitando ed animando i propri dipendenti, finché, colpito a morte, immolava eroicamente la propria esistenza per la libertà della Patria".
Redazione, Audacia per la libertà, Attenti a quei due
 
Si vanno verificando numerose defezioni di carabinieri, di appartenti alla G.N.R. [Guardia Nazionale Repubblicana], ex militi e all'esercito repubblicano ed anche di agenti di polizia.
I carabinieri, interpellati, hanno, nella grande maggioranza, dichiarato di volere essere inviati in congedo.
Così la potenzialità delle forze di polizia, già non rispondente agli attuali effettivi bisogni della sicurezza pubblica, si va ancor più assottigliando.
Questa è la situazione, nella sua realtà.
Ispettorato Regionale di Polizia - Zona Savona-Imperia, Ispettore Generale di P.S. di Zona, Situazione politico-economica della Provincia di Imperia, Al Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Polizia - Valdagno, n° di Prot. 038, li 30 giugno 1944 XII
 
Sanremo (IM): Via Escoffier

Un notevole contributo alla Resistenza Imperiese è stato dato dai carabinieri. Hanno raggiunto le formazioni partigiane oltre una sessantina di militari. Una ventina di essi, che erano di stanza a Realdo (frazione del Comune di Triora), il 18 giugno 1944 si aggregarono ai partigiani della IX Brigata Garibaldi. Anche un presidio di stanza a Pigna, passò ai partigiani il 27 agosto successivo. Altri lasciarono i loro presidi dove i Tedeschi li sorvegliavano e raggiunsero la montagna. Sulla scorta dei documenti conservati nell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, risultano sessantasei i carabinieri riconosciuti partigiani: un totale da costituire, se uniti in una sola formazione, un consistente Distaccamento partigiano. Nel giugno 1944, il cittadino Pesce, a capo della libera Repubblica partigiana di Triora, in accordo con il Comando della IX Brigata, costituì il Distaccamento di polizia affidando il Comando al maresciallo Salvatore Scarpa il quale precettò i seguenti appuntati: Fili Domenico, Miraglio Carlo, Mazzili Valentino, Grespan Ernesto, Arnaldo Emanuele, e i carabinieri Sorrentino Alessio, Destradis Michele, Alberti Giusto e Dentoni Erminio.
Fra i carabinieri che hanno contribuito alla lotta per la liberazione ricordiamo: Andreolo Antonio, vice brigadiere, rimasto gravemente ferito a Cima Marta l’11 agosto 1944; Agnese Camillo rimasto invalido; Balestra Giuseppe caduto il 5 marzo 1945; Bartoli Umberto brigadiere, caduto il 20 settembre 1944 nel bosco di Rezzo; Gagliolo Egidio rimasto gravemente ferito in uno scontro con i nazifascisti a Casanova Lerrone; Mancini Marino rimasto ferito in combattimento il 19 giugno 1944; Pirrol Aurelio catturato dal nemico e fucilato a Rastrello (CN) il 29 novembre 1944; Risso Ilario catturato nel Dianese e fucilato il 10 gennaio 1945; Taffaroni Giovanni rimasto ferito in combattimento a Triora il 3 aprile 1944.
In particolare ricordiamo Giuseppe Cortellucci, già nella banda di Felice Cascione, catturato il 27 gennaio dal nemico nel disperato tentativo di salvare il suo comandante, riuscito a fuggire e ricongiuntosi ai partigiani della IV Brigata, per non cadere vivo in mano al nemico, durante un momento drammatico di un rastrellamento, si uccide il 29 dicembre 1944 nella zona di Pantasina; fu proposto per la medaglia d’argento al valor militare.
Infine ricordiamo che dalla Provincia di Imperia i Tedeschi deportarono circa ottocento persone (documentate), di cui quattrocentosessantasette ex militari, compresi quattordici carabinieri.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)
 
[...] Al momento dell’annuncio dell’armistizio con gli angloamericani, a Sanremo come nel resto della Liguria, non si verificarono incidenti di sorta. Il 10 settembre 1943 i primi reparti di soldati tedeschi entravano nel territorio della provincia di Imperia, provenienti da Cuneo. Dal Comando della Legione di Genova era intanto pervenuto al comandante del Gruppo di Imperia l’ordine, per tutti i militari in servizio, di mantenere la calma e rimanere al proprio posto. Nei giorni successivi solo alcune stazioni della tenenza di Ventimiglia, a causa soprattutto dell’ostilità manifestata dalla milizia di confine, vennero disarmate. A parte tali sporadici episodi, le compagnie del gruppo, tra cui anche quella di Sanremo, si mantennero sostanzialmente intatte. Le prime diserzioni, anche se non numerose, sarebbero cominciate soltanto nell’ottobre 1943, dopo il passaggio da Ventimiglia del treno con a bordo i carabinieri romani diretto verso i campi di concentramento nazisti in Germania. Bisogna comunque sottolineare come sarebbe stato particolarmente alto il numero dei carabinieri sanremesi che avrebbero collaborato attivamente con la Resistenza locale, fornendo di armi e munizioni le unità partigiane combattenti in montagna e distribuendo viveri alla popolazione.
Nel frattempo, dopo che, tramite il comando di legione, era stata fatta firmare la dichiarazione di adesione al governo della Repubblica sociale italiana nel dicembre 1943, gli ufficiali del gruppo e una rappresentanza di circa una sessantina di sottufficiali e militari di truppa, il 9 febbraio 1944 furono radunati in una piazza di Imperia per prestare giuramento, insieme alle altre truppe del presidio, alla Rsi. Il mese successivo l’Arma dei Carabinieri venne sciolta e i suoi componenti assorbiti nella neoistituita Guardia nazionale repubblicana. Le legioni furono rimpiazzate dagli ispettorati regionali e in ogni provincia, tra cui anche quella di Imperia, fu istituito un comando provinciale. In conseguenza all’incorporazione dell’Arma nella Guardia nazionale repubblicana, i carabinieri sarebbero stati costretti a indossare la camicia nera e ad apporre le fiamme nere sotto gli alamari. La notte del 5 agosto 1944 tutte le caserme dell’Arma della provincia di Imperia furono circondate da soldati tedeschi e militi della Gnr, che prelevarono tutti gli ufficiali, i sottufficiali e i carabinieri che sorpresero, per condurli, il giorno dopo, a Milano ed Asti. Uguale sorte sarebbe toccata anche a tutti quei militari che si trovavano presso le loro abitazioni. Da Asti e Milano i carabinieri imperiesi sarebbero stati tutti deportati in vari campi di concentramento in Germania e adibiti a lavoro obbligatorio. Un limitato numero di sottufficiali e militari di truppa sarebbe riuscito tuttavia a sottrarsi alla cattura, mentre altri sarebbero riusciti a fuggire durante il viaggio, ma avrebbero dovuto rimanere nascosti o allontanarsi dalle rispettive residenze per far perdere le proprie tracce perché attivamente ricercati da tedeschi e repubblichini.
Nell’aprile 1945, quando la Guardia nazionale repubblicana sarebbe fuggita abbandonando le caserme, anche quella di Sanremo venne completamente saccheggiata dagli stessi militi e dalla popolazione. Il 25 aprile 1945 giunse però il tanto atteso momento della liberazione del suolo nazionale dal nazifascismo, e così, anche per l’Arma dei Carabinieri, cominciò a profilarsi una nuova epoca in un’Italia libera e democratica. Nei mesi immediatamente successivi furono riattivati tutti i comandi provinciali della Liguria: il gruppo di Imperia venne ripristinato il 15 maggio 1945. Anche a Sanremo i carabinieri tornarono a pieno regime con la ricostituzione della loro compagnia e ripresero possesso della caserma di via Privata (l’odierna via Escoffier), da dove si sarebbero poi trasferiti nell’attuale caserma di Villa Giulia, in corso Inglesi, il 6 novembre 1971.
Andrea Gandolfo, La storia dei carabinieri a Sanremo, Sanremo News.it, 20 giugno 2017