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venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012

venerdì 2 febbraio 2024

I partigiani imperiesi alla fine di maggio 1944

Imperia: uno scorcio di Capo Berta

Come nelle altre zone liguri, anche ad Imperia i bandi di arruolamento della R.S.I. determinarono un notevole afflusso di reclute alle formazioni di montagna aumentandone gli effettivi ed impegnando i comandi in un'opera più attenta di inquadramento e di organizzazione.
Contemporaneamente venne predisposto un piano che stabiliva per il 25 maggio [1944] - data di scadenza dei bandi e dell'ultimatum fascista, per la quale era quindi prevedibile l'inizio di una offensiva nemica -  un attacco simultaneo in tre punti contro le posizioni germaniche e fasciste ed una nuova dislocazione difensiva dei reparti partigiani.
Il piano fu puntualmente eseguito nella data stabilita e sugli obiettivi fissati: il 25, i distaccamenti di Cion [Silvio Bonfante] e di Ivan attaccarono con successo rispettivamente le postazioni difensive nemiche di Capo Berta e di Garbella <7, mentre gli uomini di Mirko [Angelo Setti] sorprendevano con una violenta sparatoria il posto di blocco di Cesio, che poteva salvarsi - dopo due ore di combattimento e notevoli perdite - solo con l'arrivo di rinforzi germanici.
Quindi i reparti raggiunsero le nuove posizioni: mentre il distaccamento di Mirko e quello di Tito restavano a Bregalla e al Bosco Nero, Ivan si spostava a Fontanin (Costa di Carpasio) e Cion si piazzava con i suoi nomini a Casoni, a ridosso del Pizzo d'Evigno.
A giugno il movimento di resistenza imperiese, forte dei nuovi effettivi e già provato da importanti esperienze, si pose a sua volta il problema di unire in forma più organica - sotto un solo comando e con un nuovo inquadramento militare - tutte le formazioni e le bande operanti nell'entroterra.
La prima unità combattente risultato di questo impegno - regolarmente inserita nell'organico delle Brigate Garibaldi e del Comando Militare Ligure - fu la IX Brigata d'Assalto, che costituì la base da cui si sarebbe sviluppato successivamente tutto l'esercito partigiano della zona.
Benché il comunicato ufficiale della sua costituzione fosse stato diramato solo il 14 giugno - con una circolare a firma dell'Ispettore Pio - la Brigata funzionava già come tale dal primo giorno dello stesso mese.
Raggiungere l'accordo tra i vari reparti ed i gruppi sparsi nel vasto territorio della provincia non era stato - a quanto risulta - molto difficile data l'unità operativa già esistente tra le diverse formazioni e dato che gran parte dei vari comandanti e commissari provenivano dalla prima banda di Felice Cascione: più difficile fu - senza dubbio - ottenere un inquadramento disciplinare e tattico conciliando le esigenze generali con il mantenimento della massima autonomia di manovra possibile ai singoli reparti.
Il risultato fu tuttavia in gran parte positivo: ne risultò una Brigata piuttosto agile negli spostamenti, in grado di controllare una grande zona di operazioni, abbastanza efficiente nei servizi.
La sede del Comando fu stabilita nella casa di Bacì di Fundeghé, nel bosco di Rezzo; Curto (Nino Siccardi) fu designato comandante della Brigata, vice comandante Mario (Mario De Lucis), commissario Giulio (Libero Briganti), vice commissario Grosso (Luigi Nuvoloni) e ispettore di Brigata Pio.
[...] Collegata alla IX Brigata - ma mantenendo una propria autonomia di comando e di azione - operò anche in quel periodo una formazione denominata «Banda Matteotti» <8, che si era formata agli ordini del capitano Franco (capitano Franco Faverio).
Un così rapido aumento del potenziale dell'organico nel movimento militare di resistenza non poteva non avere delle immediate ripercussioni sulle autorità occupanti che del movimento clandestino avevano rilevato i progressi sia dalle notizie di numerosi informatori sia dall'aumentato numero e ritmo dei sabotaggi e degli attacchi portati contro le loro truppe.
Contromisure nemiche
Occorreva quindi predisporre non solo più munite difese nei punti nevralgici delle vie interne di comunicazione e della stessa via Aurelia ma anche - e soprattutto - effettuare alcune grosse operazioni di rastrellamento che liberassero il territorio alle spalle delle truppe germaniche operanti al confine francese e di quelle poste a vigilare contro sbarchi Alleati la Riviera Ligure di ponente.
Vennero dunque - nello stesso mese di giugno - aumentati gli organici della 33^ Legione della G.N.R. di stanza ad Imperia e del IX Battaglione G.N.R. di stanza ad Albenga, mentre nella zona si installavano grossi reparti della 41^ Divisione germanica Alpenjager i cui obbiettivi di impiego - al di fuori dei compiti delle truppe presidiarie <9 - erano appunto le operazioni antiribelli.
Tali misure consentirono ai comandi germanici e fascisti di effettuare nel solo mese di giugno circa 50 puntate di rastrellamento contro le forze partigiane: puntate rese del resto necessarie per l'aumentata combattività dei reparti di volontari della provincia e delle zone confinanti, che in breve erano giunti ad occupare una vasta zona del Colle di Nava a Garessio, controllando per un certo periodo di tempo anche Bagnasco e la strada Ceva-Ormea. <10
L'asprezza assunta dai nuovi scontri col nemico in ogni parte della provincia contribuì certamente in modo determinante a rafforzare la omogeneità e lo spirito combattivo dei reparti della IX Brigata operando una selezione che ne migliorò l'assetto militare e conferì agli effettivi la necessaria esperienza nello sviluppo della strategia partigiana.
Anche la parte logistica della formazione potè migliorarsi con la creazione di alcuni servizi indispensabili - quali l'intendenza, il Servizio Informazioni Militari, il Servizio Sanitario e il reparto Stampa e Propaganda - che se in quella prima fase non risolsero, tuttavia avviarono a soluzione i principali problemi relativi alla vita dell'unità combattente.
[NOTE]
7 In questa azione venne ferito il partigiano Emiliano Mercati.
8 Più tardi gli effettivi della Banda Matteotti vennero assorbiti in parte dalle formazioni garibaldine, in parte dalle formazioni Autonome del Basso Piemonte. (Documentazione Rubaudo).
9 Fra le truppe presidiarie della R.S.I. nella zona cominciavano a verificarsi numerosi episodi di diserzione; vi fu persino il caso di un rifiuto collettivo a partecipare ad un rastrellamento: a seguito di ciò 500 soldati furono disarmati e inviati a Genova a disposizione delle autorità germaniche. Un reparto della R.S.I. di presidio a Caramagna passò invece - al completo - alle forze della resistenza. Anche tra i militi della G.N.R. e gli agenti della P.S. erano cominciate le diserzioni ed i contatti con il movimento clandestino. (Documentazione Rubaudo).
10 L'occupazione avvenne nei giorni tra l'll e il 16 giugno.
Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 240-246

mercoledì 24 gennaio 2024

L'autonomia doveva essere lasciata alle Brigate partigiane ora nascenti

Cesio (IM). Foto di Davide Papalini su Wikipedia

A fine marzo 1945 la I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" con la costituzione del Distaccamento "Marco Agnese", comprensivo di 21 garibaldini, e del Distaccamento "Franco Piacentini" (15 partigiani) portava a cinque il numero dei suoi Distaccamenti. In quel periodo il Distaccamento "Francesco Agnese" [comandante "Buffalo Bill"/"Bill"/"Pippo", Giuseppe Saguato] aveva in organico 36 uomini, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandante "Stalin", Franco Bianchi] 37 ed il Distaccamento "Angiolino Viani" [comandante "Russo", Tarquinio Garattini] 29.
Il 28 marzo ad Alassio venne momentaneamente smarrito un elenco di garibaldini, subito recuperato, di modo che venne evitata per un soffio una strage di partigiani, come quella purtroppo avvenuta proprio quel giorno a Latte, Frazione di Ventimiglia.
Il 30 marzo il capo di Stato Maggiore ["Cis", Giorgio Alpron] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" faceva saltare gli aghi di scambio nella stazione ferroviaria di Andora. In effetti dal resoconto delle azioni compiute dalla Brigata nel mese di marzo 1945, inviato in data 3 aprile 1945 al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", si legge: "il Capo di Stato Maggiore 'Cis", recatosi da solo nella stazione ferroviaria di Andora, faceva saltare con l'uso di plastico gli aghi di scambio e più di 20 metri di binario, lato Genova. Il treno che doveva transitare quella notte rimase fermo a Laigueglia fino alle ore 10 del mattino seguente".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) -Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 29 [marzo 1945] Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] aveva invitato al Comando Stalin per esaminare la possibilità di creare uno schieramento organico a protezione della Val d'Andora. Ritirate le bande che operavano in Val di Cervo e di Diano, spostato il Comando da Diano Arentino a S. Gregorio la I Brigata doveva schierare il distaccamento «A. Viani» a Villarelli controllando l'accesso da Villa Faraldi-Cona e la carrozzabile da Andora. Il «Piacentini» doveva controllare il passo del Merlo ed il passo dei Pali, bloccando così i varchi dalla valle di Cervo e da quella di Diano; il « F. Agnese» sorvegliava la mulattiera che saliva dalla «28» al passo S. Giacomo, il «Marco Agnese» accampato a S. Damiano avrebbe bloccato la carrozzabile che saliva da Alassio. Infine il cerchio avrebbe dovuto essere chiuso dal «G. Garbagnati» che, presidiando Tèstico, avrebbe controllato l'accesso dalla Val Lerrone da Cesio. Il Garbagnati rifiutò di occupare la posizione.
Il colloquio tra Giorgio e Stalin, che fece fallire il progetto di una difesa organica della Val d'Andora, è indice del morale e della autonomia esistenti alla fine di marzo nelle bande della I Brigata.
Innanzitutto a Tèstico non c'era mai stato nessun presidio, nemmeno gli alpini fascisti in gennaio avevano osato sostarvi. Situato all'incrocio della carrozzabile Alassio-Cesio e delle mulattiere che da Stellanello in Val d'Andora portano a Poggiobottaro ed in Val Lerrone, Téstico poteva essere attaccato evidentemente da molte direzioni, offrendo però anche molte vie di ritirata.
Di esse la migliore sarebbe stata quella di Stellanello perché protetta dagli alberi. Un accerchiamento nemico, assai difficile per le asperità del terreno, avrebbe dovuto esser condotto con quattro colonne simultanee, il che lo rendeva problematico. Le viuzze strette e le case antiche avrebbero consentito una lunga difesa.
Questa la posizione di Tèstico: in teoria lo schieramento delle altre bande avrebbe dovuto garantire il presidio di Tèstico dalle minacce da Alassio e da Stellanello; rimaneva scoperta la più grave minaccia da Cesio, si poteva ovviarvi presidiando in permanenza con una squadra la cresta di Ginestro; ciò avrebbe dato tempo al presidio di contrattaccare o di sganciarsi al coperto del bosco. Come si vede la Matteotti in luglio a S. Bernardo di Garessio e molte altre bande intorno a Rezzo ed a Piaggia avevano presidiato posizioni ben più rischiose con armamento inferiore. Il Garbagnati stesso, in gennaio a Ginestro, aveva combattuto in una posizione tatticamente peggiore attestato su un pendio semiscoperto, battibile facilmente dal versante di fronte e ne era uscito brillantemente. C'era però allora l'illusione di non essere attaccati essendo lontani dalle principali mulattiere, mentre ora si trattava di controllare una carrozzabile per dove più volte era passato il nemico. In verità nel marzo 1945 non c'era ancora nessuna banda accampata su una carrozzabile od un nodo stradale. Se ora volevamo riprenderci era necessario tornare ai vecchi sistemi e se qualcuno doveva cominciare doveva essere il Garbagnati che a ragione era ritenuto il miglior distaccamento della Bonfante. Qual era l'armamento della banda di Stalin? Per il comando divisionale era una incognita. Sapevamo che avevano due lanciagranate, mitra e mitraglie pesanti, ma si sospettava che il numero dichiarato fosse inferiore al vero. Improvvisi sopralluoghi non riuscirono mai a risolvere il problema.
Il rifiuto di Stalin di occupare Tèstico fu abbastanza netto: capiva i vantaggi del controllo della Val d'Andora, non aveva però fiducia di essere appoggiato dalle altre bande. «Non posso garantire che arrestino il nemico, si può però contare che diano l'allarme. Esser garantiti da una sorpresa può essere sufficiente» affermava Giorgio.
«Se non fosse rischioso vorrei provare questa notte ad attaccare quelli di Pippo: vedresti che scappano tutti senza sparare» replicava Stalin scuotendo il capo. «Se vuoi che venga a Tèstico non rispondo delle conseguenze: può darsi che i miei uomini si rifiutino di obbedire e non posso dar loro torto. Se veniamo attaccati uno sbandamento è sicuro e francamente mi dispiacerebbe perdere uomini e materiali che ho salvato per tanti mesi».
«Non si pretende da voi una difesa impossibile: sappiamo che i tedeschi possono strisciare fin sotto ad una nostra posizione e farla fuori a colpi di bombe a mano. Era solo il primo tentativo di riprendere il controllo di una zona per poter attaccare un nemico non molto forte che si infiltrasse nel nostro schieramento ed evitare sorprese in caso di rastrellamento. II cerchio sarebbe stato chiuso: quelli di Marco hanno accettato di controllare lo stradone a S. Damiano e si sono impegnati, in caso di attacco soverchiante, di ripiegare su Tèstico per appoggiarti. Se non vuoi stai pure a Pian Bellotto. Troveremo un'altra banda che accetterà l'incarico, per ora diremo a Pippo di mandar una pattuglia» concluse Giorgio.
Ricordavo un altro colloquio di mesi prima tra Giorgio e Stalin: un partigiano di guardia ad una mitraglia aveva avvistato una pattuglia tedesca che si avvicinava. Appena aveva iniziato il fuoco il compagno che portava le munizioni era fuggito lasciando il mitragliatore col solo caricatore infilato nell'arma. Sparando un colpo alla volta questi era riuscito a tenere a bada il nemico obbligandolo poi a ripiegare. Stalin era allora dell'opinione di fucilare il fuggiasco: «Quando si ha un compito bisogna adempierlo fino in fondo, non si può tollerare che uno scappi lasciando gli altri nei guai per colpa sua».
«Ha avuto paura» - sosteneva Giorgio. «Se fuciliamo lui dovremmo fucilare anche tutti quelli che stanno a casa percbé hanno meno coraggio di lui. Lui per lo meno ha una fede; è più facile fare il partigiano avendo paura, che, essendo coraggioso».
«Nessuno lo aveva pregato di esser dei nostri» - ribatteva Stalin. «Siamo volontari e se uno accetta un compito devo esser sicuro che lo adempia, altrimenti dica chiaro che non se la sente».
Stalin infatti aveva detto chiaro che non se la sentiva di venire a Tèstico.
Quando uscì chiesi a Giorgio se era sicuro di trovare un'altra banda da piazzare al posto di quella di Stalin. «Appunto perché sono i più forti quelli di Stalin hanno più spiccata degli altri l'indisciplina caratteristica delle bande partigiane: per stare a Tèstico non occorrono degli eroi, basta un po' di senso del dovere. Lo diremo al Catter, vedrai che Fernandel [Mario Gennari, a quella data ancora vice comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] accetterà».
L'atteggiamento di Giorgio può forse meravigliare, ma date le circostanze era il migliore. Dimostrava che l'esperienza degli eventi passati non era stata del tutto inutile. Anziché tentare di imporre la propria volontà provocando forse un dissidio, se non un nuovo urto anche col comando della I Brigata, Giorgio preferì mostrarsi tollerante, accettare l'autonomia della I Brigata riservandosi in pratica solo funzioni di controllo. Era la soluzione migliore. Giorgio ebbe fiducia nelle capacità organizzative del Comando brigata: osservammo così con gioia sincera il giovane virgulto della Bonfante che si sviluppava e si irrobustiva. Vedemmo le prime disposizioni date dal Comando brigata alle bande, i collegamenti tra i distaccamenti potenziati, la creazione del S.I.M. di brigata, lo sviluppo dell'intendenza, il risorgere del morale offensivo negli uomini, il Comando brigata che operava alla luce del sole. Tutto ciò era necessario perché con l'aumento degli effettivi la Bonfante si avviava ad essere una Divisione anche di fatto, come la scorsa estate lo era stata la Cascione. L'autonomia che avevano goduto lo scorso anno le Brigate V, IV e I doveva essere lasciata alle Brigate ora nascenti.
Solo così potrà stabilirsi una reciproca stima e collaborazione tra gli uomini d'azione ed i tecnici, tra i proletari ed i borghesi. Vi era una spiccata differenza di stile, di mentalità, di abitudini tra Giorgio, Boris [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] da un lato e Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], Federico [Federico Sibilla, vice comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"], Stalin. Pantera non era comunista, per Giorgio e Boris il comunismo pareva più una condiscendenza ad una moda che una vera fede. Lo stesso non si poteva invece dire del comando della I Brigata che sentivamo come l'ambiente più rosso della Divisione. Anche fisicamente Stalin, con capelli lunghi fino alle spalle, pareva l'incarnazione dello spirito ribelle ad ogni disciplina e consuetudine. Con lui erano alcri capibanda eredi di una tradizione di lotta e di autonomia.
Già altre volte la volontà di Stalin si era scontrata con quella del Comando divisione. Il soldato tedesco Jahob Unkelbach il 18 febbraio si era presentato al Garbagnati. Il Comando aveva consigliato la sua eliminazione, ma Stalin si era rifiutato: il disertore tedesco era uno studente di medicina e poteva essergli utile. Gli aveva dato il nome di battaglia «Antonio» e lo aveva messo alle dipendenze di Esculapio, medico della I Brigata, che si servì di lui per tutto marzo per curare feriti e malati. Purtroppo si vedranno più tardi le conseguenze dei due rifiuti di obbedienza ed anche il Comando della I Brigata dovrà trarne le conseguenze. Si cambierà allora il commissario del Garbagnati promuovendo Athos a commissario della II Brigata ponendo accanto a Stalin un commissario nuovo, ligio ai comandi superiori. La scelta non sarà felice e l'autorità di Stalin non verrà per questo ad essere diminuita. Così finiva il mese di marzo: un alternarsi di duri colpi e di successi, una ripresa sicura per quanto lenta, sintomi del crollo nemico sempre più chiari.
In marzo avvenne il nostro primo sabotaggio ferroviario riuscito sulla Albenga-Imperia. Un treno venne fatto deragliare bloccando la linea per qualche tempo.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 225-228

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Segnalava, rispetto al corso, di cui aveva già fatto cenno in un precedente rapporto, per la preparazione delle spie, istituito dalla Gestapo, che il medesimo era iniziato a metà marzo 1945, diretto dal capitano Maranzano; che partecipavano al corso Antonio Bracco, Gennaro Iacobone e Marchetti; che gli idonei al corso si sarebbero, poi, dovuti infiltrare nell'esercito alleato e prendere collegamenti con i tedeschi già insinuatisi in quelle file. Comunicava, inoltre, che [...] ad Andora (SV) l'Orstkommandatur aveva ceduto il posto a 30 repubblichini.
1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.
2 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 266, ai comandi del Battaglione "Ugo Calderoni", del Distaccamento "Filippo Airaldi", del Distaccamento "Giannino Bortolotti", del Distaccamento "Giovanni Garbagnati", del Distaccamento "Angiolino Viani", del Distaccamento "Marco Agnese" - Disponeva che per sicurezza della zona occupata dalle formazioni in indirizzo queste dovevano collocare ad una distanza di circa 25 metri delle bombe a mano a sbarramento dei sentieri e dei terreni circostanti; che nelle ore notturne doveva essere fatto "rispettare il coprifuoco per evitare incidenti alla popolazione civile"; che solo le persone dotate di permessi scritti a macchina, rilasciati da membri del Comando Operativo di Zona o del comando divisionale, potevano lasciare la mentovata zona; che nessun garibaldino poteva scendere a Viozene; che per qualsiasi necessità "essendo proibito comprare dai privati" i partigiani dovevano rivolgersi alla propria intendenza.
2 aprile 1945 - Da "Gigino" [Umberto Capelli] e "Germano" [forse Germano Tronville] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 3 aprile ci sarebbe stata a Mondovì (CN) una riunione, presenti elementi comunisti ed il locale CLN, per formare una squadra di garibaldini e che venivano inviate 55.000 lire come ricavato dalla vendita di un mulo.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

lunedì 25 settembre 2023

Hanno detto che i tedeschi hanno i cani da guerra

La Val Lerrone. Fonte: mapio.net

Verso sera [6 marzo 1945] al comando [della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] di Poggiobottaro si venne a sapere che a Cesio c'erano quattrocento tedeschi. La notizia meritava di essere considerata attentamente. Cesio era un piccolo paese sulla «28». Difficilmente si sarebbe prestato ad alloggiare tante persone oltre al normale presidio di Brigate Nere. Perché i tedeschi non avevano proseguito per Pieve? Una puntata nemica da Cesio sarebbe stata facile: dal paese partiva una carrozzabile per la Val Lerrone ed un'altra portava a Testico e di là, in cresta, fino ad Alassio. Più difficile era che il nemico conoscesse con esattezza la sede del comando, ma dopo tanto tempo di permanenza nello stesso posto, non si poteva escluderlo. Varie proposte consigliate dal buon senso vengono esaminate. Si potrebbe montare la guardia poiché tra noi e Cesio non c'è nessuna banda. Si potrebbe partire per una, meno minacciata, subito, o verso le tre di notte, dopo sorta la luna. Le varie soluzioni non vengono accettate, soffocate da una sorta di fatalismo, poi alla cosa viene dato un tono scherzoso, la minaccia viene volutamente accentuata per impressionare chi riteniamo più degli altri impressionabile.
«Hanno detto che hanno i cani da guerra, lo ha riferito un contadino che è arrivato ora da Cesio, è una cosa seccante». Guardo Vittorio, il padrone di casa che, in cambio dell'ospitalità, vuole essere considerato partigiano anche lui. Noi avevamo acconsentito volentieri perché in verità condivideva molti dei nostri rischi, però pensavamo, forse a torto, che in lui non vi fosse la stoffa del partigiano. Ho l'impressione che la notizia sia diretta a lui, vedo che si controlla bene, ma ha gli occhi lucenti, attenti. «E come li impiegano i cani da guerra? Non sentiranno mica i partigiani dall'odore?». Chiede con voce che sembra indifferente. «No, il cane non distingue il partigiano dal contadino» - spiega Livio - «i tedeschi quando giungono in paese di notte lanciano i cani lupo per le strade e chiunque esca di casa viene azzannato. I soldati intanto perquisiscono sicuri che nessuno possa scappare». «Anche ad Alba li hanno impiegati» - aggiungo io - «a Degolla li hanno lanciati contro i partigiani che sparavano distesi per terra: è un brutto affare, se stai in piedi i tedeschi ti vedono, se ti stendi i cani ti addentano alla gola». «Sapete la storia del Monco?». Racconta Giorgio. «In quel di Triora, prima dell'ultimo rastrellamento avevano detto che era un tedesco delle SS che aveva ammaestrato i cani da guerra. I cani sentivano l'odore dei partigiani e scoprivano i rifugi. Il Monco li seguiva e con un uncino, perché era mutilato di una mano, tirava fuori i partigiani dalle tane. Quando il rastrellamento comincia due partigiani, che sapevano la storia del Monco, si nascondono in un rifugio. Dopo qualche tempo sentono un cane ansare fuori dell'apertura. Che sia la bestia del Monco? Due mani escono dal rifugio, il cane è afferrato per la gola, strozzato, tirato dentro. Tre giorni sono vissuti i due nella tana con la bestia morta: era un povero cane da pastore perché il Monco non era mai esistito».
Era abitudine dei partigiani essere spietati con coloro cbe dimostravano qualche timore. Venivano spaventati al punto che non distinguevano più il vero dal falso. Ricordavo uno della Matteotti: Lupo; dopo averlo preparato a dovere con vari racconti di torture e fucilazioni avevamo finto un imminente attacco tedesco e lo avevamo mandato solo in esplorazione. Non era più tornato.
Pure quella sera i tedeschi di Cesio non erano una fantasia. Pensavo al rapporto che ci era pervenuto dopo Upega: «E' possibile dopo un anno di vita partigiana essere ancora sorpresi?». Era ancora possibile.
La notte passò tranquilla per quanto il mio sonno leggero venisse più volte interrotto dal canto di un gallo.
Il giorno 7 torno a Segua [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] e l'8 vado al recapito staffette di Ginestro per vedere se hanno preparato i conti. Al recapito trovo un francese che giorni prima era passato da Segua. «Sei ancora qui?» gli chiedo. «Si è accorto che può mangiare e non far niente ed è ormai impossibile mandarlo via» mi dice una staffetta. Il francese era un giovane biondo, robusto, pareva più un tedesco che un latino, era un tipo singolare. Era passato da Segua con un telo da tenda sulle spalle. «Ho visto un contadino che batteva l'ulivo raccogliendo i frutti nel telo. Militare, gli ho detto io, ed ho preso il telo» - così aveva raccontato - «quello mi è corso dietro dicendo che lo aveva pagato, ma io sono stato buono e non gli ho dato niente».
«Poteva averlo pagato davvero» aveva detto Bertumelin indignato.
«E poi col mangiare e con l'alloggio che vi diamo mi sembra che possiamo averceli guadagnati dei teli e delle coperte militari che a voi non servono». «Potevo anch'io pagarlo con questa» aveva replicato il francese mostrando la rivoltella; «ma non l'ho fatto perché ero di buon umore».
«Come è che sei in Italia?», gli chiesi.« Affondato nel '40 con la mia nave presso Piombino. Fino al '43 prigioniero, adesso libero».
«Sarai contento di tornare a casa fra qualche mese a guerra finita?».
«Fra qualche mese? Troppo presto... Dovrò lavorare di nuovo, è più bello fare la guerra». «E gli altri cinque che vi ho mandato giorni fa?» chiesi alla staffetta.
«Li ho portati alla Cascione, avevano fretta di tornare in Francia. Appena fusa la neve cercheranno di passare».
Anche quelli li avevo visti a Segua: erano aviatori abbattuti: «Se i tedeschi ci prendono dico che sono canadese», aveva detto uno di loro. «Un mio compagno è stato tagliato con la sega circolare perché era francese».
La pattuglia dei ciclisti tedeschi continuò a percorrere la Val Lerrone sempre più spesso. Passò il 6, l'8, il 13. Il giorno 8 giunsero anche cani con tedeschi che requisivano fieno. La ricostruzione del ponte di Garlenda proseguiva lentamente, l'inattività partigiana cominciava a pesare, i borghesi, che all'inizio erano atterriti, temendo che tendessimo qualche imboscata alla pattuglia, cominciavano ora a parlare di accordi segreti, di compromessi fra noi ed i tedeschi. Una squadra della banda di Rostida, decisa a por fine a questo stato di inferiorità, si appostò a Case Soprane in attesa della pattuglia. I borghesi ripiombarono nel terrore e prima avvertirono i nostri dell'arrivo dei tedeschi, poi, visto che i partigiani non scappavano, andarono ad avvertire i tedeschi facendo fallire l'imboscata. Il Comando divisionale fece rientrare alla base la squadra che per rappresaglia stava requisendo galline e conigli.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980,  pp. 163-167, pp. 196-199

7 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 183, alla banda locale di Ginestro - Disponeva la presenza di una pattuglia sul Passo di Cesio per il giorno successivo dalle ore 23 alle ore 9 e la segnalazione di allarme al Distaccamento garibaldino più vicino una volta avvistati i nemici che lungo la strada di Testico, non transitabile da automezzi, sarebbero necessariamente saliti a piedi.
8 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 1 marzo il Distaccamento con l'ausilio di civili aveva effettuato il diroccamento del ponte di Degna e che il giorno 5 aveva fatto brillare con 3 mine il ponte di Garlenda "rendendolo inutilizzabile".
13 marzo 1945 - Dallo Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" avviso n° 1 alla popolazione costiera - "Si invita la popolazione ad allontanarsi dagli obiettivi militari. Si consiglia di annotare i luoghi abitati da tedeschi e fascisti e di tenere sotto sorveglianza la Feldgendarmerie".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

domenica 19 marzo 2023

Pare che in prossimità di Cesio i partigiani abbiano iniziato un'azione contro i Muti

Cesio (IM). Fonte: mapio.net

Per ritorsione e per vendicare i compagni caduti, il 4 ottobre 1944 attaccammo il caposaldo nemico di Cesio.
Insieme ad alcuni altri, il mio compito era quello di trasportare a spalle una mitragliatrice pesante con relative munizioni. Camminammo da Colle San Bartolomeo fin quasi al paese di Caravonica da dove era possibile battere il presidio nemico di guardia ad un ponte minato. Ma il nemico era ben protetto e il nostro attacco ebbe scarso successo.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998  

Bisognerà muoversi, tenere moralmente i distaccamenti in efficienza bellica e, oltretutto, vendicare nel modo più efficace i compagni caduti nell'imboscata di Pieve di Teco.
Il 2 ottobre 1944, presa la decisione di attaccare il presidio nemico di Cesio composto da circa quaranta uomini, brigate nere del battaglione «Muti», uccisori dei compagni di Nino Berio, viene studiato nei minimi particolari il piano di annientamento (per spazzare quel triste covo), partendo dalla considerazione che il presidio in avamposto, molto isolato, distava all'incirca sette chilometri da quello più vicino di Chiusavecchia.
Appostata una squadra a sud di Cesio sulla statale 28 per bloccare eventuali rinforzi nemici proveniente da Chiusavecchia, altre squadre avrebbero portato un attacco concentrico al paese, supponendo che in esso e alla periferia fossero dislocate le postazioni nemiche. A forze pari il fattore sorpresa avrebbe dovuto giocare a favore dei partigiani, scelti tra i più coraggiosi della brigata.
Lasciata Piaggia alle ore 8, trentasei garibaldini del distaccamento d'assalto «G. Garbagnati» e una squadra del battaglione «Nino Berio» unitamente al vice comandante di divisione «Cion» [Silvio Bonfante], al vice comandante di brigata «Mancen» [Massimo Gismondi] ed al commissario «Mario» [Carlo De Lucis], giungono a Pieve di Teco nella mattinata del 3 ove procedono ad una retata di spie e pernottano nel paese.
Però la spia annidata nel Comando partigiano riesce ad informare del prossimo attacco i fascisti di Cesio che nel corso della notte raddoppiano gli effettivi. Conosciuto il fatto e la fallita sorpresa, «Cion» decide di attaccare ugualmente: è nel suo stile.
Prima dell'alba del giorno 4 i garibaldini partono verso Cesio. La marcia di avvicinamento si compie senza ostacoli ma termina con alquanto ritardo sul previsto.
Ormai è già chiaro ad oriente quando i partigiani si accingono, col fiato grosso per la marcia affrettata, ad appostarsi.
Dal colle San Bartolomeo si staccano due squadre: una di cinque uomini con una mitragliatrice pesante va a piazzarsi a sud del paese per stroncare un eventuale invio di rinforzi da Chiusavecchia e per battere contemporaneamente, con più ampio respiro, tutta la zona. L'altro nucleo cala su Cesio bloccandone la periferia. Nel contempo il grosso delle forze, raggiunto il passo omonimo e divisosi in tre squadre, piomba dai tre lati sopra il ponte rotto.
«Cion» urla (altra sua romantica qualità di guerrigliero latino): "Fascisti... siamo i compagni di Nino... siamo venuti a vendicarlo... difendetevi ...fuoco!" <1.
L'azione ha inizio con una mitragliatrice pesante «Breda», tre «Machinen-Gravers», due «Saint-Etienne», tre lanciagranate ed alcune armi automatiche individuali.
Sono le 7,30 precise; all'urlo di «Cion» i fascisti, che stanno facendo colazione e l'alza bandiera, capiscono e riescono a dileguarsi tra gli alberi di ulivo. Il fuoco inizia violentissimo, i garibaldini scendono all'attacco benché la conformazione della vallata impedisca loro di battere con precisione l'accampamento nemico ove regna panico e disorientamento.
In un primo tempo il fuggi fuggi tra i fascisti, che lasciano sul terreno un morto ed un ferito grave (il comandante del presidio ten. Lo Faro), é generale <2.
I loro baraccamenti sono crivellati e sconvolti dalle raffiche dei mitragliatori, dalle bombe a mano e dai colpi ben piazzati dei lancia granate.
Frattanto, raggiunte a fatica le loro vantaggiose posizioni, i «Muti» aprono un fuoco intenso con due mitragliatrici pesanti «Fiat», alcuni mitragliatori, fucili e mortai da 45 mm.
La lotta dura circa due ore; tra gli spari si odono gli ordini e le invettive dei comandanti nemici: "Raggiungi il «Sant-Etienne»". "Non posso, signor tenente, mi tirano addosso", poi le vecchie canzoni di lotta «Fiamma Nera» e «Giovinezza», echeggiano nella vallata tra gli ulivi e le raffiche di mitragliatrice, poi ancora insulti ed invettive: "Tirate meglio... fatevi sotto, fatevi vedere se avete del fegato" <3.                                                                              
Il nemico, convinto di essere circondato da forze preponderanti, resiste con tutta la sua disperazione, consapevole della sorte che l'attenderebbe se venisse sopraffatto.
È una lotta mortale; i garibaldini sparano con cieco furore, il pensiero dominante é vendicare Nino e gli altri compagni.
Però venuta a mancare per le ragioni suddette la sorpresa, il fuoco incrociato delle armi del nemico rende problematico e oltremodo temerario un assalto. Sarebbe follia e morte certa, tanto più che non si conosce con precisione l'esatta ubicazione delle postazioni nemiche. Nonostante ciò qualcuno vorrebbe tentarlo. Però non resta che la determinazione di continuare un violento duello di logoramento col nemico.
In questa fase dello scontro vengono uccisi alcuni brigatisti neri compreso un borghese delatore, alcuni altri rimangono feriti. Nessuna perdita da parte garibaldina <4.
Intanto richiamati dagli spari, giungono rinforzi autocarrati al nemico da Chiusavecchia.
Le squadre partigiane data l'esiguità delle loro forze, ritenendo foriera di perdite la tattica di snidare i «Muti» dalle loro munite e difficili postazioni, risalgono a Cesio ove compiono pulizia di tutto ciò che é segno di collaborazione e aiuto ai fascisti <5.
Viene sequestrato, tra l'altro, il materiale di cucina che serviva per l'alimentazione dei «Muti» (marmitte, pentole, viveri ecc.) e completamente requisita o resa inutilizzabile la dotazione di un albergo che usava ospitare i fascisti e i loro famigliari (materassi, coperte, effetti, ecc.).
I fascisti giunti di rinforzo riescono a tagliare fuori del grosso una squadra del distaccamento «Marco Agnese» comandata da «Trucco» che, però, infiltratasi tra le maglie nemiche, miracolosamente raggiunge i compagni oltre il colle San Bartolomeo.
Il tenente Lo Faro, ferito, ordina ai suoi uomini di andare in paese per prelevare alcuni ostaggi da fucilare; la sentenza non viene eseguita ma sono fatte saltare alcune case e fienili ed é catturato un giovane presunto partigiano. L'azione non ha dato i risultati sperati. Il gruppo, ad eccezione del comandante «Boscia» <6 che con otto garibaldini rimane a Pieve di Teco per ragioni di servizio, nel tardo pomeriggio raggiunge Mendatica ed il giorno 5 perviene a Piaggia, mentre il distaccamento «F. Airaldi» riprende posizione nella casermetta del Tanarello.
Intanto il 5 di ottobre «Simon» [Carlo Farini] aveva avuto un colloquio con Giovanni Parodi (Michele) membro del Triunvirato Insurrezionale per la Liguria delle brigate Garibaldi, e con Baldini (Matteo) segretario della federazione del P.C.I. di Imperia e addetto ai collegamenti con la città, in cui si era discusso sulla formazione delle Giunte Popolari, presenti i candidati Sindaci di quasi tutti i Comuni della valle Impero.
Il 6 di ottobre riuniva in due casoni posti di fronte a Carpasio il Comando della IV brigata e tutti i comandanti e i commissari di distaccamento per discutere le cause che avevano determinato i precedenti sbandamenti garibaldini in seguito ai rastrellamenti nemici ed il ripiegamento in alta montagna (Piaggia) della I brigata.
Nel contempo emanava direttive per una maggiore disciplina ed un più stretto contatto tra i distaccamenti ed il comando e disponeva che la IV brigata rimanesse sulle sue posizioni (funzioni di collegamento tra la costa e l'alta montagna).
Nel pomeriggio il vice commissario della I brigata Osvaldo Contestabile (Osvaldo) era nominato commissario della V brigata ed il garibaldino Beniamino Miliani (Miliano) assumeva l'incarico lasciato libero da «Osvaldo».
Finite le riunioni, «Simon» rientrava al Comando divisione a Piaggia incalzato dalle notizie del rastrellamento tedesco iniziato nella valle Argentina e a Pigna contro la V brigata e del ripiegamento di questa sulle posizioni della I. A causa di questi precipitosi spostamenti a piedi o a dorso di mulo, «Simon» si ammalava di broncopolmonite. Il 12 di ottobre sembrava segnare un inizio di miglioramento, ma era mera illusione.
[NOTE]
1 Dal diario di Gino Glorio (Magnesia).
2 Dal diario di Luigi Massabò (Pantera).  
3 Dal diario di Gino Glorio (Magnesia).
2 Dal diario di Luigi Massabò (Pantera).                                            
4 Le perdite inflitte al nemico risultano nella relazione n. 330 di protocollo, del 4.10.1944, inviata dallo Stato Maggiore al Comando divisionale nel pomeriggio stesso della giornata dello scontro.
5 Nelle postazioni «Muti» di Cesio si trovava tutto il marciume della gioventù fascista e filotedesca della riviera, da Oneglia a Ventimiglia. Da lì partivano le rappresaglie contro i civili, le azioni di disturbo ed i rastrellamenti effettuati nelle zone adiacenti.
6 Il comandante Franco Bianchi (Stalin) aveva anche il nome di battaglia «Boscia».

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 141-144 

3 ottobre 1944
Questa notte forti contingenti di partigiani, provenienti dai pressi di Acquetico, sono transitati per Pieve di Teco, diretti versi il Colle S. Bartolomeo.
A quanto si vocifera, pare che in prossimità di Cesio i partigiani abbiano iniziato un'azione contro i Muti. Intanto è da ieri che Pieve è bloccata dalla parte di Imperia.
Questa mattina, con una macchina da turismo proveniente da Albenga, sono giunti sei o sette tedeschi per la misurazione dei ponti demoliti.
Sono le 18 e non si sa ancora niente di preciso circa ciò che sia accaduto verso Cesio.
Sono le 5 e si lancia «la grida» che, per ordine del Commissario Prefettizio, il coprifuoco è stabilito dalle ore 8 di stasera alle 5 di domani; il lanciatore proclama: «Le pattuglie spareranno su tutti quelli che dopo le ore 8 si troveranno fuori di casa».
Queste pattuglie sono formate da patrioti e tale grida l'hanno fatta lanciare per loro maggiore sicurezza.
Questi partigiani a Cesio hanno combattuto dall'albafino alle ore 10.
- All'una erano già a Pieve.
4 ottobre 1944
Si dice che nel combattimento svoltosi ieri a Cesio i repubblichini abbiano avuto perdite assai gravi e che in parte sono state danneggiate dal fuoco parecchie case - Però sono sempre notizie incerte. Mentre scrivo parecchi di questi partigiani vanno in cerca di uomini per farli andare alla Paperera al di là del ponte rotto ove, trovandosi un camion con un carico di viveri, vorrebbero farlo trasbordare per Pieve.
E tutto per non lasciarlo proseguire per Vessalico ove sono una quarantina di tedeschi al lavoro per la ricostruzione di quel ponte.
Questa notte io e mia moglie abbiamo pernottato nel Barcheto nella villa.
Questa decisione fu consigliata dallo strano caso delle cose incombenti e per assicurare tranquillità a mia moglie che vive sempre sotto l'incubo della drammatica notte del mio arresto.
5 ottobre 1944
L'azione a Cesio ha effettivamente dato luogo a rappresaglie da parte tedesca.
Si dice che in Vessalico siano giunti altri tedeschi di rinforzo per affrettare la riparazione del ponte.
6 ottobre 1944
Giornata d'acqua a dirotto - L'Arroscia è in piena e tutti si augurano che cresca maggiormente onde ostacolare ai tedeschi le riparazioni ai ponti - Si nota fin da stamattina un'insolita attività di patrioti: ve ne è una vera invasione.
L'acqua ha diminuito di intensità, ma piove sempre.
Manca totalmente la farina - Oggi si è ancora distribuito un etto e mezzo di pane procapite, ma si dice che domani non sarà più possibile alcuna distribuzione.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994,  pp. 123,124

mercoledì 10 febbraio 2021

Riscontrai, ad ogni modo, nel Curto un uomo molto calmo

Pietrabruna (IM): Monte Follia. Foto: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Dintorni immediati di Pietrabruna (IM)

Il Comando delle Brigate Nere ha una vasta rete di spionaggio che fornisce informazioni sui movimenti e sull'ubicazione delle formazioni partigiane.

Nel mese di giugno 1944 il predetto Comando ha a sua disposizione molte notizie sulla situazione numerica dei garibaldini e ne traccia un prospetto:

Dintorni di Triora (IM). Foto: Eraldo Bigi

[...] Zona di Triora e Molini di Triora
I gruppi che agiscono nella zona sono alle dipendenze del Comando dei ribelli che trovasi a Cima di Marta, forza degli stessi circa 3.000 uomini armati con moschetti, fucili mitragliatore, mitragliatrici, mortai da 45 e da 81. Nella zona suddetta i gruppi di ribelli sono sempre in movimento; infatti sono stati notati gruppi di ribelli della forza di circa 30 e 40 uomini a Carmo Gerbontina, a monte Pellegrino, a monte Gerbonte, nella frazione di Loreto, nella regione denominata «Brighetta», nella frazione di Realdo, nella frazione di Andagna. Sembra che nei baraccamenti militari siti su Colla Belenda vi sia un posto fisso di circa 50 ribelli armati. Notati posti di avvistamento ai chilometri 13, 15, 17 della strada Castelvittorio-Triora.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Pagina 44 del Notiziario GNR del 4 giugno 1944 cit. infra. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Il 31 maggio u.s., alle ore 18, in Badalucco (Imperia), numerosi banditi armati, dotati di mitragliatrici pesanti, assalirono il locale distaccamento della G.N.R. I militi del presidio reagirono energicamente e tennero testa agli aggressori sino al sopraggiungere di una compagnia O.P. che dopo breve combattimento riuscì a volgere in fuga i malfattori. Da parte nostra tre feriti. Non ancora accertate le perdite dell'avversario. Riserva di ulteriori notizie.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 4 giugno 1944, pagina 44. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Zona di Badalucco - Montalto Ligure
Sembra che nella cosiddetta frazione «Tana di Beltrand» esista un rifugio di ribelli. Nuclei di ribelli armati sono stati visti aggirarsi nelle località Evria e Binelli (comune di Montalto Ligure), e in località Merea-Beltran-Banzan (comune di Badalucco).

Colline a levante di Castellaro (IM)

Zona di Pietrabruna e Castellaro
Esistono gruppi di sbandati armati; il numero è esiguo, non si conosce la dislocazione.

La Val Prino

Zona di Dolcedo e di Molini di Prelà
Esiste un gruppo di circa 400 ribelli armati nel bosco di monte Faudo, e gruppi di sbandati armati della forza di 10 e 15 uomini ciascuno che si aggirano per la campagna.
Carlo Rubaudo, Op. cit.


Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 24 giugno 1944, pagina 33. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Fa seguito alla segnalazione inserita nel notiziario del 23 corrente circa l'esistenza di bande armate, della forza di circa 6000 elementi nel territorio della provincia di Imperia. Oltre alle formazioni di armati segnalati a nord di Vasia, Pianavia e Pantasina, operano 500 banditi suddivisi in reparti della forza oscillante fra i 50 e gli 80 uomini ciascuno dislocati sulle falde di quota 732 (S. Bernardo). Nella zona compresa  tra Villa Viani, Vestagno [Bestagno] e Lucinasco, e precisamente nel bosco detto "della Maddalena", sulle pendici meridionali di Monte Acquarone e sui due versanti di Monte Collabassa, trovasi un raggruppamento di oltre 300 banditi. Inoltre, sulle falde di Monte Albastino, in una casetta vicina alla villa di proprietà di Paolo AGNESI si è insediato il comando dei reparti che agiscono nella zona. Confermata la notizia che i banditi avrebbero intenzione di scendere nei prossimi giorni a Imperia per compiere atti di sabotaggio. L'azione verrebbe effettuata in concomitanza con operazioni di disturbo nelle valli di Dolcedo e in quella di Oneglia da parte di gruppi sparsi che ivi convergerebbero da diverse direzioni. Nella notte sul 16 corrente, in località Perina del comune di Imperia, alcuni banditi armati penetrarono nell'abitazione dell'aviere Felice CICCIONE, costringendo questi a seguirli. Il 17 corrente, alle ore 21,30, in Castellaro, numerosi banditi armati, dopo aver interrotta la linea telefonica e bloccate le strade di accesso dell'abitato, penetrarono negli uffici comunali, ove bruciarono le liste di leva e asportarono tutte le carte annonarie ivi esistenti. Successivamente obbligarono due agricoltori a consegnare loro, complessivamente, un vitello, due pecore e due muli e, dopo aver tagliato i capelli a certa Luisa BIACCHESI, nell'allontanarsi costrinsero il commissario del Fascio a seguirli. Nella notte sul 17 corrente, in Imperia, tre detenuti militari, narcotizzati i militi addetti al loro piantonamento, evadevano dall'ospedale civile di S. Giovanni dove erano ricoverati.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 24 giugno 1944, pagine 33,34,35. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

18 giugno 1944 - Il già menzionato Giuseppe Arduino di Prale, residente in Borgomaro, trovò in Prale un gruppo di 80 patrioti, comandati da due ufficiali genovesi. Con loro erano pure Renzo [n.d.r.: Renzo Merlino] e Cassia. Stanno tutti bene ed hanno il morale elevatissimo. Ad essi ha parlato delle mie ansie per le continue minacce del Santacroce e per la denuncia del Roba. Essi però gli hanno detto di essere già al corrente di tutto. Il Comune di Pieve [Pieve di Teco (IM)] amministrativamente è nel caos più completo. Il Commissario con la moglie sono fuggiti e il Segretario Comunale Valenzo si lascia vedere ìl meno possibile, sicché tutto è ridotto nelle mani della impiegata Sig.ra Brignacca, disgraziatamente sorda, ma ammirevole per il suo senso di abnegazione. Per quel che riguarda gli approvvigionamenti (che ormai tutto si riduce a questo), si è costituita una Commissione di volenterosi per la tutela di questo delicatissimo ramo, ma pare che il Prefetto non abbia ancora voluto riconoscerla. Come si vede qui da noi la tanto decantata repubblica ha degenerato presto in anarchia. Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994, p. 98

Zona di Vasia
Un gruppo di circa 30 ribelli armati trovasi nei casolari sparsi sul versante est di q. 732 nei pressi di Pianavia, e un gruppo di circa 20 ribelli pure armati a q. 889.
Zona di Carpasio - Borgomaro - Rezzo
Nel bosco di Rezzo trovansi oltre 400 ribelli armati. Ivi trovasi pure il loro Comando. Gruppi di ribelli della forza di circa 40 e 50 elementi (provenienti dalla zona suddetta) sono stati visti sostare a Montegrande, a Colla d'Oggia, al monte Albaspino, al passo di Carpasio, al monte Acquarone e al passo delle Ville...».
Dagli incompleti dati in possesso del nemico, seppur non tutti attendibili e molti indubbiamente inesatti, si può valutare la possibilità di lotta della nostra Resistenza in quel periodo in cui l'entusiasmo saliva alle stelle ed in ogni valle risuonavano le canzoni partigiane.
Sul finire del mese di giugno del 1944, avviene un cruento combattimento sostenuto dal 16° distaccamento, che potrebbe anche essere ricordato come «La prima e l'ultima battaglia»; la battaglia cioè di un distaccamento appena costituito che si batte con grande coraggio, infligge gravi perdite ai Tedeschi e subisce, a sua volta, un rastrellamento tanto feroce, e giorni di martirio da non poter più essere ricomposto. I bravi giovani superstiti passano, quindi, a far parte di altri reparti. Noi, invece, il combattimento lo intitoliamo al nome della località presso cui si verificò e diciamo: «La battaglia di Sella Carpe». 
Carlo Rubaudo, Op. cit.

Cesio (IM). Foto di Antonio Busso (su Flickr)

19 giugno 1944 - Il menzionato tenente Cassia è venuto a trovarmi in Muzio e, fra l'altro, mi ha fatto cenno dei vivaci contrasti fra lui, Colombo, Renzo e Martinengo, dello spirito d'indisciplina dei gregari. Mi narrò pure l'operazione da lui compiuta in Moglio, dove un gruppo di guastatori tedeschi, con armi, munizioni e cavalli, sono passati ai patrioti precisandomi che lui stesso ha condotto nella zona di Gazzo i nuovi gregari. Fra l'altro mi ha detto che sul Santacroce hanno messo un taglione di L. 10.000. È da questa mattina che divampa un'azione di guerriglia in Valle Impero. Da qui si odono le artiglierie e le raffiche di mitra. Sono le quattro pomeridiane, il frastuono è cessato e, siccome le popolazioni han già fatto l'abitudine a questi spettacoli, non si allontanarono nemmeno più dai paesi.
20 giugno 1944 - Nell'azione di ieri in Valle Impero i tedesco-fascisti hanno avuto la peggio perché i patrioti, ormai maestri in fatto di guerriglia, li hanno costretti a ripiegare verso Oneglia. L'azione si è svolta tutta sul saliente Gazzelli - Chiusanico - Torria - Cesio, da cui hanno anche sparato colpi di cannone su Caravonica con lievi danni ai fabbricati e con una sola perdita di un civile, che era fuori casa. Il liquorista Ranzini di Oneglia, ma dimorante a Villa Romana sulla Nazionale sotto Cesio, passò un brutto quarto d'ora perché i tedeschi volevano fucilarlo. In Cesio i tedeschi hanno letteralmente saccheggiato la casa del Dott. Natta sicché il dottore e la moglie, privi di ogni cosa e con miseri indumenti, son giunti in Vessalico, in stato veramente compassionevole. Stamane i patrioti hanno fatto una perquisizione in casa di Ciollu Batteria posta in via Piane, di proprietà della cognata di Giovani Fresia, titolare del Monopolio Sale e Tabacchi ed, infatti, vi trovarono un vero deposito di tabacco e sale che il titolare sottraeva ai consumatori, per vendere a borsa nera. Anche allo spaccio Demarchi fu trovato accantonato indebitamente mezzo q.le di sale, tolto naturalmente al consumatore.
21 giugno 1944 - Questa mattina in Muzio si nota un movimento inconsueto. Sono cinque giovanotti che, con schietto entusiasmo, partono per Nava, per unirsi a quei Patrioti. Partono già armati ed equipaggiati di tutto punto. È imminente una seconda partenza. L'entusiasmo di questi giovanotti è veramente confortevole. Speriamo che non sia fuoco di paglia. In Pieve tutti gli uffici son chiusi con una scritta «Chiuso fino a nuovo ordine» perciò la Pretura, l'Ufficio Registro, l'Agenzia imposte, la Posta e Telegrafi, il Municipio sono tutti sbarrati, e le autocorriere sono ferme. Pare di vivere in un completo abbandono ed isolamento.
22 giugno 1944 - I cinque muziesi, giunti a Nava, non solo furono accolti ma furono messi ben presto alla prova. Infatti, capeggiati dal Capo squadra Ferdinando Gandolfo, pure di Muzio, furono inviati per un'operazione da compiersi in giornata con l'impegno di tornare subito al Comando. Eseguirono alla perfezione la prova. Stamattina venti partigiani hanno invasa la casa canonica di Calderara, recandole qualche danno. La causa di tale fatto va ricercata nella vita avventurosa del Parroco che, da tempo, faceva contrabbando in grande stile, viaggiando carico di derrate sui treni e sulle corriere, senza che nessuno l'avesse mai molestato. I casi sono due: o tale sacerdote sfruttava l'abito indecorosamente, oppure viaggiava, come tanti, con la tessera repubblichina. Tanto nell'un caso come nell'altro, meritava castigo. Fortuna volle che in Canonica non vi si trovasse. Questo pomeriggio fu turbato dall'arrivo improvviso di un camioncino con cinque patrioti che, dal Dopolavoro, hanno portato via un vitello intero, macellato clandestinamente, e mezzo sacco di riso. Per il Delfino, proprietario del dopolavoro fu senza dubbio un danno gravissimo ma di tutto ciò è anche colpa sua perché, col suo contegno, lascia sospettare che penda un po' troppo per i Repubblichini.
Nino Barli, Op. cit., pp. 99-101

Vasia (IM). Fonte: Flickr

Alla fine di giugno del 1944 un rapporto redatto dall’U.P.I (Ufficio Politico Investigativo) di Imperia segnalava la presenza di 50 ribelli armati, che trovavano rifugio nei casolari sparsi nei pressi di Pianavia, Frazione del comune di Vasia (IM). Poco tempo prima della fine di luglio la Compagnia O.P. di Imperia programmava un rastrellamento nel comune di Vasia e a Montegrazie, Frazione del comune di Imperia. Prima di giungere a Vasia il capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani da una delle squadre: vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris (da dichiarazione resa in data 7/5/46 da Carlo Valfrè, già appartenente alla citata Compagnia O.P. di Imperia). Altri patrioti morirono in combattimento. I partigiani deceduti (si presume tutti il 25 luglio 1944) furono: Stefano Danini (Ferroviere), Salvatore Filippone (Mariella), Carmine Saffiotti (Carmé), Vincenzo Raho (Zappa), Igino Rainis (Lupo). Non è dato sapere chi dei cinque appartenenti al distaccamento "Antonio Terragno" della I^ Brigata furono i due fucilati e chi cadde in battaglia. Testimoni dei fatti riferiscono che Igino Rainis rimase ferito ad un ginocchio e che, per non cadere prigioniero del nemico, si tolse la vita.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]

Igino Rainis (Lupo). Nato a Treppo Carnico (UD) il 19 giugno 1926, operaio; appartenente al Distaccamento “Antonio Terragno” della I^ Brigata. Il 25 luglio 1944 i garibaldini Stefano Danini ed Igino Rainis con i compagni Salvatore Filippone, Vincenzo Raho e Carmine Saffiotti della IV^ Brigata sono diretti ad Imperia con il difficile compito di penetrare nei locali della Questura per impossessarsi di armi automatiche. Incappano in un rastrellamento nella zona di Vasia. “Lupo” è ferito ad un ginocchio e, per non cadere prigioniero del nemico, preferisce darsi la morte.
Ad Igino Rainis è intitolato un Distaccamento della Brigata “Nino Berio” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani, ANPI i resistenti, numero speciale 2011, ANPI Savona

Ormea (CN). Foto del 2012 di Paolo Brocchetti (su Flickr)

4 luglio 1944 - Entrammo finalmente nella nostra casa avita di Ormea, e qui ci trovammo bene. Da quel momento fu un continuo pellegrinaggio di patrioti in cerca di notizie e fu anche una ininterrotta attestazione di simpatia da parte di questa buona gente la quale si faceva premura di riferirmi sullo stato delle cose, e ciò per nostra normna opportuna.
5 luglio 1944 - Sopra un biroccio, e con un viaggio poco piacevole, ci raggiunsero in Ormea la mia cognata Angelina, unitamente alla persona di servizio Angela Milesi. In tal modo la famiglia si poté ricomporre al completo.
6 luglio 1944 - I patrioti non tralasciano di manifestarci le loro premure e continuano a darmi notizie su ciò che si sta svolgendo in Piemonte ed in Liguria.
7 luglio 1944 - Si presenta da me il Dott. Natta il quale è tutto pervaso da un senso di avversione ai vari sistemi che, secondo lui, contrastano con le direttive impartite ai patrioti dai Comitati di Liberazione. Mi parla di urti fra bande e bande, e diquesto suo concetto critico vuol farne relazione al Comandante Divisionale Curto [Nino Siccardi]. Infatti, verso le dieci, il Curto esce dalla Pasticceria Colombo e il Dott. Natta mi saluta e si accompagna con lui. Vedo che la discussione si fa assai animata, ma io per prudenza mi ritiro, lasciandoli alle loro reazioni assai plateali. Riscontrai, ad ogni modo, nel Curto un uomo molto calmo perché, mentre il Natta si accalorava nella sua esposizione, lui quasi impassibile pronunciava ben di rado poche parole. Ritornai sull'uscio e li vidi ancora presi dalla discussione sulla piazza dell'Olmo: ad essi però s'erano avvicinati altri patrioti.
8 luglio 1944 - Da questa data al 27 luglio successivo, si è trascorso in Ormea un periodo di autentica quiete. È vero che ogni tanto si restava un po' preoccupati per le notizie che giungevano, ora dal Piemonte ed ora dalla Liguria, di scontri o di movimenti di forze d'ogni specie, ma qui in Ormea continuava a sopravvivere un vero centro di patrioti indisturbati; e nulla degno di nota si è svolto in questo periodo.
27 luglio 1944 - Verso le cinque del pomeriggio il Capitano Bologna mi confida che, dal Colle dei Termini, sta scendendo su Ormea una forte colonna di tedeschi, per cui sarebbe prudente allontanarsi. Intesa la notizia, radunammo in famiglia tutto ciò che più ci premeva e, col carro a quattro ruote di Antonietto Sappa di Luigi, partimmo tutti per Bossi - sotto frazione di Bossieta - ove trovammo asilo presso la famiglia di Roberto Merigone. Ivi prendemmo dimora e fu provvidenziale questa nostra decisione, confrontandola con i bombardamenti e i mitragliamenti di cui fu in seguito bersagliato il piccolo centro di Ormea.
28 luglio 1944 - Ai Bossi, in questo gruppo di cinque o sei baite, costruite in mota sul nudo scoglio, ai piedi del Pizzo della Guardia in una morta gora perché incassata e chiusa fra i ripidissimi pendii del Rio Bossi, assistiamo ad un continuo movimento di patrioti che, alla spicciolata e a gruppi, passano e si eclissano nelle foreste che coprono le alture circostanti.
29 luglio 1944 - Anche questo misero raggruppamento di catapecchie ormai assume la sua importanza. Da Ormea salgono persone d'ogni età e d'ogni sesso. Giungono anche donne ansimanti e impaurite che gareggiano nel racconto della invasione tedesca.
30 luglio 1944 - In un vecchio e primitivo forno viene riacceso il fuoco, da molti anni spento, ed un fornaio di Ormea lo sfrutta cuocendo il pane a richiesta. Anche noi non tralasciamo di approfittare dell'occasione. Il fornaio di nome Pierin è un giovanotto di ottimo carattere il quale non nasconde il suo stato d'ansia, avendo anch'egli degli obblighi militari.
31 luglio 1944 - Gli sfollati aumentano di giorno in giorno e tutti i più reconditi tuguri o buchi sono sfruttati. Un po' di paglia ed una coperta per la notte è sufficiente per accontentare chi arriva e si ferma ben lieto, pur d'essere in compagnia di gente conosciuta, e lungi dal contatto tedesco.
Nino Barli, Op. cit., pp. 106,107

Valfrè Carlo: nato a Ventimiglia il 7 luglio 1921, milite della Compagnia OP di Imperia.
Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946: Dopo l’8 settembre rimasi per un po’ di tempo sbandato ma in seguito tornai a casa mia. Dopo un po’ di tempo ricevetti la cartolina precetto per essere inviato in Germania e poiché mi si disse che l’unico modo per evitare di essere inviato in Germania era di arruolarsi mi presentai alla sede della milizia di Imperia. Il 2 novembre 1943 entrai a far parte della GNR e assegnato alla Compagnia OP, comandata dal Tenente Ferraris. Fui avviato subito a Pieve di Teco ove prestavo servizio con i carabinieri e vi rimasi per circa un mese. Dopo detta data venni assegnato al Battaglione Italiani all’Estero, in un primo tempo a Sanremo ed in un secondo tempo ad Arma di Taggia. In questa località rimasi fino al marzo del 1944 quando ritornai alla Compagnia OP. Negli ultimi giorni di giugno [1944] o nei primi di luglio, unitamente alla compagnia, partimmo per un'azione di rastrellamento nei comuni di Vasia e Montegrazie. Prima di giungere a Vasia il Capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani da una delle squadre che vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris ma non posso precisare da chi in quanto la mia squadra si trovava più avanti. Verso la fine di luglio siamo partiti per un rastrellamento nel comune di Bestagno. Ivi giunti, dopo aver circondato il paese, il Capitano Ferraris diede ordine di svaligiare e bruciare una casa [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Un nome, quello di Ferraris, temuto: dotato di coraggio e di capacità militari, anima di tanti rastrellamenti, l'ideatore della "controbanda", l'uccisore di Nino Berio (Tracalà) a Chiusavecchia. Egli si era guadagnato la fiducia delle S.S. Tedesche, tanto da essere da loro decorato con la croce di ferro di II^ classe, per la spietatezza delle sue azioni.   Attilio Mela, Aspettando aprile, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1998