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domenica 1 ottobre 2023

Cimitero ha mandato ai fascisti una sua fotografia che ora figura in tutti i posti di blocco

Il partigiano Cimitero è il primo a sinistra. Fonte: Gino Glorio, op. cit. infra

Il giorno 13 [marzo 1945] sono di nuovo a Ginestro [Frazione del comune di Testico in provincia di Savona]: al centro staffette si è sempre informati degli ultimi avvenimenti. A Ginestro sono in allarme perché sulla carrozzabile per Testico è in transito una macchina nemica; poi i tedeschi si allontanano e tutto torna normale. Vedo Venezia: la staffetta per la Cascione che si sposta a cavallo di un mulo: «Eri tu il partigiano cui la pattuglia tedesca ha sparato addosso?».
«Esatto, e me la sono cavata con una storta».
Venezia era contento per l'incidente. Compresi solo allora quale incubo fosse per lui passare tutti i giorni la «28» [n.d.r.: statale del Col di Nava] pattugliata dal nemico. Mai una volta si era lamentato di quell'incarico, pure l'incidente che lo immobilizzava e che da tutti noi era temuto perché l'esser bloccati in caso di attacco poteva essere la fine, faceva brillare di gioia gli occhi di Venezia. Conobbi la nuova staffetta, provvisoria perché appena guarito Venezia avrebbe ripreso il suo servizio. «Mancen [n.d.r.: Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] ci ha chiamato tutti», mi aveva detto. «C'è bisogno di una staffetta per la Cascione, ci ha detto. E' una cosa rischiosa perché c'è da passar la strada tutti i giorni. Chi si offre? Nessuno ha risposto. Benissimo allora va tu. Ed ha preso me. Dir di no non potevo. Avrebbe detto che avevo paura e sarebbe stata la verità. Al posto del moschetto ho la pistola, dà meno nell'occhio e spara lo stesso», ha detto Mancen. «Se ti vuoi sparare poi è più comoda. Se ci penso mi sento sudare... Dirlo è facile... Ma certo vivo non mi faccio prendere». Almeno Venezia guarisse presto!
Al pomeriggio lasciai Ginestro accompagnando fin quasi a Testico la staffetta della I^ Brigata. Mi raccontò un episodio di pochi giorni prima nella Valle di Diano.
Uno sbandato si era presentato al parroco di Diano Arentino. Il prete gli aveva dato un biglietto indirizzandolo a suo nome a chi gli avrebbe dato dei viveri; lo sbandato era caduto nelle mani dei fascisti ed il biglietto era stato sequestrato. Il giorno dopo, mentre il parroco diceva la Messa, venne uno di corsa ad avvertirlo che una macchina saliva per lo stradone: erano fascisti che venivano a cercare lui. Il prete cercò di affrettarsi ma l'auto era più veloce ed in pochi minuti fu in paese e si fermò sulla piazza della chiesa. Ad Arentino c'erano Mancen e suo fratello, udirono il rumore della macchina, i fascisti su un'auto non potevano essere molti ed attaccando risolutamente... Mancen piombò sulla piazza spianando il mitra: «Arrendetevi!». Due fascisti che stavano uscendo dall'auto cercarono di sparare, ma vennero fulminati da una scarica, gli altri due si arresero. Il parroco uscì di chiesa. Mancen lo chiamò: «Reverendo cercano di voi». «Eravamo venuti per una informazione... Una cosa amichevole...» balbettò il commissario di polizia.
«Per una informazione siete venuti con tutte queste armi?» ribattè il parroco. Il bottino era di due mitra, quattro pistole Berretta ed una Mauser. I due prigionieri vennero portati al Comando e fucilati, malgrado le loro implorazioni. Il parroco si rese irreperibile. Il giorno dopo i fascisti tornarono ad Arentino, incendiarono la canonica e altre case; ripiegarono poi rapidamente prima dell'arrivo di Mancen con i suoi. Gli eventi della Val di Diano indicavano che il morale dei partigiani andava migliorando, che a poco a poco tornava il desiderio di misurarsi col nemico direttamente, non limitandosi più alla tattica dell'imboscata.
Le imboscate erano pur sempre le azioni più redditizie e provocavano al nemico un lento stillicidio di perdite, un'inquietudine per ogni spostamento.
Il nemico aveva terrore di noi e resisteva ad oltranza. Non era facile catturar vivo un repubblicano ed un fascista come l'anno scorso. Russo [n.d.r.: Tarquinio Garattini, comandante del Distaccamento "Angiolino Viani" della già citata I^ Brigata] con i suoi intimò la resa a due repubblicani, quelli estrassero le armi e vennero uccisi. Un tedesco sorpreso da quei di Pippo [n.d.r.: detto anche Bill, Giuseppe Saguato, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata] in Diano S. Pietro si fece ammazzare ma non si arrese. Un altro, appostato da quei di Stalin [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata] sulla «28» mentre passava in motocicletta frenò bruscamente alla prima raffica, sterzò e si gettò nella cunetta trincerandosi dietro alla macchina. Di là rispose al fuoco dei partigiani appostati a semicerchio finché un camion di truppe ci obbligò a sgomberare. Ricordavo che Stalin aveva preso in giro un altro capobanda perché aveva appostato gli uomini ai due lati della strada: «Al momento buono, per non colpirsi fra di loro, avevano dovuto rinunciare a sparare!», aveva commentato. Se quella volta però avesse avuto anche lui qualcuno oltre la «28» avrebbe preso il tedesco alle spalle.
Lasciata la staffetta della I presso Testico raggiungo Poggiobottaro [Frazione del comune di Testico (SV)].
Mi fermo pochi minuti perché trovo solo Livio [n.d.r.: Ugo Vitali responsabile SIM, Servizio Informazioni della Divisione "Silvio Bonfante"] e Citrato [n.d.r.: Angelo Ghiron, vice responsabile SIM della citata Divisione], poi prendo la mulattiera a fondovalle che porta a Degna [Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV)]. A poco a poco, inavvertitamente, riprendiamo confidenza con le mulattiere, con le strade battute dal nemico, qualcosa però dentro di noi si mantiene sempre in allarme, ad ogni curva sostiamo istintivamente attenti se udiamo dei passi. A fondovalle, ad una curva, sento due che salgono: uno scatto fuori strada, ma è troppo tardi: i due mi compaiono di fronte ed uno abbassa il mitra in posizione di sparo. L'altro gli tocca il braccio: «E' l'amministratore!» Il compagno solleva l'arma, fa un passo avanti e mi tende la mano: «Sono Cimitero. Due occhi neri, profondi, una capigliatura corvina che gli scende ad onde sulle spalle, statura alta, torace d'atleta. Tale mi apparve quella sera Cimitero [n.d.r.: Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio"] che avevo visto in agosto, ma che più non ricordavo. «Hanno ucciso suo padre e sua madre, mi avevano detto». Hanno preso la sua fidanzata e le hanno ucciso davanti un uomo: «Così finirai anche tu se non ci dai modo di prenderlo!». Le avevano detto, poi, visto che taceva, l'avevano uccisa.
Cimitero ha mandato ai fascisti una sua fotografia che ora figura in tutti i posti di blocco. «Ora lo conoscono ma non lo prenderanno mai!».
Arrivato a Degna trovo la popolazione in subbuglio: «E' passato Cimitero con un compagno tranquilli per lo stradone, poco dopo di loro sono passati i tedeschi della pattuglia, se si incontravano succedeva un macello!».
A poco a poco nella fantasia e nell'affetto popolare la figura di Cimitero con la giacca di telo da tenda, la capigliatura fluente, il nome funebre come il destino dei suoi fa presa ed ingigantisce.
La sera del 13 radio Londra manda l'atteso messaggio: il lancio è per questa notte. Le staffette partono dai posti di ascolto, il dispositivo di sicurezza entra in funzione, i distaccamenti incaricati occupano i passi, il Catter  [n.d.r.: distaccamento della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della richiamata Divisione Bonfante] si schiera sul campo di lancio.
Scesa la notte, un aereo volteggia nel cielo di Capraùna, in basso palpitano nel buio le luci accese dai partigiani. I paracadute si aprono l'uno dopo l'altro, poi in cielo si accende una piccola luce: è il segnale che il lancio è finito. L'aereo si allontana rombando. Recuperati ed aperti febbrilmente i bidoni vengono estratti Sten, fucili, caricatori e pacchi di munizioni. Luci sospette vengono segnalate, le nuove armi vengono caricate febbrilmente al chiarore dei tizzoni che si spengono, partigiani si alternano nella difesa e nella raccolta, le armi vengono distribuite perché il campo di lancio deve esser difeso ad oltranza fino a raccolta ultimata.
Recuperato il materiale scompaiono anche le luci sospette. I partigiani rientrano a Capraùna.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 199-202

15 marzo 1945 - Da "Marco" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che occorreva avvisare "Cimitero" dei rischi di delazione che stava correndo.
15 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che era giunto "a Diano Marina un numero consistente di soldati appartenenti alla fanteria tedesca che si fermeranno per la notte"; che, oltre alle 3 compagnie della GNR, ne agiva un'altra, O.P., al comando del capitano Ferraris; che ad Imperia vi era un'altra compagnia ancora dell'esercito repubblichino.
17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" ["Livio", Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ['Giorgio' Giorgio Olivero, comandante] - Riportava le notizie ricevute il 12 marzo da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Groot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio e, ancora, che sempre il 12 il comando della II^ Brigata "Nino Berio" aveva condannato e fatto giustiziare il commissario di P.S. Santo Miglietta e l'agente Attilio Sorbara, che erano stati catturati armati di mitra nella zona di Diano Marina.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati [n.d.r.: di cui si riportano qui di seguito significativi stralci]: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortai leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [n.d.r.: capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle...".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

lunedì 25 settembre 2023

Hanno detto che i tedeschi hanno i cani da guerra

La Val Lerrone. Fonte: mapio.net

Verso sera [6 marzo 1945] al comando [della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] di Poggiobottaro si venne a sapere che a Cesio c'erano quattrocento tedeschi. La notizia meritava di essere considerata attentamente. Cesio era un piccolo paese sulla «28». Difficilmente si sarebbe prestato ad alloggiare tante persone oltre al normale presidio di Brigate Nere. Perché i tedeschi non avevano proseguito per Pieve? Una puntata nemica da Cesio sarebbe stata facile: dal paese partiva una carrozzabile per la Val Lerrone ed un'altra portava a Testico e di là, in cresta, fino ad Alassio. Più difficile era che il nemico conoscesse con esattezza la sede del comando, ma dopo tanto tempo di permanenza nello stesso posto, non si poteva escluderlo. Varie proposte consigliate dal buon senso vengono esaminate. Si potrebbe montare la guardia poiché tra noi e Cesio non c'è nessuna banda. Si potrebbe partire per una, meno minacciata, subito, o verso le tre di notte, dopo sorta la luna. Le varie soluzioni non vengono accettate, soffocate da una sorta di fatalismo, poi alla cosa viene dato un tono scherzoso, la minaccia viene volutamente accentuata per impressionare chi riteniamo più degli altri impressionabile.
«Hanno detto che hanno i cani da guerra, lo ha riferito un contadino che è arrivato ora da Cesio, è una cosa seccante». Guardo Vittorio, il padrone di casa che, in cambio dell'ospitalità, vuole essere considerato partigiano anche lui. Noi avevamo acconsentito volentieri perché in verità condivideva molti dei nostri rischi, però pensavamo, forse a torto, che in lui non vi fosse la stoffa del partigiano. Ho l'impressione che la notizia sia diretta a lui, vedo che si controlla bene, ma ha gli occhi lucenti, attenti. «E come li impiegano i cani da guerra? Non sentiranno mica i partigiani dall'odore?». Chiede con voce che sembra indifferente. «No, il cane non distingue il partigiano dal contadino» - spiega Livio - «i tedeschi quando giungono in paese di notte lanciano i cani lupo per le strade e chiunque esca di casa viene azzannato. I soldati intanto perquisiscono sicuri che nessuno possa scappare». «Anche ad Alba li hanno impiegati» - aggiungo io - «a Degolla li hanno lanciati contro i partigiani che sparavano distesi per terra: è un brutto affare, se stai in piedi i tedeschi ti vedono, se ti stendi i cani ti addentano alla gola». «Sapete la storia del Monco?». Racconta Giorgio. «In quel di Triora, prima dell'ultimo rastrellamento avevano detto che era un tedesco delle SS che aveva ammaestrato i cani da guerra. I cani sentivano l'odore dei partigiani e scoprivano i rifugi. Il Monco li seguiva e con un uncino, perché era mutilato di una mano, tirava fuori i partigiani dalle tane. Quando il rastrellamento comincia due partigiani, che sapevano la storia del Monco, si nascondono in un rifugio. Dopo qualche tempo sentono un cane ansare fuori dell'apertura. Che sia la bestia del Monco? Due mani escono dal rifugio, il cane è afferrato per la gola, strozzato, tirato dentro. Tre giorni sono vissuti i due nella tana con la bestia morta: era un povero cane da pastore perché il Monco non era mai esistito».
Era abitudine dei partigiani essere spietati con coloro cbe dimostravano qualche timore. Venivano spaventati al punto che non distinguevano più il vero dal falso. Ricordavo uno della Matteotti: Lupo; dopo averlo preparato a dovere con vari racconti di torture e fucilazioni avevamo finto un imminente attacco tedesco e lo avevamo mandato solo in esplorazione. Non era più tornato.
Pure quella sera i tedeschi di Cesio non erano una fantasia. Pensavo al rapporto che ci era pervenuto dopo Upega: «E' possibile dopo un anno di vita partigiana essere ancora sorpresi?». Era ancora possibile.
La notte passò tranquilla per quanto il mio sonno leggero venisse più volte interrotto dal canto di un gallo.
Il giorno 7 torno a Segua [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] e l'8 vado al recapito staffette di Ginestro per vedere se hanno preparato i conti. Al recapito trovo un francese che giorni prima era passato da Segua. «Sei ancora qui?» gli chiedo. «Si è accorto che può mangiare e non far niente ed è ormai impossibile mandarlo via» mi dice una staffetta. Il francese era un giovane biondo, robusto, pareva più un tedesco che un latino, era un tipo singolare. Era passato da Segua con un telo da tenda sulle spalle. «Ho visto un contadino che batteva l'ulivo raccogliendo i frutti nel telo. Militare, gli ho detto io, ed ho preso il telo» - così aveva raccontato - «quello mi è corso dietro dicendo che lo aveva pagato, ma io sono stato buono e non gli ho dato niente».
«Poteva averlo pagato davvero» aveva detto Bertumelin indignato.
«E poi col mangiare e con l'alloggio che vi diamo mi sembra che possiamo averceli guadagnati dei teli e delle coperte militari che a voi non servono». «Potevo anch'io pagarlo con questa» aveva replicato il francese mostrando la rivoltella; «ma non l'ho fatto perché ero di buon umore».
«Come è che sei in Italia?», gli chiesi.« Affondato nel '40 con la mia nave presso Piombino. Fino al '43 prigioniero, adesso libero».
«Sarai contento di tornare a casa fra qualche mese a guerra finita?».
«Fra qualche mese? Troppo presto... Dovrò lavorare di nuovo, è più bello fare la guerra». «E gli altri cinque che vi ho mandato giorni fa?» chiesi alla staffetta.
«Li ho portati alla Cascione, avevano fretta di tornare in Francia. Appena fusa la neve cercheranno di passare».
Anche quelli li avevo visti a Segua: erano aviatori abbattuti: «Se i tedeschi ci prendono dico che sono canadese», aveva detto uno di loro. «Un mio compagno è stato tagliato con la sega circolare perché era francese».
La pattuglia dei ciclisti tedeschi continuò a percorrere la Val Lerrone sempre più spesso. Passò il 6, l'8, il 13. Il giorno 8 giunsero anche cani con tedeschi che requisivano fieno. La ricostruzione del ponte di Garlenda proseguiva lentamente, l'inattività partigiana cominciava a pesare, i borghesi, che all'inizio erano atterriti, temendo che tendessimo qualche imboscata alla pattuglia, cominciavano ora a parlare di accordi segreti, di compromessi fra noi ed i tedeschi. Una squadra della banda di Rostida, decisa a por fine a questo stato di inferiorità, si appostò a Case Soprane in attesa della pattuglia. I borghesi ripiombarono nel terrore e prima avvertirono i nostri dell'arrivo dei tedeschi, poi, visto che i partigiani non scappavano, andarono ad avvertire i tedeschi facendo fallire l'imboscata. Il Comando divisionale fece rientrare alla base la squadra che per rappresaglia stava requisendo galline e conigli.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980,  pp. 163-167, pp. 196-199

7 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 183, alla banda locale di Ginestro - Disponeva la presenza di una pattuglia sul Passo di Cesio per il giorno successivo dalle ore 23 alle ore 9 e la segnalazione di allarme al Distaccamento garibaldino più vicino una volta avvistati i nemici che lungo la strada di Testico, non transitabile da automezzi, sarebbero necessariamente saliti a piedi.
8 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 1 marzo il Distaccamento con l'ausilio di civili aveva effettuato il diroccamento del ponte di Degna e che il giorno 5 aveva fatto brillare con 3 mine il ponte di Garlenda "rendendolo inutilizzabile".
13 marzo 1945 - Dallo Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" avviso n° 1 alla popolazione costiera - "Si invita la popolazione ad allontanarsi dagli obiettivi militari. Si consiglia di annotare i luoghi abitati da tedeschi e fascisti e di tenere sotto sorveglianza la Feldgendarmerie".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 3 giugno 2023

Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati

Il torrente Negrone nei pressi di Ormea (CN). Foto: Mauro Marchiani

L'evento atteso da mesi era [n.d.r.: primi di marzo 1945] ormai una realtà imminente, il lancio sarebbe avvenuto di notte, rapidamente, sul campo di lancio un distaccamento avrebbe acceso i fuochi e raccolto i paracadute, altre bande si sarebbero schierate a difesa. Il lancio non avrebbe dovuto ripetersi, tutto il materiale a noi destinato doveva cioè venire lanciato in una unica notte perché, appena avvenuta la raccolta, avremmo sgomberato la zona prima della probabile reazione nemica.
Agli alleati avevamo chiesto armi, proiettili calibro 9 per mitra e pistole, colpi per mitraglie M.G. che da mesi erano il nostro punto debole. Il Comando aveva insistito nella richiesta di armi e munizioni escludendo espressamente equipaggiamento e generi voluttuari come cioccolata e sigarette che pure a noi mancavano da mesi.
Il messaggio speciale, "La pioggia bagna", avrebbe preceduto il lancio di poche ore. Era indispensabile sentire con sicurezza il messaggio: Ramon [Raymond Rosso, Capo di Stato Maggiore della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] doveva creare ad Alto e a Borghetto dei posti di ascolto radio per esser sicuri che almeno in un posto non mancasse la corrente e la trasmissione non fosse comunque disturbata. Erano poi naturalmente necessarie staffette che portassero la notizia, tutto nella massima segretezza perché il nemico non venisse a conoscenza del significato del messaggio.
La notizia che un lancio di anni era imminente si diffuse lentamente. Il concentramento della II e III Brigata intorno alla Val Pennavaira non ci obbligò a spostamenti perché la maggior parte delle bande di tali brigate operava già a nord della Val d'Arroscia. L'occupazione dei passi e delle creste venne rimandata all'ultimo istante per non allarmare eventuali informatori nemici, scoprendo il nostro gioco con un prematuro schieramento e per non stancare inutilmente gli uomini costringendoli a bivaccare in posizioni esposte.
Le azioni di guerriglia che giù erano sporadiche, vennero sospese del tutto per non provocare reazioni nemiche. Fu ordinato alle bande di occultarsi all'eventuale passaggio di colonne: il nemico doveva dimenticare la nostra esistenza.
Della imminenza del lancio dovevano essere al corrente pochissimi ed anche i partigiani impegnati direttuamente dovevano ignorare di far parte di una manovra combinata e specialmente delle finalità dell'operazione.
Date le nostre condizioni solo il segreto poteva garantire il successo. Solo una decina di persone era a conoscenza del messaggio speciale.
Tutto questo riguardava la II e la III Brigata. A sud della Val Lerrone, dove il lancio era considerato una possibilità ancora remota, le imboscate e gli spostamenti continuavano in modo del tutto indipendente.
I giorni passavano nell'attesa, attesa dell'evento imminente per pochi, della primavera sospirata per gli altri.
Com'era considerato il lancio da quei pochi, dagli informati? E' difficile rispondere perché i pochissimi che erano addentro a tutto il meccanismo non ne parlavano mai in quei giorni. Gli altri, che qualcosa sapevano, avevano fortissimi dubbi. Chi non ricordava le fantasie sui lanci del primo inverno, le voci più assurde della scorsa primavera, il campo di lancio permanente nel bosco di Rezzo in luglio ed agosto con le cataste di legnad i partigiani di turno per accendere il fuoco? Anche Umberto a Piaggia aveva preparato il progetto per il campo di lancio. Che fondamento avessero avuto nel '44 le nostre speranze lo ignoravamo, sapevamo però dei due messaggi speciali, uno che aveva promesso lo sbarco in Liguria entro un mese e l'altro, "Cade la pioggia", che lo prometteva per la mattina del terzo giorno. Ricordavo personalmente le notizie radio che avevano annunciato l'avanzata alleata oltre Ventimiglia e poi la nostra occupazione della costa. Dopo tali esperienze era naturale una diffidenza radicata. Ci si preparava e si attendeva poiché l'evento era possibile e forse c'era chi ne sapeva più di noi, pure il dubbio di esporsi inutilmente, di essere delusi e beffati ancora una volta era forte.
Aveva avuto un lancio * la Cascione? Se ne parlava, si diceva anche che parte del materiale fosse stato sottratto dai tedeschi, che, in seguito a tradimento, parte della missione alleata fosse andata distrutta. Si collegava tutto ciò con la cattura e la fucilazione di un capo partigiano, ma erano voci confuse, come vaga era l'ipotesi ventilata allora di un invio di munizioni via mare.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 188-190

* "Nella notte del 23 u.s. [23 febbraio 1945] venivano segnalati reparti tedeschi a Carmo Langan, Graj, Cima Marta e colle Sanson. Sospettando che si  trattasse di un rastrellamento i Distaccamenti sono stati spostati a sud della rotabile Pigna-Rezzo. Il 24 u.s. il rastrellamento venne eseguito con molta organizzazione:  la  zona venne controllata da 4 gruppi provenienti da Graj e Colle Sanson. Verso le ore 15 del  25 u.s. 3 quadrimotori americani si aggiravano con insistenza sulla zona di Cima Marta. Alle ore 12 circa del 28 u.s. comparvero nuovamente 5-6 quadrimotori che effettuavano diversi lanci di materiale su Cima Marta. Tentando di raggiungere i paracadute, i garibaldini venivano attaccati e 6 di essi risultano dispersi. Da informazioni avute risulta che i lanci constano di 280 pacchi paracadute avente ognuno 1 quintale di materiale (Sten, mitragliatori,  munizioni, caffè, vestiario, scarpe, medicinali...). Si presume che questi lanci siano stati intercettati dai tedeschi in quanto essi hanno carpito una emittente destinata ai partigiani con relativo cifrario. Si fa, pertanto, richiesta di sospendere questi lanci che rafforzano la possibilità di resistenza del nemico".  Dal comando [comandante Vitò/Ivano Giuseppe Vittorio Guglielmo] della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria, documento IsrecIm, trascritto in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

3 marzo 1945 - Sono le 7.30 e passa [n.d.r.: da Pieve di Teco] un gran camion carico di truppa fascista diretta al mare. La truppa tedesca e repubblichina è in continuo movimento, lasciando l'impressione della incertezza, cioè che non sappiano neanche più loro dove dirigersi. Questa mattina si sono udite raffiche di mitraglia e colpi di fucile: con tutta probabilità si trattava di raffiche estemporanee, fatte ad arte, per tenere a bada i partigiani, affinché non scendano a molestare le truppe di passaggio.
4 marzo 1945 - I due olandesi sono stati trasportati ad Ormea, dove è il comando tedesco presidiato da un generale. La truppa tedesca presente in Pieve si può oggi calcolare sui 200 uomini, cioè 60 giovani ultimi arrivati e gli altri tutti conducenti. Tranne però i graduati, che sono effettivamente tedeschi, la ciurma è tutta composta da prigionieri russi e croati. In Ormea, il generale con l'intero Comando occupa villa Bianchi. La gendarmeria occupa villa Pittavino. Il Comando, in un primo tempo, occupava la mia casa, ma a seguito del bombardamento che ha distrutto quasi tutti i caseggiati di Via alle Scuole, si è trasferito in villa Bianchi.
5 marzo 1945 - Un reparto di 36 pionieri mi hanno occupato la casa di Muzio. Ho potuto parlare con un sorvegliante tedesco che capiva assai bene la nostra lingua e gli feci presente che detta casa occorreva a noi per ragione di lavori agricoli e di altre necessità. Mi assicurò che avrebbe proseguito senz'altro per Vessalico, e me ne andai.
6 marzo 1945 - Il movimento della truppa è sempre in aumento; non in grandi masse, ma con molta frequenza.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, dopo aver ricevuto il documento n° 162 del 4 marzo 1945, aveva predisposto 3 stazioni per l'ascolto di Radio Londra; che il campo che doveva accogliere il lancio di materiale alleato si presentava colmo di pietre e con una casetta di recente costruzione al centro; che il Distaccamento "Giuseppe Catter" [della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] era appostato, pronto ad intervenire, ad un'ora di cammino dal campo; che si era dovuto desistere dallo scavare le buche prescritte [n.d.r.: per l'occultamento dal basso dei fuochi di segnalazione] in ragione della natura rocciosa del terreno; che i paracadute, appena recuperati, sarebbero stati nascosti in un anfratto già predisposto; che il vento, se continuava a soffiare in direzione di Alto (CN), sembrava ottimale; che a protezione dell'operazione aveva predisposto nei pressi del campo di lancio i Distaccamenti della II^ Brigata. Al documento fu allegata la cartina topografica in scala 1:25.000 del campo di lancio.
6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 3, al comando della II^ Brigata "Nino Berio", al responsabile SIM "Ottavio" ed al cappellano della Divisione "Don Celesia" [Don Giuseppe Pelle] - Comunicava che dopo il 10 marzo poteva avvenire il primo lancio alleato di materiale; che presso la radio di Alto (CN) doveva rimanere in ascolto il comandante della II^ Brigata, "Gino" [Giovanni Fossati]; che, appena udito il messaggio di Radio Londra, "Gino" doveva mandare una staffetta al Distaccamento di "Fernandel" [Mario Gennari], che avrebbe così acceso i fuochi di segnalazione per gli aerei, ed altri messaggeri agli altri Distaccamenti perché si posizionassero al meglio a difesa del campo; che in ascolto alla radio di Borghetto doveva trovarsi "Ottavio", il quale, udita la frase convenuta, avrebbe avvisato lo scrivente capo di Stato Maggiore e poi avrebbe dovuto proseguire per Alto; che "Don Celesia" doveva occuparsi del terzo punto d'ascolto.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati, di cui si riportano qui di seguito significativi stralci: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [n.d.r.: Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera - di cui si invia traduzione - circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Sottolineava l'importanza del documento ritrovato ad Ormea che meritava una corretta traduzione perché "potrebbe trattarsi di una richiesta di rimpatrio per le truppe tedesche". Chiedeva altro materiale bellico attraverso gli aviolanci alleati "per poter incalzare ancora di più il nemico", in particolare uno nel periodo compreso tra il 23 ed il 27 successivi "verso le ore 21,30 in quanto sarà un periodo favorito dalla posizione della luna". Aggiungeva che continuava l'affluenza di di volontari nelle fila partigiane, per quel periodo limitata a uomini conosciuti o già appartenenti a bande locali.
18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 211, al CLN di Alassio - Segnalava che "... Il giorno 13 u.s. è stato effettuato il primo lancio. Se ne avranno altri in futuro. Dato l'arrivo delle armi..."
20 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che aveva provveduto a fare aumentare il numero delle radio, necessarie per la buona riuscita dei lanci alleati di materiale, e ad impartire altre pertinenti disposizioni.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

martedì 14 marzo 2023

La successiva battaglia di Nava dell'11 marzo 1944 vide altre perdite significative tra i partigiani

Colle di Nava: il Forte Centrale. Fonte: Alpi del Mediterraneo

Altro avvenimento degno di nota fu la battaglia di Garessio che si svolse tra il 25 e il 27 febbraio. La cittadina piemontese era stata occupata dai nazisti al fine di compiere severi rastrellamenti, per cui i partigiani tentarono di respingerli nel corso di combattimenti assai sanguinosi, nei quali perse la vita un altro esponente di rilievo del movimento di liberazione: Sergio Sabatini. La successiva battaglia di Nava dell'11 marzo 1944 vide altre perdite significative tra i partigiani, che dovettero anche subire, nei giorni immediatamente successivi, un pesante rastrellamento che chiuse questo periodo di scontri sostanzialmente a favore dei nazifascisti per quanto i partigiani avessero combattuto con estrema energia.
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell'estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012

Olivio Fiorenza.
Nato a Pornassio (IM) il 15 marzo 1924, contadino. Si aggrega con alcuni partigiani di Albenga e dintorni al 3^ distaccamento della Colla di Casotto nelle squadre di Trappa e Valdinferno. Il giorno 10 marzo 1944, “Martinengo” [Eraldo Hanau] delle Formazioni “Mauri”, con gruppi di badogliani fatti affluire da Garessio, unitamente a partigiani di Ormea disarma il presidio dei carabinieri di tale località. Il giorno successivo gruppi di badogliani e gruppi di resistenti del posto, non ancora collegati ad alcuna organizzazione, combattono nella zona di Pornassio contro i tedeschi che vengono respinti ai Forti di Nava (nota 5). Nel corso del combattimento cade Fiorenza Olivio.
Da “Storia partigiana della 13^ Brigata Val Tanaro” di Renzo Amedeo - Testimonianza dell’autore: “L’uomo che stava alla mia sinistra, un giovanissimo ligure giunto al mattino e che ancora era in borghese (Olivio Fiorenza) ha il cranio attraversato da un colpo e cade bocconi sull’arma, versando fiotti di sangue e grida ancora “Viva l’Italia”.
Ad Olivio Fiorenza è intitolato un Distaccamento della Brigata “Arnera” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
(nota 5) FORTI di NAVA
Il 9 marzo 1944, data la grande necessità di armi, venne effettuato da una trentina di volontari, capitanati dal tenente Renzo Merlino un assalto alla caserma dei carabinieri di Pieve di Teco. Dopo uno scontro a fuoco, breve, ma intenso, il presidio si arrese consegnando armi e munizioni; ipotizzando, però, una reazione nemica, i partigiani si trasferirono da Ormea ai Forti di Nava.
Da “Storia partigiana della 13^ brigata Val Tanaro” di Renzo Amedeo.
“Diario” del colonnello Ilario Bologna: "In previsione della reazione nazifascista, la mattina del 10, onde poter controllare la provenienza da Imperia, si provvide ad occupare alcuni costoni tra Pieve di Teco e i Forti di Nava. Il nemico, preannunciato da un forte rumore di autocarri, non si fece attendere molto. Pochi colpi sparati lo costrinsero a fermarsi ed ad abbandonare celermente gli automezzi… La posizione più elevata… consentì un’azione efficacissima, che bloccò sul posto i tedeschi… Iniziò allora la caccia al nemico nascosto, con rabbiose riprese di fuoco seguite da silenziosi intervalli. Con tale andamento la lotta continuò per tutto il giorno. La mitragliatrice pesante catturata il giorno prima… piazzata in posizione predominante… poté battere tutto lo schieramento avversario portandovi un notevole scompiglio. Verso l’imbrunire i nazifascisti, con il loro orgoglio alquanto malconcio, ci voltarono la schiena sparendo dalla nostra vista".
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011

L'11 marzo 1944 nello scontro nella zona di Nava, nel comune di Pornassio (IM), perirono altri due patrioti imperiesi, Olivio Livio Fiorenza e Giovanni Ramò. Al fatto d'armi parteciparono partigiani autonomi di Martinengo [anche Capitano Martinengo, Eraldo Hanau] e gruppi di resistenti del posto non ancora collegati con le organizzazioni antifasciste.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

In relazione ai combattimenti dei giorni 11-12-13 marzo 1944, il primo scontro è avvenuto verso mezzogiorno dell'11 marzo in prossimità del Ponte della Teglia, che parecchi giorni prima era stato fatto saltare dai Patrioti e poi riattato in forma provvisoria dai tedeschi attraverso la Todt (che era un'organizzazione tedesca diretta dall'ing. Todt, generale nella riserva, col mandato di riparare i danni e di costruire opere di difesa occorrenti per la guerra in Italia).
In detta località le prime due avanguardie tedesche vi giunsero, unitamente a fascisti, verso il mezzogiorno e furono immediatamente attaccati dai patrioti disseminati nelle macchie sovrastanti.
Il fuoco violento e repentino cagionò perdite alla milizia ed ai tedeschi.
I patrioti ebbero un solo morto, un giovane di Eca frazione di Ormea. Sopraggiunti maggiori rinforzi, i patrioti, temendo d'essere sorpresi alle spalle si ritirarono verso i forti Bellarasco e il Centrale, ove passarono tutta la notte per riprendere il mattino seguente 12, la lotta che si protrasse per alcune ore.
Alla fine, sempre nella tema di accerchiamenti e per la scarsità di munizioni, lasciarono i «forti» e si ritirarono sulle rocce che fiancheggiano la Nazionale che scende a Ponti di Nava, dalle quali con tiri precisi decimarono il nemico che non riusciva a precisarne i nidi di raccolta e a colpirli.
La lotta fu veramente intensa e ferrea, per cui i tedeschi furono costretti a chiedere sempre maggiori rinforzi e artiglieria.
Intanto le autoambulanze tedesche, con un viavai veramente insolito ed allarmante, provvedevano ai trasporti di feriti e morti verso Albenga e verso Oneglia.
La lotta continuò per tutta la giornata e si riaccese il mattino del giorno 13, fin verso mezzogiorno, quando per assoluta mancanza di munizioni i patrioti furono costretti a sbandarsi come era loro tattica, senza aver lasciato un solo uomo prigioniero.
Fu questa però anche la tattica dei Garibaldini nel primo Risorgimento, specialmente nella Campagna del 1860 - ma allora la chiamavano «Il pittoresco disordine dei partigiani».
In questo giorno ebbero però un morto (cioè due, complessivamente, in tre giorni di lotta).
La notizia che il tenente del genio Ing. W. Sabatini fosse caduto in combattimento fu immediatamente smentita.
Un graduato tedesco ebbe a dichiarare che le perdite complessive dei tedeschi e della Milizia, siano state di 100 morti e 200 feriti.
Ma erano voci che non avevano riscontro ufficiale e perciò occorreva starsene sui si dice, perché i bollettini di guerra non solo non esistevano, ma la tendenza era quella di occultare addirittura ogni cosa.
Sbandati così i patrioti, le truppe tedesche e fasciste passarono il Tanaro a Ponte di Nava, occupandola, e marciarono senza resistenza su Ormea, che invasero nel pomeriggio dello stesso giorno 13.
Di lì proseguirono per Casotto, sede del Comando dei Patrioti e lo occuparono pare a causa (si dice) del tradimento di un maggiore.
Comunque sia, cessata la resistenza, dalla stretta di Ponte di Nava, gli invasori ebbero la strada libera alle loro imprese, ed incominciarono le rappresaglie.
Iniziarono quindi le perquisizioni, i furti e gli incendi, con numerose vittime innocenti.
A Ponte di Nava incendiarono tre case, fra cui la villa residenza estiva del Vescovo di Albenga, la casa degli Agaccio e quella di Merlino.
Dalla segheria Merlino asportarono 7 ettolitri di vino - un motore, e farina, con un danno di L. 60.000 - e così fecero in altre case.
In Ormea portarono il terrore. Per prima cosa radunarono sulla piazza dell'Olmo tutti gli uomini dai 15 ai 70 anni e, nel frattempo, perquisirono un'infinità di case.
Mentre erano in Piazza, uccisero il cognato di Cleto' Merigone e ferirono ad una gamba, con un colpo di moschetto, Antonio Basso (Gasparun) di 78 anni.
In seguito alle minacce severissime, diedero ordine di consegnare immediatamente tutte le radio, le macchine da scrivere e da cucire, e tutti i ferri da stiro elettrici.
In tal modo furono carpite circa 300 radio.
In questa terribile circostanza si svolse un episodio veramente mostruoso.
Nell'Ospedale Civico di Ormea era giacente un patriota di Diano Castello, con una gamba rotta per ferite riportate nell'ultimo combattimento di Nava, si chiamava Domenico Novaro.
I tedeschi lo seppero ed un maresciallo, con due della Milizia fascista, si recarono all'Ospedale.
Rintracciarono il ferito e lo fecero portare con un carretto nel cimitero, ov'era una fossa aperta.
Colà lo gettarono nella fossa come una bestia o come un cencio.
Dietro a questo triste corteo s'erano accodate alcune donne col parroco, che imploravano pietà; ma a nulla valsero le preghiere e le invocazioni di quelle popolane, perché quel maresciallo, estratta la rivoltella lo freddò nella fossa.
Mi è stato detto che perfino i due della Milizia si erano rifiutati di ucciderlo così barbaramente e freddamente.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994,  pp. 56,57,58

Fra gli uomini di Martinengo [Eraldo Hanau] alla battaglia di Pornassio (o di Nava) aveva anche partecipato il partigiano dianese Domenico Novaro che qualche giorno più tardi resterà ferito in uno scontro avvenuto quale strascico della battaglia stessa presso il forte di Bellerasco [n.d.r.: ubicato anche questo nel comune di Pornassio (IM)] e verrà ucciso dai tedeschi il 17 marzo...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Imperia.
Sono in corso operazioni di rastrellamento nella zona di Pieve di Teco, contro i ribelli sistemati nelle montagne circostanti i forti di Nava. Vi partecipano, dall'11 corrente, la G.N.R., agenti della polizia repubblicana e reparti tedeschi. Riserva di notizie.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 19 marzo 1944, p. 21. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti 
 

venerdì 18 novembre 2022

Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa

Carnino Superiore, Frazione di Briga Alta (CN). Fonte: Mapio.net

Dopo monte Vetta è perduto il passo Muratone; il distaccamento comando della V brigata è obbligato a indietreggiare da Carmo Langan e a ritirarsi su Triora. Il Comando brigata si prefigge, nell'eventualità di una ritirata, di seguire la direttrice Triora-Piaggia per raggiungere il Comando divisione.
Il distaccamento di "Moscone" [comandante "Moscone", Basilio Mosconi] che si trovava a Cima Marta per proteggere Pigna dal lato di Briga e che, esaurito il suo compito, attendeva ordini precisi, alle 11 del giorno 9 [ottobre 1944] è messo in allarme dalle vedette: una colonna tedesca sale da Briga, il distaccamento si mette in postazione e l'attacca con raffiche di mitraglia per rallentare la marcia e permettere alla colonna dei muli diretta a Bregalla di guadagnare terreno e mettersi al riparo. Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa; camminano stanchi e taciturni, quasi abbiano paura di parlare. Bregalla è raggiunta nelle prime ore della notte e gli uomini cercano riposo nei casoni presso monte Castagna insieme a un gruppo del distaccamento di "Lilli", confortati dalle castagne bollite, in attesa dell'alba.
[...] Circa 400 Tedeschi si piazzano a Collardente e 300 nella zona di Pigna; altre truppe con cannoni aprono il fuoco su Buggio nel tentativo di annientare reparti del 4° distaccamento posto a difesa della zona.
Oltre 200 Tedeschi si dispongono in offensiva nella zona di Graj. Si delinea il grave pericolo dello sbarramento della via di ritirata Triora-Piaggia.
Il comandante "Vittò" [anche "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] col suo Stato maggiore cerca di studiare un nuovo schieramento facendo perno su Triora con utilizzazione del 3° del 1°, e di metà del 5° distaccamento, in posizione nella zona sopra Bregalla; il 2°, il 6° e il distaccamento comando sono già a Triora da dove cercano di richiamare l'8° distaccamento di "Gori".
Informata dalla situazione, la I brigata pone vigilanza alla strada che da Collardente porta alla galleria del Garezzo ove sono già in perlustrazione pattuglie avanzate tedesche.
Il distaccamento di Gino Napolitano (Gino) che, trovatosi imbottigliato da sud-ovest del monte Ceppo, si era portato a Baiardo, di lì a Carmo-Langan e poi a Buggio, subìto lo sbandamento riesce a riordinarsi a Triora insieme a gli altri reparti.
Nei giorni 10 e 11 la calma si ristabilisce. Il nemico sembra abbia subito una battuta d'arresto; sembra stia ordinando le proprie fila, preparando nuovi piani d'attacco. Le perdite garibaldine sono gravi, molti gli sbandati e le armi perdute.
Durante questa tregua il distaccamento di "Gino" ritorna a Carmo-Langan con lo scopo di proteggere il ripiegamento della brigata da un eventuale pericolo di sorpresa. Il lavoro dei commissari, provvisoriamente interrotto, viene riattivato a Triora; si curano i migliori elementi per porli candidati ai tre battaglioni della brigata in via di ricostituzione.
In questo precario periodo di vita della V brigata i garibaldini hanno dimostrato grande compattezza e massimo affiatamento coi Comandi; ciò verrà confermato nei giorni seguenti con l'ulteriore spostamento a Piaggia, poi a Carnino e infine a Fontane in Piemonte.
[...] Intanto il distaccamento di "Franco" raggiunge Piaggia il 12 assieme ad una quindicina di garibaldini di "Leo". Da Ventimiglia giungono notizie che i Tedeschi stanno risalendo la valle Roja in forze, lasciando sulla costa solo elementi della marina, mentre a Oneglia pattuglie formate da nazisti e brigate nere partono per perlustrare le strade che danno accesso alle vallate.
La situazione diviene nuovamente critica.
I Tedeschi, distruggendo e incendiando case e fienili per la campagna, compaiano nei dintorni di Triora e la banda locale di Molini si sbanda.
Anche la IV brigata si prepara al peggio: il 7° distaccamento di "Veloce" si tiene pronto a partire per spostarsi sotto monte Ceppo sperando di venirsi a trovare alle spalle dello schieramento nemico, qualora questi operasse verso sud in valle Argentina; nella notte sotto il monte giungono garibaldini sbandati del distaccamento di "Gino" attaccato in mattinata a Langan. Molini è investita da colonne di nazifascisti che riprendono l'offensiva il mattino del 13.
Le prime raffiche prolungate si odono di fronte all'accampamento del distaccamento di "Moscone"; colonne di fumo s'innalzano dai tetti delle case di campagna in località Goletta, il nemico dà fuoco a tutto quello che scorge, compresa la casa ove era stato posto il Comando della V brigata.
Il distaccamento riesce a prendere posizione sul monte Castagna e a rimanervi per quatto ore. Al tramonto, ricevuto l'ordine da "Vittò" di spostarsi, dopo una marcia notturna sotto lo scrosciare incessante della pioggia e per sentieri invisibili ed infangati, raggiunge il paese di Piaggia sul fare dell'alba.
I Tedeschi avevano annunciato il loro arrivo a Triora con una breve sparatoria su Langan, dopo aver attraversato il bosco di Tenarda; come abbiamo accennato, incendiati i casoni della Goletta, scendono per i castagneti di Mauta e giunti in località La Besta non proseguono sulla via maestra ma deviano per una scorciatoia che porta alla Noce, indizio evidente che qualche conoscitore dei luoghi li stava guidando.
Giunti nel luogo detto Casin sparano al campanile del capoluogo, come avviso del loro arrivo.
Ondate di soldati tedeschi si susseguono per tutta la giornata. Si fermano nel paese occupando le case private Tamagni, Capponi, Bonfanti, Ausiello, Costa, Moraldo, ecc. L'artiglieria sosta sotto i portici dell'asilo e dell'ospedale; ivi sostano pure le cucine della truppa, mentre la sanità viene sistemata in casa di Lina Novaro (La Baracca) ed i cavalli nella scuderia del "Casermone".
Intanto tutta la V brigata è in ripiegamento verso Piaggia. Avviene in modo ordinato e con calma. Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza comprendenti 350 garibaldini.
Mancano ancora i distaccamenti di "Gino" che, rimasto tagliato fuori, riuscirà in seguito a raggiungere Piaggia attraverso il passo della Mezzaluna e la galleria del Garezzo, scansando le colonne nemiche, e l'8° distaccamento di "Gori" (4), in posizione avanzata a Beusi, a monte di Taggia, ove rimarrà per tutto il mese appoggiato a levante dal 3° battaglione di "Artù" della IV brigata.
[...] Anche le forze garibaldine si erano preparate per collaborare allo sbarco alleato.
A Piaggia il comandante "Simon" [Carlo Farini], dopo l'amara delusione subita i primi giorni di settembre, cercava di rendere efficiente al massimo la II Divisione Garibaldi "F. Cascione" a cui era assegnato il compito di scendere sulla costa per occupare il capoluogo e San Remo.
A tale proposito il 26 di settembre "Curto" [Nino Siccardi] aveva dato istruzioni a tutti i S.I.M. di raccogliere tutte le informazioni possibili sulla dislocazione delle forze nemiche, sul loro armamento, sull'ubicazione delle sedi dei Comandi, dei posti di blocco, delle postazioni, dei magazzini, ecc.; sulla consistenza delle forze e dei trasporti militari.
Vennero preparati due piani, uno generale e l'altro dettagliatissimo, per l'occupazione del capoluogo (1).
Il piano generale venne trasmesso il 6 ottobre da "Curto" e dal Capo di S.M. ai Comandi della I, IV e V brigata e prevedeva il concentramento dei distaccamenti nel modo seguente:
I Brigata: tra Cesio e Pieve di Teco.
IV Brigata: tra Borgomaro e Carpasio.
A disposizione, per l'occupazione di San Remo:
Battaglione "Artù" (3° battaglione della IV Brigata)
Distaccamento "Gino" (della V Brigata)
Distaccamento "Gori" (della V Brigata)
Quindi, la formazione di colonne-trasferimento con i seguenti itinerari:
I Brigata: Cesio-monte Arosio-monte Torre-Evigno-Diano Arentino-Costa d'Oneglia.
IV Brigata: Borgomaro-passo delle Ville San Pietro-Colla Bassa-Borgo Sant'Agata.
V Brigata: monte Faudo-Lecchiore-Dolcedo.
Il Comando divisione avrebbe dovuto marciare con la I brigata.
Prima di procedere all'occupazione delle due località di Porto Maurizio e di Oneglia, la divisione avrebbe dovuto attestarsi sulla seguente linea:
V Brigata: Poggi-Caramagna-Cantalupo-Artallo.
IV Brigata: Borgo Sant'Agata-Borgo d'Oneglia.
I Brigata: Costa d'Oneglia-Gorleri-capo Berta.
Comando divisione a Costa d'Oneglia.
Inoltre, nel piano facevano seguito le disposizioni per i successivi obbiettivi da raggiungere, e le disposizioni varie che si ricollegavano a quelle del piano dettagliatissimo composto da nove pagine dattiloscritte, con tredici allegati e tre piantine relative ai collegamenti, agli eventuali ripiegamenti, al servizio sanitario, ecc (2).
Intanto le S.A.P. avevano preparato venti squadre di difesa cittadina composte ognuna da circa dieci combattenti, in gran parte membri delle cellule del Partito comunista italiano.
Ma fu lunga l'attesa; lo sbarco alleato non avvenne e tutto precedette come prima: rastrellamenti, rappresaglie, incendi, a cui si  contrapponeva la Resistenza di un popolo e delle sue formazioni garibaldine in armi. Così fino alla liberazione.
(1) Progetto occupazione Imperia del 6.10.1944, prot. n° 762/R/24.
(2) Ordine di operazioni n° 1, del 28.10.1944.
 
[...]
"Relazione di Curto sui fatti di Upega
Alla Segreteria della I Zona Liguria
Dal Comando II Divisione d'Assalto Garibaldi "F. Cascione"
Zona, 2 novembre 1944, n. 34/Q/15 di prot.
Oggetto: Relazione sui fatti di Upega.
Alla Segreteria I Zona.                                                                               
Con l'occupazione di Ormea si delineava la minaccia di un attacco ai distaccamenti della I brigata e così pure a quelli della V rifugiatisi presso il Comando di divisione in Piaggia.
Si predispongono imboscate lungo la 28, da Ormea a Ponte di Nava e Forti di Nava sino a S. Bernardo di Mendatica. La sera del 15 forze tedesche attaccano S. Bernardo che viene evacuata rapidamente dalle nostre formazioni. Già nella giornata l'ospedale di Valcona era stato sgomberato ed i feriti che si trovavansi in Piaggia erano stati trasportati con barelle a Upega decidendo di lasciarli in questo paese con l'assistenza medica ed il minimo di personale indispensabile.
Delineatosi l'attacco su S. Bernardo, tutti i distaccamenti della I e V brigata ricevettero l'ordine di ritirarsi in direzione di Carnino, considerando già l'eventualità di un ulteriore spostamento su Fontane in caso di necessità.
Il giorno 16 una parte delle forze raggiungeva Carnino mentre un'aliquota minore arrivava solo a Upega. Io arrivavo a Upega nella mattinata del 16 e vi facevo fermare le forze che ancora vi si trovavano perchè potessero assolvere un conveniente servizio di guardia ed eventuale difesa. Furono predisposte due postazioni con mitragliatrici, una a Colla Bassa, l'altra sulla strada che proviene da Piaggia.
In giornata mi recavo a Carnino ove facevo fermare e dislocare i distaccamenti quivi arrivati; quindi ritornavo a Upega per avere informazioni sullo sviluppo dell'attacco a S. Bernardo.
Le notizie sembravano favorevoli, in quanto pareva che i Tedeschi non fossero arrivati neppure a Piaggia.
Stando così le cose e nella speranza di evitare, fin che fosse possibile, un ulteriore ripiegamento fino a Fontane, decido di organizzare in Upega il Comando di divisione dandone immediata disposizione. Difatti il giorno dopo, verso mezzogiorno, i componenti del Comando arrivano provenienti da Carnino. Il mattino del 17 pensiamo, d'accordo col dott. De Marchi, di trasportare i feriti da Upega a Carnino, ma poiché in Upega non ci sono gli uomini necessari, dobbiamo mandare a chiedere 50 uomini a Carnino che sarebbero dovuti arrivare il 18 mattino per provvedere al fabbisogno.
Come misura di sicurezza, alle due postazioni sopradette aggiungiamo una pattuglia avente lo scopo di sorvegliare la strada militare che attraversa il bosco delle Navette sopra Upega. Pare che i due uomini inviati di pattuglia, raggiunta la casa dei cacciatori vi si siano rifugiati, mettendovisi a dormire; furono così sorpresi da una colonna di Tedeschi proveniente da Briga Marittima e trucidati. I Tedeschi poterono così avvicinarsi ad Upega senza che venissero segnalati, e nelle prime ore del pomeriggio veniva dato l'allarme quando già si trovavano nelle immediate vicinanze del paese. Mentre la popolazione del paese ed i nostri uomini scappano per mettersi in salvo, assieme a "Giulio"
[Libero Remo Briganti] do ordine di provvedere per i feriti e quindi ci rechiamo nella direzione dei Tedeschi, colla speranza di poterli trattenere un po' per dar modo di porre in salvo i feriti nella vicina cappella del cimitero, come già convenuto in caso di bisogno. Ma purtroppo i Tedeschi sono ormai a non più di 50 metri da noi, mentre "Giulio" rimane subito mortalmente ferito da una pallottola che gli perfora il ventre.
Cerco allora di porre in salvo "Giulio" e miracolosamente possiamo raggiungere un nascondiglio, ove dopo circa due ore e mezza, e precisamente alle 17,40 "Giulio" decedeva. Lascio il cadavere e mi reco a Carnino ove decidiamo di avvicinarci al passo del Bocchin d'Aseo con tutte le forze che ancora trovansi tra Carnino e Viozene, per attraversare il giorno dopo il passo stesso e riparare a Fontane, ciò che è avvenuto regolarmente.
In Upega oltre all'eroica morte del commissario "Giulio", trovava pure gloriosa morte "Cion"
[Silvio Bonfante], che si sparava un colpo di pistola al cuore, quando vide l'impossibilità di sottrarsi alla cattura da parte dei Tedeschi e dopo che il dott. De Marchi, che assieme ad altri tre garibaldini portava la barella di "Cion", era caduto mortalmente colpito da una raffica di Mayerling. Pure a fianco di "Cion" era caduto "Vittorio il Biondo" che fino all'ultimo momento non aveva voluto abbandonare il proprio comandante. Anche "Lensen di Artallo" veniva colpito mentre tentava di porsi in salvo (1).
Infine anche il "meghetto" Franco, che già era riuscito a guadagnare il passo di Colla Bassa, cadeva fulminato da una raffica.
Furono pure fatti dai Tedeschi quattro o cinque prigionieri dei quali purtroppo si ignora ancora la sorte.
Il comandante di divisione
Curto
"
1 Dopo circa un mese si venne a sapere che "Vittorio il Biondo" era ancora vivo.      

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

venerdì 9 ottobre 2020

... avvistava nei pressi di Drego una colonna di nazifascisti

Drego - Fonte: Andagna

Il 13 [aprile 1945] nei pressi di Passo Drego, sulla strada che porta a Rezzo, una pattuglia garibaldina investe con raffiche di mitra un gruppo di Tedeschi conducenti carriaggi, i quali si danno alla fuga, e sono recuperati alcuni quintali di viveri. Nella notte tra il 14 e il 15 una squadra dell'VIII° Distaccamento in missione a Taggia, appostatasi sulla Via Aurelia, raffica un camion tedesco, causando la morte di due soldati e il ferimento grave di un terzo. Ancora sulla Via Aurelia, nei pressi di San Lorenzo al Mare, una squadra partigiana della IV^ Brigata ["Elsio Guarrini", della II^ Divisione "Felice Cascione"] a distanza ravvicinata attacca con armi automatiche e bombe a mano carriaggi tedeschi in transito: il nemico lascia sul terreno due soldati morti e altri quattro gravemente feriti; anche due cavalli muoiono, colpiti dalle raffiche. Un'altra squadra, munita di lanciagranate, in agguato sulla Via Aurelia attacca un automezzo tedesco, il quale sbanda: due soldati rimangono sul terreno, nessuna perdita partigiana. Ancora il 15 alcuni combattenti del III° Battaglione ["Orazio 'Ugo' Secondo" - comandante "Veloce", Ermanno Sebastiano Martini] della IV^ Brigata in missione ad Arma di Taggia nella zona del Giro del Don investono con raffiche di armi leggere una macchina con ufficiali tedeschi a bordo: due di essi sono colpiti a morte. 
Importanti notizie sui movimenti del nemico sono fornite ai Comandi partigiani dal dottor Denza, maggiore medico della Brigata Nera, il quale collabora con la Resistenza: per lui viene emesso un salvacondotto con ordine di non molestarlo in caso di arresto. 
Il 15 aprile guastatori del comando della IV^ Brigata minano e distruggono un ponte di fortuna ricostruito dal nemico in Valle Argentina.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, pp. 287-288 


Il 17 aprile 1945 garibaldini del IV° Distaccamento "Semeria" del II° Battaglione "G.B. Rodi" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" collocarono sulla strada di Castelvecchio di Imperia una mina anticarro che alle 21 veniva urtata da un camion tedesco: il conducente del mezzo riportava gravi ferite ed il traffico rimaneva bloccato per circa 7 ore.
Lo stesso giorno una squadra del I° Distaccamento "Riccardo 'Cardù' Vitali" del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata
"Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", appostata sulla strada Apricale-Baiardo verso le 22 apriva il fuoco contro 4 tedeschi che si dirigevano a cavallo verso Baiardo: venivano uccisi 3 soldati nemici, mentre il quarto, pur ferito, riusciva a fuggire.
Una squadra, sempre della V^ Brigata
, al comando di "Tritolo" (Pier Luigi Daniele), attaccava il presidio di Carmo Langan nel comune di Castelvittorio (IM), esplodendo 5 colpi di mortaio che costrinsero i nemici ad andare allo scoperto e subire i colpi di mitraglia dei garibaldini appostati nei pressi dell'accampamento nemico.
Sulla strada Ceriana-Baiardo altri garibaldini della V^ Brigata attaccarono quel giorno un'automobile tedesca, causando il ferimento di un capitano.
Il 18 aprile il V° Distaccamento "Silvio Lodi" del I° Battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata verso le ore 12 "avvistava nei pressi di Drego una colonna di nazifascisti provenienti da Molini [di Triora (IM)]-Rezzo. Immediatamente un uomo avvertiva il comandante, il quale partiva con 8 uomini armati di armi automatiche e prendevano posizione nei pressi di Monte Grande. Verso le ore 13 il comandante ordinò il fuoco sulla colonna che marciava, occultandosi per non avere sorprese da parte nostra, infliggevano gravi perdite all'avversario, costringendola alla fuga disordinata. La battaglia è durate 4 ore. La perdita nemica ammonta a 6 morti, diversi feriti ed un mulo morto": così riportava un rapporto in data 23 aprile del comando della V^ brigata al comando della II^ Divisione "Felice Cascione".

Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
13 aprile 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 186, ai comandi del I° Battaglione "Mario Bini", del II° Battaglione "Marco Dino Rossi" e del III° Battaglione "Candido Queirolo" - Comunicava quali zone da controllare continuamente, con posti di blocco fissi con almeno 5 uomini ed 1 mitragliatore, le rocche di Drego [nel comune di Molini di Triora (IM)], la strada Molini-Langan, la strada sovrastante Molini di Triora, la strada Taggia- Badalucco, i paesi di Baiardo e di Ceriana, che occorreva attaccare i presidii nemici e, qualora non possibile, almeno disturbare i movimenti dei nazifascisti, che "si provveda allo stato di assedio per Molini e Langan [località in altura del comune di Castelvittorio (IM)], possibilmente anche per Baiardo".
22 aprile 1945 Dal Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione al comando della V^ Brigata - Riferiva che il giorno 20 reparti nemici avevano compiuto un'azione nella zona del I° Battaglione "Marco Dino Rossi": divisi in due colonne, una aveva colpito la strada carrozzabile, l'altra le pendici del Monte Ceppo [nel comune di Baiardo (IM)], dove si era scontrata con il III° Distaccamento; che nello scontro era morto l'ausiliario San Remo [Andrea Grossi Bianchi, nato a Sanremo il 22 maggio 1922]; che il Distaccamento era riuscito a sganciarsi portando via tutto il materiale, tranne i viveri che erano stati depositati nel magazzino della Brigata.
22 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione, Sezione Propaganda - Bollettino n° 2 delle azioni partigiane: il 17 aprile il II° Battaglione "G.B. Rodi" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" aveva collocato una mina anticarro a Castelvecchio di Imperia; nella notte tra il 14 ed il 15 una squadra dell'VIII° Distaccamento ["G.B. Boeri"] della IV^ Brigata, dopo aver sequestrato nell'abitazione di un maresciallo a Taggia (IM) un quintale di farina, al ritorno sulla Via Aurelia aveva attaccato un carro tedesco, causando la morte di 2 soldati; in un'azione su Pietrabruna (IM) del 15 era morto il garibaldino Casto [Antonio Castello] del VII° Distaccamento ["Romolo"] del III° Battaglione ["Artù"]; non era pervenuto l'elenco delle operazioni effettuate dalla V^ Brigata.
22 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione, prot. n° 75, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava: il 13 aprile l'arrivo di 19 soldati della X^ MAS [già di stanza a Sanremo] presso la V^ Brigata; l'operazione contro le Rocche di Drego [comune di Molini di Triora (IM)]; l'azione su Pietrabruna (IM) del 15; l'attacco del Distaccamento "Angelo Perrone" sulla Via Aurelia il 16; le azioni già segnalate dai comandi della IV^ "Elsio Guarrini" e della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" alla II^ Divisione.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II
 

sabato 18 gennaio 2020

Un parroco tra i partigiani


La presenza reale dei partigiani alla Goletta [località di Triora (IM)] era una voce che era giunta anche a me, che ero a Camporosso (IM). Io ero stato a Triora come viceparroco negli anni 1936-37, dove ero anche Rettore di Cetta e di Creppo. Conoscevo bene la gente e conoscevo i parenti di Vitò [Ivano, Vittò, Giuseppe Vittorio Guglielmo, il mese dopo l'episodio qui narrato comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", da dicembre del 1944, poi, comandante della II^ Divisione].
[...] Avevo servito la Patria come cappellano militare. L'8 settembre 1943 mi lasciò triste e tornai a casa pensando e prevedendo guai e danni. Rinunciai alla Parrocchia per un presentimento che divenne realtà. No!, dicevo, non ho ancora finito di servire la mia Patria in armi.
E fu un presentimento che si avverò.
Il 10 giugno del 1944 mi richiamarono militare per servire nella repubblica di Salò.
L'animo mi si rivoltò, divenni ribelle. Combattere contro gli italiani non solo mi ripugnava, ma mi provocava un senso di desolato spavento.
Corsi dal mio Vescovo e gli chiesi di poter unirmi ai partigiani in montagna.
Quel santo vecchio mi guardò spaurito. Era rimasto annichilito dalla mia richiesta.
«Come posso mandarla io tra i disagi e dolori, in un momento in cui tutto è confusione. ora che i valori morali stanno dissolvendosi? »
«Io, Monsignore, io voglio andare tra quegli uomini lassù, che sono considerati ribelli, ma sono anime privilegiate e belle che combattono per la sacra libertà »
Mi guardò e non capiva. Non conosceva i partigiani ed aveva sentito dire di loro cose non edificanti.
« Ma mio caro, che penserà di me, se la mando dove non c'è organizzazione, almeno pare, e dove disagi e morte regnano? »
« Monsignore, non chiedo il suo comando, ma la sua benedizione per me e per quei ragazzi lassù, che Lei ha tutti cresimati »
« Non me ne farà una colpa? »
Mi inginocchiai davanti a lui e gli baciai la mano. I suoi occhi brillavano: erano carichi di lacrime. La sua emozione era visibilissima. Mi pose una mano sul capo: «Lei è proprio deciso? Si sente di affrontare disagi e pene?».
« Sì, Monsignore ».
La sua voce tremò: «La benedico e porti a quei ragazzi tutta la mia stima e la mia paterna benedizione. Li assista con amore e con fede come un buon cappellano militare ».
Si sedette accasciato e piangente.
« Grazie, Monsignore, per me e per i partigiani ».
« Ho già tanto sofferto per i fascisti », mi disse. « Spero nella liberazione e dica ai suoi ragazzi che li attendo a braccia aperte per ringraziarli e per benedirli ».
E lo fece alla nostra discesa dai monti.

Colle di Langan o Carmo Langan - Fonte: CyclingCols
 
Mi presentai a Langan [nel comune di Castelvittorio (IM)] a Vitò il 13 giugno, festa di Sant'Antonio, e gli presentai la mia cartolina precetto. Mi guardò meravigliato. Nella sua mente un fatto del genere non lo aveva previsto.
Scriverò in seguito il mio primo incontro con lui.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
 
 
Con i partigiani di Vittò si era collegato, in questo periodo, Don Ermando Micheletto, che era salito in montagna in data 13 giugno '44, si era stabilito a Langan, località poco distante da Carmo Langan.
Nel 1943 Don Micheletto era cappellano militare. Scioltosi l'esercito, si era dapprima stabilito in Camporosso, in Val Nervia, dove aveva istituita una scuola per le persone del posto.
Nel 1944, richiamato, per non aggregarsi ai nazifascisti e non sottomettersi alle autorità di Salò, si recò in montagna.
Qui Don Micheletto, per tutta la guerra, si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vittò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti.
Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio.
In montagna, su per giù nel periodo stesso in cui vi sale Don Micheletto, vi si trasferiscono pure, per entrare fra i partigiani, col consenso e l'appoggio del loro maresciallo, i carabinieri di Ventimiglia, portandosi armi e bagagli.
Il maresciallo, rimasto in Ventimiglia con lo scopo di difenderli, verrà deportato in Germania, sebbene avesse quattro figli ancora piccoli.
La famiglia del maresciallo abitava in Camporosso.
Anche il maresciallo e la di lui moglie avevano esortato Don Micheletto a non presentarsi nell'esercito di Salò ed a recarsi in montagna.
In montagna Don Micheletto fu particolarmente in relazione con gli uomini della V Brigata, comandata dall'avv. Izzo Armando di Afragola (Napoli). 
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia