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sabato 28 settembre 2024

Ai primi di dicembre 1944 i partigiani imperiesi si riorganizzarono

Marmoreo, frazione di Casanova Lerrone (SV). Fonte: mapcarta.com

Il giorno dopo [30 novembre 1944], verso sera, lasciammo Casanova diretti a Marmoreo: Sandro, il dattilografo, aveva trovato una casa tra gli ulivi a qualche chilometro dal paese, forse sarà adatta per noi. Mentre seguivamo il mulo con i materassi, pareva che lassù non vi fosse fieno, una voce mi chiamò tra gli alberi. Mi voltai e vidi un giovane con la vanga: «Livorno, come mai sei qui?» gli chiesi. Mi fermai con lui per qualche minuto. Livorno, un ex S. Marco, ai tempi di Piaggia era conducente di muli. Quando il clima era peggiorato mi aveva chiesto più volte come avrebbe potuto raggiungere la Toscana per passare le linee. Lo avevo consigliato di accompagnare Citrato che andava periodicamente di staffetta alla Divisione di Savona. Di banda in banda avrebbe potuto arrivare fino a La Spezia e forse più oltre, ma il coraggio del primo passo gli era mancato. Nello sbandamento di Piaggia era scomparso. Ora lo rivedevo contadino a Casanova: era riuscito a salvarsi ed ora lavorava da una famiglia che lo nutriva e gli aveva fornito un vestito borghese. Non lo vedrò più nè saprò nulla di certo di lui. Qualche tempo dopo il Comando denuncerà il tradimento di un partigiano di nome Livorno.
Dopo qualche giorno di permanenza nelia nuova base presso Marmoreo il Comando si accorse di non aver raggiunto la sicurezza cercata. Per la necessità di rifornirsi di viveri al vicino distaccamento di Domatore [Domenico Trincheri], per l'atteggiamento di Mancen [Massimo Gismondi] che conduceva in sede partigiani in ogni occasione, fu in breve noto a partigiani e borghesi che il Comando Brigata era nei dintorni di Marmoreo.
Trovare una nuova sistemazione non era semplice, sperammo così che la voce si diffondesse con una certa lentezza, che il nemico non ne venisse presto informato. Continuammo a lavorare nella stessa sede, solo verso l'alba, l'ora più pericolosa, vedevo che spesso Gigi si svegliava ed usciva: tra noi ed il nemico non c'era nessuna banda né alcuna sentinella. Gigi che, più anziano, aveva il sonno più leggero di noi e forse anche più giudizio, montava spontaneamente la guardia per i compagni che dormivano.
La nuova situazione venne esaminata a fondo da Giorgio, vicecomandante della Cascione [n.d.r.: a quella data la I^ Zona Operativa Liguria coincideva con la menzionata Divisione; la I^ Brigata "Silvano Belgrano", alla quale appartenevano molti dei partigiani qui citati dall'autore del diario - ed egli stesso - si sarebbe trasformata il 19 dicembre 1944 nella Divisione "Silvio Bonfante" con comandante Giorgio, Giorgio Olivero], che giunse a Casanova in quei giorni portando la circolare 23 del 24 novembre. Le disposizioni dei Comandi superiori erano precise: la meta non era più l'occupazione imminente della costa, con l'appoggio degli alleati avanzanti, bensì la sopravvivenza come movimento organizzato. Non più quindi aumentare il numero, l'armamento, la coesione dei reparti, ma conservare fino alla primavera un minimo di effettivi, di armni, di quadri intorno a cui ricostruire rapidamente le bande onde esser pronti quando, tornato il buon tempo, i giovani sarebbero riaccorsi sui monti. Era necessario superare i rastrellamenti, i disagi, resistere alla stanchezza, alla demoralizzazione. Era urgente adottare una nuova tattica, l'esperienza del passato inverno era stata tragica: le bande badogliane che avevano mantenuto fino a marzo l'organizzazione autunnale erano state disfatte: solo adottando nuovi metodi di guerriglia potevamo sperare di salvarci.
Il Comando doveva limitare ulteriormente gli effettivi e suddividersi in gruppi. Un gruppo: comandante e vicecomandante, commissario e vicecommissario doveva stabilirsi in una sede segreta appoggiandosi ad una famiglia sicura. Venivano eliminati cuoco e dattilografo. Due componenti del comando a turno avrebbero dovuto restare in sede, gli altri due avrebbero ispezionato i distaccamenti. In caso di rastrellamento ci si sarebbe uniti alla banda più vicina o ci si sarebbe organizzati in precedenza scavando un rifugio sotterraneo.
Altro gruppo sarebbe stato il S.I.M., che avrebbe dovuto spingersi il più possibile verso la costa. I due gruppi sarebbero stati collegali fra loro e con le bande per mezzo del recapito staffetta. L'amministratore [n.d.r.: nel caso della Brigata Belgrano l'autore del diario, "Magnesia"] sarebbe stato autonomo girando per i pagamenti per i paesi ed i distaccamenti, e fissando la sua base dove gli sarebbe parso meglio l'arrivo dei fondi e i contatti col C.L.N. sarebbero stati curali dal S.I.M.
Disposizioni analoghe erano state adottate dal Comando divisionale e dal comando zona, si riteneva quindi che fossero possibili.
Per quanto riguardava le bande era necessario ridurre gli effettivi. Tutti coloro che per la stanchezza e la demoralizzazione erano ormai un elemento disgregatore per le bande venissero pure congedati; era però opportuno non perdere definitivameme i contatti con questi elementi. Le disposizioni del Comando ci parvero poco chiare su questo punto. Si parlava di costituire squadre di riserva agli ordini di un comandante di valle, persona di valore, posata, già facente parte del movimento. Il garibaldino che lasciava la banda avrebbe consegnato l'arma al comandante di valle che ne avrebbe curato la custodia, indi avrebbe potuto tornare al proprio paese o impiegarsi presso qualche famiglia locale per il raccolto delle olive.
I commissari avrebbero dovuto mettersi in contatto con le giunte comunali, che si andavano organizzando, per sapere quanta mano d'opera avrebbe potuto assorbire ogni paese. Lo scopo di tutto ciò era che i partigiani che chiedevano il congedo non si sentissero abbandonati alla loro sorte e si trattenessero nella zona da noi controllata. In caso di bisogno un capobanda in transito avrebbe potuto rivolgersi al comandante di valle per ottenere la collaborazione degli ex partigiani presenti per un servizio di guardia o un appoggio armato. Per essere in grado di appoggiare i compagni che continuavano la lotta armata il garibaldino delle squadre di riserva, con l'eventuale collaborazione delle S.A.P. locali, avrebbe dovuto scavare un rifugio per sè e per i compagni delle bande armate, impratichirsi dei sentieri e del terreno onde poter guidare in caso di bisogno i compagni in missione.
Per coloro che restavano nelle bande a continuare la lotta armata era necessario ad ogni costo rialzare il tenore di vita, fornire vitto abbondante, vestiario e tabacco. Le bande armate avrebbero avuto il distintivo di reparti d'assalto mentre, per quelli passati alla riserva, i mesi di licenza sarebbero stati calcolati come mesi di appartenenza al movimento. Come si vede il progetto era ben studiato e la collaborazione dei partigiani di riserva nei paesi avrebbe potuto riuscirci preziosa come lo era stato l'appoggio che ci avevano fornito a Carnino Rico e gli altri ex partigiani di Umberto quando avevamo recuperato i feriti da Upega.
Se un difetto si può trovare a questo progetto era che difficilmente sarebbe stato possibile applicarlo integralmente. Vi sarebbe stata una inevitabile dispersione di coloro che lasciavano le bande armate e l'autonomia riacquistata li avrebbe portati a subire influenze diverse e maggiori dell'autorità del comandante di valle. La maggior parte dei congedati sarebbe stata inevitabilmente sottratta all'ambiente partigiano. Era poi necessario un tempo abbastanza lungo per prendere contatto con le giunte, scegliere i comandanti di valle, scavare i rifugi, provvedimenti che, quasi tutti, avrebbero dovuto precedere il congedo degli uomini.
In base alle notizie recate da Giorgio questo tempo pareva mancare: il concentramento di sempre nuove forze nemiche faceva prevedere l'inizio di un nuovo rastrellamento prima di Natale.
Dopo il rastrellamento, che avrebbe coinvlto tutta la nostra zona, il nemico avrebbe tentato di riaprire al traffico la Albenga-Pieve interrotta da noi in più di nove punti. I tedeschi avrebbero posto presidi in quasi tutti i paesi per requisire tutto il raccolto dell'olio, poiché la Liguria era ormai l'ultima regione occupata dalla Germania che producesse olio d'oliva.
Per evitare che il nemico conoscesse le nostre basi avremmo dovuto attaccarlo solo a distanza da esse ed occultarci evitando la lotta, se colonne nemiche fossero passate a breve distanza dalle nostre sedi. Nei giorni immediatamente prima del rastrellamento tutte le azioni avrebbero dovuto esser sospese.
C'era il pericolo che tali misure, interpretate oltre il loro significato letterale, inducessero ad astenersi comunque dalla lotta con conseguenze morali imprevedibili.
All'inizio del rastrellainento era previsto un ripiegamento generale oltre la carrozzabile Albenga-Garessio nel territorio della divisione di Savona.
Sarebbe stata una manovra molto difficile perché tutte le carrozzabili erano perpendicolari alla direzione di marcia, pure tornare oltre il Mongioie non sarebbe staro possibile per la neve ormai alta, né ritornare nella zona di Piaggia priva di risorse alimentari.
Era necessario che la riduzione degli effettivi e l'applicazione della organizzazione invernale precedessero l'attacco nemico.
Appena partito Giorgio le conseguenze delle nuove disposizioni furono chiare quasi subito. Mancen rifiutò in pratica di adottare la tattica cospirativa e comparve al Comando solo saltuariamente; non c'era quindi la possibilità di alternarsi. Il S.I.M. si trasferì a Poggio, a fondo valle sotto Casanova, sottraendosi così alla diretta influenza del comando. Abbandonati a loro stessi, i vari uffici, invece di riorganizzarsi, entrarono in una specie di letargo. Appena giunta la circolare i capibanda invitarono chi voleva ad andarsene immnediatamente.
A metà dicembre, giunse un contrordine: un supplemento alla circolare 23, ma in parte era tardi.
La circolare nuova rettificava ed in gran parte modificava radicalmente le disposizioni precedenti. Dallo stile e dallo spirito che l'animava era chiaramente opera di Simon.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 62-65

sabato 10 agosto 2024

Cade Romano, che si diceva avesse preso parte a Roma all'attentato di Via Rasella

Degna, Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV). Fonte: F.A.I.

Il 26 gennaio 1945 riprese il grande rastrellamento ai danni delle formazioni della Divisione "Silvio Bonfante", iniziato sei giorni prima. Verso la sera del 26, infatti, il Distaccamento “Giuseppe Catter” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” con una marcia di quasi cento chilometri si portò dalla Val Pennavaira alle pendici del monte Torre. Giunti nei pressi della Cappella Soprana di Stellanello (SV), quattro garibaldini si accantonarono in un sito da cui avvistarono una colonna di “Monte Rosa”. “Il commissario Gapon (Renzo Scotto), il capo squadra Bruno (Bruno Amoretti), i garibaldini Marat e Franco (Dante Del Polito) combatterono eroicamente, uccidendo il tenente comandante del pattuglione, un sottoufficiale e quattro soldati. Il nemico rimane disorientato e facilita lo sganciamento dei garibaldini”: così annotò Luigi Massabò “Pantera”, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", nella sua Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: documento inedito perlomeno nel 1999, al momento della stesura della qui citata tesi di laurea, documento conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia]. Tra quei partigiani vi era anche “Marat” (Renzo Urbotti, nato nel 1920 a Reggio Emilia), che dopo pochi metri morirà per le ferite riportate nello scontro. Anche il giorno 27 gennaio 1945 fu segnato da vasti rastrellamenti nemici, in particolare da formazioni della “Muti” e della “Monte Rosa”, che batterono la zona di Ginestro [Frazione di Testico in provincia di Savona]. Alle 7 del mattino “la pattuglia a fondo valle comunica che il nemico si avvicina alla nostra zona… le squadre vengono disposte in ordine di combattimento. Il garibaldino Brescia (Longhi Mario) allo scoperto, con il suo inseparabile M.G., apriva il fuoco contro il nemico avanzante. Una raffica avversaria gli asportava l’arma dalle mani… veniva colpito mortalmente alla testa”: ancora una memoria di Luigi Massabò “Pantera”, Op. cit. Durante lo stesso combattimento periva, altresì, il garibaldino “Romano” (Paloni Silvio). Le due squadre del Distaccamento “Giovanni Garbagnati” della I^ Brigata “Silvano Belgrano” della Divisione "Silvio Bonfante" riuscirono ad aprirsi la strada per la fuga perdendo un fucile tapum ed una macchina da scrivere. Il 28 gennaio le truppe addette ai rastrellamenti abbandonarono le valli presidiate nei giorni precedenti (Pennavaira, Arroscia e Lerrone), ad eccezione della valle di Andora che sarà abbandonata il giorno successivo. Unico grande presidio della zona rimarrà quello di Borgo di Ranzo, sede comunale di Ranzo (IM), che ospiterà circa centoventi soldati delle “Brigate Nere”. Cessato il pericolo costituito dai rastrellamenti dei giorni precedenti, il Comando Divisionale della “Bonfante” dispose lo spostamento nella valle d’Arroscia (parte nord) del Comando della III^ Brigata e della sua Intendenza, mentre il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” si spostava nella zona di Aurigo ed il Distaccamento “Gian Francesco De Marchi”, sempre dell’appena citata Brigata, in Val Pennavaira.  Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il riposo di Gapon [n.d.r.: Felice Scotto, commissario della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante] è breve, il freddo è intenso e fermarsi all'aperto sarebbe fatale per tutti. I quattro scendono a un casone a Cappella Soprana, il pensiero dei compagni che fra poco saranno in salvo li tranquillizza in parte, ma dà anche un'acuta malinconia. Nel casone sono soli, intorno freddo, neve, squallore. Che fare? Accendono un fuoco per scaldarsi, per ravvivare l'ambiente, per asciugare gli abiti bagnati, per sentirsi meno soli.
Non saranno più soli fra poco: un gruppo di Cacciatori degli Appennini ha visto il fumo levarsi dal casone; di solito a quell'altezza i casolari sono vuoti d'inverno: quel fumo puzza di ribelli, gli alpini decidono di andare a vedere.
Gli alpini salgono lungo il pendio cauti, silenziosi: è necessario cogliere i partigiani di sorpresa e intorno il terreno è bianco di neve e scoperto; se i ribelli avessero una mitraglia pesante e sparassero sarebbero guai.
Bruno avvista gli alpini ed avverte: «Gapon, c'è la Monte Rosa!». I partigiani guardano la colonna che sale e comprendono che ormai è tardi per uscire: i fascisti sono troppo vicini e loro troppo stanchi, verrebbero colpiti agevolmente nella fuga allo scoperto. Non rimane che attendere, attendere cosa? Di essere assediati che hanno solo tre moschetti ed un mitra Mas francese, che tira solo a raffica ed a breve distanza?
Gapon ha un piano, disperato, ma il solo possibile: attendere, attendere che il nemico sia a pochi metri, che l'ufficiale in punta di piedi si avvicini ad una porta, allora Gapon si affaccia all'altra che è a fianco della prima e spara sul tenente, gli altri assieme tirano sul grosso. Il nemico è sorpreso, esita, i nostri tirano ancora, gli alpini ripiegano lasciando sul terreno il tenente e cinque morti, allora i partigiani escono e si danno alla fuga. Bruno viene ferito ad una gamba, Marat [Renzo Urbotti] cammina a stento. Allora Gapon decide di fermarsi da solo, tratterrà il nemico facendo fuoco col MAS, attirando su di sé i colpi degli alpini, darà forse agli altri la possibilità di salvarsi. Gapon ha pochi colpi, spara come può raffiche brevi, poi si ritira a balzi, inseguito dalle raffiche del nemico, fin quando un banco di nebbia provvidenziale lo mette al coperto.
Lo scontro di Cappella Soprana costò al nemico sei morti, a noi uno: Marat che non riuscì a superare i disagi della marcia e del clima, che con Bruno perse la strada e nella notte finì assiderato presso il passo di Cesio.
Nei giorni tra il 24 ed il 27 Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], che era rimasto nascosto presso Casanova, riesce a raggiungere Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario della stessa Divisione partigiana] a Segua [borgata del comune di Casanova Lerrone (SV)].
La situazione in Val Lerrone è sempre grave, pattuglioni nemici del presidio di Casanova percorrono la carrozzabile a tutte le ore, tuttavia la frazione di Segua, per la stessa vicinanza allo stradone, è trascurata dagli alpini che non sospettano che un Comando partigiano possa rimanere in una zona tanto esposta. Il Comando vi sosterebbe ancora se non gli fosse giunta una notizia di una gravità incalcolabile: a Casanova è stato catturato Pimpirinella, una staffetta che è al corrente della sede del Comando, anzi conosce la stessa ubicazione dei rifugi di Segua. Poco dopo si sparge la voce che, durante l'interrogatorio, Pimpirinella ha parlato.
Il nemico da Casanova può piombare a Segua in mezz'ora, non vi è quindi da esitare, il comando deve partire. Per dove? Si decide di andare a Ginestro: là c'è un gruppo numeroso del G. Garbagnati, la banda di Stalin; in caso di bisogno si potrà contare su uomini decisi e su armi discrete. Partono così Pantera, Osvaldo ed una staffetta, quello che rimaneva del Comando della Bonfante.
Il nemico invece di attaccare Segua aveva già come obiettivo Ginestro. Perché? Ci fu chi lo mise al corrente dello spostamento? Probabilmente no, forse la verità fu diversa da quanto avevamo supposto. E' probabile che Pimpirinella, interrogato dagli alpini su dove fosse il comando divisionale, abbia compreso che tenersi sulla negativa era rischiare la pelle o la tortura. Non volendo tradire e sapendo che era nella zona di Degna fece il nome di Ginestro. Perché proprio Ginestro? E' difficile dirlo, probabilmente perché il nemico aveva già visitato Vellego, Casanova, Degna, Poggiobottaro e Tèstico. A Poggiobottaro anzi era entrato più volte nella casa dove era il S.I.M. senza trovare traccia dei partigiani nascosti. Il nemico sapeva che il Comando era in Val Lerrone, aveva creduto che fosse ancora presso Marmoreo ed aveva battuto la zona a fondo. Non si poteva far quindi il nome di questi paesi perché il nemico non vi avrebbe creduto e sarebbe passato alle torture. Non rimaneva incontrollata che qualche frazione isolata come Segua e Ginestro; è probabile che il prigioniero abbia fatto questo nome per salvarsi e sviare le ricerche; per questo in seguito verrà da Pantera accusato di tradimento. L'accusa resterà però solo teorica perché Pimpirinella sparì e si disse che fosse deportato in Germania.
A Casanova quindi il 26 si sospettava che il Comando della Bonfante fosse a Ginestro: prevedendo una forte resistenza si decise di tentare il colpo in grande stile, non uno avrebbe dovuto sfuggire.
Ginestro è situato in una valletta laterale scavata da un ruscello che nasce sotto lo stradone Tèstico-Cesio e che finisce nel Lerrone. Due mulattiere provenienti da Degna e da Vellego scavalcano il Lerrone, si uniscono a fondovalle  presso la cappella dell'Ascensione, indi salgono nella valletta ripida e chiusa costeggiando il rivo sul lato occidentale. Il paese di Ginestro è situato in alto, verso la testata della valle, la massima parte sul versante occidentale verso Cesio, qualche casupola sul versante di fronte. Le due creste della piccola valle sono percorse da sentieri e mulattiere, i pendii sono a castagni, ulivi e rovi, molti rovi che rendono impraticabili le zone senza strade ed anche qualche sentiero come quello che dalla frazione orientale dovrebbe portare a Degna.
Questo il terreno, ottimo d'estate, mediocre d'inverno perché l'occultamento vi è difficile per la ristrettezza della zona e la scarsità di alberi a foglie perenni. Se si occupano in tempo le creste, la valle è difendibile. In caso di attacco di sorpresa ci si potrebbe ritirare su Poggiobottaro, Tèstico, Vellego e Degna, è però possibile essere anche attaccati simultaneamente da tutti questi punti ed allora la situazione può diventare disperata.
Due squadre del Garbagnati presidiano la frazione orientale, in quella principale ad occidente c'è una buona banda locale su cui si può contare, almeno per il servizio di guardia: sono giovani che non hanno risposto al bando italo-tedesco di Casanova e quindi condividono il nostro destino. Le sentinelle partigiane controllano la cresta orientale di Poggiobottaro e gli accessi da Tèstico, i borghesi la cresta verso Cesio e la mulattiera di fondovalle.
La mattina del 27 i borghesi danno l'allarme: colonne provenienti da Degna e Vellego risalgono la valle puntando verso il paese: sono Cacciatori degli Appennini, non si sa quanti siano ma è evidente la loro intenzione di rastrellare.
Appena dato l'allarme i partigiani impugnano le armi e puntano verso la cresta: se riescono ad arrivare in cima potranno dare una buona lezione ai rastrellatori perché con le mitraglie pesanti piazzate sulla cresta potranno battere agevolmente la strada di Ginestro. E' necessario salire rapidamente per non essere colti sul versante in fase di spostamento. Purtroppo è già tardi: come si temeva, il nemico non attacca solo da fondovalle. Mentre salgono, i garibaldini incontrano la pattuglia che era in cresta che scende: ci sono i tedeschi che da Tèstico salgono sull'altro versante. Sono già in cresta? E' probabile perché, quando la sentinella li ha avvistati, erano ormai vicini. La pattuglia ha preferito scendere ad avvisare piuttosto che dare l'allarme sparando per non rivelare la propria presenza. Questo ritardo ci è fatale: ormai i partigiani sono tra due fuochi: bloccati sul pendio da tre lati col nemico di fronte, di sopra e di fianco.
Riconquistare la cresta è difficilissimo perché dal versante di fronte gli alpini possono controllare i nostri movimenti e spararci addosso; sperare che il nemico non ci veda è impossibile, perché la manovra indica chiaramente che il rastrellamento è per noi. Non rimane che cercare di ripiegare verso Degna per il vecchio sentiero impraticabile, passando come si potrà. Se necessario si darà battaglia per aprirsi il varco.
La lotta si sviluppa violenta: il nemico piazzato tra gli ulivi e nel paese di fronte tira sui nostri con tutte le sue armi, i partigiani, occultati tra i roveti ed i cespugli, si spostano a tratti, a brevi balzi rapidi, verso il fianco libero, cercando di non esporsi ai colpi nemici. Le armi del Garbagnati rispondono ai colpi cercando di individuare le mitraglie più pericolose, di coprire la ritirata dei compagni.
I partigiani sono abituati a vedere la morte da vicino; pure poche volte una banda si trovò in una situazione così grave; erano necessari tutta l'esperienza, l'allenamento, il coraggio affinati in lunghi mesi di lotta per riuscire a sganciarsi. Nella ritirata si forma un gruppo composto da Osvaldo, Pantera, Formica, Pirata e Brescia: procedono a sbalzi fra i rovi fin quando vengono bloccati da un piccolo dirupo: quattro o cinque metri più sotto è la piazzola di una carbonaia battuta delle mitraglie nemiche, più in là il bosco. E' necessario saltare sotto il fuoco. Prima tenta Osvaldo: una raffica di colpi gli strappa la coperta dalle spalle e lo ferisce leggermente ad un piede, ma riesce a passare. Poi è la volta di Pirata, che era stato con la Matteotti: viene colpito ad un braccio e perde il fucile automatico. Poi è la volta di Pantera, Formica e Brescia: passano incolumi. Al margine del bosco Brescia si ferma, prende il mitragliatore che ha portato con sé e riprende a sparare sui fascisti che gridano ai partigiani di arrendersi. Per meglio sparare si alza in piedi, invano incitato da Pantera a venir via. Una raffica nemica lo colpisce alle braccia, un'altra gli crivella il ventre. Gli altri proseguono la ritirata al coperto del bosco. Cade Romano, che si diceva avesse preso parte a Roma all'attentato di Via Rasella. Chissà come era finito in settembre con i San Marco di base a Chiappa:  quando i partigiani si erano avvicinati al suo reparto aveva fatto arrendere i compagni evitando il combattimento. Mentre il «Garbagnati» ripiegava Romano si smarrì e scese a fondovalle assieme a Mimmo. Scontratisi con una pattuglia nemica vennero catturati entrambi. Poco dopo Mimmo tentò la fuga e, lasciando la giacca fra i rovi, riuscì a dileguarsi. Romano, fuggito anche lui, incontrò un'altra colonna e venne fulminato da una scarica. Sono perduti per il «Garbagnati» la mitraglia di Brescia ed il fucile di Pirata, le altre armi e parte del materiale vengono invece salvate. Il terreno è aspro ed impervio, in molti punti vere barriere di rovi vengono sfondate dai partigiani lanciatisi tra le spine per aprirsi un varco: nuovi sentieri vengono aperti nel sottobosco nella disperata fuga della banda sotto il fuoco nemico. Anche questa volta si riesce ad uscirne; a poco a poco la valle si allarga, i colpi si fanno più radi, i partigiani passano in Val Lerrone, quindi la banda si disperde.
Le perdite nemiche non furono accertate; qualche tempo dopo il corpo di un alpino fu trovato nella cappella dell'Ascensione: forse un ferito dissanguatosi che aveva cercato un inutile rifugio. Di altri caduti non avemmo notizia.
Il nemico incendiò a Ginestro la cappelletta che era stata la nostra base, saccheggiò a fondo Ginestro usando i metodi propri delle squadre comandate dal cap. Ferraris del quale alcuni dissero di aver riconosciuto la voce che intimava ai partigiani la resa, poi tornò da dove era partito: il colpo era andato in gran parte a vuoto.
Pantera ed Osvaldo ripiegarono su Degna, poi di là proseguirono per Ubaghetta. Osvaldo era malato, una febbre forte lo aveva colpito da qualche giorno e la sua marcia era difficile e lenta. Ad Ubaghetta il nemico si accorse dell'avvicinarsi dei nostri e li attese appostato con una mitraglia: avrebbe ripetuto il colpo già riuscito e che era costato la vita di Miscioscia. Quando i nostri erano ormai quasi a tiro incontrarono un civile che, in preda ad una violenta emozione, li avvertì che il nemico li aspettava. Così questa volta l'agguato andò a vuoto.
Lo scontro di Ginestro fu l'ultimo del rastrellamento: il 28 ed il 29 i nemici sgomberarono la Val Pennavaira, la Val Lerrone, la Valle di Stellanello. In Val d'Arroscia rimase solo un presidio a Ranzo.
Ancora una volta i partigiani possono riunirsi, contarsi, seppellire i loro morti, riannodare le file strappate.
Il bilancio del rastrellamento? Quale era stato intanto l'obiettivo nemico? L'annientamento del movimento partigiano?
L'inverno ci aveva obbligato a scendere in una zona militarmente infelice, senza possibilità di ritirata. Eravamo rimasti in pochi, male armati: se il nostro annientamento non fosse riuscito ora, non sarebbe riuscito mai più. Il rastrellamento invernale era stato la migliore e forse ultima occasione che aveva avuto il nemico.
I mezzi impiegati? Vari: l'attacco diretto contro le bande, il presidio dei paesi, il pattugliamento degli stradoni per impedire il raggruppamento degli sbandati, per aumentare le possibilità di catture fortite. Le minacce contro i civili dovevano impedire che i banditi trovassero appoggio, potessero mimetizzarsi tra i giovani dei paesi per poi tornare ad accrescere gli effettivi delle bande.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 156-160

29 gennaio 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sull'andamento della Divisione e sulla dislocazione dei suoi reparti, rispetto ai quali segnalava lo spostamento del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" nella zona di Aurigo e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della menzionata Brigata in Val Pennavaira.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione: "... Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" a... allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "... il 23 Germano Cardoletti; il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano)...".
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
3 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga ai podestà di Ortovero, Villanova d'Albenga, Casanova Lerrone, Vendone, Nasino, Castelbianco, Castelvecchio, Zuccarello, Cisano sul Neva e Garlenda - Trasmetteva l'ordine della Feldgendarmerie di fare rientrare nella Brigata Nera di Albenga le giovani reclute che, appena arrivate all'arruolamento, si erano allontanate dalla caserma, perché passibili di fucilazione come "banditi".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

martedì 28 febbraio 2023

Quel giorno il Comando della Divisione Garibaldi Bonfante era quasi al completo

Casanova Lerrone (SV): Fonte: Mapio.net

Il 6 marzo 1945 vado a Casanova Lerrone dove ci sono dei conti da pagare. C'è sempre il pericolo della pattuglia tedesca sulla carrozzabile ma per evitarla dovrei fare un giro lunghissimo. Poi evitarla del tutto non potrei perché una tappa è un negozio proprio sulla carrozzabile... La pattuglia: spara su ogni giovane, sia civile che partigiano.
I tedeschi che la compongono sono una decina, passano in bicicletta, distanziati uno dall'altro ed hanno il terrore delle imboscate. Sanno che una bomba, un'arma, è facile da nascondersi ed ogni uomo può esser nemico per loro. Mi è noto che giorni fa hanno sparato sulla piazza di Casanova ad un partigiano ed a quattro borghesi che sono fuggiti appena in tempo. Mi è noto che hanno catturato un giovane idiota portandolo al Comando di Cesio. Venne liberato in seguito appena accertata la sua assoluta innocuità. Possibile che arrivino proprio nei pochi minuti che a me sono necessari per entrare ed uscire dal negozio?!...
Entro, mi faccio vedere i buoni rilasciati in cambio della merce, li controllo, pago, mi faccio firmare i buoni per ricevuta, li intasco, esco. Vedo che una ragazzina che è seduta di fronte a me dall'altro lato della carrozzabile mi fissa con uno sguardo strano: poi mi dice a bassa voce senza muoversi: «Magnesia i tedeschi!».
Quindici metri mi separano dall'angolo della casa, potrò girarlo prima che arrivino? E' possibile. E dopo l'angolo? Non ricordo cosa ci sia. Se c'è un muro sono perduto, se invece c'è aperto potrò saltare negli orti di sotto. Se mi metto a correre e poi trovo chiuso sono finito senza scampo, se invece cammino può darsi che non si allarmino e tirino dritto. E' questione di secondi: pure una ridda di pensieri si affollano nella mia mente. Affretto il passo. Sento dietro di me il rumore del primo tedesco che arriva: deve avere il mitragliatore appoggiato al tubo della bicicletta perché ne sento il rumore metallico degli urti ripetuti e non può farlo il moschetto che viene tenuto a tracolla. Per ora è uno solo, l'altro seguirà a trenta metri ma in bicicletta e in discesa si fa presto a percorrerli. Però fin che sono in sella non possono sparare. Cosa troverò dietro l'angolo? Sono pochi secondi, sento dietro di me una brusca frenata, non mi volto, non mi occorre, capisco che mi hanno visto e che scenderanno dalle biciclette. Svolto l'angolo: in fondo c'è una rete metallica con un cancelletto chiuso. Mi lancio di corsa, dopo cinque metri piombo sul cancello, lo sfondo, sento il rumore degli altri tedeschi che frenano, faccio di corsa tre metri oltre il cancello e salto in un orto due metri più sotto. Avranno i tedeschi voltato anche loro l'angolo prima del mio salto? Quanto tempo impiegheranno per piazzare le mitraglie? Qualcuno avrà una pistoia automatica? Dalla risposta a queste domande dipende la mia vita. Davanti a me il pendio è tutto a terrazze e farei presto a saltare ancora di sotto, ma sarebbe un errore aver fretta perché so di compagni che sono stati colpiti al volo durante tali salti. Mi sposto allora di lato di dieci metri e poi salto, mi sposto ancora sempre al coperto del muro e poi salto ancora in modo che il nemico non possa mai indovinare prima in che punto apparirò. Non sento sparare dietro di me e penso che abbiano rinunciato alla caccia; dopo parecchi minuti la speranza diventa certezza: anche questa volta sono salvo.
In aprile tornai in quella bottega e vidi che la padrona non c'era. Chiesi notizie al marito che mi rispose: «Come, non lo sa? Quel giorno che lei venne qui le prese un attacco di cuore e dovemmo portarla ad Albenga. Non si è ancora ripresa».
«Perché si è spaventata tanto? In caso i tedeschi avrebbero preso me».
«Già, ma lei aveva i buoni con la nostra firma in chiaro e neanche noi l'avremmo passata liscia». Avevano ragione.
Un'ora dopo la fuga da Casanova sono a Poggiobottaro, al Comando.
«A Casanova ci sono i tedeschi». «Davvero!...».
Quel giorno il Comando era quasi al completo:  Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della Divisione], Livio [n.d.r.: Ugo Vitali, responsabile del SIM, Servizio Informazioni Militari], Citrato [n.d.r.: Angelo Ghiron, vice responsabile del SIM]... Decisi di fermarmi anche la sera perché ci sarebbero stati gnocchi.
Era mia abitudine in quel tempo, e credo fosse una tendenza diffusa, il cercare al tramonto di raggiungere il rifugio dove da mesi avevo il giaciglio. Era il ricordo del 20 gennaio quando, se mi fossi indugiato a dormire a Bosco il nemico mi avrebbe colto in un luogo a me poco noto e forse non mi sarei salvato. O era forse l'istinto dell'animale selvaggio che ogni sera torna alla sua tana? Quando alla sera mi avviavo nel bosco di castagni dove una tana scavata nella terra con un po' di paglia e due coperte mi attendeva, provavo un senso di riposo e di sicurezza difficile a spiegare. I rami scheletrici degli alberi proiettavano ombre paurose al fioco lume della lanterna ed un barbagianni lanciava il suo lugubre grido nelle notti di luna, pure la natura mi pareva amica e quando toglievo le pietre che occultavano il mio rifugio mi pareva quasi di tornare a casa, di rivedere un luogo caro.
Ma quella sera c'erano gnocchi ed erano mesi che non ne mangiavo. Il pomeriggio era passato calmo, avevo dato un'occhiata alle circolari, avevo ascoltato i racconti, i commenti della situazione fatti dai compagni. Del lancio nessuno ne parlava, l'argomento era delicato. Giorgio accennò ad una sua impresa recente: il minamento della ferrovia. Erano scesi tra Diano e Cervo nel tratto dove i binari passavano in pianura. Il luogo non era ideale perché era molto abitato e le conseguenze di un deragliamento sarebbero state minori che se fosse avvenuto in galleria o con sotto uno strapiombo.
Giorgio era sceso con gli uomini della I^ Brigata, avevano attraversato la Via Aurelia, avevano cercato le mine dove i cartelli tedeschi indicavano pericolo: niente! Il primo campo minato non esisteva. Nel successivo invece l'insidia c'era. Vennero prese mine in quantità sufficiente, poi si portò turto sulla ferrovia. Mentre i partigiani disponevano gli ordigni passò un borghese. Venne fermato, interrogato, disse che abitava lì vicino. Venne diffidato a non uscire di casa fino a giorno inoltrato. Poi i partigiani se ne andarono.
Verso l'alba il borghese ripassò nella zona. Probabilmente aveva capito che era stato preparato un attentato e temeva di esser coinvolto in rappresaglie. Inciampò in una mina e ci rimise una gamba. I tedeschi accorsi all'esplosione arrestarono il traffico e tolsero le mine. «Se avessi saputo che era scemo al punto da lasciarci una gamba lo avrei fatto portare via con noi» disse Giorgio pensando a come era fallita l'impresa.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, dopo aver ricevuto il documento n° 162 del 4 marzo 1945, aveva predisposto 3 stazioni per l'ascolto di Radio Londra; che il campo che doveva accogliere il lancio di materiale alleato si presentava colmo di pietre e con una casetta di recente costruzione al centro; che il Distaccamento "Giuseppe Catter" [della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] era appostato, pronto ad intervenire, ad un'ora di cammino dal campo; che si era dovuto desistere dallo scavare le buche prescritte [per l'occultamento dal basso dei fuochi di segnalazione] in ragione della natura rocciosa del terreno; che i paracadute, appena recuperati, sarebbero stati nascosti in un anfratto già predisposto; che il vento, se continuava a soffiare in direzione di Alto (CN), sembrava ottimale; che a protezione dell'operazione aveva predisposto nei pressi del campo di lancio i Distaccamenti della II^ Brigata. Al documento era allegata la cartina topografica in scala 1:25.000 del campo di lancio.
7 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Comunicava che ad Albenga era imminente l'arrivo di nuove truppe, probabilmente un reggimento della Divisione San Marco; che a Pieve di Teco dovevano giungere circa 400 soldati dalla Germania, "elementi giovani già appartenenti all'aereonautica"; che a Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] ed a Vessalico sarebbero stati inviati soldati tedeschi a presidiare i ponti; che i tedeschi a Cervo continuavano le esercitazioni con un'arma anticarro "che con l'esplosivo è in grado di fondere la parte del carro che viene colpita"; che i tedeschi a Capo Cervo controllavano le mine lungo la strada che portava ad Andora.
7 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 183, alla banda locale di Ginestro - Disponeva la presenza di una pattuglia sul Passo di Cesio per il giorno successivo dalle ore 23 alle ore 9 e la segnalazione di allarme al Distaccamento garibaldino più vicino una volta avvistati i nemici che lungo la strada di Testico, non transitabile da automezzi, sarebbero necessariamente saliti a piedi.
8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 8, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva le informazioni ricevute il 6 marzo dal Distaccamento "Torcello" della II^ Zona Operativa Liguria.
9 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. 81, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che era imminente un rastrellamento nemico nella zona di Albenga (SV); che di conseguenza la Brigata doveva assumere misure di sicurezza...
10 marzo 1945 - Da "K. 20", prot. n° 2, alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Diano Marina in regione Chiapazzo si stava installando una radio rice-trasmittente presso la compagnia mortai.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 12 novembre 2022

Il fiuto del comandante partigiano Fra Diavolo per traditori e spie

Vessalico (IM). Fonte: Mapio.net

In quel periodo Milan [Carlo Montagna], con Bruno Battaglia, Bacistrasse [Giobatta Gustavino] ed altri valorosi, entrò [19 luglio 1944] nelle carceri di Imperia Oneglia e liberò i prigionieri politici e comuni, accompagnandoli al sicuro in territorio partigiano. Al Comando Divisione ne arrivarono cinque: un professore grassoccio chiamato subito Prof [Giuseppe Della Valle], che si dichiarò comunista da sempre e che, a suo dire, era in carcere per le sue convinzioni politiche, Vengo, di Sanremo, che era stato torturato brutalmente e ancora ne portava i segni su tutto il corpo, un romano già anziano detenuto comune, ed infine altri due che erano con i prigionieri comuni: Walter e Boll [
Pietro Secci] (due spie dei tedeschi, come il professore). Feci notare ai componenti del comando lo stato di Vengo, e quello del Prof. Lo stato di salute del secondo era splendido: ben pasciuto, senza un segno di percossa (quando tutti ben sapevamo come venivano trattati i sospettati di simpatie comuniste dai tedeschi e dai fascisti) perciò, a mio avviso, dovevamo diffidare di lui. Ma fu tutto inutile; il Prof. fu nominato addirittura Presidente del tribunale divisionale per il suo scilinguagnolo e il suo ruffianesimo e incominciai a vederne i risultati quasi subito. [...]
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 92-93
 
Intanto giunse a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN), Val Corsaglia [dove erano confluiti la maggior parte dei partigiani della I^ Zona Liguria per sfuggire al tremendo rastrellamento tedesco dell'ottobre 1944] l'ex sottotenente tedesco Otto Trostel, da tempo collaboratore dei garibaldini, che portò con sé le prove del tradimento di Giuseppe Della Valle (Prof), il quale da presidente del tribunale della Divisione "Felice Cascione" aveva provocato la morte di diversi giovani patrioti il 9 agosto 1944 a nord di Pieve di Teco, il 5 settembre a San Bernardo di Conio, il 19 settembre nel bosco di Rezzo, ancora il 17 ottobre ad Upega. Della Valle, riconosciuto colpevole dal tribunale militare partigiano, venne fucilato il 4 novembre 1944 a Fontane. Il 24 ottobre analoga sorte era già stata riservata alla moglie del "Prof", che aveva fatto da tramite tra il marito ed i nazisti.
Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999   

Nel settembre '44 Maria Zucco, la futura "Donna Velata", in compagnia di una sua amica e di un certo Domenico Valli, dalla vicina Francia (dopo lo sbarco degli inglesi in Provenza a metà agosto '44) giunse ad Imperia. I tre furono arrestati dai fascisti della GNR. Il Comando partigiano diede ordine di liberarli. Col senno di poi oggi ci chiediamo: per quale motivo furono liberati e chi fu a deciderlo? Potrebbe essere stato il professore Giuseppe Della Valle? Egli, in quel periodo, era il Presidente del Tribunale partigiano della Divisione "Felice Cascione" ma anche spia dei tedeschi (Il professore di lingue orientali Giuseppe Della Valle con la moglie Maria Grazia erano spie dei nazifascisti. Vennero individuati e fucilati dai partigiani imperiesi: la moglie il 28 ottobre '44 ad Arzene di Carpasio, mentre Giuseppe Della Valle il 4 novembre '44 a Fontane in provincia di Cuneo).
La liberazione di Maria Concetta Zucco avvenne con estrema facilità e senza colpo ferire. Le tre spie fasciste, dopo la scarcerazione, vennero incorporate nell'organizzazione sapista della 2^ Brigata "Walter Berio" di Imperia Oneglia.
Il loro arresto e la successiva liberazione da parte dei partigiani sicuramente fu studiata a tavolino dal Comando nazifascista per farli entrare in contatto con le Formazioni clandestine. Dopo essere rimasti circa due mesi con i sapisti di Imperia Oneglia - ad inizio novembre '44 - Maria Zucco e i suoi due complici, con la scusa che erano stati individuati dai nazifascisti, lasciarono l'organizzazione e ritornarono dai loro camerati, informandoli di tutto quello che avevano visto.
Sarà un caso ma le tre spie si allontanarono proprio quando il professor Giuseppe Della Valle e sua moglie Maria Grazia vennero arrestati dai partigiani.
Fulvio Sasso, ... E il sangue dei vincitori. Rappresaglie e stragi nazifasciste in Italia (1943-'45), L. Editrice, 2010
 
Alcuni giorni prima di Natale [1944] si era presentato al Distaccamento partigiano, che era dalla parte di Ubaga, quel Walter, che aveva collaborato efficacemente coi tedeschi per tutta la Val d'Arroscia a danno dei partigiani.
Messo davanti alle sue responsabilità confessò ogni cosa, cercando di salvarsi e accusando il suo degno compare Bol; ma venne condannato a morte e fucilato. In quei giorni avevo saputo della morte, nell'eccidio di Torre Paponi, di un vecchio prete, Don De Andreis, parroco di Lingueglietta presso il quale da ragazzo ero andato a scuola. Caro e buon maestro: non ci aveva mai parlato di politica, ma nessuno di quei giovani che frequentarono la sua scuola fece mai parte delle formazioni repubblichine. Era stato bruciato vivo dalle SS, assieme ad un altro prete (Don...) e alla quasi totalità dei capi famiglia nel rogo di Torre Paponi, frazione di Pietrabruna. [p. 154]  [...] Una sera, nei primi giorni del gennaio 1945, mentre mi recavo da un nostro informatore, con il quale avevo appuntamento nei pressi del cimitero di Vessalico, incontrai Boll (il socio di Walter che avevamo fucilato) il quale, non avendo notizie del suo compare, veniva a cercarlo.
Non volevo ucciderlo senza fargli un regolare processo e così gli dissi che non potevo portarlo in azione con me perché era disarmato, ma che l'avrei fatto accompagnare al Distaccamento da Libero. Incaricai un partigiano che era con me di accompagnarlo, mi allontanai, e lui seguì l'uomo incaricato da me di fargli da guida. Forse aveva già intuito dal mio comportamento che sospettavo di lui: il fatto è che chiese al suo accompagnatore notizie di Walter e questi, con la più grande ingenuità, gli disse che lo avevamo processato e condannato a morte.
Boll capì di essere stato scoperto e, approfittando dell'oscurità, si allontanò dal suo accompagnatore, il quale solo allora capì la «fesseria» compiuta; ma ormai era cosa fatta.
Al mio rientro dall'incontro con l'informatore, fui informato di quanto era accaduto e ciò mi convinse che oramai i tempi erano maturi per un rastrellamento. Chiesi al Comando di Divisione l'autorizzazione provvisoria a lasciare la zona, proponendo alcune località dove avrei potuto spostare i miei Distaccamenti. L'autorizzazione non mi venne concessa: il Comando di Divisione non aveva nessuna segnalazione di rastrellamento imminente e riteneva che era meglio non fare circolare grossi gruppi di uomini con la possibilità che venissero segnalati al nemico. Ma il nemico ormai sapeva della nostra presenza: lo provavano l'arrivo di Walter e, dopo la fucilazione di quest'ultimo, quello di Boll, che io, come un principiante, m'ero fatto scappare.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Op. cit. , p. 156
 
5 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 92, ai comandi delle Brigate dipendenti - Si trasmetteva l'ordine ricevuto dal Comando della I^ Zona circa la necessità di comunicare tempestivamente qualsiasi azione intrapresa contro il nemico.
5 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" - Venivano trasmesse le descrizioni fisiche di due spie da prelevare: il primo, zoppo, aveva circa 35-40 anni, l'altro, dai "piedi dolci", era di piccola statura.
6 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Brigata - Invito ad inviare uomini e muli ad Onzo (SV) per ritirare castagne secche e a mandare mine ed olio per fucili al Distaccamento di "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi].
8 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Il comando rispondeva negativamente alla richiesta di armi automatiche a causa della scarsità delle medesime e rimarcava che il comandante Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi] risultava irreperibile.
8 gennaio 1945 - Dal S.I.M. della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ed ai Distaccamenti di Fra Diavolo - Informazioni militari. Sul transito in Caramagna [Frazione di Imperia] di 2 camion con 40 tedeschi a bordo: 3 delatori (Musso, Ozenda ed un terzo di cui era solo indicata la descrizione fisica) avevano indicato la strada per Vasia (IM). Da Ceva (CN) erano giunti 60 fascisti a Porto Maurizio [Imperia]. Ad Albenga (SV) erano arrivati molti tedeschi: era probabile un rastrellamento nella zona ingauna.
10 gennaio 1945 - Dalla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" [sezione comandata da "Livio", Ugo Vitali] al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Veniva fatto un elenco di 11 nominativi di spie, di cui 2 appartenenti alle Brigate Nere, 6 alla G.N.R. [Guardia Nazionale Repubblicana], 2 alle SS italiane ed 1 definito "squadrista della prima ora". 
18 gennaio 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che "da parte dei tedeschi continua l'interrogatorio di 'Giulio' e 'Dek'. 'Boll' collabora con i tedeschi, viene messo spesso con gli arrestati e con il pretesto di essere caduto anche lui in trappola cerca di carpire notizie utili da riferire ai tedeschi. Si cercherà di fare eliminare 'Boll' proprio dai tedeschi. I tedeschi a Pieve di Teco stanno ricostruendo il ponte crollato". 
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "... Il giorno 20 gennaio avveniva il temuto rastrellamento a catena ad opera di forze della RSI e di alcuni reparti tedeschi. Furono attaccate formazioni della II^ e della III^ Brigata; a Bosco il nostro presidio venne dopo una battaglia catturato quasi al completo. Dei 16 garibaldini arrestati, 12 riuscivano a fuggire, evitando la fucilazione. Contemporaneo a questo attacco vi fu quello di Degolla, in cui i garibaldini ebbero 3 morti, 1 ferito e 8 uomini presi prigionieri. A Gazzo un'altra colonna, guidata dall'ex garibaldino 'Boll', catturava l'intera famiglia di 'Ramon' [Raymond Rosso], ma non riusciva a sorprendere il nostro capo di Stato Maggiore. A Nasino il Distaccamento "Giannino Bortolotti" infliggeva alcune perdite al nemico e poteva ritirarsi..."
da documenti IsrecIm in Rocco Fava Op. cit. - Tomo II
 
Intorno al 20 gennaio 1945 era segnalato da Ottavio Cepollini (Dario) del SIM l'imminente rastrellamento affidato a "Cacciatori degli Appennini", Alpini del "Cadore", "Monterosa", sanmarchini, e Brigate Nere, che avrebbero setacciato anche i territori e le vallate circostanti Casanova Lerrone. Effettivamente, dietro la guida di spie ex partigiani voltagabbana, come ad esempio il sardo Pietro Secci (Boll), "Carletto il cantante" o il "Pisano", era attuata una sconvolgente bonifica fascista, fatta di omicidi, esecuzioni, furti e arresti.
Le consistenti somme lucrate dai traditori erano non poco allettanti per individui del genere, pronti a rinnegare il periodo ribelle fatto di stenti e privazioni per abbandonarsi a una vita molto più piacevole e remunerativa, specie in fatto di letti caldi e buona tavola. Vi era poi la soddisfazione, disponendo di molti soldi guadagnati senza fatica con le delazioni di ostentare un'eleganza vistosa e un contegno strafottente da sfoggiare nei ritrovi o nei caffè alla moda.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 
 
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole...".
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit.  - Tomo II
 
Nel corso di un rastrellamento a Nasino (SV) il 20 marzo 1945 vennero uccisi Costante Brando (Rustida) e Francesco Pescatore. Brando era un ex sergente della Divisione San Marco che aveva disertato per entrare nelle file partigiane. Comandante del distaccamento De Marchi, tentò da solo di fermare i tedeschi per permettere ai suoi uomini di mettersi in salvo. Ferito gravemente da un colpo di mortaio, per non cadere in mano nemica, si sparò un colpo di pistola alla testa. Il rastrellamento condotto da militari tedeschi e militi della RSI aveva avuto come guida un ex-partigiano, Amleto De Giorgi, detto "Carletto il cantante", che li aveva indirizzati presso l'accampamento garibaldino sito in località “Scuveo”. Il De Giorgi venne ucciso dal boia di Albenga il 26 dello stesso mese.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020
 
[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 

mercoledì 12 ottobre 2022

I capi partigiani non si creavano né si improvvisavano

Degna, Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV). Fonte: Wikimedia

Dopo il grande rastrellamento di fine gennaio [1945], sono emanate alcune disposizioni del Comando Zona [n.d.r.: comandante Nino Siccardi, Curto; ispettore, Carlo Farini, Simon; commissario politico Lorenzo Musso, Sumi] riguardanti l'orientamento da seguire nella lotta contro i nazifascisti.
[...] Quindi i Distaccamenti della Bonfante si mettono al lavoro per riorganizzarsi al più presto e passare, così, dalla difensiva all'azione. Lo spirito ed il morale degli uomini è abbastanza elevato. Le perdite subite sono state dure, ma tutti vogliono vendicare i loro compagni caduti. Bisogna battere duramente il nemico. Le formazioni devono dimostrare di non essere state distrutte, come era desiderio del nemico, ma sono sempre in piedi per infierirgli colpi mortali. Il freddo è meno crudele degli altri giorni. La neve si scioglie gradualmente.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005 

3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" a tutti i reparti dipendenti - Comunicava che "la zona in cui si opera è di immediato retrofronte, per cui serve gente convinta, mettendo al bando ogni forma di disfattismo. Occorre reagire agli atti di vandalismo del nemico".
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Ettore Bacigalupo” - Direttiva: "Occorre provvedere, nei paesi in cui non vi sono garibaldini, ad inquadrare i giovani nelle squadre di riserva locali. Queste dovranno sorvegliare i passi durante la notte. Si ricorda che l'adesione ha carattere volontario. Il comando di tali squadre spetta al vice comandante di Brigata".
3 gennaio 1945 - Comunicazione interna alla Divisione Bonfante attinente il certificato di matrimonio di Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo) con Antonina Rabellino, celebrato [a dicembre 1944] alla presenza del vice commissario della III^ Brigata della Divisione "Silvio Bonfante", "Luciano" Luciano Calzolari, con la stesura della seguente postilla: "al termine della guerra si ratificherà tale certificato agli organi civili e religiosi".
3 gennaio 1945 - Da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] a Simon - Relazione sulla visita del comandante Curto alla Divisione Bonfante.
3 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria a Simon - Comunicava che "qualche elemento della Divisione Bonfante si è presentato ai tedeschi, guidandoli in qualche azione di rastrellamento".
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Nella frazione di Ubaghetta di Borghetto d'Arroscia ha sede la banda di "Fra diavolo", di circa 30 uomini.
A Ranzo e Borgo di Ranzo si trova la banda di certo Casanova di Leca d'Albenga, forte di un centinaio di individui.
Nella frazione Gavenola di Borghetto esiste altra banda, di circa 200 uomini, dei quali non è stato possibile conoscere il nome del comandante.
[...] Il 4 corrente nella zona di S. Bernardo di Pantasina un reparto germanico, guidato da elementi dell'U.P.I. della G.N.R., rastrellava numerose località, distruggendo molti ricoveri abbandonati precipitosamente dai banditi. Rinvenuti esplosivi, armi, vestiario e viveri. In Pianavia era scoperta e distrutta la sede della cosiddetta "Divisione d'assalto Silvio Bonfante".
Un fuori legge catturato e fucilato.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 18 gennaio 1945, p. 21,  Fondazione Luigi Micheletti 

Quanto alla capacità di Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi] di esser qualcosa di più che un capobanda la dimostrerà in marzo ed aprile [1945] creando con i partigiani che accorreranno sotto di lui la IV Brigata «Arnera Domenico». La cosa era particolarmente difficile operando in Val Tanaro a contatto con un comandante come Martinengo di indubbio prestigio.
In dicembre Fra Diavolo si era sposato di fronte al commissario di Brigata Calzolari, unica autorità legittima per noi in quel momento. Dopo qualche tempo arriverà al Comando la sua richiesta di celebrare il matrimonio anche col rito  religioso: «Devo mantenere la parola che ho dato a mia moglie il giorno che ci siamo sposati civilmente...». Fra Diavolo temeva che la sua richiesta venisse interpretata come rinuncia alla fede comunista che riaffermava profonda. Il Comando divisionale lo autorizzò senz'altro: «Tutto sta a trovare un prete che li sposi: dopo l'avventura del prete di Marmoreo che ha sposato il medico polacco e ha da mesi i tedeschi alle calcagna, gli altri ci penserano due volte».
Sarà il prete di Ubaghetta che unirà di fronte a Dio la vita del bandito Fra Diavolo a quella della sua compagna.
Mutati così i quadri della II^ e della III^ Brigata [della Divisione "Silvio Bonfante"] sarebbe stato forse desiderio di Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] epurare anche i comandi della I^, che nella crisi di gennaio erano stati solidali con gli altri. Mancen [n.d.r.: Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano"] però si era tenuto più indietro evitando di dare le dimissioni: occorreva quindi una vera e propria destituzione e, senza l'autorizzazione diretta del Comando zona, un gesto simile poteva aver gravi conseguenze perché il prestigio di Mancen e Federico [n.d.r.: Federico Sibilla, commissario della I^ Brigata], dopo il rastrellamento superato brillantemente, era molto forte nell'ambiente partigiano.
Nella crisi di gennaio ed ancor più nella ripresa dei mesi seguenti, si rivelò una deficienza nelle formazioni garibaldine: la mancanza di buoni capi. Chi c'era ancora dei vecchi capibanda della campagna estiva? Stalin [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata , Basco [Giacomo Ardissone], Fernandel [Mario Gennari], Trucco e Fra Diavolo. E gli altri? Cion era caduto, Orano, Renzo Merlini [n.d.r.: Renzo Merlino], Ugo, Giulio, Socrate, Menini caduti, Pelassa, Nasone, King Kong [Secondo Bottero] passati ad altre formazioni. Marco era nel S.I.M., Ramon [Raymond Rosso], Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Mancen, Turbine avevano lasciato le bande per incarichi di maggiore responsabilità. Nino Berio, Ettore ed altri che, per coraggio ed intelligenza avevano doti di comando, erano morti nei lunghi mesi di lotta.
I capi partigiani non si creavano né si improvvisavano. I migliori erano sui monti dal primo inverno o dalla primavera. Dal caos dei primi tempi erano emerse le personalità più spiccate, gli uomini avevano imposto ai comandi quelli che  tra loro erano i prescelti per il coraggio, l'ascendente, la fiducia che ispiravano. Il sistema elettivo della prima estate aveva selezionato i migliori, che nessuno meglio del combattente poteva conoscere e giudicare chi doveva guidarlo. Successivamente tra questi il Comando brigata aveva operato una seconda selezione in base ad altri criteri, ma quasi sempre non aveva potuto che confermare il giudizio dato dagli uomini.
Lo sbandamento di ottobre e dicembre aveva privato il movimento di altri elementi discreti: molti, infatti, che, più non ebbero la forza e la tenacia di affrontare i disagi dell'inverno, avevano dimostrato in estate innegabili doti di  coraggio e di sacrificio.
Altri furono scartati dai Comandi superiori per gli inconvenienti che poteva portare una personalità forte, ambiziosa, autonoma con forte ascendente sugli uomini; altri ancora ebbero posti di maggiore responsabilità ed incarichi di fiducia che però ostacolarono il contatto immediato con gli uomini, privò questi ultimi dell'esempio continuo e diretto.
Il promuovere i capibanda migliori ai Comandi superiori sarebbe stato utile se le Brigate avessero operato compatte in manovre a largo raggio di attacco o di sganciamento e se i capibanda, abituati ad operare bene con un pugno di uomini, fossero stati anche idonei all'altro compito.
In pratica però l'utilità fondamentale per la guerriglia era rimasta la banda ed anzi erano sempre state rare le operazioni di attacco che avessero impegnato più di una squadra. Anche quando molte bande erano state coinvolte in un rastrellamento, abbiamo visto come assai spesso, per la debolezza dei collegamenti ed altre circostanze, le bande fossero sfuggite al controllo dei Comandi superiori.
I Comandi di divisione e di Brigata si ridussero così quasi sempre ad aver funzioni amministrative e di organizzazione, sottraendo alle unità combattenti uomini veramente eccellenti.
Sottratti così alle bande molti dei migliori erano emerse le personalità minori, quelle che fino ad allora erano rimaste in ombra. La campagna invernale, con la sua parziale inattività, non permetteva agli uomini ed ai comandi di  giudicare le reali qualità di combattenti di molti nuovi capi. Vennero apprezzate più le doti organizzative, che realmente erano le più necessarie ed urgenti, a scapito delle capacità    combattive. Emerse più la tenacia che il coraggio.
C'era rimedio a tutto questo?  Forse...
Avremmo potuto ridurre al minimo i Comandi superiori, ingrossare le band e tornando ai distaccamenti di quaranta uomini, ripristinare ai vecchi incarichi quei capi che già nell'estate scorsa avevano guidato gli uomini con successo, affidare a molte figure di primo piano, come Federico e Gapon [Felice Scotto], una banda e non un incarico di commissario.
Con trecentocinquanta uomini potevamo formare otto bande ed un Comando superiore invece che undici distaccamenti, tre Comandi brigata e un Comando divisionale. Col nuovo inquadramento forse i buoni capi sarebbero bastati.
La tattica cospirativa rimase così in vigore e la vita delle bande riprese.
Appena finito il rastrellamento, prima ancora di riorganizzarci, volemmo dar prova ai civili della nostra presenza. La banda di Stalin si portò a Degna [n.d.r.: Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV)] dove i giovani del paese si erano presentati al bando tedesco e quelli della banda locale avevano mancato agli impegni presi con noi. Il paese venne multato di un coniglio per ogni giovane presentato al nemico. Dopo un quarto d'ora il numero non era ancora completo, Stalin incendiò un fienile e concesse altri quindici minuti. La pena inflitta a Degna era troppo mite a mio giudizio, ma Stalin, malgrado l'aspetto e la fama feroce, era capace anche di indulgenza e ne darà la prova anche in futuro.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 190,191

Verso la metà di febbraio 1945 l'eccezionale ondata di freddo dei mesi precedenti si era in parte attenuata ed "il bel tempo favoriva, sia pure per pochi fortunati, le visite dei familiari venuti dalla costa, ai partigiani, facilitate dall'accentuata diminuzione di rastrellamenti nel nostro settore. Madri o mogli, qualsiasi tentativo comportava un notevole impegno di fatica, a cui era da aggiungere l'assoluta necessità di eludere la sorveglianza a cui erano sottoposti i congiunti dei ribelli o presunti tali da parte dei servizi repubblicani", come scrisse Renato Faggian (Gaston) ne I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza imperiese. Diario partigiano 1944-45, Dominici, Imperia, 1984.
Anche i territori presidiati dalla Divisione Bonfante godettero durante la parte centrale del mese di febbraio una relativa tranquillità; "i tedeschi sono ormai convinti della perdita della guerra. Non attaccano più anche la nostra zona. I rastrellamenti sono puntate vere e proprie" ricordava Luigi Pantera Massabò, già vicecomandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" in Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante”, diario [inedito nel 1999] conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia.
Rocco Fava, Op. cit., Tomo I

Così ai primi di marzo si ponevano i primi interrogativi, i primi problemi della futura ripresa.
Il nemico, frattanto, cercava di mantenere l'iniziativa.
Gino Glorio, Op. cit.

1 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava la composizione dei comandi delle Brigate dipendenti: I^ Brigata "Silvano Belgrano" comandante "Mancen" [Massimo Gismondi], vice comandante "Gordon" [Germano Belgrano], commissario "Federico" [Federico Sibilla], vice commissario "Loris" [Carlino Carli], capo di Stato Maggiore "Cis" [Giorgio Alpron]; II^ Brigata "Nino Berio" comandante "Gino" [Giovanni Fossati], vice comandante "Basco" [Giacomo Ardissone], commissario "Athos" [Pellegrino Caregnato], vice commissario "Franco" [Giovanni Trucco]; capo di Stato Maggiore "Vincenzo"; III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" comandante "Fernandel" Mario Gennari; vice comandante "Leo" Leone Basso; commissario "Gapon" Felice Scotto; vice commissario "Megu" Ugo Rosso.   
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

mercoledì 22 luglio 2020

Dal bando appariva chiara l'intenzione nemica di rastrellare in grande stile e di terrorizzare i civili

Pieve di Teco (IM) - Fonte: Wikipedia
 
Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 i tedeschi, partendo da Cesio (IM) cercarono di portare un duro colpo alla Divisione Bonfante, iniziando un rastrellamento che interessò soprattutto le località di Bosco, Degolla, Ubaghetta, Alto, Nasino, Casanova. A Bosco [n.d.r.: Frazione del Comune di Casanova Lerrone (SV)] riuscirono a circondare un casone che ospitava un gruppo di partigiani. Dopo un aspro combattimento i dodici uomini che si trovavano dentro il casone ruppero l'accerchiamento. Qualcuno evitò la cattura, ma caddero sul campo il sovietico Gospar, Rolando Martini (Indusco), William Bertazzini (Rosa), Gino Bellato (Gino). Bartolomeo Vio (Tron) della banda locale di Vendone che, in servizio notturno, mentre stava controllando attentamente le strade, veniva ferito ad una caviglia, riuscì a salvarsi con una fuga a perdifiato. Vennero catturati e fucilati i civili Amedeo Bolla, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo venne ucciso il civile Settimio Testa.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, edit. in pr., 2020
 
[ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]

La notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 sembra tranquilla, ma lo è solo in apparenza, perchè il nemico è già in movimento.
I tedeschi dislocati a Cesio (IM) partono, raggiungono il Passo del Ginestro e quindi puntano sul paese di Vellego [Frazione di Casanova Lerrone (SV)], che raggiungono rapidamente.
Avvisati dalle sentinelle borghesi, i giovani si mettono in salvo, a Degna, il paese successivo sulla carrozzabile [n.d.r.: anche Degna è Frazione del Comune di Casanova Lerrone in provincia di Savona], non giunge subito la grave notizia.
Dopo un'ora è anch'esso investito, ma i nazifascisti non sembrano avere idee bellicose, cercando solo una guida per farsi condurre in Valle Arroscia.
I giovani del paese, chiusi in casa, sentono il rumore delle armi, degli zoccoli dei muli e delle scarpe chiodate; non possono uscire, non possono andare ad avvisare gli uomini del Comando della “Bonfante”, mentre la colonna nemica passa a circa duecento metri di distanza dallo stesso.
Sapranno del passaggio del nemico nella tarda mattinata, quando ritornerà indietro la guida borghese che aveva accompagnato la colonna sulla cresta della montagna.
La colonna [nazifascista] diretta a Bosco [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] è accompagnata dalla ormai spia famosa “Carletto”.
Il Comando della “Bonfante” non ha alcuna possibilità di avvisare i garibaldini dislocati a Bosco.
Ormai è tardi.
Sperano che le sentinelle del luogo abbiano potuto avvistare il nemico che stava avvicinandosi.
Si spera che anche questa azione sia una puntata isolata e non faccia parte di un momento del grande rastrellamento previsto.
Il comando della Divisione si sposta a Degna per esaminare la situazione più da vicino.
Quanti erano gli armati, con muli o senza, perchè la guardia borghese non ha funzionato?
In Val Lerrone la situazione si mantiene calma, ma che avviene di là?
Se il nemico, come probabile, tornerà alla base per la carrozzabile della Valle Arroscia, sarà possibile agganciarlo?
Sembra che al di là della cresta gli avvenimenti siano più gravi di quanto si temesse.
Un borghese, che si è spinto in cresta, riferisce che le colonne di fumo si levano da Degolla [Frazione di Ranzo (IM)] e da Costa Bacelega [Frazione di Ranzo (IM)], segno che il nemico non si è limitato alla puntata su Bosco.
Lunghe raffiche di mitraglia indicano che la lotta è ancora in corso. Le ore passano lente, uguali. Verso mezzogiorno giunge a Segna uno sbandato da Bosco. Aveva i pantaloni strappati e lo sguardo inquieto dell'animale braccato. Racconta che con i suoi era sveglio da qualche minuto, aveva rimesso al fuoco le castagne e si preparava a lavarsi, quando vede a breve distanza i Tedeschi che scendono tra gli ulivi. Urla “I tedeschi!”, e via senza voltarsi. Quelli sparano ma il fuggiasco non vede più niente, e non sa cosa sia successo agli altri. Erano quasi circondati e la resistenza si presentava impossibile. Dopo una corsa selvaggia tra i rovi e gli ulivi, si era trovato fuori tiro senza armi ma con l'asciugamano in mano.
Da mezzogiorno fino a sera nessuna novità. A sera una colonna tedesca scende dalla cresta verso Degna. 
L'allarme è portato in paese dalla figlia di Bartolomeo Barbero (Bertumelin) contadino del luogo che aiutava molto i garibaldini. 
In pochi istanti borghesi e partigiani spariscono tra gli alberi, mentre i tedeschi, preannunciati da una raffica di mitragliatrice, entrano in paese. 
Dopo mezzora Degna è di nuovo libera. Il nemico ha proseguito per Cesio (IM).
Si spera sia tutto finito.
Il giorno 21 niente di nuovo in Val Lerrone.
Il comandante Giorgio Olivero (Giorgio) e Gustavo Berio (Boris) lasciano la Divisione, vanno oltre la strada statale 28 in cerca del Comando I^ Zona Operativa Liguria, per appellarsi alla sua autorità, poiché non riescono più a controllare la situazione.
La Divisione rimane così affidata al commissario Osvaldo Contestabile e al vicecomandante Luigi Massabò (Pantera).
Cosa era avvenuto a Bosco? A Bosco, per la scarsità di munizioni, ai partigiani era stato dato l'ordine di adoperare le armi automatiche soltanto nelle situazioni più critiche. Si accendono combattimenti violentissimi a Bosco, a Degolla [borgata di Ranzo (IM)], a Ubaghetta [Borghetto d'Arroscia (IM)], ad Alto (CN), a Nasino (SV), a Casanova ed in altre località.
Tre colonne nemiche di circa cinquanta uomini ciascuna, partite rispettivamente da Cesio (IM), da Villanova di Albenga (SV) e da Leca [Frazione di Albenga (SV)], si dirigono sul piccolo centro abitato di Bosco. I garibaldini non riescono a sganciarsi. Impugnano le armi e si dispongono alla difesa. Oramai sono circondati perchè il nemico ha individuato il casone dove erano accampati.
Dopo aspro combattimento i dodici uomini riescono a rompere il cerchio di fuoco e qualcuno evita la cattura.
Cadono sul campo il sovietico Gospar, che si sente rantolare, dire qualche cosa nella sua lingua prima di morire; Rolando Martini (Indusco), di anni 20; William Bertazzini (Rosa) di anni 20; Gino Bellato (Gino) di anni 20.
Sono catturati e fucilati sul posto i civili Amedeo Boli, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] è ucciso il civile Settimio Testa. I garibaldini che sono riusciti a sottrarsi alla cattura, raggiungono le altre squadre del distaccamento. Tremenda l'avventura del garibaldino “Umegu” che, catturato due volte, e due volte messo davanti al plotone di esecuzione, riesce a fuggire incolume, benchè soggetto a raffiche di armi automatiche.
Le case di Bosco sono date alle fiamme.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005

22 gennaio 1945 - [...] Sono le 2 e dalla Valle Arroscia giunge un forte gruppo di repubblichini recando seco 8 partigiani catturati a Bosco in un'azione militare. Di essi, due sono feriti e vengono trasportati all'ospedale, gli altri 6 sono rinchiusi in un fondo della caserma S. Manfredi.
23 gennaio 1945 - Giungono altri repubblichini, tutti venuti con un buon numero di rastrellati in Vessalico. Ve ne sono di tutte le età. Si tratta di operazioni fatte un po' a casaccio perché questi individui che, per i tempi che corrono, sono tutti muniti di documenti, e cioé della carta di identità, non appena passano al controllo del Comando tedesco, finiscono poi col ritornare quasi sempre alle loro case. Si presume, però, che tali operazioni siano fatte per secondi fini, come quello di terrorizzare le popolazioni e renderle così succubi della loro volontà.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
 
La Val di Diano è ancora sgombera, la I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] chiede cosa debba fare. Non possiamo dare ordini perché Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] e Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante] sono al di là della «28», di Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] ignoriamo la sorte, il S.I.M. è ormai isolato e disperso, siamo senza notizie  delle altre due Brigate. Se la staffetta riuscirà a tornare indietro potrà solo riferire la situazione portando le esortazioni di Osvaldo [Osvaldo Contestabile] per la I^ Brigata: che si tenga pronta perché il nemico può irrompere nella Valle di Diano da un momento all'altro.
A noi che conviene fare? Attendere Pantera può essere inutile e diventare pericoloso. Rimanendo potremmo ancora servirci deirifugi, ma se la situazione si aggravasse  ancora potremmo sempre contare che i borghesi possano rifornirci?  
A Degna poi molti credono che qui ci sia l'intero Comando divisionale, se un civile tradisse, e dopo le recenti esperienze non possiamo escluderlo, il nemico può piombarci sopra con forze ingenti.
Attendere così passivamente la sorte mentre il nemico scorazza impunemente nella zona crea in noi una situazione morale sempre più penosa che avrebbe potuto prolungarsi per chi sa quanto tempo: l'esempio della Cascione e del rastrellamento di Fontane ci indicava che i rastrellamenti invernali erano assai lunghi. La Val di Diano è ancora libera, forse anche parte della valle di Cervo. Se fossimo partiti ieri anche la via sarebbe stata aperta, ora invece...  Però la staffetta era riuscita a passare; a stento, ma era passata.
Sì, ma al ritorno?... Al ritorno forse il nemico avrà aumentata la sorveglianza e chissà se si potrà ancora?... Con la neve che nei versanti in ombra è ancora alta c'è il rischio di essere scoperti da lontano dovendo percorrere lunghi tratti allo scoperto. Il dubbio è assillante, qui penso che il nostro compito sia ormai finito: bisogna provvedere alla nostra salvezza e solo quando il rastrellamento sarà finito ognuno riprenderà i suoi compiti se il movimento riuscirà a sopravvivere.
Il giomo 24 il nucleo del Comando di Segua [n.d.r.: Segua è Frazione del Comune di Casanova Lerrone in provincia di Savona] si scioglie: in Val Lerrone il Comando italo-tedesco ha pubblicato un bando invitando tutti coloro che, obbedendo alla falsa propaganda nemica, hanno cercato rifugio sui monti, a presentarsi entro le quarantotto ore. «A coloro che si presenteranno si fa garanzia della vita, gli altri saranno passati per le armi; uguale sorte avranno i borghesi che presteranno loro aiuto o che verranno trovati in possesso di roba  militare,  anche vestiario o coperte. Le loro case verranno incendiate».
Dal bando appariva chiara l'intenzione nemica di rastrellare in grande stile e di terrorizzare i civili.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, p. 140 
 
26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato [di Pieve di Teco] gli otto sanmarchini già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco vengono fucilati. Il paese terrorizzato è deserto - i pochi che vi si incontrano passano frettolosi per raggiungere le loro case -. Non una parola viene pronunciata da nessuno; si direbbero tutti ammutoliti dallo sgomento.
27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstiti, ferito al ventre, è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale [n.d.r.: Barli pensava a Dante Rossi, che, invece, riuscì a salvarsi con l'aiuto di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico, che fece passare per Rossi il cadavere di una persona anziana deceduta di morte naturale]. Sono le 11,30: i due patrioti rastellati in Rezzo, trasportati in Pieve e condannati a morte, non sono ancora stati fucilati.
28 gennaio 1945 - Stamattina alle 9,30 ho parlato col Commissario Provinciale della Croce Rossa, Dott. Amoretti, dentista di Oneglia, e col rappresentante della Federazione di Imperia, affinché si interessino per ottenere un trattamento meno disumano in Pieve. Mi hanno dato assicurazione in merito.
29 gennaio 1945 - Sono partiti gli alpini repubblichini (Monte Rosa) ma, da Triora son giunti i granatieri repubblichini già inviati colà per operazioni di rastrellamento.
Nino Barli, Op. cit.

27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco subito nelle vicinanze di Ginestro dalla II^ e III^ squadra, attacco condotto da reparti della Divisione Monterosa e dalla Divisione Muti.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole. Il giorno 20 gennaio avveniva il temuto rastrellamento a catena ad opera di forze della RSI e di alcuni reparti tedeschi. Furono attaccate formazioni della II^ e della III^ Brigata; a Bosco il nostro presidio venne dopo una battaglia catturato quasi al completo. Dei 16 garibaldini arrestati, 12 riuscivano a fuggire, evitando la fucilazione. Contemporaneo a questo attacco vi fu quello di Degolla, in cui i garibaldini ebbero 3 morti, 1 ferito e 8 uomini presi prigionieri. A Gazzo un'altra colonna, guidata dall'ex garibaldino 'Boll', catturò l'intera famiglia di 'Ramon' [Raymond Rosso], non riuscendo a sorprendere il nostro capo di Stato Maggiore. A Nasino il Distaccamento "Giannino Bortolotti" infliggeva alcune perdite al nemico e poteva ritirarsi. Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infliggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di un solo partigiano".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "il giorno 1 perirono Badano Ezio, Menini Lionello e Valduna Giovanni ad Armo; il 2 Emilio Zamboni, nativo di Dernis (Jugoslavia); il 3 Lorenzo Gracco; il 15 Italo Menicucci; il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti (1); il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla [n.d.r.: in effetti, Renato Luciano Mantovani, Balilla, un sedicenne nato a Treviso, residente a Venezia, risulta - da fonti successive, quindi, non da questo dispaccio scritto in guerra sotto l'incalzare degli eventi - fucilato a Pieve di Teco]; e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano)
   * Proposte assegnazione medaglia d'argento alla memoria a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano * morti il 20 gennaio 1945. * Descritti anche da Don Giacomo Negro, arciprete di Bacelega al C.O. I^ Zona.
   (1) 'Redaval' Germano Cardoletti ex San Marco - IV^ Brigata "Domenico Arnera" - ucciso il 23 gennaio 1945 ai Piani di Ubaghetta dai Cacciatori degli Appennnini
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Mario Longhi. Fonte: ANPI Savona cit. infra

Mario Longhi, Brescia. Sorpreso a Ginestro durante un rastrellamento, sprezzante del pericolo non ascolta l’invito a ripararsi: una prima raffica gli frantuma l’arma; una seconda lo colpisce al ventre. E’ il 27 gennaio 1945.
A Mario Longhi è intitolato un Distaccamento della Brigata “Arnera” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011   




Immagini del funerale del partigiano Mario Longhi. Fonte: vedere art. cit. infra

Mario Longhi partigiano della brigata Garibaldi nato a S. Eufemia nel 1924 e ucciso dai tedeschi in provincia di Savona nel gennaio del 1945 (insignito della croce al valor militare alla memoria)
Redazione, Funerale Mario Longhi 13/04/1947, era sant'eufemia della fonte