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giovedì 26 novembre 2020

I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea...

Illustrazione di Marisa Contestabile in Osvaldo Contestabile, Op. cit. infra

Ceva (CN): Stazione Ferroviaria. Fonte: Wikipedia

Alcuni giorni dopo dal Comando ci giunse l'ordine di trovarci alla stazione ferroviaria di Pievetta ben armati e con le mitragliatrici pesanti che avevamo in dotazione. L'azione da compiersi era un attacco alla città di Ceva.
Ciò ci sorprese non poco perché sapevamo che la località, essendo un centro logistico importante per il nemico, era ben presidiata. Quando giunse [20 luglio 1944] il treno da Ormea, sul quale era già la Volante, ci imbarcammo anche noi (complessivamente eravamo una ottantina di partigiani).
In questa occasione l'ilare "Raspin", il quale aveva già fatto in precedenza degli apprezzamenti sul modo di muoverci, di cui abbiamo fatto cenno, mi disse: «A Pievetta ci hanno portato con l'autocarro, a Ceva ci portano col treno, ma che partigiani siamo diventati? Speriamo che la prossima volta ci  portino in aereo».
Il discorso non poteva non essere accompagnato da una risata generale che distese la nostra tensione nervosa. Eravamo preoccupati per l'avventura cui andavamo incontro, ma non sapevamo che il nostro Comando ci mandava a Ceva in quanto informato che, da alcuni giorni, la città era sgombrata dai soldati nemici.
II treno si arrestò alla periferia di Ceva, dove fu piazzata una mitragliatrice pesante con la presenza di una decina di partigiani, pronti ad entrare in azione se fossero giunte forze nemiche da Savona o da Mondovì.
Quando il treno giunse alla stazione, scendemmo.
Un gruppo si recò in una grande caserma (che trovò vuota).
Invece alla stazione noi, più fortunati, trovammo in alcuni vagoni, riso, farina, grano ed altri generi alimentari, che provvedemmo a caricare su due camioncini, avviati poi verso la nostra zona di provenienza.
Perquisimmo i treni viaggiatori che in ore successive giunsero da Torino e da Savona, prendemmo prigionieri alcuni soldati fascisti e tedeschi, che, sbiancati in volto per lo stupore, non riuscivano a raccapezzarsi per quanto stava loro accadendo; alcuni viaggiatori, che mi sembravano "borsaneristi", approvavano la nostra azione, poiché a loro spesso veniva sottratta la merce durante questi viaggi.
Alcuni "borsaneristi" erano di Oneglia e ci riconobbero.
Chiesi a qualcuno di loro di informare i miei genitori che stavo bene.
Mia madre, credendo che io fossi di stanza a Ceva, pensò di venirmi a trovare.
La poveretta, giunta nella città alcuni giorni dopo i fatti che ho raccontato, incappò in un brutto bombardamento aereo e si salvò, col treno, perché la galleria, che serviva da rifugio, era a poca distanza dalla stazione.
Logicamente a Ceva non mi trovò e, non sapendo dove trovarmi, decise di ritornare a Oneglia delusa e amareggiata.
Ma non rinunciò mai a creare le condizioni per incontrarmi (come vedremo).
Mi fece gradite sorprese, anche se per due volte si imbattè in brutte situazioni.                                       Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

 

Ceva (CN). Fonte: Wikipedia

La locomotiva sotto la tettoia della stazione di Ormea, lì come nuova, l'avevano già vista con tutti i comandi funzionanti; e non gli pareva giusto che non se ne servissero.
Per funzionare funzionava, niente da dire; bisognava soltanto trovare uno capace a manovrarla, per farla partire.
Uno che se ne capiva un po' di come trafficarci, lo trovarono subito più o meno disponibile e la mise in moto.
- Allora andiamo, che così ci arriviamo prima tutti insieme: non se lo credono mai più che ci arriviamo col macchinista -, risposero al Cion [Silvio Bonfante] che stava ad aspettare per la partenza.
Di ribelli sbrindellati e variopinti, ce n'erano aggrappati dappertutto su quella locomotiva in corsa, e bisognava vederli com'erano combinati; cantavano e sbandieravano come alla festa grande sulla fiera, con l'aria fresca della valle in poppa.
La sbarra di confine tra fascisti e partigiani per traverso sui binari, la trovarono dopo Bagnasco, quando il macchinista se ne accorse che ormai la vide in pezzi senza fermarsi, alé sempre avanti così: ma dalle due parti in fila lungo la ferrovia, intanto i borghesi si sbracciavano, che di là c'erano i tedeschi; perdio stessero attenti, e fermassero il treno; volevano dire di stare attenti e di fermarsi subito, perché più in là c'erano eccome, coi posti di blocco le pattuglie le mitraglie puntate e le sentinelle all'erta in postazione.
A Ceva invece, quando arrivarono nella stazione sono la pensilina con gli stantuffi ancora in moto, manco per l'antonia i tedeschi ci pensavano a una faccenda così balorda e poco militare.
Il fatto sta che se ne accorsero soltanto troppo tardi, quando sentirono le raffiche concentrate nelle saracinesche del posto di controllo per la truppa.
Sentirono anche lo stridio dei freni sulle rotaie, locomotiva in abbrivio per inerzia, gente in confusione a gridare dappertutto, chissà cosa succede.
Non era facile capire sotto la pensilina o tra i binari, cosa succedeva all'improvviso in quella gran confusione nella sparatoria garibaldina; cosa succedeva con quel treno che non c'era sul tabellone dell'orario, e quei ribelli vestiti a quel modo, tutti sbrindellati che lì non ne avevano mai visto; ma che adesso andavano svelti coi mitra tra i vagoni.
Non c'era tempo nemmeno per spiegarlo ai viaggiatori, alla gente del posto e ai trafficanti indaffarati tra sacchi di farina cereali e recipienti d'olio pei baratti.
La fucileria rompeva subito i contratti della borsa nera, ciascuno ritrovandosi così d'amblé, alla malparata; chissà come finirà con questi qui; capita poi che il treno da Savona, lì in sosta per caso, è carico soltanto di contrabbandieri; meno male pochi i tedeschi di scorta non ce la fanno a sparare subito, cosicché se ne stanno quieti tra i sedili e i malloppi di merce.
La spedizione finì poco dopo, col subitaneo svuotamento della stazione ferroviaria; ma senza risarcimenti per le confische agli accaparratori di passaggio.
I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea con due autocarri carichi di tutto, dopo le ricerche svelte nelle case dei fascisti tra i vicoli del paese; se ne tornarono prima che sentissero dalle creste, da una parte e dall'altra, fuoco d'inferno distante tra le curve, col vento forte della valle. 
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 60, 63

sabato 8 agosto 2020

L'uccisione a tradimento a Rocca Spina dei partigiani Gelato e Sardena e di tre disertori repubblichini

Barchi, Frazione di Ormea (CN) - Fonte: Borghi Alpini
 
Un reparto distaccato della 1^ compagnia  9^ brigata GNR in servizio presso la polveriera Martinetto di Albenga (SV), per iniziativa ed interessamento di Osvaldo Melluso, segretamente iscritto alla cellula 61 del PCI alla stazione ferroviaria di Genova Brignole, decide di passare nelle file partigiane con tutto l’equipaggiamento e le armi. 

Caprauna (CN) - Fonte: Wikipedia
 
Il sergente repubblichino della polveriera di Martinetto, che si faceva chiamare Franco Cattaneo, invece era propriamente il furiere Salvatore Abate, che aveva cambiato nome per motivi di sicurezza personale quando Martinengo [Eraldo Hanau] lo aveva mollato. Lo aveva mollato liberandolo con gli altri militi fascisti della guardia nazionale repubblicana, dopo un assalto al Forte di Nava; - o rimanere in banda o tornare in camicia nera, come volete - gli disse. Ma quella volto fu uno sbaglio che costò caro alla partigianeria ligure piemontese. Fornito di moduli per lasciapassare, con bolli autentici nascosti nello zaino da quei tempi della fureria, adesso trafficava a pagamento licenze con i subalterni. Il milite Melluso, anche lui della polveriera di Martinetto, trafficava gratise con i partigiani di Capraùna, rischiando così di grosso tutti insieme. Gira e rigira, però, non ci misero granché a combinarsi su cosa fare in tornaconto per cambiare la situazione [...] A Capraùna dove sono in banda proprio di preciso glielo dice uno di guardia lì ad aspettarli, come si erano messi d'accordo; li fa accompagnare al punto giusto dalle due staffette del distaccamento, ma con le armi scariche si capisce, e le munizioni nello zaino da consegnare sul posto per precauzione, ci mancherebbe altro [...] Ma il sergente Cattaneo non se fa niente di tutto questo andare più leggeri nell'erba fresca [...] Neanche lui, il sergente Cattaneo, lo sa bene come succede; e intanto si fa dare il Saint-Etienne, perché adesso dice che tocca a lui portarlo un po', riprendendo a camminare.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 49-54

Due giorni dopo lo scontro di Pizzo d'Evigno, la nostra Resistenza è colpita da un grave lutto.
Cinque partigiani sono uccisi a tradimento da Franco Cattaneo, sergente della Guardia Nazionale Repubblicana. Erano con lui sei militi: Luigi Austoni, Lazzaro Boldrini, Gaetano De Musso, Floriano Grassini, Osvaldo Melluso ed Antonio Vicini che costituivano un reparto distaccato della 1a Compagnia - 9a Brigata GNR - presso una polveriera in località Martinetto d'Albenga.
Per iniziativa ed interessamento del Melluso, segretamente iscritto alla cellula 61 del PCI presso la Stazione ferroviaria di Genova Brignole, l'intero reparto decide di passare nelle fila partigiane con tutto l'equipaggiamento e le armi.
Il 20 giugno 1944, a seguito di accordi presi con il Comando Partigiano, i militi giungono a Caprauna (CN).
Il giorno seguente, i sette uomini del reparto, guidati da due garibaldini, Giuseppe Maccanò e Angelo Viani, sono in marcia di trasferimento destinati ad una formazione di partigiani autonomi. Ma questa non è più sul luogo. Il gruppo si dirige verso un'altra banda e giunge a Rocca Spina, presso Barchi, piccola località tra Ormea (CN) e Garessio (CN). 
All'improvviso, con un pretesto, il Cattaneo (sergente della guardia nazionale repubblicana) si offre di tenere il fucile mitragliatore di un partigiano affaticato.
Questi glielo consegna: quello lo ritira e nascostamente innesta nel Saint-Etienne un caricatore. Poi s'avvicina al gruppo ed apre a bruciapelo il fuoco contro i compagni. Cadono tutti, chi gravemente ferito ed agonizzante, chi immediatamente ucciso.  Quindi, il Cattaneo s'allontana portando con sé i sopravvissuti Grassini e De Musso. I tre raggiungono, a detta del Grassini, il Comando GNR di Albenga ed il Cattaneo si presenta al suo comandante Crespi affermando di essere stato catturato con la forza dagli altri militi e di essere riuscito a fuggire portando con sé il De Musso ed il Grassini.
La versione del Melluso è diversa: un certo Chiesa, milite della GNR, in servizio presso un reparto di stanza a Leca d'Albenga, avrebbe riferito che sarebbero stati catturati ed accusati di diserzione.
Le due versioni, comunque, coincidono nella conclusione: Franco Cattaneo è fucilato per diserzione ed altri precedenti crimini, mentre il Grassini ed il De Musso sono inviati al fronte per punizione.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, p. 103

Quando, alla fine di girare, il sergente Cattaneo si ripresentò ai fascisti di Albenga ormai non lo aspettavano più con i due militi in cattura, avendoli già dati per dispersi; eppertanto la storia finì così, che lui lo fucilarono lo stesso per diserzione siccome quella storia complicata non riuscirono a capirla, anche se girava che sì, lui era fascista; eppoi anche perché scoprirono che in verità si chiamava in un altro modo. Tanto per non sbagliarsi i due militari che erano tornati li mandarono per punizione sul fronte francese, ma in prima linea. Gliela facessero vedere là, in quegli avamposti della malora, la loro fede genuina nel fascismo come dicevano, rischiando la pelle. Invece il milite Melluso, appena guarito, sentendosi già patriota, non stette a ripensarci com'era la repubblica dove c'era stato prima; ma cominciando ad adoperare il braccio si mise a scrivere la relazione di tutto come aveva visto che era successo, dal principio alla fine. Eppoi cominciò veramente a fare il partigiano in banda da quelle parti, anche col braccio mezzo fottuto; in seguito diventò caposquadra e si guadagnò pure lui a tempo debito il nome di battaglia, come gli piaceva: se lo scelse personalmente di suo gusto, così come se l'era pensato fin da quando era ancora nella polveriera del Martinetto e cominciava a trafficare con quelli in montgan sul Colle di Capraùna.
Osvaldo Contestabile, Op. cit., pp. 57-58

Dal processo verbale di interrogatorio di Osvaldo Melluso rilasciato alla Stazione dei Carabinieri di San Fruttuoso, Genova, il 15 agosto 1964:
"Il giorno 20 giugno 1944 verso le 15, in seguito ad ordine datomi dal Comando Partigiano, condussi sei dei miei commilitoni, compreso il sergente Cattaneo Franco, a Caprauna… Il giorno successivo, durante la marcia di trasferimento da Caprauna verso i monti di Savona, accompagnati da due partigiani, Maccanò Giuseppe e Viani Angiolino, in funzione di guida, giunti in località Rocca Spina presso Barchi di Ormea, verso le 17, il sergente Cattaneo Franco… fece fuoco contro noi sei che lo precedevamo, causando il mio ferimento e la morte dei cinque compagni: Austoni, Maccanò, Viani, Boldrini e Vicini".

da una pubblicazione di A.N.P.I. Savona
 

[...] Legione territoriale dei carabinieri di Genova, Stazione di Arma di Taggia
Processo verbale di interrogatorio di Grassini Floriano fu Carlo e fu Saldani Eugenia, nato a Pisa il 3/2/1926, residente a Genova Pra - Via Sapello  N° 36 e domiciliato a Arma di Taggia Lido «Idellerj» Boghino.
L'anno 1964 addì 1° ottobre, nell'ufficio della Stazione Carabinieri di Arma di Taggia alle ore 9 - davanti a noi Vicebrigadiere Cariano Tommaso, Comandante interno della suddetta stazione, è presente Grassini Floriano, in rubrica generalizzato, il quale interrogato dichiara quanto segue: «Il 20 giugno 1944, mentre facevo parte del 9° Battaglione d'Assalto della G.N.R. unitamente ai miei compagni: V.B. Cattaneo Franco, De Musso Gaetano, Vicini Antonio, Melluso Osvaldo, Boldrini Lazzaro e Austoni Luigi, tutti noi che eravamo di servizio di guardia alla polveriera di Martinetto, di comune accordo abbandonammo il servizio per raggiungere una brigata partigiana. Preciso che nessuno di noi sapeva dove si trovava la brigata più vicina. Nonostante ciò iniziammo la nostra marcia con tutte le armi che avevamo in dotazione nella suddetta polveriera. Giunti nel territorio di Caprauna, nei pressi di Pieve di Teco, trovammo una banda armata la quale si dichiarò partigiana. Allora noi approfittammo di chiedere se potevamo rimanere con loro. A tale richiesta nostra il Comandante di detta banda ci indicò una brigata badogliana e per raggiungere detta brigata ci fece accompagnare da due partigiani armati. Dopo aver fatto circa sette chilometri di montagna sempre nella zana di Pieve di Teco, ci fermammo per riposare; ad un certo momento il V.B. Cattaneo si allontanò dicendo che doveva fare alcuni bisogni. Preciso che mentre si allontanava portava con sé il mitragliatore Sant Etienne con 25 colpi. Così dopo qualche istante dalla parte in cui si trovava il V.B. Cattaneo venne una raffica di mitragliatore al nostro indirizzo per cui, ad eccezione del De Musso Gaetano ed io, rimasero tutti feriti. Io e il De Musso non riportammo nessuna ferita. Infine puntò l'arma per ferire anche noi due e quindi abbiamo alzato le mani ed il Cattaneo ci disarmò. Così subito dopo ci obbligò a seguirlo e ci portò presso la caserma del 9° Battaglione di assalto di Albenga. Ad Albenga il Cattaneo si presentò al suo Comandante Crespi e dichiarò che noi tutti lo avevamo preso prigioniero e che con la sua abilità era riuscito ad uccidere i sei, facendo prigionieri noi due. Di tutti i fatti su esposti venne celebrato il processo militare di guerra ad Albenga il 17/7/1944. Aggiungo che eventuali chiarimenti ed equivoci possono essere riscontrati presso gli atti di Albenga. In seguito al processo risultò che il V.B. Cattaneo Franco - autore dell'eccidio - si faceva chiamare tale, ma in realtà il suo nome era Abate Salvatore. Aggiungo che detto V.B. Cattaneo Franco venne condannato alla pena di morte: immediata fucilazione alla schiena con esecuzione immediata in data 17/7/1944. Io e il De Musso Gaetano in seguito al processo fummo inviati al Fronte francese per punizione motivata di diserzione con passaggio al nemico. Non ho altro da dire ed in fede di quanto sopra, preciso lettura mi sottoscrivo».

Riportiamo ancora una lunga esposizione dei fatti narrati da Osvaldo Melluso:
«Nel mese di giugno 1944 mi trovavo, quale milite della 1a Compagnia della 9a Brigata d'Assalto della G.N.R., a prestar servizio in un presidio sito in località Martinetto di Albenga (distante circa 11 chilometri da Albenga e altrettanti da Caprauna). Il presidio era composto da sei militi ed un Vice Brigadiere e avevo il compito di vigilare delle casematte adibite a polveriera. Ricordo i loro nomi: Austoni Luigi, Boldrini Lazzaro, Vicini Antonio, Grassini Floriano, Mulas o De Musso Gaetano (il suo vero nome deve essere De Musso in quanto il Grassini, che era in più stretti rapporti con lui, lo chiamava appunto De Musso nel processo verbale fatto ad Arma di Taggia a seguito della vicenda di seguito descritta) e il V.B. Cattaneo Franco (nel verbale il Grassini dice che al processo fatto a Albenga, si venne a sapere che il vero nome, anzichè Cattaneo Franco, era Abate Salvatore) infine lo scrivente Melluso Osvaldo. Per mie indagini, fatte in seguito, venni a sapere che il V.B., tempo addietro, aveva prestato servizio presso il forte di Nava, quale furiere e che svolgeva ancora tale incarico quando il forte venne occupato dai partigiani i quali fecero tutti prigionieri. Ad essi veniva data facoltà di scelta fra rimanere nelle loro fila e l'essere mandati a casa. Questo fatto, in particolare, mi fu raccontato da uno dei militi che rimase appunto volontario nelle fila partigiane: egli stesso precisò che, se anzichè tornare a casa, qualcuno di loro si fosse ripresentato nella G.N.R. e fosse stato poi di nuovo catturato dai partigiani, sarebbe stato passato per le armi. Questa circostanza spiega le ragioni che indussero il Cattaneo ad agire come dirò in seguito, venutosi giocoforza a trovare tra le fila dei partigiani. Si era dunque nel giugno del 1944; il Cattaneo possedeva una valigetta in cui custodiva alcuni documenti, dei permessi, fogli di viaggio,  fogli [...] Vidi in lontananza un campanile e mi diressi in quella direzione correndo. Lungo il sentiero incontrai un contadino vecchio e zoppo, il quale aveva inteso la raffica e ne era terrorizzato. Lo presi sottobraccio e corsi, cercando di farmi indicare la strada per il paese. Me la indicò; lo lasciai e continuai a correre. Mi accorsi che il braccio sinistro roteava per conto suo: la giacca era forata, ma non grondava sangue perchè era tutto assorbito dalla stoffa. Mi tenni il braccio e raggiunsi Barchi d'Ormea. Giunse un calesse con degli uomini armati. Un uomo isolato arrivò in moto. Raccontai l'accaduto al comandante Colombo che mandò subito degli uomini sul posto dell'eccidio e poi mi fece trasferire all'ospedale di Ormea. Dietro consiglio del dottore non mi fecero sapere della morte dei miei amici se non dopo i funerali. Il comandante Colombo si interessò di avvisare i famigliari dei morti ed anche i miei che vennero a trovarmi. Il seguito è storia partigiana. Se mi sarà richiesto darò delucidazioni. Genova 8 luglio 1975 - Melluso Osvaldo»
Una versione sostanzialmente simile del fatto descritto si trova nel volume di Renzo Amedeo (2): «Un gruppetto di fascisti fuggiti dal proprio reparto ed accompagnati da due partigiani, in viaggio per raggiungere le formazioni combattenti in Valle Tanaro, nel tardo pomeriggio del 21 giugno 1944 furono improvvisamente uccisi da uno della compagnia, appena raggiunta la località di Rocca Spina (Ormea).
"Morti per ferita di arma da fuoco alla schiena e al capo, a seguito di una raffica di mitra sparata da un sottufficiale della Guardia Repubblicana Fascista che accompagnava i suddetti e che era in fondo alla colonna" - dicono i registri dello stato civile di Ormea (3).
I cinque caduti sono Austoni Luigi, nato a Genova il 13-1-1925; Boldrini Lazzaro, nato a Santa Margherita Ligure il 16-9-1925; Maccanò Giuseppe, nato a Oneglia il 25-2-1920; Viani Angiolino, nato a Oneglia il 1°-11-1921; Vicini Antonio, nato a Mezzanego il 25-11-1926.
Ma, assieme a questi cinque, si trovavano altre quattro persone: il signor Melluso Osvaldo (4), che si era impegnato ad accompagnare questo gruppo di militi, in servizio presso la prima compagnia della IX brigata d'assalto della GNR, dalla polveriera in località Martinetto d'Albenga alla sede dei partigiani in Caprauna; il Grazzini Floriano ed il De Musso Gaetano i quali, unitisi alla compagnia forse non del tutto persuasi a fuggire dalla Repubblica, poterono ritornare alla propria Compagnia assieme all'autore materiale della strage, il vice brigadiere Abate Salvatore che aveva mutato nome in Cattaneo Franco, dopo la fuga dai Forti di Nava, per approfittare del grado di un altro milite del quale era venuto in possesso dei documenti. In realtà i due scampati furono processati in Albenga il 17 luglio 1944 e condannati a morte, pena commutata poi nell'invio al fronte, mentre fu eseguita la fucilazione a carico del Cattaneo Franco che cercava di rifarsi una verginità vantando quella sua nefanda impresa. Il gruppo dei sette fuggitivi, giunto a Caprauna, fu accompagnato verso la Val Tanaro dai due partigiani Maccanò e Viani della IX Brigata garibaldina, che rimasero uccisi con tre dei fuggitivi, mentre il Melluso se la cavò con alcune gravi ferite
».

Infine, riportiamo ancora il documento con cui il 10° distaccamento dava notizia dell'accaduto al Comando della IX Brigata:
«IX Brigata d'Assalto Garibaldi - 10° Distaccamento
9 luglio 1944
Oggetto: relazione circa il compito affidato ai Garibaldini Sardena e Gelato.
          Al Comando della IX Brigata d'Assalto Garibaldi
La sera del 20 giugno 1944 il Comandante di un distaccamento badogliano «Enzo» informava l'ex Comandante del nostro distaccamento che un suo componente sarebbe transitato nella nostra zona nelle prime ore del mattino del 21 giugno accompagnando dei fascisti della «Muti» che avevano già deciso in precedenza la resa col detto distaccamento. Infatti alle ore 3 all'intimazione di «alt» delle nostre sentinelle rispondeva la pattuglia dei sette fascisti che dichiaravano di voler essere accompagnati al distaccamento suddetto. Il sergente, comandante la pattuglia in questione, confermava all'ex Comandante che aveva già preso accordi col distaccamento badogliano per la resa. Verso le otto del mattino l'ex Comandante del distaccamento, dopo aver fatto togliere le munizioni dai fucili dei fascisti, disponeva che due staffette accompagnassero al distaccamento dei badogliani i fascisti in parola. Però lasciava le munizioni nel fucile mitragliatore S. Etienne. L'incarico di staffetta veniva assegnato ai garibaldini Sardena e Gelato (Viani Angelo e Maccanò Giuseppe). I predetti non facevano più ritorno alla base, per i fatti a voi noti. Comunque si comunica che le due staffette che abbiamo inviato a cotesto comando sono concordi nell'affermare che:
- Sardena e Gelato giunti nella zona ove alloggiava il distaccamento badogliano hanno trovato la zona deserta. Gli stessi allora hanno deciso di raggiungere il nostro distaccamento, che nel mattino aveva ripreso la marcia di trasferimento.
- Giunti sopra Caprauna, mentre il piccolo nucleo era intento a riposarsi, il sergente che aveva impugnato in quell'istante il fucile mitragliatore S. Etienne, faceva fuoco sul nucleo che era disposto a semicerchio.
- Venivano uccisi sul colpo Sardena e Gelato e quattro fascisti.
- Un fascista ferito da varie pallottole, dopo l'allontanamento del sergente e dell'altro fascista riusciva a dare l'allarme alla popolazione di Caprauna che provvedeva al ricupero delle salme.
- Il sergente appena ritornato al suo presidio è stato passato per le armi.
          Il Comandante Marco
[Candido Queirolo] - Il Commissario politico Pantera [Luigi Massabò]»

Carlo Rubaudo, Op. cit.

(2) Volume inedito Storia della XIII Brigata Val Tanaro, pag. 187. Opera depositata presso l'Archivio del Comune di Garessio.
(3) Archivio del Comune di Ormea, atti di morte, p.2^ serie B, anno 1944, atti N° 7,8,9,10,11, stesi per autorizzazione del pretore di Ceva.
(4) Melluso Osvaldo, impiegato FF.SS. Già membro della cellula N° 61 di Genova Brignole, fuggito il 20 giugno 1944 dalla GNR di Cisano, ferito a Roccaspina, rimase all'ospedale di Ormea dal 21 giugno al 16 luglio 1944. Partigiano dal 20 giugno 1944 al 30 settembre 1944, poi caposquadra fino al 31 ottobre 1944 e quindi comandante di distaccamento fino al 30 aprile 1945 nella VI Divisione «Bonfante», III Brigata, dichiarazione integrativa n. 5921.


 
 

venerdì 27 marzo 2020

Il primo caduto partigiano a Sant'Agata di Imperia


Il 20 novembre 1943 si ebbe il primo caduto partigiano, Walter Berio, ucciso a Sant'Agata, Frazione di Imperia [cfr: Nerina Neri Battistin, Caro Walter - Dal confino a Moliterno alla lotta Partigiana imperiese, Editore C.E.I.].
Venivano quel giorno fermati da due agenti fascisti in borghese tre giovani partigiani, Angelo Setti [Mirko, vice caposquadra del Distaccamento comandato da Felice Cascione, dal 19 maggio 1944 comandante del II° Distaccamento, dal 18 gennaio 1945 vice comandante della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione"Felice Cascione"], Rinaldo Risso [Tito R., in seguito vice comandante della II^ Divisione] e Walter Berio, che per fare acquisti di viveri, giunti al villaggio, mentre sono nella bottega di commestibili (negozio di Sasso Baciccia), due poliziotti, armati di pistola, chiedono i documenti. Berio e Tito sono arrestati, mentre Mirko riesce a fuggire e ritorna in banda ad avvertire gli altri... Intanto, Tito riesce a fuggire; uno dei poliziotti lo insegue e spara ma lo fallisce. Contemporaneamente Ivan scorge l'altro poliziotto con Berio e gli intima mani in alto; il poliziotto si accinge a sparare a Ivan, Berio gli si rivolta per disarmarlo, ma il poliziotto spara e colpisce Berio mortalmente... Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976].
Da un racconto di Setti, invece: ... Walter intanto, che si vede la pistola dell'agente puntata a bruciapelo contro il torace, anziché tentare la fuga come gli aveva suggerito "Tito", tenta di disarmarlo, ma l'agente gli esplode un colpo micidiale al cuore, prima di buttarsi anche lui a capofitto con il suo collega per la discesa e raggiungere in quattro salti il greto del fiume Impero...].

Setti e Risso riuscirono, dunque, fortunosamente a salvarsi.


Relazione sull'uccisione e sui funerali di Walter Berio, fatta da Giancarlo Luca Pajetta - Fonte: Fondazione Gramsci


Ai funerali di Walter Berio, che richiamarono molti partigiani dalle montagne, prese parte anche Pietro Rovere, che lasciò scritto in una testimonianza custodita presso l'Archivio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia quanto segue: ... la salma in entrambe le due notti fu vegliata da partigiani, che approfittavano dell'oscurità per scendere a valle (...) Il feretro venne seguito da una folla enorme... i picchetti armati della ricostituita milizia fascista, impressionati dalla piega che prendeva l'avvenimento, si schierarono ai lati della strada facendo sull'attenti il presentat'arm al passaggio del feretro, portato a spalle  dai compagni del caduto...

Appunti del 1° dicembre 1943 sull'organizzazione comunista di Imperia, stesi da Giancarlo Luca Pajetta - Fonte: Fondazione Gramsci

Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999