martedì 4 giugno 2024

Era partita una donna con l'incarico di spiare i garibaldini

Pompeiana (IM)

29 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 233/SIM, al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che una donna, figlia di una persona uccisa dai partigiani, intendeva fare catturare "Veloce" dalle SS, per cui, essendo risaputo che scendeva spesso a Pompeiana (IM), sottolineava che occorreva avvertire quel garibaldino del pericolo incombente.
31 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militare] "Fondo Valle" della II^ Divisione "Felice Cascione" all'Ufficio informazioni e spionaggio della I^ Zona Operativa Liguria - Relazionava che "... nella giornata in corso sono stati fucilati 10 garibaldini prigionieri lungo la salita di Capo Berta come rappresaglia all'uccisione di 2 tedeschi. Il mio cuore sanguina troppo per commentare. La causa di tutto è la famosa donna che ben conoscete..."
10 febbraio 1945 - Dal CLN di Genova al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Invito a processare il signor Bossi e la moglie per tradimento.
22 febbraio 1945 - Documento con il quale ai quadri partigiani interessati si trasmetteva la descrizione fisica della spia Rina Bocio, del servizio informazioni del nemico: "alta 1,65 metri, bruna, capelli corti, molto scura in viso..."
23 febbraio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando del I° Battaglione "Carlo Montagna" - Venivano richieste informazioni di carattere organizzativo e si emanava l'ordine di arrestare la signorina "Vera" di Montegrazie [Frazione di Imperia] che, già inquadrata nella I^ Brigata partigiana, era diventata ausiliaria della divisione fascista San Marco, nonché di sorvegliare il fidanzato di quella, un altro ex garibaldino, "Daladier".
7 marzo 1945 - Dalla GNR comando provinciale, ufficio servizi, prot. n° 3124/B.5P, al nucleo della polizia investigativa della GNR di Alassio (SV) - Si indicava al maresciallo Ferrero di chiedere alla signora Ernesta Ordano informazioni sui "ribelli" della zona di Stellanello, numero, movimenti, nominativi delle famiglie che li informavano, dato che la signora voleva la cattura della figlia che faceva parte dei "ribelli" in quella zona.
7 marzo 1945 - Da Ernesta Ordano al nucleo della polizia investigativa della G.N.R. di Alassio (SV) - Riferiva che la figlia, partigiana "Paola", era armata di pistola e moschetto, che il numero di "ribelli" a Stellanello era imprecisato, perché "tutta Stellanello ne è infestata", e forniva un elenco, con annotazioni sui singoli, di cittadini di Villarelli [Frazione di Stellanello (SV)], sottolineando che erano "tutti a favore dei fuorilegge" (nel fascicolo sono presenti anche due lettere del marito alla Ordano per tranquilizzarla sulle "buone intenzioni della polizia investigativa").
15 marzo 1945 - Dal CLN di Alassio alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, in risposta alla lettera prot. n°1/83 del 9 marzo 1945, erano state date disposizioni verso il Brinis residente ad Alassio; che riguardo a "Scippa" era stato informato il CLN di Albenga; che si stava indagando su "Pippo" e "Giacomo"; ... che in giornata era partita una staffetta recante notizie di Ernesta [Ordano, rivelatasi presto una spia nemica] e del marito Vittorino "Barbetta".
27 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110 bis, al CLN di Alassio ed al comando della VI^ Divisione - Chiedeva quale fosse la data per l'arresto ed il processo alla spia Ernesta Ordano, stabilita in un primo tempo per il 26 marzo, ma fatta annullare, come riferito da "Lillo", dal CLN di Alassio...
29 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava, in riferimento alla lettera del SIM prot. n° 107 del 21 marzo 1945, che la signora Scialdema era "partita per ignota destinazione"; che si stava praticando "una stretta sorveglianza" sulla signora Maria Raffaello...
28 marzo 1945 - Da "Carmelita" al C.L.N. di Sanremo - Segnalava che ... un'altra informatrice era una donna sudamericana di nome "Pegg", intima amica del Neri stesso.
30 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM [responsabile "Livio", Ugo Vitali] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Avvertiva che "... alla Prefettura di Imperia si trova una donna che funge da interprete: risulta facilmente corruttibile dal punto di vista sentimentale..."
2 aprile 1945 - Da "Violetta" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che "... sussistevano gravi indizi a carico della concubina del commissario Franco [Giovanni Trucco caduto in combattimento a Trovasta il 27 marzo], signora Angiolina, che era con i tedeschi a San Luigi..."
2 aprile 1945 - Da "Sergio" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava... che Vittorio Castellani, di professione carrettiere, aveva fornito informazioni alla già nota Ernesta Ordano...
3 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 126, al comando della VI^ Divisione - Si segnalava l'individuazione della spia Rina Boero a Gazzo [Frazione di Erli (SV)].
3 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando del Distaccamento "Franco Piacentini" ed al comando del Distaccamento "Marco Agnese" - Segnalava che da Alassio era partita una donna, di cui veniva fornita la descrizione fisica, "diretta verso la montagna con l'incarico di spiare i garibaldini".
7 aprile 1945 - Da "Biscio" alla sezione S.I.M. della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che dopo la cattura degli uomini del Distaccamento di "Franco", Angiolina [Angela Bertone], ex fidanzata del commissario di quel Distaccamento, aveva accompagnato i tedeschi in una puntata su Vergana con la quale i nemici avevano bruciato 25 case, tra cui quella di "Ilda" [Gilda Piana], informatrice della Divisione, la quale aveva già subito un arresto sempre per opera della ricordata Angiolina...
11 maggio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Carlo Montagna" [comandante Giovanni Alessio "Peletta", commissario politico G.B. Pastorelli "Sferra"] della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" [comandante Umberto Bonomini "Brescia", vice comandante Angelo Setti "Mirko", commissario Mario Bruna "Falco"] della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione - Comunicava che... il 16 aprile 1945 una pattuglia del III° Distaccamento "Nino Stella" [comandante Maurizio Massabò "Italo"] a Piani [Frazione di Imperia] aveva catturato insieme alla moglie il soldato "Romolo", nota spia ed aveva passato entrambi per le armi.
da documentiIsrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Anche nel caso riguardante Angela B. guerra civile e guerra tra i generi si contaminano <232. La donna aveva fornito informazioni ai reparti tedeschi di stanza ad Acquetico (in provincia di Imperia) a proposito di una banda partigiana di cui faceva parte anche il fidanzato, Nino D. In seguito i tedeschi operavano un rastrellamento, catturavano e uccidevano dodici partigiani, tra cui lo stesso fidanzato di Angela. La ragazza lavorava per i tedeschi, come addetta alla cucina, si era legata in una nuova relazione amorosa con un milite fascista repubblicano, e secondo un informativa del 30 aprile 1945, aveva avuto relazioni sessuali con altri soldati <233. L’informatore ricordava che “in paese correva voce che quest’ultimo [Nino D.] fosse nei confronti della fidanzata molto geloso e talvolta - per pretesa infedeltà - minaccioso e violento” <234 e dunque non escludeva che “l’incriminata [avesse] fatto la spia per togliere di mezzo il fidanzato e salvarsi così dalle sue giustificate reazioni, non esclusa quella di toglierle la vita” <235.
Tra queste vicende in cui si intrecciano amore, sesso e morte, devono essere menzionate anche quelle riguardanti alcune prostitute, che troviamo spesso tra le imputate di collaborazionismo. In alcuni casi si ravvisa un intreccio tra la loro attività professionale e le delazioni che esse compiono al fine di far arrestare dei partigiani o dei loro sostenitori. Entrando in intimità con i loro clienti infatti spesso potevano carpire notizie sull’identità clandestina o su dislocazioni di bande e armi, e non esitavano quindi a informarne le autorità competenti, spesso per denaro, per ottenere piccoli vantaggi o per rovesciare le dinamiche di potere sui loro clienti. Spesso sono infatti i deboli, gli esclusi della società ad avvicinarsi al potente di turno per riscattarsi dell’emarginazione subita e per rivalersi su chi li sfruttava in tempo di pace.
Si riporta per esempio la vicenda che coinvolge due prostitute imperiesi, Silvana M. e Alba P., accusate di aver provocato l’arresto di un partigiano <236. Dalle testimonianze e dalle deposizioni delle imputate si evince che Alba P. aveva incontrato in strada il partigiano, che conosceva di vista e che gli aveva chiesto di organizzare un incontro con Silvana M., con la quale desiderava avere un rapporto sessuale. Alba P. lo aveva accompagnato nella loro abitazione, dove però Silvana si era rifiutata di soggiacere ai desideri dell’uomo. Tuttavia i tre erano rimasti per un po’ a parlare e l’uomo aveva confidato alle due donne di essere un partigiano, fornendo anche alcune indicazioni più precise sulla sua attività. Silvana M. si allontanava allora per circa dieci minuti con il pretesto di avere un appuntamento con un suo amico marinaio. Una volta rientrata in casa, dopo qualche minuto, si udiva un fischio e la donna si allontanava precipitosamente. Subito dopo irrompevano quindi nell’abitazione quattro o cinque tedeschi armati che dichiaravano immediatamente in arresto il partigiano, mentre altri tedeschi sostavano all’ingresso del portone. Fra i tedeschi era presente anche certo Fritz, amante della stessa Silvana M. <237.
[...] Nel dicembre 1944 per esempio Giuseppina C. e sua sorella si erano trasferite da Mondovì a Vasia per partecipare alla stagionale raccolta di olive. Durante la loro permanenza nel paese, avevano stabilito rapporti di amicizia con un gruppo di partigiani, con i quali si intrattenevano spesso, e in particolare Giuseppina si era fidanzata con uno di loro, Giuseppe S. La loro relazione era trascorsa serenamente, finché il partigiano aveva trovato una lettera scritta dalla donna a un milite della compagnia Ordine Pubblico (OP) di Savona. Dalla deposizione dello stesso partigiano al processo sembra che il contenuto della missiva fosse privato, sembra insomma che la donna avesse anche col milite fascista repubblicano una relazione amorosa. Tuttavia Giuseppina e la sorella furono sospettate e accusate dai partigiani di essere delle spie infiltrate e, dopo otto giorni di reclusione e dopo aver subito un processo da un Tribunale partigiano, furono portate in una località appartata e fucilate. La sorella di Giuseppina moriva sul colpo, mentre lei, riusciva a salvarsi. Ferita a una gamba, si fingeva morta e successivamente riusciva a raggiungere la compagnia OP di Dolcedo e a mettersi quindi in salvo. La mattina seguente si offriva di guidare i soldati nella zona, per rintracciare il corpo della sorella. Veniva quindi avviata un’azione di rastrellamento durante la quale venivano incendiate diverse abitazioni <239.
[...] Ancora, Erminia O. era una fervente fascista ed era sposata con un maresciallo della Gnr che, il 28 agosto 1944, fu prelevato e ucciso dai partigiani. Erminia stessa, precedentemente, era stata catturata e le erano stati tagliati i capelli, ma successivamente era stata rilasciata. Dopo l’uccisione del marito aveva così pronunciato l’intenzione di farla pagare ai resistenti. Secondo le accuse avrebbe quindi indicato i nominativi di sette partigiani della zona di Case di Nava (Imperia), uno dei quali sarebbe poi stato fucilato <252.
[...] Per alcune la violenza è metodo della guerra ideologica, che si collega a quella che è stata definita la “prima guerra civile” degli anni ’20. Maria S. infatti rivendica con orgoglio la propria appartenenza alle squadre d’azione dell’imperiese e le proprie azioni violente <263. Il 23 marzo 1939 infatti scriveva al segretario federale del Pnf di Imperia per richiedere la qualifica di squadrista:
"Io sottoscritta Rag. S. Maria, impiegata di ruolo nel comune di Sanremo, donna fascista iscritta al Pnf dalla fondazione, madre di 5 figli (4 viventi), porge rispettosa istanza a V. S. Ill.ma affinché voglia compiacervi e riconoscere e concedermi la qualifica di squadrista per mio alto onore e ad esempio dei miei quattro figli!
Specifico che negli anni 1920 e seguenti ero studentessa ad Imperia […] fui delle primissime fasciste ed appartenni alla squadra d’azione studentesca […]. Il capitano R[…] Giuseppe potrà confermare che ero con lui nella squadra quando diedero le salde manganellate al professor B [...] sul piazzale delle nostre scuole a Porto Maurizio […]
Io sono quella studentessa fascista che con il capitano R […], P[…], tenente di vascello R […], rag. Mario M […], rag. M […], capitano C […], durante gli scioperi ferroviari nella stazione di P. Maurizio, ho attaccati due vagoni merci, ad un vagone viaggiatori il tutto pilotato da studenti[…] sfidando il pericolo minacciato che avrebbero fatto saltare il treno […]" <264
Aderire al fascismo repubblicano dovette dunque sembrarle una naturale continuazione di quella sua attività ante-regime: collaborava infatti come informatrice con brigate nere e SS tedesche, provocando arresti e rastrellamenti. Dai testimoni al processo venne descritta come donna violenta, che si aggirava armata per il paese alla ricerca di notizie scottanti da riferire ai suoi superiori. Così per esempio la descriveva un suo compaesano:
"[…] è risultato che la S. Maria collaborava in tutti i modi con le SS tedesche, tanto che andava armata di pistola, che portava dentro la borsetta, arma che nessun’altra si sarebbe permessa di portare se non fosse stata autorizzata, come era lei, e se non avesse avuto i motivi per portarla" <265.
Maria S. fu responsabile solo indirettamente dei rastrellamenti, informando le autorità competenti della presenza di partigiani, tuttavia dimostrò sempre un carattere aggressivo. Diverse vittime riportavano alcune sue espressioni, in cui manifestava le sue intenzioni di agire in modo violento. Diceva per esempio Assunta G. nel verbale del 4 luglio 1945 nella stazione dei Carabinieri di Sanremo:
"[…] Allora la S. aggiunse che [se] le avessero dato il comando a lei per 4 o 5 ore avrebbe distrutto tutti i ribelli e gli avrebbe tagliato gli organi virili e glieli avrebbe fatti mangiare prima di ucciderli" <266.
[...] Nei giorni seguenti proseguivano poi le azioni per sgominare la banda partigiana con cui era entrata in contatto la “donna velata”: tra il 13 e il 14 gennaio [1945] venivano arrestati alcuni componenti della formazione, tra cui Adolfo S. e Girolamo A., che venivano sottoposti a giudizio di fronte a un tribunale militare tedesco insieme ad un’altra ventina di uomini. Durante il processo, in seguito alle accuse mosse dalla stessa donna, veniva decretata la pena di morte, eseguita tramite fucilazione nei giorni successivi <276.
Lo stesso 14 gennaio, Maria Z. partecipava a un rastrellamento nella zona di S. Agata condotto da italiani e tedeschi insieme. Uomini e donne venivano prelevati dalle proprie abitazioni e portati sulla piazza della chiesa, dove a uno a uno erano interrogati con i soliti metodi brutali. Giovannina M., che aveva conosciuto Maria Z. personalmente durante la sua permanenza tra i partigiani nel novembre 1944 e a cui aveva confidato che il proprio fidanzato, Carlo M., era un partigiano, per esempio dichiarava:
"Dopo circa due mesi e precisamente il 14 gennaio u.s. durante un rastrellamento effettuato in Sant’Agata, mi rividi nella mia abitazione, mentre mi trovavo a letto, la donna velata, la quale avvicinatasi al mio letto nell’impormi di alzarmi mi diede uno schiaffo. Poi, dietro il fatto della mia confidenza fattale, come sopra ho detto, essa donna velata mi chiese dov’era il mio fidanzato. Dopo averle risposto negativamente essa mi portò unitamente ad elementi nazifascisti nella Piazza della Chiesa, ove venni ancora interrogata e di nuovo picchiata dalla donna velata, dal tenente F. e da alcuni tedeschi. Dopo di ciò fui portata nella caserma “Muti” di Porto Maurizio ove rimasi rinchiusa per circa una settimana ed in seguito liberata" <277.
Raccontava anche Ernesto R., sfollato nel comune di S. Agata [n.d.r.: in effetti, Frazione del comune di Imperia]:
"[…] Dopo che siamo stati riuniti sulla piazza, ad uno ad uno venivamo chiamati in disparte e dopo un breve interrogatorio venivamo picchiati a sangue dai sopraddetti dirigenti l’operazione di rastrellamento. Quando fu la mia volta, fui interrogato dalla Z. Maria, la quale insisteva perché le dessi i nomi dei partigiani del paese. Alle mie risposte negative, che d’altronde dichiaravo di non conoscere nessuno del paese essendo ivi sfollato, la Z. Maria mi percuoteva a sangue sul viso con la pistola che essa teneva, gridandomi in faccia che lassù eravamo tutti ribelli e che nessuno voleva confessarlo. Finito il rastrellamento io e altro gruppo di circa quindici rastrellati fummo condotti a Imperia nella Caserma della Gnr ove parte di noi venne nuovamente interrogata e malmenata. Dopo circa un’ora io ed altre sei persone fummo rilasciati mentre gli altri venivano avviati alle carceri <278.
Tra gli arrestati vi era anche Faustino Z., partigiano che aveva accompagnato la donna velata tra le formazioni di montagna nel novembre 1944. Svegliato alle 5 di mattina da colpi alla porta, veniva portato nella piazza della chiesa con gli altri abitanti della zona, dove ardeva un fuoco in cui veniva gettato. Mentre le fiamme incominciavano a bruciare gli abiti, veniva preso e accompagnato di fronte al tenente F. e a Maria Z., che lo interrogavano e lo picchiavano a sangue. Trasportato in caserma, dove era di nuovo interrogato e malmenato, e i militi organizzavano una falsa fucilazione per convincerlo a parlare. Veniva invece trattenuto nelle locali carceri fino al 23 aprile, quando riusciva ad evadere <279.
[...] Nella maggior parte dei casi invece le donne vengono tosate per aver compiuto delazioni o perché accusate di simpatie per il fascismo. È il caso per esempio di Erminia O., a cui nel giugno 1944 nell’imperiese erano stati tagliati i capelli perché di sentimenti fascisti. La violenza può essere interpretata come un avvertimento per la donna e i suoi familiari, tanto che dopo questa vicenda, due mesi dopo, nell’agosto 1944, veniva prelevato e ucciso il marito, maresciallo della Gnr <384.
[...] Alla rappresentazione di “mogli-mostro” si oppongono invece quelle di mariti non solo deboli vittime, ma anche succubi marionette nelle mani delle loro consorti, come si evince dal caso dei coniugi B., processati insieme dalla Cas di Imperia per essersi posti al servizio delle SS tedesche e aver compiuto delazioni. Nelle denunce a carico dei due è la donna ad essere descritta come principale responsabile dell’attività delittuosa. Ida D. viene infatti definita una donna “volgare, di pessima moralità, e capace di qualsiasi cattiva azione”, ritenuta la responsabile dell’attività delittuosa del marito, colpevole invece soltanto di assecondare le pressanti richieste della moglie. Emerge insomma l’immagine di una moglie che istiga il marito e che dunque può essere considerata l’unica colpevole morale dei fatti, come si rileva dalla denuncia del commissario di polizia di Sanremo del 14 giugno 1945 e dal rapporto del nucleo della polizia giudiziaria presso la Cas di Imperia del 19 giugno 1945:
"Da accertamenti eseguiti nei confronti dei coniugi in oggetto indicati è risultato che la moglie del Burchi fascista sfegatata istigava il marito a porgere denuncia presso il Commissariato di Polizia di Sanremo contro antifascisti e patrioti, avvalendosi della sua qualità di Brigadiere di polizia. Tutte le denunce a carico dei coniugi B. dovrebbesi attribuirle in causa prima alla moglie Ida, perché insisteva presso il marito di denunciare presso l’Ufficio di polizia" <523.
"La B. Ida era iscritta al Pfr e svolgeva continua attività a favore del partito stesso. La stessa era in relazione con le SS tedesche, tanto che quando essa si recava al comando di queste, era ricevuta immediatamente. Essa istigava sempre il marito, B. Silvio, brigadiere di PS, perché, avvalendosi della sua qualità, procedesse a denuncia di tutte le persone che manifestavano sentimenti antifascisti o che comunque fossero contrari al cessato regime" <524.
[...] Le donne che sconfinano nel campo d’azione maschile vengono quindi descritte non solo come prive dei caratteri femminili, ma anche in forme disumanizzate, come esseri ferini: Salvatore C. per esempio si riferisce all’imputata sempre con l’appellativo di “belva”, e fa riferimento inoltre alle sue “tigrine sembianze”. Altre volte l’accostamento non è solo con le bestie, ma con esseri malvagi e diabolici, assetati di sangue, rinviando al topos letterario della donna-vampiro <541.
[...] Le donne sono quindi presentate come madri che incoscientemente agiscono per il bene dei figli. Lo stesso artificio retorico è utilizzato anche nel caso di Rosa P., imputata presso la Cas di Imperia per aver denunciato un uomo che aveva espresso pubblicamente le sue opinioni antifasciste, in contrasto con le posizioni del figlio, arruolato nella Brigata nera. Già nell’interrogatorio del 17 giugno 1945 la donna sosteneva di aver agito “non per odio, bensì per dolore dell’unico mio figlio esposto a tanti pericoli” <549. Lo stesso giudice, pur ritenendo la piena consapevolezza dell’imputata nelle conseguenze che la sua delazione avrebbe comportato e che comportò, essendo stato l’uomo poi fucilato da militi della Gnr, e dunque ritenendola colpevole, ritenne però di doverle accordare le attenuanti generiche, “per la sua qualità di madre”, diminuendo così la sua pena da dieci anni a quattro anni e cinque mesi <550. Infine l’avvocato difensore continuava a solcare questa strada nell’intento di scagionarla definitivamente, nel ricorso in Cassazione, in cui sosteneva:
"In lei e nella sua azione non vi era che lo sfogo istintivo ed impulsivo di una madre che, colpita nel suo profondo dolore e ben lontana dal provvedere quelle che la sentenza definisce “le gravi conseguenze che ne sarebbero derivate”, non pensa più in là del fatto immediato e contingente" <551.
[...] Dello stesso avviso risulta il marito di Maria Delfina R., condannata dalla Cas di Imperia a 9 anni di reclusione per essere stata una fervente fascista, per essersi arruolata tra le ausiliarie di Imperia e per aver provocato un rastrellamento nel paese di Montegrazie, il quale così si esprime in un esposto al Presidente della Corte di Cassazione dell’11 novembre 1945:
"Il 3 agosto mia moglie venne processata e su accusa di 5 o 6 persone di Montegrazie, tutte imparentate tra loro, che avevano dei rancori personali verso la famiglia di mio suocero per vecchie questioni d’interesse, venne condannata a 9 anni per propaganda fascista. […] Credo che dopo tanti anni di guerra e di lontananza dalla famiglia, quella famiglia che ho sempre anelato di possedere e che il destino avverso non mi ha fatto mai godere, abbia quasi il diritto di vivere un poco in pace. È il grido di dolore di un reduce, che ha combattuto tutta la guerra sul mare […] E pensare che se fossi rimasto a casa, con la mia guida, con la mia presenza tutto questo non sarebbe successo. Ecco ciò che amareggia ancor di più noi reduci: aver subita la guerra ed aver trovato casa e famiglie distrutte, e cioè senza colpa alcuna" <568.
[NOTE]
232 Asge, Cas Imperia, fasc. 64/45.
233 Rapporto di Angiolina Bertone del 30 aprile 1945, in Ivi, ff. 12-14.
234 Ivi, f. 12.
235 Ivi, f. 13. La Cas di Imperia il 19 febbraio 1946 assolve l’imputata per insufficienza di prove. Cfr. sentenza, in Ivi, ff. 32-36.
236 Asge, Cas Imperia, b. 34, fasc. Silvana M. e Alba P.
237 Denuncia della Questura di Imperia del 27 luglio 1945, in Ivi, f. 3. Con sentenza del 10 settembre 1945 inoltre la Cas di Imperia condannava a 6 anni e 8 mesi di reclusione Silvana M. con la concessione delle attenuanti generiche in considerazione del fatto che “la denuncia non ebbe esito funesto e che era dovuta, più che a gravità d’animo, all’ambiente in cui sciaguratamente viveva […] ed alle suggestioni del suo amante tedesco”. Alba P. invece veniva assolta con formula piena per non aver commesso il fatto. Cfr. Sentenza contro Silvana M. e Alba P.del 10 settembre 1945, in Ivi.
239 Non si può sapere se effettivamente le due donne fossero o meno informatrici infiltrate, tuttavia la Cas di Imperia il 1/10/1945 assolve l’imputata perché il fatto non sussiste, accogliendo l’istanza difensiva di Giuseppina Comino che sosteneva di aver guidato i militi fascisti in rastrellamento solo al fine di ritrovare il cadavere della sorella. Cfr. Asge, Cas Imperia, fasc. 54/45.
252 La Cas di Imperia tuttavia con sentenza del 28 novembre 1945 la assolveva per insufficienza di prove, cfr. Asge, Cas Imperia, b. 35, fasc. 60/45 Erminia O.
263 Asge, Cas Imperia, b. 34, fasc. 36/1945 Maria S. La Cas di Sanremo con sentenza dell’11 gennaio 1946 condanna l’imputata a 11 anni e 6 mesi di reclusione. In data 13 novembre 1946 però la Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio perché il reato risulta estinto per amnistia. Sulle donne squadriste, cfr. D. Detragiache, Il fascismo femminile da S. Sepolcro all‟affare Matteotti. 1919-1925, «Storia contemporanea», a. XIV, n. 2, aprile 1983, pp. 211-251.
264 Istanza di Maria S. al segretario federale del Pnf di Imperia del 23 marzo 1939 per richiedere la qualifica di squadrista, in Ivi, f. 39.
265 Verbale di Gastone L. di fronte ai carabinieri di Sanremo del 2 luglio 1945, in Ivi, f. 25.
266 Verbale di Assunta G. del 4 luglio 1945, in Ivi, f. 27.
276 Dichiarazioni di Alfredo T., capoguardia delle carceri di Imperia, del 21 settembre 1945 e del 21 gennaio 1946, in ivi, ff. 16-17; Dichiarazione di Silvio R. del 13 agosto 1945, in ivi, f. 18.
277 Dichiarazione Giovannina M. del 19 novembre 1945, in ivi, f. 31.
278 Dichiarazione di Ernesto R. del 15 novembre 1945, in ivi, f. 32.
279 Dichiarazione di Faustino Z. del 14 gennaio 1945, in ivi, ff. 35-37.
384 Asge, Cas Imperia, fasc. 10/1945, Ermina O.
522 Istanza di grazia da parte della madre di Margherita A. del 16 marzo 1956, in Acs, Ministero grazia e giustizia, Direzione generale affari penali. Grazie casellario. Ufficio grazie. Collaborazionisti, b. 61, fasc. 012323, Margherita A.
523 Asge, Cas Imperia, b. 39, fasc. Ida D., f. 22.
524 Ivi, f. 29.
541 A proposito di Rosa S., accusata di aver ingiuriato e percosso un partigiano, averlo denunciato e assistito alle sevizie, in una denuncia a suo carico per esempio si dice che dopo averlo bastonato, “ancora non esaudita la sua sete di sangue” continuava a persiguitare il malcapitato, assistendo alle torture durante il suo interrogatorio. Cfr. Asto, Cas Torino, 1946, b. 256, fasc. 119, f. 9. La visione delle donne armate come minaccia alla virilità e un attentato alla mascolinità è riscontrabile anche nella descrizione di Maria S., già citata sopra a p. 83, delineata da una testimone a carico che ricorda che la donna manifestò il suo intento di abbattere il movimento partigiano, dicendo che “se le avessero dato il comando a lei per 4 o 5 ore avrebbe distrutto tutti i ribelli e gli avrebbe tagliato gli organi virili e glieli avrebbe fatti mangiare prima di ucciderli”, cfr. Verbale di Assunta G. del 4 luglio 1945, in Asge, Cas Imperia, b. 34, fasc. 36/1945 Maria S., f. 27. Sulle donne-vampiro, B. Dijkstra, Idoli di perversità,cit.; Id., Perfide sorelle. La minaccia della sessualità femminile e il culto della mascolinità, Milano, Garzanti, 1997.
549 Asge, Cas Imperia, b. 39, fasc. Rosa P., f. 7.
550 Sentenza della Cas di Imperia del 20 luglio 1945, in Ivi, ff. 12-13.
551 Ricorso in Cassazione del 23 luglio 1945, in Ivi, f. 18.
568 Esposto di Evaristo M. al Presidente della Suprema Corte di Cassazione di Roma del 11 novembre 1945, in Asge, Cas Imperia, b. 39.

Francesca Gori, Ausiliarie, spie, amanti. Donne tra guerra totale, guerra civile e giustizia di transizione in Italia. 1943-1953, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013