venerdì 7 aprile 2023

Le barbare uccisioni, a distanza di mesi, di due partigiani del Dianese

Diano Arentino (IM): Foto: Marco Bernardini su Flickr

Sulla giustizia partigiana, vorrei dire un mio parere ampliando il discorso in merito a quanto hanno detto altre persone, che non avevano visto niente e con la Resistenza non avevano niente a che fare; che parlavano per sentito dire e, romanzando in senso negativo i fatti, hanno contribuito senza rendersene conto a denigrare la Resistenza e sono divenuti, quindi, involontariamente strumenti dei nemici della stessa. Mi capitò diverse volte di assistere a processi di singole persone, spie o soldati nazifascisti da noi catturati, giudicati dai tribunali di brigata, con un partigiano che aveva la funzione di loro difensore, e condannati a morte per aver commesso gravissime crudeltà. Il tutto si faceva in segreto per cui il condannato non veniva messo a conoscenza della sentenza, e veniva fucilato senza che se ne accorgesse. Si usava questo sistema, diciamo "umano", perché nella mente del condannato non prendessero corpo la disperazione, il pianto, l'implorazione, il terrore della morte imminente, e quindi non dovesse moralmente soffrire prima del momento dell'esecuzione.
Invece potrei raccontare tanti casi mostruosi di partigiani caduti nelle mani del nemico e condannati a morte: interrogatori con percosse inenarrabili, torture con ferri roventi e simili; trovammo corpi di partigiani con le mani mozzate, con gli occhi fuori delle orbite, altri bruciati vivi. Racconto due episodi di cui, forse esistono ancora testimoni superstiti. Il 29 gennaio 1945 una colonna nazifascista punta su Diano Arentino: i giovani del paese tentano la fuga per sottrarsi alla cattura, ma Francesco Camiglia non ce la fa e viene catturato. Infatti, lanciatosi attraverso i tetti, i nemici lo scorgono e gli sparano contro, é colpito ad una gamba e cade in un vicolo, é raggiunto. Mentre i tedeschi pensano di portarlo a Imperia, i fascisti si impongono e decidono di impiccarlo subito. Trascinano il ferito sotto un albero e gli passano il cappio al collo. La madre, giunta in quel momento, con un urlo di dolore abbraccia il figlio e gli toglie il cappio. Ma di fronte a una simile scena i fascisti non provano compassione, strappano alla madre il corpo del figlio e, di fronte a lei che si dispera, impiccano il Camiglia definitivamente. Il 17 marzo del 1944, durante un rastrellamento tedesco, ad Ormea rimane ferito il partigiano Domenico Novaro. Ricoverato nell'ospedale locale, su delazione di una spia, dopo due giorni é prelevato. Trascinato fuori dal letto, i soldati lo portano al Comando tedesco dove viene crudelmente torturato; le sue grida sono udite dagli abitanti delle case vicine. Distrutto dal male, condotto nel cimitero della città e fucilato il mattino del 17 marzo dopo essersi dovuto scavare la fossa.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998 

Cortesia Angelo: nato a Vidor il 4 settembre 1927, squadrista della Brigata Nera “Padoan”
Interrogatorio del 3.7.1945: [...] Rimasi in servizio presso la 32^ Brigata nera “Padoan”, operante nella provincia di Imperia. Durante tale periodo presi parte a svariati rastrellamenti, circa 20, contro i partigiani. I rastrellamenti erano sempre diretti da componenti dell’ufficio politico investigativo dell’ex GNR. Molte volte vi prendevano parte anche truppe tedesche anche con elementi delle loro SS. Durante tali rastrellamenti da parte della brigata nera, cioè quando vi partecipavo io, non fu mai ucciso nessun partigiano, ne avremo catturati circa una decina che furono sempre consegnati alle SS tedesche. Non so quale fine facessero. In tutto da parte delle formazioni tedesche saranno stati uccisi circa 45 partigiani. Dei predetti parte rimasero uccisi in combattimento e parte furono fucilati sul posto. Solo uno, che io sappia, fu impiccato a Diano Arentino: ciò avvenne nel mese di gennaio o febbraio del 1945.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Durante il grande rastrellamento di gennaio 1945 il giorno 29 il nemico irrompe nella valle di Diano Marina. Quattrocento tedeschi puntano su Diano Arentino e su Diano Roncagli, in cerca dei distaccamenti e del comando della I Brigata “S. Belgrano”. I giovani di Diano Arentino tentano di sottrarsi alla cattura fuggendo per la campagna. Tra questi è il ventenne Francesco Camiglia che, trovatosi con la casa circondata, tenta la fuga attraverso i tetti vicini. Ma scorto dai tedeschi e preso di mira, cade in un vicolo colpito alle gambe. Catturato, lo trascinano presso un albero di pero nei pressi della casa di Silvio Ascheri, gli passano un cappio al collo e, ormai morente per dissanguamento, lo impiccano.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Agostini Annibale: nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945: [...] Nel dicembre del 1944, per ordine del Questore Sergiacomi, passai a prestare servizio all’ufficio politico della brigata nera in qualità di agente di polizia giudiziaria, verbalizzando tutte le operazioni effettuate dagli elementi della brigata nera. Chi interrogava erano solitamente il Maresciallo Vitiello ed il Ten. Gerli. Ho preso parte, sempre perché comandato, alle seguenti operazioni condotte dalla brigata nera: a Moltedo, Caramagna, Artallo, Diano Arentino ed altri paesi di cui non ricordo il nome.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

[...] Novaro Domenico, nato a Diano Castello (IM) 19/08/1916, residente Diano Castello, ucciso Ormea (CN) 17/03/1944, IV Divisione Autonomi, 13ª brigata “Valle Tanaro” [n.d.r.: 12 caduti]
[...] Tra il 13 e il 27 marzo avviene il grande rastrellamento che coinvolge i partigiani, comandati da Enrico Martini “Mauri”, delle formazioni militari autonome delle valli Corsaglia, Maudagna, Casotto, Mongia e Tanaro, ma le fucilazioni dei catturati proseguono a Ceva fino al 5 aprile e alcune centinaia subiranno la deportazione. L’azione è preparata fin dall’11 marzo e coinvolge l’area: Pieve di Teco, Nava, Val Tanaro, valle Mongia, Valle Casotto, Valle Maudagna, Valle Corsaglia e Ellero.
Michele Calandri, Episodio di Ormea, 13-27.03.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Colpirono secchi per primi, senza che quasi nessuno se ne accorse, Livio Fiorenza e Roberto Sasso. Giovanni Ramò lo colpirono alla testa e rimase in agonia solitaria a lamentarsi dentro una scaffa, nessuno potendolo soccorrere sempre sotto tiro. Dopo catturarono anche Domenico Novaro già ferito e nascosto nell'ospedale di Ormea; appena se ne accorsero che era lì, lo portarono sul posto al cimitero, che lo sotterrassero alla svelta. Lo finirono col mitra riverso nell'ultimo sussulto, ormai dissanguato, e lo cacciarono a pedate dentro la fossa. Alla fine tutti i patrioti fradici si sbandavano nei cespugli o ritornavano alle loro case, guardandosi bene intorno per non imbattersi nei tedeschi. Allora mandarono la cicogna, che svolazzò avanti ed indietro, frugando rasente sulla conca di Nava per stanarli dai cespugli e dai fossi, finché quando cominciò a scurirsi in tutto quel verde umido, qualche raffica stanca si perse ancora lontana. Quando fu buio del tutto continuarono con le traccianti di una mitragliera da 20 impiantata su un'autoblinda dalla Fontana del Serpente davanti alla cava del marmo.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982