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venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012

giovedì 4 aprile 2024

Ben presto la fama della Feldgendarmerie come ‘squadrone della morte’ si era diffusa nella zona dell’albenganese


Prima e ultima pagina della sentenza della condanna a morte [tramutata subito in una breve carcerazione] emessa contro Ennio Contini dalla Corte di Assise di Savona, 1945. Fonte: Francesca Bergadano, Op. cit. infra

Ad Albenga (SV), quasi sempre alle foci del Centa, tra partigiani e civili, vengono uccise dai nazifascisti più di cento persone.
Il 13 novembre 1944 a Castelvecchio di Rocca Barbena viene fucilato il civile Moreno Pietro (classe 1883), mentre il figlio Moreno Teodoro (classe 1910), arrestato, è ferito in un tentativo di fuga e, trasportato ad Albenga all'ospedale cittadino, decede per complicazioni. La loro morte è l'esito di una denuncia ben documentata per aver fornito viveri ai partigiani. La ritorsione da parte dei partigiani porta all'uccisione di Giuseppina Daldin Malco, moglie di Giuseppe Malco, commissario prefettizio a Castelvecchio, e di don Guido Salvi, un prete accusato di delazioni a favore della Feldgendarmerie.
Il primo dicembre 1944 Angelo Casanova (Falco), con una squadra di partigiani, tende un agguato mortale ad un gruppo di tedeschi nei pressi di Leca d'Albenga, in cui vengono uccisi otto tedeschi e quattro rimangono feriti. Il "Pippetta", la spia locale Giovanni Navone, denuncia gli autori di questo agguato alla Gendarmeria, ma almeno tre dei quattro arrestati sono solo parenti dei responsabili dell'agguato.
[...] Dopo una perquisizione nella casa della famiglia Navone di Villanova d’Albenga, accusata di fornire cibo ai partigiani, i membri di sesso maschile della famiglia, il padre Pietro e i figli Annibale e Alfredo, vengono catturati.
In seguito tedeschi e brigate nere si recano a Garlenda dove vengono arrestati il partigiano Esirdo Simone (Zirdo), il parroco del paese e altri due uomini nonché due donne.
Il 27 dicembre 1944 il distaccamento “Maccanò” della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" si scontra con una pattuglia tedesca uccidendone tre soldati e ferendone altri sei a nove chilometri da Albenga.
La stessa sera per rappresaglia vengono fucilati alla foce del Centa in Albenga (SV) i sei uomini, Esirdo Simone, Giovanni Fugassa, Pietro Navone, Annibale Navone, Alfredo Navone, Artemio Siccardi, e una donna, Giovanna Viale, presa il giorno precedente. Solamente il parroco di Garlenda, don Giacomo Bonavia, non verrà giustiziato ma salvato dall’intervento del vescovo di Albenga.
Il giorno successivo altri 15 ostaggi, quasi tutti residenti a San Fedele, sono fucilati alla foce del Centa a causa di una delazione delle spie Camiletti e Calderone. I condannati sono Ciarlo Emilio (nato nel 1893), Cristofori Vittorio (1908), Epolone Pio (1879), Fugassa Emilio Domenico (1904),  Fugassa Emilio Samuele (1897), Pastorino Vittorio (1897), Roveraro Angelo (1925), Semeria Giuseppe (1878), Tomati Andrea (1898), Tomati Francesco (1889) e Parolo Cirillo (1901), tutti civili. A questi si aggiungono i partigiani Faroppa Pasquale, Merlino Mario, Parolo Leonida e Roveraro Prospero.
[...] Giuseppe Calmarini (Stalinger) e Settimio Vignola (Vespa), partigiani nel distaccamento "Filippo Airaldi" della Divisione "Bonfante", scesi dai monti nell’inverno, vengono arrestati mentre si trovano nelle proprie abitazioni durante il rastrellamento di Pogli del 20 gennaio 1945, denunciati da una spiata dell'ex partigiano Luciano Ghio detto il Pisano.
Il 22 gennaio 1945 vengono fucilati alle foci del Centa insieme ad altri tre civili tutti di Pogli, Angelo Gandolfo (nato nel 1905), Ernesto Porcella (1921) e Luigi Vignola.
[...] Il 18 febbraio 1945 vengono giustiziati ad Albenga per rappresaglia De Lorenzi Pietro (Gin) nato a Vendone il 17.6.1904 (sappista), Isoleri Gino nato a Villanova d'Albenga il 26.5.1905, Cavallero Severino nato a Cuneo l'1.5.1926, Mosso Ennio nato a Villanova d'Albenga l'1.11.1904, Nano Francesco nato a Castelvecchio di Rocca Barbena il 29.1.1927, Sapello G. Battista nato a Villanova d'Albenga il 23.11.1883.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 

[ altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano con Paolo Veziano, Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 

Genovese Giacomo, nato a Catanzaro il 5 gennaio 1945, Capitano della Brigata nera “Briatore” (Giacomo Genovese venne fucilato a Vado Ligure in località Fosse S. Ermete il 29 giugno 1945 dopo essere stato prelevato con altri dal carcere di Finalborgo dove era detenuto)
Interrogatorio del 12.5.1945 nelle carceri di Savona: [...] Complessivamente la forza della brigata [nera] si aggirava sulle 150 unità, ripartite fra Vado, il posto di blocco di Albisola e servizio fisso al comando tedesco. Vi erano poi tre distaccamenti: Varazze, Albenga ed Alassio, comandati rispettivamente da Felice Uboldi e Fabbrichesi a Varazze, da Scippa prima e poi Sesta ad Albenga e ad Alassio Capello prima ed Esposito poi. Tutti questi reparti erano alle dipendenze dei tedeschi ed anzi aggiungo che i reparti di Alassio ed Albenga dovevano effettuare i servizi di pattuglia per conto dei tedeschi.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019

Quando Ennio Contini giunge ad Albenga, nel marzo 1945, lo scontro tra formazioni partigiane ed esercito tedesco è al culmine della sua ferocia; rappresaglie antifasciste e rastrellamenti della Feldgendarmerie <1 sono all’ordine del giorno. Per sua conformazione geografica (la famosa “piana” poteva essere un ottimale punto di sbarco alleato ed era allo stesso tempo molto vicina alla Francia) la zona costituiva un punto di snodo importante sia per le forze alleate sia per l’esercito germanico e in questo lembo di terra era cresciuto in modo esponenziale anche il movimento antifascista. Qui, nel luglio 1944, era nata infatti la Divisione d’assalto Garibaldi intitolata a Felice Cascione, primo comandante partigiano caduto in battaglia. Il 1944 è un anno tristemente importante per l’Italia e per Albenga, ormai nel pieno di una guerra civile. Scrive Gianfranco Simone nel suo libro "Il boia di Albenga": «Fino all’arrivo della Feldgendarmerie nel novembre 1944 l’albenganese aveva sofferto meno per la repressione nazifascista che per le incursioni dei bombardieri francesi e angloamericani» <2. La polizia militare tedesca, alla fine del novembre 1944 in risposta a continui attacchi partigiani e all’uccisione di venti militari e due spie aveva attuato le prime rappresaglie nell’entroterra di Albenga, nella zona di Ortovero e Ranzo (IM), avvalendosi dell’aiuto della Brigata Nera <3 ‘Francesco Briatore’ di Savona, a quel tempo comandata da Felice Uboldi. Ben presto la fama della Feldgendarmerie come ‘squadrone della morte’ si era diffusa nella zona dell’albenganese, accrescendosi anche per la personalità quantomai feroce e spietata di Luciano Luberti <4, chiamato ‘il Boia’. Luberti, si scoprirà solo alla fine della guerra, aveva torturato e ucciso più di un centinaio di persone. Solo la foce del fiume Centa restituirà cinquantanove cadaveri, fucilati senza pietà da Luberti e dal suo sottoposto Romeo Zambianchi, chiamato il ‘vice-Boia’.
[NOTE]
1 La Feldgendarmerie era la polizia militare dell’esercito tedesco. Era divisa in «Trupp» e di norma era formata da due plotoni, tre ufficiali, quarantuno sottufficiali e venti graduati di truppa.
2 Gianfranco Simone, Il boia di Albenga. Un criminale di guerra nell’Italia dei miracoli, Milano, Mursia, 1998, p. 25.
3 Nel giugno del 1944 era stato istituito, per volere di Alessandro Pavolini, il Corpo Ausiliario delle Squadre d’azione delle Camicie Nere. Le federazioni provinciali del Partito Fascista Repubblicano avevano preso il nome di Brigate Nere.
4 Luciano Luberti (Roma, 1921-Padova, 2002), detto ‘il Boia di Albenga’, era stato un criminale di guerra, giunto alla ribalta della cronaca anche negli anni ’60 per l’uccisione della compagna Carla Gruber. Secondo alcune fonti Luberti si arruolò nell’esercito nel 1941 ma è nel gennaio 1944, con il suo reclutamento tra le file della Wermacht che Luberti iniziò a farsi strada tra tradimenti e omicidi. Nel gennaio 1944 fu coinvolto nel rapimento di Umberto Spizzichino, ebreo suo amico, condotto nel campo di sterminio di Auschwitz, dove morì nell’agosto 1944. Sempre nel 1944 Luberti decise di passare alla Feldgendarmerie di Albenga, in veste di traduttore, ma ad Albenga uccise e torturò più di
sessanta persone (stando alla sentenza della corte d’Assise straordinaria di Savona Luberti si era reso colpevole di oltre duecento omicidi). Catturato nel 1946, mentre cercava di espatriare in Francia, Luberti venne condannato a morte e scontò sette anni di carcere. Subito dopo la sua scarcerazione Luberti tornò a Roma dove, tra il 1953 e il 1970, diede vita ad alcune iniziative editoriali attraverso l’Organizzazione Editoriale Luberti, pubblicando suoi testi come Furia (sotto lo pseudonimo di Max Trevisant) del 1964 o I camerati del 1969. Nel gennaio 1970 la compagna di Luberti, Carla Gruber, fu ritrovata morta nell’appartamento del ‘Boia’ in avanzato stato di decomposizione, uccisa da un colpo di pistola al cuore. Luberti venne arrestato per l’omicidio della Gruber solo nel 1972 e scontò, anche questa volta, solo otto anni di carcere perché «incapace di intendere e volere». Trascorse i suoi ultimi anni a Padova, tra arresti per detenzione di droga e il manicomio. Nel 1998 la Rai lo intervistò per la trasmissione "Parola ai vinti". Il ‘Boia’ morì qualche anno dopo, ospite di una casa di riposo.

Francesca Bergadano, «Il gioco irresistibile della vita». Ricerche su Ennio Contini (1914-2006): poeta, scrittore, pittore, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2017-2018

lunedì 19 giugno 2023

Quando i partigiani sono ormai fuori tiro, il nemico si libera degli ostaggi ormai inutili

Testico (SV). Fonte: Mapio.net

Mentre oltre la "28" si attendeva il lancio, verso il mare la vita continuava normale. Se a nord della Val Lerrone la zona pareva priva di partigiani ed i Comandi brigata con gli uomini rimasti continuavano la vita clandestina, nella Val d'Andora il Comando brigata era tornato all'aperto e si era installato a San Gregorio, dove arrivavano staffette e borghesi. L'avere di nuovo un punto di riferimento, un Comando di brigata efficiente, rialzava il morale di tutti, facilitava la ripresa. Pur essendo rimasti in pochi in attesa di quei del lancio, la fiducia che tra poco sarebbero stati più forti ricreava nella Val d'Andora un ambiente che da mesi era scomparso. Anche nei contadini, nei civili la fiducia tornava ed i partigiani erano di nuovo chiamati patrioti.
La polizia della I Brigata non si limitava a compiti militari: un vecchio con un sacco di maglioni e pantaloni bagnati venne arrestato ed interrogato. Affermò di essere caduto in acqua nella zona del Pizzo d'Evigno, mentre in tutta quella zona non c'era che una misera fontanella. Affermò di conoscere "Mancen" [n.d.r.: Giuseppe Gismondi, comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], ma non lo riconobbe mentre era proprio interrogato da lui. "Mancen" lo ritenne colpevole e, prima di partire per la zona del lancio, lasciò l'ordine di fucilarlo. "Federico" [Federico Sibilla, commissario della I^ Brigata] fece condurre il prigioniero a Stellanello e lo lasciò legato sulla piazza con la refurtiva ai piedi: se qualcuno avesse riconosciuto come sua la roba l'avrebbe potuta ritirare e noi avremmo fucilato il vecchio come ladro. Nessuno, nemmeno dopo qualche giorno, si presentò a rivendicare il suo. Invitammo i parroci dei paesi vicini ad avvertire i fedeli: nemmeno così ottenemmo nulla; allora il vecchio venne liberato e gli indumenti distribuiti ai partigiani. Il furto era stato consumato a Degna dove gli indumenti, lavati, erano stesi ad asciugare. Solo per caso ne venni informato ed avvertii io gli interessati che il ladro era stato trovato e ormai rilasciato. Qualche maglione lo restituii io, per gli altri i borghesi preferirono rinunciare piuttosto che sobbarcarsi qualche ora di marcia fino a San Gregorio. L'opinione pubblica cominciò a poco a poco a considerarci non più come esseri braccati e fuggiaschi, ma come una realtà organizzata ed efficiente.
Il Comando della Bonfante rientrò a Poggiobottaro il 9 aprile 1945. le varie squadre raggiunsero le rispettive bande portando il prezioso materiale del lancio e la notizia del pieno successo.
Il morale migliorò ancora; se il Comando divisionale continuava la tattica clandestina, facendo anzi costruire a Poggiobottaro un rifugio sotterraneo per la missione alleata e gli apparecchi radio trasmittenti, il cui arrivo si annunciava imminente, le bande invece ritornavano quasi ovunque  al vecchio inquadramento estivo. Venivano ripresi i pattugliamenti ed i servizi di guardia, le squadre tornavano a riunirsi, le nuove reclute continuavano ad affluire, si riprendeva la tattica dell'offensiva ad oltranza.
Col miglioramento del morale i partigiani acquistavano una maggior sicurezza, le montagne a poco a poco tornavano verdi.
"Vedi quei cespugli, quelle foglie che spuntano" mi diceva Mala una sera a Ranzo, "quella è per me la miglior propaganda. Non sono le notizie radio o le avanzate americane ad alzarmi il morale, è la primavera, sono le foglie che non tradiscono mai".
Ed infatti arbusti e cespugli offrivano mille rifugi lungo mulattiere e sentieri; le staffette tornavano a circolare, sicure che vaste zone interne erano di nuovo sotto il nostro controllo. Non è ormai lontano il giorno in cui, bloccati gli accessi delle principali vallate, appoggiate le bande l'una all'altra potremo avere uno schieramento organico come ai tempi di Rezzo e Piaggia senza la tensione e la precarietà degli schieramenti realizzati per difendere i lanci. L'intenzione di attaccare le colonne nemiche che si avventurassero nella nostra zona torna a manifestarsi. Operando congiuntamente con varie bande avremmo potuto infliggere al nemico duri colpi, obbligarlo per l'avvenire a rinunciare alle puntate per noi micidiali, obbligarlo a tornare ad operare con colonne numerose e pesantemente armate che, operando sulle carrozzabili, mancavano del fattore sorpresa e e potevano minacciarci solo saltuariamente.
Le maggiori cure del Comando divisionale vennero rivolte alla I Brigata mentre le altre subivano un rimaneggiamento dei quadri, entrando cosi in una nuova crisi di assestamento.
La I con le cinque bande schierate nella Val d'Andora era destinata ad un compito di primo piano essendo la più vicina alla costa. Il morale più alto, l'armamento ed il comando migliore facevano inoltre sperare al comando divisionale di avere un valido appoggio nel caso che il nemico attaccasse Poggiobottaro.
Dopo il lancio le bande della I estesero la zona occupata includendovi le valli di Cervo e di Diano. Il plastico esplosivo avuto col lancio venne provato da "Stalin" [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata] sul ponte di Chiappa la cui distruzione avrebbe reso più lento un eventuale attacco nemico.
Il 10 aprile due partigiani in missione a S. Bartolomeo del Cervo affrontano due tedeschi in una abitazione privata nel tentativo di disarmarli. Il sopraggiungere di rinforzi obbliga i due garibaldini alla fuga; per potersi sganciare fanno fuoco sul nemico ferendo un tedesco ed uccidendo l'altro. Otto ostaggi borghesi catturati poco dopo vengono fucilati per rappresaglia. Un tentativo partigiano di liberare i prigionieri viene impedito dalla popolazione che teme nuove ritorsioni. Il giorno dopo il nemico passa al contrattacco: colonne tedesche salgono dal mare verso Tovo e Villa Faraldi. I partigiani del "Garbagnati", che erano attestati alle Fontanelle sopra Villa Faraldi, ripiegano in cresta apprestandosi a sostenere l'urto avversario.
I tedeschi da Villa puntano sulle Fontanelle, incendiano il casone, poi avanzano verso la cima venendo a trovarsi sotto il fuoco intenso dei nostri. La lotta è accanita e lunga: i tedeschi dal basso devono avanzare allo scoperto, in salita. I primi tentativi costano loro perdite sanguinose, poi fanno entrare in azione i mortai. I colpi cadono ritmici sulla cresta e sull'altro versante, il "Garbagnati" sotto la nuova minaccia ripiega.
Dalla Valle d'Andora frattanto il "Piacentini" [altro distaccamento della I^ Brigata] è partito in aiuto ai compagni. Non era conforme alle tradizioni della guerriglia accorrere dove il nemico attaccava, pure dopo tanti mesi una banda si è mossa in direzione degli spari: "Simon" [n.d.r.. Carlo Farini, già ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, alla data corrente aveva già assunto un incarico clandestino regionale] ne sarebbe stato contento.
La manovra non è coordinata e pertanto è destinata all'insuccesso: i tedeschi ormai occupano la cresta, il "Garbagnati" ripiega per un'altra via e non incontra i rinforzi che salgono.
Le nuove reclute partigiane hanno il battesimo del fuoco in condizioni di assoluta inferiorità e devono sganciarsi rapidamente. Poco dopo anche i tedeschi ripiegano.
Da parte nostra uno solo manca all'appello: Antonio, il tedesco che era nel "Garbagnati". Diamo poca importanza alla cosa che invece avrà dopo pochi giorni conseguenze tragiche. Ignoriamo l'ammontare delle perdite nemiche.
Lo scontro del giorno 11 ha dato ai partigiani la misura della loro forza. Siamo ormai effettivamente forti abbastanza per poter affrontare e bloccare per qualche tempo il nemico sul nostro terreno.
Il morale migliora ancora dopo lo scontro, torna la fiducia ed il desiderio di misurarsi coi tedeschi anche in forti nuclei: potremo di nuovo contendere al nemico la terra che torna nostra.
Cacciato dalle Fontanelle bruciate, il "Garbagnati" si trasferisce a S. Damiano presso il M. Agnese di nuova formazione. Stalin persiste a non voler presidiare Tèstico, tranne questo punto però tutta la Val d'Andora è sotto il controllo partigiano cosicché anche il Comando divisionale si sposta a S. Gregorio assieme al Comando brigata. Giungendo dalla Val Lerrone o dal mare in Val d'Andora par di essere tornati ai tempi di Rezzo o di Piaggia.
Nelle altre vallate però il nemico mantiene ancora l'iniziativa. Il 13 una colonna fascista e tedesca piomba di notte a Ranzo e a Borghetto, preleva il segretario comunale sospetto di aver aiutato i ribelli e, dopo un rapido interrogatorio accompagnato da percosse, esasperati dai continui dinieghi, lo uccidomo gettando il suo corpo nel fiume.
La moglie dell'intendente Firminio, pur essa ricercata, riesce a stento a salvarsi.
Il 15 i tedeschi tentano un colpo che può riuscire grandioso: l'attacco alla sede del Comando Divisionale che la sera del 14 è rientrato a Poggiobottaro.
"Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione Bonfante], io ed uno del C.L.N. la notte tra il 14 ed il 15 dormiamo nel nuovo rifugio. Pensiamo che Tèstico è sempre sgombero e Poggiobottaro è fuori dalla zona controllata dalla I Brigata, gli altri, fiduciosi nella vicinanza delle bande di S. Damiano, si fermano in sede. A Ginestro il recapito staffette, che dopo il rastrellamento del 21 marzo, funziona saltuariamente ed è spesso assente, non è in grado di dare l'allarme.
Alle 8,30 del 15 aprile i tedeschi, occupata Ginestro, spingono colonne su Tèstico e Poggiobottaro. Raffiche di mitraglia improvvise e vicinissime destano "Giorgio" [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione Bonfante] e "Pantera" [Luigi Massabò, comandante della Divisione Bonfante] che che sono ancora a letto. La sede del Comando è in una casa alla periferia del paese, in pochi istanti i due comandanti, seguiti da qualcuno del S.I.M., sono all'aperto, ma il nemico li scorge e fa fuoco su di loro. Correndo tra ulivi e cespugli, salvandosi con balzi improvvisi, "Giorgio" e "Livio" [Ugo Vitali, responsabile SIM della Divisione Bonfante] passano tra le pallottole nemiche. Pantera, ripetendo il gesto di Ginestro, cammina in piedi mormorando preghiere mentre la mitraglia nemica cerca inovano di colpire quel bersaglio visibilissimo.
Quando i nostri sono ormai fuori tiro i tedeschi, che già hanno preso ostaggi a Ginestro, catturano qualche uomo a Poggiobottaro, poi si spingono su Tèstico mitragliando la piazza della chiesa per impedire ai civili che stanno uscendo da Messa, di mettersi in salvo.
Occupato il paese fu visto Antonio, il tedesco, che era stato col "Garbagnati", guidare i compagni casa per casa facendo arrestare le famiglie che, per suo invito, avevano prestato aiuto ai partigiani malati e feriti. La caccia all'uomo è brevisima: i tedeschi temono la reazione partigiana.
"Tenete duro se vi attaccano" -  aveva promesso a "Giorgio" "Mancen" - "vi dò la mia parola che verrò con i miei uomini". "Giorgio" dalla cresta dove è appostato sente con emozione le raffiche di mitraglia di quelli della I Brigata, Mancen  non aveva promesso  invano.
Quando alla testa del "Garbagnati" "Mancen" entra correndo in Tèstico i tedeschi hanno già sgomberato il paese portandosi dietro una trentina di ostaggi. I garibaldini continuano l'inseguimento: il nemico pagherà cara l'incursione. Agganciati sulla via di Ginestro dalle mitraglie partigiane i tedeschi in ritirata si coprono con gli ostaggi. Nel trambusto un prigioniero riesce a fuggire, ma i tedeschi raggiungono il loro scopo: Mancen deve sospendere il fuoco permettendo ai tedeschi di ripiegare al sicuro verso Cesio.
Prima di lasciare la Val Lerrone, quando i partigiani sono ormai fuori tiro, il nemico si libera degli ostaggi ormai inutili: una lunga raffica di mitraglia ed i trenta civili cadono uno sull'altro fulminati venti metri sotto la strada mentre si avviavano verso casa.
Il colpo di Tèstico rivelò gli errori partigiani e la gravità della situazione nemica. Se da parte nostra senza perdite eravamo riusciti a porre in fuga per la prima volta dopo mesi un forte nucleo nemico penetrato nel nostro territorio, dobbiamo riconoscere che il massacro degli ostaggi, di quelli ostaggi, è imputabile, almeno indirettamente ai due errori di Stalin. Il primo era l'aver rifiutato di fucilare il disertore tedesco come era costume partigiano di fare, concedendogli anche la libertà di osservare e fuggire. Il secondo era stato il rifiuto di occupare Tèstico che aveva dato al nemico il tempo e la possibilità di conoscere e colpire quanti ci avevano appoggiato.
E' difficile però giudicare se Stalin avrebbe potuto resistere, tenere Tèstico per il tempo necessario all'arrivo dei rinforzi e se, nel caso avesse dovuto sgomberare il paese sotto l'attacco nemico, Tèstico sarebbe stato incendiato e distrutto. E' però ragionevole supporre che il "Garbagnati" avrebbe potuto tenere.
Quale era stato l'obiettivo dell'azione nemica? Sapevano i tedeschi che il Comando partigiano era a Poggiobottaro? Le notizie che ci aveva mandato il comandante delle Brigate Nere di Alassio ci portano ad escluderlo. Ad Alassio si sapeva che forti nuclei partigiani della Brigata "A. Viani" operavano in quel di Stellanello, che un altro gruppo comandato dal tubercolotico Boris unito a bande dell'ebreo Martinengo operava in quel di Alto. "A. Viani" era il nome della banda di Russo mentre "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Bonfante], un giorno che aveva la tosse, aveva detto scherzando nella trattoria di Nasino che gli restavano pochi mesi di vita. Evidentemente qualcuno aveva udito e riferito. D'esistenza di un Comando importante a Poggiobottaro pareva quindi che il nemico non fosse informato. Era stato prudente basarsi su questa informazione isolata e regolare su tale fiducia la tattica del comando?
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 232-239 

All’alba di domenica 15 aprile 1945 (la seconda dopo la Pasqua) due colonne tedesche muovono da Cesio e da Vellego verso il piccolo centro abitato di Ginestro, frazione di Testico, ove giungono alle sette del mattino per dare inizio al rastrellamento. I militari catturano una ventina di civili, uomini e donne sorpresi nelle loro case, e li legano con corde. Poi, proseguendo la marcia, uccidono senza apparente ragione un contadino al lavoro. Alle 8.00, arrivati nei pressi della chiesa, irrompono nell’edificio, catturano altre persone e pongono tutti gli ostaggi lungo un muro sotto la sorveglianza di un soldato. Il resto della truppa, in parte, prosegue con il rastrellamento che porterà alla cattura di altri ostaggi; in parte si dirige verso Poggio Bottaro. Intorno alle 9.00 un gruppo di partigiani, dalla vicina frazione di Santa Maria di Stellanello, spara sui tedeschi permettendo a 3 degli ostaggi di fuggire. In risposta, i tedeschi tornano verso la chiesa, si appostano presso l'osteria del paese e catturano altri 3 contadini di Torria. Infine, la colonna riparte con i prigionieri al seguito. Durante la marcia, si arresta presso la frazione Zerbini per catturare altri ostaggi. L'ultima tappa è Costa Binella ove avviene la selezione dei progionieri. Vengono rilasciati 3 giovani di Ginestro, 4 donne e 4 ragazze. Queste ultime verranno poi condotte al carcere di Imperia, sottoposte a interrogatori e paestaggi e rilasciate almeno una dozzina di giorni dopo. Restano in mano ai tedeschi 27 persone: 25 uomini e 2 donne che vengono separate dagli altri prigionieri, seviziate e uccise a colpi di baionetta. I 25 uomini, legati 2 a 2 col fil di ferro, sono falciati a colpi di mitragliatrice. Dopo il massacro, i corpi risultano irriconoscibili. Nel pomeriggio della domenica e nel giorno successivo, quando i compaesani raggiungono Costa Binella per cercare di identificare le vittime, per riconoscerle devono ricorrere al loro abbigliamento (Armando Zerbone e Leonardo Arduino ricordano di aver riconosciuto i rispettivi padri “solo dalle scarpe”).
Chiara Dogliotti e Giosiana Carrara, Episodio di Testico 15.04.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

giovedì 23 settembre 2021

Il comando tedesco, aiutato dai fascisti, a Poggio di Sanremo la rappresaglia la mise in atto

Colline alle spalle di Poggio, Frazione di Sanremo (IM)

"[...] 24 novembre 1944. Altra mattinata di sole. Io sto giocando all’aperto, sul selciato della piazzetta del Dopolavoro, svogliatamente, perché, a differenza delle altre mattine, sono solo. Sento il rumore di un motore avvicinarsi. Mi affaccio dal parapetto e vedo arrivare un camion che arranca lentamente. L’automezzo entra nella stretta via che conduce alla piazza di Poggio ed sparisce al mio sguardo.
Dopo alcuni minuti rompe il silenzio un interminabile crepitio di mitraglia. Non faccio a tempo ad arrivare da mia mamma che si vede poco distante una spessa nube di fumo. In giro si sente un coro di urla e pianti. Si saprà poco dopo che i tedeschi hanno voluto, con quel gesto, vendicare l’uccisione di un loro commilitone, freddato pochi giorni prima non da un partigiano, ma da uno sbandato ubriaco. Questi, entrato nell’osteria della piazza, aveva compiuto la tragica bravata di sparare alle spalle del militare che stava giocando a carte o a bere. L’ucciso non apparteneva alle SS: era un graduato che non aveva mai mostrato crudeltà alcuna, addirittura ben voluto da tutti. La popolazione organizzò subito un funerale solenne, sperando di scongiurare la rappresaglia. Ma il comando tedesco, aiutato dai fascisti, prelevati dei prigionieri da Villa Oberg o dal Castello Devachan, la rappresaglia la mise in atto. Gli assassini, dopo avere ucciso i dieci giovani prigionieri, diedero fuoco all’osteria dove tutto aveva avuto inizio; poi, entrati nell’alloggio dal cui balcone una donna aveva gridato qualche parola ad uno dei condannati, chiamandolo per nome, distrussero e incendiarono tutto quanto trovarono, senza dimenticarsi, prima di risalire sul camion e ripartire, di ordinare che nessun abitante di Poggio si azzardasse a toccare i cadaveri sanguinanti.
Gli incendi vennero domati, la piazza rimase devastata per un bel pezzo, con i buchi lasciati dalle pallottole ben visibili su una saracinesca e un muro. I corpi, dopo un giorno o due, vennero furtivamente non sepolti, ma interrati provvisoriamente in un terreno vicino, ciascuno con attaccato a un piede un cartellino con le generalità. Tutto ciò fu organizzato dalle donne, guidate dal necroforo del paese.
[...] Mi sembra giusto ricordare, nome per nome, quei giovani torturati e uccisi dai nazi-fascisti, nostri ideali figli e nipoti:
Domenico Basso (Vincenzo) di Rocchetta Nervina (Imperia)
Giuseppe Castiglione ( Beppe) di Centuripe (Enna )
Pietro Catalano - Ventimiglia (Imperia)
Giovanni Ceriolo (Dino) - Bussana - Sanremo (Imperia)
Pietro Famiano (Piero) - Sant’Agata (Imperia)
Michele Ferrara (Magnin) - Pigna ( Imperia)
Aldo Limon - Olivetta San Michele ( Imperia)
Giobatta Littardi (Giovanni) - Pigna ( Imperia)
Paolo Selmi ( Biancon) - Genova
Ignoto
 
San Giacomo, Frazione di Sanremo (IM): Chiesa Parrocchiale

Al ritorno dall’avere trucidato a Poggio quei dieci giovani, i nazifascisti si fermarono in località San Giacomo e ne assassinarono davanti alla chiesa altri tre:
Marco Carabalona
Filippo Basso
Stefano Boero
Tutti e tre erano contadini di Rocchetta Nervina.
Poco prima della Liberazione, il 22 aprile 1945, veniva fucilato il patriota milanese Gualtiero Zanderighi (Tenore). Poggio di Sanremo ha avuto un’altra giovane vittima, Andrea Grossi Bianchi".
Chiara Salvini, Franco D’Imporzano commemora a nome dell'ANPI il 17 Novembre 2017 i martiri di Poggio uccisi dai nazisti nell'autunno del 1944, neldeliriononeromaisola, 29 novembre 2017

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): un caruggio

Il 17 novembre al termine di un  rastrellamento condotto nel centro storico della Pigna e in Frazione Poggio, sempre di Sanremo, venivano fucilati 3 civili. A Poggio vennero anche bruciate alcune case.
Il 24 novembre i nazifascisti uccisero in Sanremo altre 10 persone su 24 prelevate in alcuni paesi.
Da Pigna vennero condotti a Poggio di Sanremo per essere fucilati i partigiani Giuseppe Castiglione, Pietro Famiano, Michele Ferrara, Giobatta Littardi, Angiolino Bianconi Selmi.
Da Rocchetta Nervina a San Giacomo di Sanremo, dove vennero trucidati, Domenico Basso, Filippo Basso, Stefano Boero e Marco Carabalona.
Sempre in Sanremo venne fucilato quel giorno il sapista Giovanni Dino Ceriolo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 1999
 
Giovanni Ceriolo. Giovane bussanese ventitreenne partecipò alla Resistenza ligure nella 'prima zona" con il nome "Dino" (cfr. G. Gimelli, La resistenza in Liguria, Carocci Ed. 2005, p. 528).
L'estremo Ponente ligure era «di vitale importanza per le truppe germaniche che operarono sul confine e sulla costa... Secondo un calcolo aritmetico le brigate della prima zona risulterebbero tra quelle che hanno subito il maggior numero di rastrellamenti rispetto alle altre regioni operative della regione» (La resistenza in Liguria, cit., p. 517).
Bussana viveva in quell'epoca in una atmosfera da incubo: vi era dislocato un Comando tedesco e postazioni antisbarco erano collocate tra Bussana Vecchia e la nuova.
In quel torno di tempo il Parroco, Mons. Francesco Buffaria, fu minacciato di arresto per il rifiuto di rivelare i nomi di eventuali partigiani della parrocchia: generosamente si offerse in suo luogo Don Francesco Moro, allora vice parroco, che fu carcerato con il confratello di Arma di Taggia Don Angelo Nanni. Essi «assumono nel carcere "pur col pianto nel cuore" atteggiamenti di serenità o di allegria per tener viva la speranza negli altri prigionieri ed impedire che siano sopraffatti dal panico e dalla disperazione» (G. Strato, C. Rubaudo, F. Biga, Storia della resistenza imperiese I Zona Liguria, Sabatelli Ed. 1992, Vol. 2, p. 71).
Il Ceriolo fu arrestato a seguito di una irruzione nella sua casa e dopo dieci giorni, il 24 novembre 1944, fu sottoposto a fucilazione a Poggio di San Remo insieme ad altri nove compagni. A loro fu dedicata la piazza del triste evento col titolo "Piazza Martiri" e una lapide con la seguente scritta: Qui / la rabbia teutonica spegneva la giovinezza / di undici Martiri. / Perché il loro ricordo non muoia / e sia di esempio alle generazioni future / Poggio / incise sul marmo i loro nomi (cfr. M. Bottero, Memorie nella pietra, monumenti alla resistenza ligure, 1945‑1996, Ist. Storico della Resistenza Ligure, 1996, p. 219).
Si narra un triste episodio collegato a questa esecuzione: una conoscente di Giovanni, Maria Ceriolo, che si rivolse a lui da una finestra pronunciando il suo nome, fu punita con l'incendio della sua casa.
Redazione, Toponomastica bussanese, Sacro Cuore Bussana [Sanremo], ottobre 2015

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): un vicolo

Elenco delle vittime decedute
Basso Domenico (nome di battaglia “Vincenzo”) di Marcellino nato a Rocchetta Nervina il 17.11.1901, anni 43, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 11.05.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3209, fucilato a Poggio di Sanremo
Basso Filippo (nome di battaglia “Piccolo”) fu Stefano nato a Rocchetta Nervina il 25.11.1900, anni 43, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 6.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3208, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Boero Stefano (nome di battaglia “Stefano”) di Stefano nato a Rocchetta Nervina il 5.12.1905, anni 38, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 4.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3215, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Carabalona Marco (nome di battaglia “Marco”) fu Gio Batta nato a Rocchetta Nervina il 25.04.1900, anni 44, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 2.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3226, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Castiglione Giuseppe (nome di battaglia “Giuseppe”) fu Antonio nato a Centuripe (Enna) l' 1.06.1903, anni 41, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 29.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 10514, fucilato a Poggio di Sanremo
Catalano Pietro, civile, fucilato a Poggio di Sanremo
Ceriolo Giovanni (nome di battaglia “Dino”) di Attilio nato a Bussana Sanremo il 23.02.1921, anni 23, partigiano (Divis. SAP, V Brig.) dal 10.10.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 15242, fucilato a Poggio di Sanremo
Famiano Pietro (nome di battaglia “Piero”) di Paolo nato a Santa Agata Militello (Messina) il 25.04.1913, anni 31, sott.ufficiale di carriera in S.P.E., partigiano (II Divis. V Brig.) dal 25.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3238, fucilato a Poggio di Sanremo
Ferrara Michele (nome di battaglia “Magnin”) di Isidoro nato a Pigna il 9.06.1897, anni 47, contadino e magnino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 15.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3242, fucilato a Poggio di Sanremo
Limon Aldo, civile, fucilato a Poggio di Sanremo
Littardi G.B. (nome di battaglia “Giovanni”) di Giovanni nato a Pigna il 13.01.1914, anni 30, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 18.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 61105, fucilato a Poggio di Sanremo
Selmi Angelo o Angiolino (nome di battaglia “Biancon”) di Sabatino nato a Genova il 13.10.1914, anni 30, operaio, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 12.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 12312 fucilato a Poggio di Sanremo
Ignoto
[...]
Monumenti/Cippi/Lapidi:
Lapide in marmo - riferita a rastrellamento e fucilazione del 24.11.1944 a Poggio - iscrizione “qui la rabbia teutonica spegneva la giovinezza di undici martiri perché il loro ricordo... ..” (vengono citati 11 martiri invece di 10 perché è stato inserito anche il nominativo di Zanderighi Gualtiero caduto a Poggio il 22.04.1945) - sita in frazione Poggio Comune di Sanremo.
Edicola in pietra e cemento: lapide in marmo riferita a rastrellamento e fucilazione (fraz. San Giacomo 24.11.1944 - n° 3 caduti) - iscrizione: “colpiti da crudele piombo nazista qui caddero per un Italia libera i Patrioti.... - sita in fraz. San Giacomo - Comune di Sanremo.
Sabina Giribaldi, Episodio di Poggio e San Giacomo, Sanremo, 24.11.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): Chiesa Parrocchiale di Santa Margherita d'Antiochia

In epoca che il soggetto dice di non saper precisare, in una osteria di Poggio di S. Remo fu ucciso un militare tedesco appartenente alle 34^ divisione di fanteria.
Fu subito avvisato l'ufficio del RAITER, che si recò sul posto unitamente al soggetto e SCHMITD.
Il soggetto sostiene che in detta occasione essi si limitarono a chiedere al proprietario dell'osteria come si erano svolti i fatti.
Questi infatti disse che conosceva da diverso tempo il detto militare in quanto era già stato dislocato proprio a Poggio.
Fu poi trasferito nei pressi di Ventimiglia. Siccome aveva contratto rapporti di amicizia col proprietario, alla domenica era solito venirlo a trovare.
Anche quel giorno, come aveva fatto altre volte, il militare tedesco si era intrattenuto nell'osteria ed era vicino al banco intento a bere un bicchiere di vino, quando tre persone sedute ad un tavolo si alzarono e dopo averlo disarmato lo uccisero con un colpo di pistola.
Fatto ciò i tre, che il proprietario disse di non avere mai visto, fuggirono.
Dopo avere poi preso i connotati ed i documenti del militare il RAITER avvisò la Felgendarmeria e si pose quindi in contatto col generale LIEB comandante della 34^ divisione.
I^ FUCILAZIONE DI SEI O SETTE OSTAGGI
Ritornati al comando, il maresciallo Raiter telefonò al generale Lieb per riferire circa l'uccisione del militare.
Il soggetto sostiene di non essere stato presente quando il RAITER telefonava, né di essersi ulteriormente interessato dell'uccisione.
Solo due giorni dopo seppe che la 34^ divisione aveva fucilato sei o sette italiani quali ostaggi per l'uccisione del soldato tedesco.
Il soggetto insiste nel negare di conoscere particolari circa l'esecuzione sommaria degli italiani né di conoscere dove essi furono prelevati e sepolti.
Neanche dell'oste, che naturalmente avrebbe dovuto avere serie noie per l'uccisione avvenuta nel suo locale, il soggetto dice di saperne nulla.
Sa soltanto, o per meglio dire, ammette solo di aver saputo che a Poggio furono fucilati gli italiani per rappresaglia. 
Sintesi di un verbale di interrogatorio (Cas) a carico di Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo), verbale confluito in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

[ n.d.r.: Ernest Schifferegger, come si apprende dall'atto sopra citato, era un italiano altoatesino che, in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. La relazione dell’OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d’Assise Straordinaria di Sanremo ]

sabato 21 marzo 2020

Uccisi 6 civili a Villa Junia di Sanremo

Baiardo (IM) - Foto Moreschi

Il 17 gennaio 1945 nella zona di Baiardo Bersaglieri Repubblicani catturano i sapisti Laura Giobatta, Laura Mario, Laura Silvio Antonio, Laura Silvio Luigi e Laura Luigi “Miccia”. I cinque partigiani con il medesimo cognome, facenti parte della banda locale di Baiardo furono incolpati di aver trasportato un carico di farina da Baiardo a Passo Ghimbegna e a Vignai per rifornire i partigiani. Vennero portati a Sanremo nella Villa Negri, situata vicino alla Chiesa Russa, dove c'erano delle piccole celle. Il partigiano Laura Luigi Miccia riesce a fuggire durante un allarme aereo e a mettersi in salvo [riuscì a salire su di un tram per andare a rifugiarsi in un casolare in Località Tre Ponti di Sanremo]. Gli altri quattro partigiani furono trasferiti in un primo tempo nella Villa Ober [Oberg, Auberg...] e successivamente in un luogo poco distante, Villa Junia, dove dai Bersaglieri furono obbligati a scavarsi la fossa e quindi dagli stessi fucilati il 24 gennaio 1945.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia  

Nella vicina Sanremo (IM) la notte successiva vennero fucilati presso Villa Junia cinque partigiani della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione, che erano stati arrestati a Baiardo (IM) il 17 gennaio.  Quattro di essi portavano il cognome Laura: Gio Batta Paolo, Luigi Gino, Mario Mario e Silvio Antonio. Come segnalato anche da  "Mimosa" [Emilio Mascia] alla Sezione SIM del CLN di Sanremo, il quale avvertiva che dopo l'uccisione di "Bacucco" e l'arresto della moglie le brigate nere avevano ucciso in Sanremo 4 persone tutte di cognome Laura e che altre 20 erano state arrestate e trasferite a Sanremo dove sarebbero state processate dal nemico per connivenza con i patrioti.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Fonte: Pietre della Memoria

25 gennaio 1945 - Dal C.LN. di Sanremo, prot. n° 225/SIM, al Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa, al comando della II^ Divisione ed al comando della V^ Brigata - Relazione militare: nella notte tra il 23 ed il 24 u.s. a Sanremo erano stati uccisi 6 civili a Villa Junia in Corso Inglesi; a Taggia erano stati trucidati da SS italiane e tedesche 7 patrioti.
da documento Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II
 
Elenco delle vittime decedute
Laura Giobatta (nome di battaglia “Paolo”) di Giobatta, nato a Baiardo il 7.06.1925, anni 19, contadino, Partigiano, (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 5.06.1944 al 24.01.1945 n° dichiaraz. Integrativa 3260.
Laura Mario (nome di battaglia “Mario”) di Eugenio, nato a Baiardo il 27.08.1923, anni 21, frantoiano, Partigiano, com.te squadra, (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 10.06.1944 al 24.01.1945 n° dichiaraz. Integrativa 3261.
Laura Silvio Antonio (nome di battaglia “Antonio”) di Antonio, nato a Baiardo il 29.04.1923, anni 21, contadino, Partigiano, com.te squadra (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 10.06.1944 al 24.01.1945 n° dichiaraz. Integrativa 3263.
Laura Silvio Luigi (nome di battaglia “Gino”) di Silvio, nato a Baiardo il 13.08.1921, anni 23, contadino, Partigiano, com.te squadra (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 12.04.1944 al 24.01.1945 n° dichiaraz. Integrativa 3262.
Altre note sulle vittime:
1. Laura Luigi, fratello del fucilato Laura Mario (nome di battaglia “Miccia”) di Eugenio, nato a Baiardo il 14.11.1926, contadino, Partigiano, Commissario di Distaccamento (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 07.07.1944 al 30.04.1945 n° dichiaraz. Integrativa 4123
catturato insieme agli altri 4 partigiani (con il medesimo cognome) nella zona di Baiardo il 17.01.45 - ferito precedentemente ad un ginocchio a Carmo Langan - condotti a Sanremo nella Villa Negri e rinchiusi in cella, ma essendo invalido non era vigilato come gli altri prigionieri - durante un interrogatorio suona l'allarme aereo coglie il momento favorevole e si dà alla fuga. Riesce a prendere un tram a portarsi in località Tre Ponti dove si nasconde nel casolare di una sua campagna.
(da una memoria del partigiano Giancristiano Pesavento conservata nell'archivio ISRECIm sez. III cartella 24 bis)
Descrizione sintetica
Il 17 gennaio 1945 nella zona di Baiardo Bersaglieri Repubblicani catturano i sapisti Laura Giobatta, Laura Mario, Laura Silvio Antonio, Laura Silvio Luigi e Laura Luigi “Miccia”. I cinque partigiani con il medesimo cognome, facenti parte della banda locale di Baiardo furono incolpati di aver trasportato un carico di farina da Baiardo a Passo Ghimbegna e a Vignai per rifornire i partigiani. Vennero portati a Sanremo nella Villa Negri, situata vicino alla Chiesa Russa, dove c'erano delle piccole celle. Il partigiano Laura Luigi “Miccia” riesce a fuggire durante un allarme aereo e a mettersi in salvo. Gli altri quattro partigiani furono trasferiti in un primo tempo nella Villa Oberg e successivamente in un luogo poco distante Villa Junia, dove dai Bersaglieri furono obbligati a scavarsi la fossa e quindi dagli stessi fucilati il 24 gennaio 1945.
(Da Vol. IV della “Storia della Resistenza Imperiese” di F. Biga pagg. 123, 124 e 233;
Memoria del partigiano Giancristiano Pesavento conservata nell'Archivio ISRECIm Sez. III cartella 24 bis)
Note sui presunti responsabili:
Estremi e Note sui procedimenti:
III. MEMORIA
Monumenti/Cippi/Lapidi:
Sacrario: lapide in marmo, lapidi in marmo su tombe dei caduti partigiani iscrizione: a perenne ricordi dei Garibaldini che al sacro Ideale della Libertà immolarono le loro vite generose... (inseriti anche i nomi dei 4 partigiani)...  committente: ANPI - situata presso il Cimitero di Baiardo.
Cippo in pietra: lapidi in bronzo, riferito a combattimento, rastrellamento e fucilazione iscrizione: Baiardo ai Caduti partigiani e civili della guerra di Liberazione 1943-45 (inseriti anche i nomi dei 4 partigiani ) - committenti: A.N.P.I., Comune di Baiardo, Comunità montana intemelia, F.IV.L., I.S.R. Di Imperia - situato presso il Parco delle Rimembranze a Baiardo.
Edicola in marmo: lapide in marmo riferita a rastrellamento e fucilazione (del 24.01.45 e 12.002.45) iscrizione: a perenne ricordo dei Garibaldini (inseriti anche i nomi dei 4 partigiani di Baiardo)... che al sacro ideale della libertà immolarono le loro vite generose vittime del furore nazifascista... situata in Corso Inglesi a Sanremo
Edicola in laterizio: lapide in marmo riferita a fucilazione (del 24.01.45 e 12.002.45) (inseriti anche i nomi dei 4 partigiani di Baiardo) - Situata presso Villa Junia - Sanremo
Roberto Moriani, Episodio di Villa Junia, Sanremo, 17-24.01.45, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia