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sabato 22 giugno 2024

Un giovane caduto partigiano accomunato nella memoria all'eroico Baletta ed a un patriota di Bordighera

Lastre dedicate a Mario Ponzoni e Giovanni Olivo in Pieve di Teco (IM). Fonte: Pietre della memoria

«In quelle immagini mio padre riassumeva la sua gioventù». Lo dice Gabriella Manfredi, figlia del compianto onorevole democristiano Manfredo nel giorno dell’anniversario della Liberazione. La Manfredi ha deciso, infatti, di divulgare le memorie del compianto padre, Manfredo Manfredi.
«Costretto a sedici anni a raccogliere il cadavere del suo migliore amico fucilato da un plotone di esecuzione dell’esercito tedesco, condannato a morte dopo un processo farsa in cui non si era potuto nemmeno difendere dall’accusa di aver prodotto documenti di identità falsi per dei “banditi”. Condannato per aver aiutato i nemici dell’esercito tedesco e secondo la legge militare tedesca fucilato dal plotone di esecuzione, a diciotto anni». «Quel ragazzo si chiamava Mario Ponzoni. Mio padre aveva  16 anni, troppo pochi per andare sui monti a combattere, ma abbastanza per raccogliere i cadaveri dei fucilati dai nazifascisti», racconta con commozione Gabriella Manfredi.
«Solo dopo molti anni mio padre - prosegue la Manfredi -  iniziò a raccontare quegli episodi, che ho trascritto in forma di diario. Episodi che avevano segnato profondamente la sua vita e conseguentemente le sue scelte di impegno politico contro ogni sopruso. Il giorno dell’inaugurazione del monumento ai caduti di Pieve di Teco, posto proprio sul luogo delle esecuzioni, mio padre disse chiaramente che non aveva mai dimenticato l’odore di quei momenti. “Quell’odore del sangue sulle mie mani era il profumo della Libertà” gridò agli astanti durante il suo discorso, con la rabbia di un sedicenne che vede morire il suo amico più caro. Fu anche quella rabbia a sostenere mio padre, e molti altri come lui, in quel lungo percorso di ricostruzione di un Paese devastato ma non sconfitto. La morte di quei ragazzi ci regalò un sogno chiamato Libertà. Sta a noi coltivare quel sogno, non permettiamo a nessuno di pensare che quel sacrificio sia stato vano, che quelle giovani vite siano state spezzate per regalare la Libertà a chi non la merita».
[...]
Di seguito il “diario” di Manfredo Manfredi di quei giorni tragici concessoci dalla figlia Gabriella che ringraziamo.
6 gennaio 1945
Ecco, è successo. Hanno arrestato Mario. Mario amico mio, ti hanno portato ad Albenga, dicono ci sarà un processo! Ma tu cosa hai fatto?? Hai solo diciotto anni, che reato hai mai commesso? Non si riesce a sapere nulla, il Parroco ha detto che si informerà.  Aspettiamo, ma io ho paura amico mio.
10 gennaio
Amico mio non ci posso credere! Ti hanno processato, un tribunale militare tedesco, stasera è passato il banditore con il suo tamburo per declamare a tutta Pieve la tua condanna. Amico mio, ti hanno condannato a morte. A morte!! Il tamburo rullava, e la voce stentorea ci invitava a non uscire di casa domattina, per nessun motivo. Mario ho tanta paura, non posso immaginarti solo stasera in quella cella. Il mio cuore non regge al pensiero di domani.
11 gennaio 1945
Fa freddo stamattina, i campi sono brinati, un silenzio strano ci avvolge come un sudario. Ecco il rumore delle camionette, le portiere sbattono, i chiodi degli scarponi risuonano sul selciato, insieme a pochi secchi comandi. Nel silenzio un urlo, riconosco la voce di tua madre che grida il tuo nome tra i singhiozzi, mentre l’eco dei passi si perde. Silenzio. Spari. E ancora silenzio. Le portiere sbattono ancora, le camionette ripartono. Arriva il parroco trafelato, piange. Devo andare. Devo venire da te l’ultima volta amico mio. Ti vedo sdraiato nel campo gelato di brina. Quanto sangue, esce dai fori del tuo bel maglione verde, impregna il terreno gelato, che non è più bianco ma rosso, rosso vermiglio. Penso che il tuo maglione è verde, il tuo sangue rosso e la terra bianca di gelo. Sono i colori della mia bandiera, della mia Patria. E quell’odore, di sangue misto a polvere da sparo, non lo dimenticherò mai! Ho solo sedici anni, ma sono diventato un uomo.
Diego David, Manfredo Manfredi nel suo “diario” del 1945: «L’odore di sangue misto a polvere da sparo non lo dimenticherò mai», Riviera24.it, 25 aprile 2021 

Per la prima volta parlo pubblicamente di mio fratello Giovanni Olivo, eroe della Resistenza. Lo faccio con pudore, perché nessuna parola è efficace per esprimere il senso della sua grande e breve esistenza. Giovanni aveva 21 anni quando il 2 Marzo 1945, fucilato dai tedeschi a Pieve di Teco, donò la propria vita per un grande ideale. A me non fu concessa la gioia della condivisione come sorella: ci ha separato la differenza di età. Infatti avevo dieci anni quando lui, studente in medicina all’Università di Bologna, si rifugiò a Rezzo, dove aderì alla lotta partigiana, donando la propria giovinezza. Il suo nome è inciso sui Cippi che ricordano tutti i caduti: Arezzo, Pieve di Teco, Imperia e Bordighera.
La sua assenza-presenza è incisa nel mio cuore. La sua testimonianza è stata per me un faro di luce nei momenti in cui la vita mi ha dato modo di svolgere ruoli delicati, prima come insegnante ed educatrice, in seguito nel ruolo delicatissimo di pubblico amministratore, quale Sindaco della nostra amata Bordighera.
Ho accettato e affrontato situazioni impegnative, spesso laceranti, guardando a Lui, a mio fratello Giovanni, che offrì se stesso perché altri avessero la Vita. Ho voluto che da Rezzo, dove era stato tumulato dopo la sua morte, ritornasse a Bordighera, rispettando il desiderio dei nostri genitori.
E tornò in un giorno speciale: il 14 Maggio 1996, festività di S. Ampelio [...]
Renata Olivo in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, Anno 7, nr. 4, Aprile 2014

[...] «Per me in particolare questa cerimonia - prosegue il sindaco - ha una connotazione personale perché mia madre era nel gruppo degli arresti insieme a Mario Ponzoni. Mia mamma insegnava nelle frazioni di Pieve di Teco, era maestra e una delle staffette arrestate insieme a Mario Ponzoni che poi fu fucilato e mia mamma e le sue colleghe sono state condannate a morte ma sono riuscite in qualche modo a scappare a Cuneo e si sono nascoste per due anni. Lei non me l’ha mai raccontato e per assurdo lo sono venuto a sapere in età avanzata però è un qualche cosa che sta nell’anima perché il fratello di Mario Ponzoni, Rino, era il mio padrino ed è stata una persona indimenticabile nella mia vita. Ben vengano queste cerimonie che servono a richiamare il ricordo collettivo, gli orrori della guerra e dall’altro l’orgoglio di appartenenza alla propria terra».
«La memoria è il faro nella notte - ha sottolineato il vicesindaco di Albenga Alberto Passino - di quella notte buia che ha visto il nostro paese precipitare nell’orrore. Grazie alla Resistenza e purtroppo anche al sangue anche giovane che è stato versato siamo riusciti a lavare l’onta che il ventennio del nazi-fascismo ha portato alla rovina la nostra bellissima Italia. Grazie quindi alla Resistenza che qua celebriamo purtroppo con i suoi anche ai suoi giovani morti. Grazie a Roberto Di Ferro, medaglia d’oro al valor militare, l’Italia si è potuta riscattare ed è nostro compito come Istituzioni, come cittadini, come Anpi guardare ai giovani perché attraverso l’educazione, attraverso la scuola si possano creare occasioni di confronto, dove la memoria venga sollecitata e riscoperta affinché nulla di più brutto possa di nuovo accadere e ancora grazie a chi ha donato la vita per la nostra libertà».
«Qui ricordiamo Baletta - spiega Giovanni Rainisio, presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Imperia - un ragazzo di quattordici anni che si è schierato, ha scelto di stare dalla parte della libertà, della democrazia, di opporsi all’occupazione tedesca e al regime fascista. È stato un esempio importante, una delle sei medaglie d’oro della Resistenza della nostra provincia ed ha contribuito a far ottenere alla nostra provincia la medaglia d’oro al valor militare della Resistenza. La nostra provincia ha avuto un momento importante nella liberazione, ha avuto più di 600 caduti militari e ha quasi 800 deportati. Credo che la memoria debba essere un momento importante perché è necessario ricordare tutti coloro che si sono sacrificati ma la memoria è importante per il futuro. Se non sappiamo perché siamo qui è perché  viviamo in democrazia, in libertà in una Costituzione varata dalla Resistenza non capiamo che cosa fare per il nostro futuro e soprattutto i giovani se non sanno cos’è stata la Resistenza, se non comprendono il sacrificio che la democrazia e la libertà è costata al nostro paese è difficile che poi si impegnino per un futuro migliore. La libertà e la democrazia non sono conquiste una volta per sempre, le conquiste della democrazia vanno alimentate, sostenute continuamente perché il rischio per la pace, democrazie e libertà è sempre incombente».
«Venire a commemorare Roberto Di Ferro - conclude Vio -  è un momento in cui inevitabilmente torniamo a vivere quei momenti che hanno vissuto le nostre genti. La famiglia di Roberto Di Ferro proveniva da Malvicino ma oramai era albenganese a tutti gli effetti, un ragazzo di 14 anni che aveva adottato, scelto ed abbracciato i valori e i partigiani e i resistenti antifascisti di allora raccontavano che scelse di partecipare alla lotta partigiana consapevole dei rischi che questa comportava e con altri partigiani venne catturato qui vicino, a Trovasta, e dopo un massacro umano a cui fu sottoposto, perché si dice che i tedeschi pensavano che essendo il più giovane avrebbe ceduto alle pressioni fisiche e avrebbe quindi svelato i nomi dei compagni partigiani».
Daisy Parodi, Pieve di Teco, 79esima commemorazione di Roberto Di Ferro, «La più giovane vittima della Resistenza», Riviera24.it, 23 marzo 2024

Imputati: DESCHEIMER - Obleutnant, MENIE - Leutnant, BAUMANN - Gefreiter, KOGER - Hauptmann
Violenza con omicidio art. 185 c.p.m.g.
Parte lesa: PONZONI MARIO
Condanna a morte a seguito di Sentenza del Tribunale Militare del Battaglione tedesco (p. 11). Il Proc. gen. mil. Borsari chiede ai Comandi dei Carabinieri di ZONA svolgere investigazioni. Il 20 settembre 1946 il Gabinetto del Ministero della Guerra chiede informazioni al Land Forces Sub
Commissione A.c. di Roma (p. 25)
ARCHIVIATO DAL GIP DI TORINO (DOC. 89/0)
Relazione finale (Relatore: on. Enzo Raisi), Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti (istituita con legge 15 maggio 2003, n. 107), Approvata dalla Commissione nella seduta dell’8 febbraio 2006, Trasmessa alle Presidenze delle Camere il 9 febbraio 2006, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 15 maggio 2003, n. 107

Codice scheda:C00/00001/01/02/00010
Titolo: R.G. “Ruolo generale dei procedimenti contro i criminali di guerra tedeschi”: n. 919
Descrizione: Organo giudicante:
Procura Generale Militare presso la Corte di Cassazione:
R.G. “Ruolo generale dei procedimenti contro i criminali di guerra tedeschi”:
n. 919
Procura Militare presso il Tribunale Militare di Torino.
PM.: Dott. Luigi Gili
RGNR: 328/95
G.I.P. presso il Tribunale Militare di Torino:
Dott. Sandro Celletti
RG:1746/95
Provvedimento di “archiviazione provvisoria”:
14.01.1960 - Procuratore Generale Militare Dott. Enrico Santacroce
Provvedimento di archiviazione G.I.P.:
21.09.1995 - impossibile rintracciare gli autori e ricostruire i fatti per il lungo tempo trascorso
Indagati:
Indagato n. 1: Descheimer
Status: Militare tedesco, tenente, Comandante del battaglione di stanza a Pieve di Teco
Altri dati biografici: presidente del Tribunale militare di guerra del battaglione
Indagato n.2: Menie
Status: sottotenente
Altri dati biografici: primo assessore del Tribunale militare di guerra
Indagato n.3: Baumann
Status: caporale
Altri dati biografici: secondo assessore del Tribunale militare di guerra
Indagato n.4: Koger
Status: capitano
Altri dati biografici:
Parti lese:
Parte lesa n.1: Mario Ponzoni
Genere: maschio
Status: civile
Altri dati biografici: nato il 12.061926 a Pieve di Teco (Im), impiegato comunale. Minorenne al momento della sua uccisione.
Principali fatti contestati agli indagati:
Data e luogo del fatto: 11.01.1945, Pieve di Teco (Im)
Tipologia: violenza con omicidio
Descrizione sintetica: il 30.12.1944 Mario Ponzoni è arrestato per rilascio di una carta d’identità falsa al partigiano Berti (soprannominato Nenini) e l’11.01.1945 è condannato dal Tribunale Militare di Guerra tedesco (senza la presenza di un difensore) alla pena di morte che viene eseguita lo stesso giorno.
Reati contestati: Omicidio e violenza contro privati nemici art. 185 c.p.m.g.
Denuncia:
Tipologia denuncia: individuale
Data: 28.10.1945
Autorità ricevente: Carabinieri di Pieve di Teco.
Nominativo / Autorità denunciante: Omero Ponzoni
Tipologia denunciante: civile, padre della vittima
Sintesi denuncia: il 30.12.1944 il figlio del denunciante, Mario Ponzoni, è arrestato per rilascio di una carta d’identità falsa ai partigiani e l’11.01.1945 è condannato dal Tribunale Militare di Guerra tedesco (senza la presenza di un difensore) alla pena di morte che viene eseguita lo stesso giorno
fascicolo procura generale militare:
Documenti contenuti nel fascicolo:
Copertina fascicolo Procura Torino (frontespizio), Indice atti, Iscrizione notizia di reato, Copertine (2) fascicolo Procura Generale Militare (frontespizio), Scheda Procura Generale Militare, Appunti manoscritti, Lett. Procura Generale Militare al Governo Militare Zona US in Germania, lettera 28.03.1946 del Procuratore Generale Militare Borsari al Ministro della Guerra, lettera 08.04.1946 del Procuratore Generale Militare Borsari ai Carabinieri di Pieve di Teco, rapporto Carabinieri di Pieve di Teco con allegate dichiarazioni del testimone Ponzoni, Omero, Sentenza 11.01.1945 del Tribunale di Guerra Tedesco, Lettera 24.04.1946 della Procura Generale Militare ai Carabinieri di Pieve di Teco , Autorizzazione a procedere del Ministero della Guerra in data 19.04.1946, rapporto Carabinieri di Pieve di Teco in data 09.05.1946, richiesta di consegna degli imputati avanzata al Ministero degli Affari Esteri dal Procuratore Generale Militare Borsari in data 09.09.1946, relazione Commissione delle Nazioni Unite per i Delitti di Guerra, carteggio relativo alla richiesta di estradizione di Baumann, Archiviazione provvisoria 14.01.1960, Richiesta indagini Procura di Torino in data 08.04.1995, Richiesta di Archiviazione 18.07.1995, Comunicazione Carabinieri Torino 13.12.95. Tot.pagg. 37
Archiviazione provvisoria:
14.01.1960
Data di inoltro alla Procura Militare presso il Tribunale Militare di Torino:
03.12.1994
fascicolo del PM - Indagini preliminari - Archiviazione del Gip:
Data notizia di reato: 23.11.1994
Data iscrizione: 09.02.1995
Indagini preliminari: 09.08.1995
Richiesta di archiviazione del PM: Dott. Luigi Gili
Data: 08.07.1995
Motivazione: esito infruttuoso delle indagini finalizzate ad ottenere notizie sugli indagati, scarse probabilità di reperire gli indagati stante il lungo tempo trascorso.
Archiviazione G.I.P.: Dott. Sandro Celletti
Data: 21.09.1995
Motivazione: - impossibile rintracciare gli autori e ricostruire i fatti per il lungo tempo trascorso
Redazione, Fascicolo: R.G. “Ruolo generale dei procedimenti contro i criminali di guerra tedeschi”: n. 919, Archivi della Resistenza e del '900

sabato 20 aprile 2024

La salma di Ivanoe Amoretti è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio

Ivanoe Amoretti. Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Ivanoe Amoretti nacque a Imperia il 12 novembre del 1920 da Augusto e Antonietta Delbecchi. Rimasto orfano di padre dall’età di quattro anni, fin da giovanissimo fu attivo membro del circolo Giac «Giosuè Borsi» di Imperia Oneglia. I compagni di associazione, in una testimonianza scritta dopo la sua morte, lo descrissero come uno dei soci più impegnati: «L’associazione Borsi di Oneglia lo ebbe tra i suoi più assidui Aspiranti. In seguito passato alla Sezione Effettivi fece parte del Gruppo Studenti di cui fu uno dei più zelanti ed assidui. Si dimostrò sempre di carattere buono e serio, aperto ed affettuoso con gli amici, i quali ne serba[ro]no gelosamente un perenne ricordo. Ebbe incarichi direttivi nell’Associazione dove temprò l’anima ed il cuore».
Dopo gli studi elementari e medi presso la città natale, si iscrisse al liceo scientifico di Genova e, ottenuto il diploma, alla Facoltà di ingegneria dell’università del capoluogo ligure. Ben presto, però, temendo che la madre non potesse sostenere la spesa per continuare i suoi studi, decise di fare domanda per essere ammesso all’accademia militare di Artiglieria e Genio di Torino. Passate brillantemente le selezioni, dopo il periodo di formazione ottenne il grado di sottotenente in servizio permanente effettivo e si vide assegnato alla 6ª divisione fanteria Isonzo con la quale partecipò alle operazioni belliche della Seconda guerra mondiale.
Nel corso del 1941 venne dapprima spedito con il suo reparto in Grecia, successivamente trasferito in Croazia per il presidio delle postazioni italiane più avanzate. Fu in questa nuova destinazione che venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile che, pur ponendo fine alle ostilità con gli angloamericani, lasciava drammaticamente aperto il nodo circa i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico. In particolar modo, vista l’ambiguità degli ordini provenienti dal governo Badoglio e l’incertezza dei comandi militari sull’opportunità di resistere all’inevitabile offensiva tedesca, i reparti cominciarono a sbandarsi e diversi suoi commilitoni decisero di lasciare il loro posto per trovare una via di fuga e non rischiare la deportazione in Germania. Già il 9 settembre, infatti, la Wermacht attaccò le guarnigioni italiane presenti in Croazia e, dopo aver preso parte ai primi combattimenti ed essere stato ferito lievemente a una gamba, A. non poté che fare ritorno in patria unendosi ad altri ufficiali che avevano trovato il modo di recarsi a Roma.
Giunto nella capitale, prese immediati contatti con il movimento resistenziale che andava costituendosi. Dopo diversi colloqui con alcuni responsabili delle bande partigiane operanti nel territorio romano, decise di inserirsi tra le fila dell’organizzazione clandestina Travertino che era raccolta attorno alla figura di don Desiderio Nobels, carismatico parroco della chiesa di San Giuseppe nell’omonimo quartiere. Viste le sue capacità militari affinate durante il periodo di formazione e di servizio presso l’esercito, ad A. venne assegnato il compito di addestrare diversi nuclei di giovani volontari che si dicevano disponibili ad entrare tra le file dei partigiani, in particolar modo nei periodi successivi all’emanazione dei bandi di reclutamento fortemente voluti da Graziani. A questo, peraltro, aggiunse una delicatissima opera di informazione e contatto con le forze angloamericane che risalivano la penisola verso la capitale. Fu lo stesso don Nobels che nel dopoguerra ebbe modo di testimoniare: «Della sua attività nessuno sapeva nulla. Le preziose carte militari dei dintorni di Roma, arrotolate in una canna su cui sospendeva le cravatte, non furono scoperte. Nulla trapelò sull’organizzazione di cui faceva parte. Nulla, né a casa, né a via Tasso dove fu sottoposto a interrogatorio, né a Regina Coeli dove attendeva la fine. […] Il tenace e generoso Amoretti portò il suo segreto con fedeltà nel cupo silenzio delle fosse Ardeatine e vi fu sepolto con lui».
Il 12 febbraio del 1944 ebbe l’incarico di accertare gli effetti di un bombardamento effettuato dagli Alleati alla Cecchignola e di fornire notizie precise al fine di rettificare il lancio delle bombe per ottenere un risultato di maggior rilievo. Probabilmente a causa di una delazione, mentre era occupato in questo compito venne raggiunto da un manipolo di militi tedeschi che lo bloccarono e lo posero in stato di arresto. Condotto nelle carceri di via Tasso, A. fu duramente interrogato, percosso e torturato per diversi giorni, allo scopo di indurlo a confessare i nominativi dei responsabili del movimento resistenziale capitolino e le informazioni che attraverso la sua attività aveva recapitato al nemico. Trincerato dietro un ostinato silenzio, i suoi aguzzini dovettero infine arrendersi all’impossibilità di estorcergli rivelazioni e decisero di condurlo al carcere di Regina Coeli.
Il 23 marzo del 1944, a seguito di un’azione condotta da un Gap della capitale in via Rasella, in cui trovarono la morte trentatré militi della forza d’occupazione tedesca appartenenti alla XI Compagnia del III Battaglione Polizeiregiment Bozen, P. fu tra i 330, poi divenuti 335, nomi che vennero designati per la rappresaglia decisa dal comando nazista che scelse di condannare a morte dieci italiani per ogni tedesco morto nell’operazione gappista. Il giovane, dopo essere stato prelevato dalla sua cella, venne dunque condotto alle Fosse Ardeatine e trucidato insieme agli altri prigionieri designati. La salma di A. è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio.
Nel 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria con la qualifica di tenente in servizio permanente effettivo e la seguente motivazione: «Subito dopo l’8 settembre 1943, rientrato dalla Croazia, prese parte ad alcune operazioni nelle montagne di Imperia. Recatosi a Roma nel novembre del 1943, entrò nell’associazione clandestina “Traversito” [sic]; fra l’altro ebbe l’incarico di fare sopralluoghi per il servizio segreto di informazioni alle dipendenze della 5a armata americana. Durante una difficile missione, 12 febbraio 1944, venne arrestato dalle SS tedesche; incarcerato e seviziato non tradì mai la causa. Fu barbaramente trucidato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine».
Redazione, Ivanoe Amoretti, Biografie Resistenti

Ivanoe Amoretti nacque ad Imperia il dodici Novembre del 1920, figlio di Augusto ed Antonietta Delbecchi.
Entrato nell’esercito combatté durante la seconda guerra mondiale soprattutto nei Balcani: l’armistizio di Cassibile, l’otto Settembre del 1943, che segnò il termine delle ostilità tra italiani ed anglo-americani lo colse con il suo battaglione in Croazia, allora stato fantoccio guidato dal premier fascista Ante Pavelic. Riuscì fortunosamente a rientrare in Patria dove si unì alla pari di altri ufficiali e sottufficiali dell’armata italiana allo sbando ai partigiani.
Condusse la guerra di liberazione nel Lazio alle porte di Roma ed all’interno della città stessa. Fu inquadrato nella banda partigiana dell’Arco di Travertino, periferia sud- orientale di Roma, nata attorno alla figura del parroco belga della chiesa di San Giuseppe nell’omonimo quartiere, monsignor Desiderio Nobels. L’intento della banda, organizzata su volere degli anglo-americani, era quello di fornire il maggior numero di informazioni ai nuovi alleati proprio nel momento in cui essi stavano compiendo il maggior sforzo per liberare la capitale dall’oppressione nazi-fascista.
Amoretti fu un elemento molto prezioso di quella banda ma forse un tradimento da parte di una spia germanica ne decretò l’arresto. Candidato ad essere condannato a morte, Amoretti fu condotto nella tristemente nota pensione “Oltremare” di Via Principe Amedeo all’Esquilino e qui orrendamente torturato dagli sgherri della Gestapo. Fu tra i primi ad essere inserito, da Kappler, nell’elenco dei trucidandi alle Fosse Ardeatine.
Nel 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria.  
Redazione, Ivanoe Amoretti, Infinita memoria 

giovedì 4 aprile 2024

Ben presto la fama della Feldgendarmerie come ‘squadrone della morte’ si era diffusa nella zona dell’albenganese


Prima e ultima pagina della sentenza della condanna a morte [tramutata subito in una breve carcerazione] emessa contro Ennio Contini dalla Corte di Assise di Savona, 1945. Fonte: Francesca Bergadano, Op. cit. infra

Ad Albenga (SV), quasi sempre alle foci del Centa, tra partigiani e civili, vengono uccise dai nazifascisti più di cento persone.
Il 13 novembre 1944 a Castelvecchio di Rocca Barbena viene fucilato il civile Moreno Pietro (classe 1883), mentre il figlio Moreno Teodoro (classe 1910), arrestato, è ferito in un tentativo di fuga e, trasportato ad Albenga all'ospedale cittadino, decede per complicazioni. La loro morte è l'esito di una denuncia ben documentata per aver fornito viveri ai partigiani. La ritorsione da parte dei partigiani porta all'uccisione di Giuseppina Daldin Malco, moglie di Giuseppe Malco, commissario prefettizio a Castelvecchio, e di don Guido Salvi, un prete accusato di delazioni a favore della Feldgendarmerie.
Il primo dicembre 1944 Angelo Casanova (Falco), con una squadra di partigiani, tende un agguato mortale ad un gruppo di tedeschi nei pressi di Leca d'Albenga, in cui vengono uccisi otto tedeschi e quattro rimangono feriti. Il "Pippetta", la spia locale Giovanni Navone, denuncia gli autori di questo agguato alla Gendarmeria, ma almeno tre dei quattro arrestati sono solo parenti dei responsabili dell'agguato.
[...] Dopo una perquisizione nella casa della famiglia Navone di Villanova d’Albenga, accusata di fornire cibo ai partigiani, i membri di sesso maschile della famiglia, il padre Pietro e i figli Annibale e Alfredo, vengono catturati.
In seguito tedeschi e brigate nere si recano a Garlenda dove vengono arrestati il partigiano Esirdo Simone (Zirdo), il parroco del paese e altri due uomini nonché due donne.
Il 27 dicembre 1944 il distaccamento “Maccanò” della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" si scontra con una pattuglia tedesca uccidendone tre soldati e ferendone altri sei a nove chilometri da Albenga.
La stessa sera per rappresaglia vengono fucilati alla foce del Centa in Albenga (SV) i sei uomini, Esirdo Simone, Giovanni Fugassa, Pietro Navone, Annibale Navone, Alfredo Navone, Artemio Siccardi, e una donna, Giovanna Viale, presa il giorno precedente. Solamente il parroco di Garlenda, don Giacomo Bonavia, non verrà giustiziato ma salvato dall’intervento del vescovo di Albenga.
Il giorno successivo altri 15 ostaggi, quasi tutti residenti a San Fedele, sono fucilati alla foce del Centa a causa di una delazione delle spie Camiletti e Calderone. I condannati sono Ciarlo Emilio (nato nel 1893), Cristofori Vittorio (1908), Epolone Pio (1879), Fugassa Emilio Domenico (1904),  Fugassa Emilio Samuele (1897), Pastorino Vittorio (1897), Roveraro Angelo (1925), Semeria Giuseppe (1878), Tomati Andrea (1898), Tomati Francesco (1889) e Parolo Cirillo (1901), tutti civili. A questi si aggiungono i partigiani Faroppa Pasquale, Merlino Mario, Parolo Leonida e Roveraro Prospero.
[...] Giuseppe Calmarini (Stalinger) e Settimio Vignola (Vespa), partigiani nel distaccamento "Filippo Airaldi" della Divisione "Bonfante", scesi dai monti nell’inverno, vengono arrestati mentre si trovano nelle proprie abitazioni durante il rastrellamento di Pogli del 20 gennaio 1945, denunciati da una spiata dell'ex partigiano Luciano Ghio detto il Pisano.
Il 22 gennaio 1945 vengono fucilati alle foci del Centa insieme ad altri tre civili tutti di Pogli, Angelo Gandolfo (nato nel 1905), Ernesto Porcella (1921) e Luigi Vignola.
[...] Il 18 febbraio 1945 vengono giustiziati ad Albenga per rappresaglia De Lorenzi Pietro (Gin) nato a Vendone il 17.6.1904 (sappista), Isoleri Gino nato a Villanova d'Albenga il 26.5.1905, Cavallero Severino nato a Cuneo l'1.5.1926, Mosso Ennio nato a Villanova d'Albenga l'1.11.1904, Nano Francesco nato a Castelvecchio di Rocca Barbena il 29.1.1927, Sapello G. Battista nato a Villanova d'Albenga il 23.11.1883.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 

[ altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano con Paolo Veziano, Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 

Genovese Giacomo, nato a Catanzaro il 5 gennaio 1945, Capitano della Brigata nera “Briatore” (Giacomo Genovese venne fucilato a Vado Ligure in località Fosse S. Ermete il 29 giugno 1945 dopo essere stato prelevato con altri dal carcere di Finalborgo dove era detenuto)
Interrogatorio del 12.5.1945 nelle carceri di Savona: [...] Complessivamente la forza della brigata [nera] si aggirava sulle 150 unità, ripartite fra Vado, il posto di blocco di Albisola e servizio fisso al comando tedesco. Vi erano poi tre distaccamenti: Varazze, Albenga ed Alassio, comandati rispettivamente da Felice Uboldi e Fabbrichesi a Varazze, da Scippa prima e poi Sesta ad Albenga e ad Alassio Capello prima ed Esposito poi. Tutti questi reparti erano alle dipendenze dei tedeschi ed anzi aggiungo che i reparti di Alassio ed Albenga dovevano effettuare i servizi di pattuglia per conto dei tedeschi.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019

Quando Ennio Contini giunge ad Albenga, nel marzo 1945, lo scontro tra formazioni partigiane ed esercito tedesco è al culmine della sua ferocia; rappresaglie antifasciste e rastrellamenti della Feldgendarmerie <1 sono all’ordine del giorno. Per sua conformazione geografica (la famosa “piana” poteva essere un ottimale punto di sbarco alleato ed era allo stesso tempo molto vicina alla Francia) la zona costituiva un punto di snodo importante sia per le forze alleate sia per l’esercito germanico e in questo lembo di terra era cresciuto in modo esponenziale anche il movimento antifascista. Qui, nel luglio 1944, era nata infatti la Divisione d’assalto Garibaldi intitolata a Felice Cascione, primo comandante partigiano caduto in battaglia. Il 1944 è un anno tristemente importante per l’Italia e per Albenga, ormai nel pieno di una guerra civile. Scrive Gianfranco Simone nel suo libro "Il boia di Albenga": «Fino all’arrivo della Feldgendarmerie nel novembre 1944 l’albenganese aveva sofferto meno per la repressione nazifascista che per le incursioni dei bombardieri francesi e angloamericani» <2. La polizia militare tedesca, alla fine del novembre 1944 in risposta a continui attacchi partigiani e all’uccisione di venti militari e due spie aveva attuato le prime rappresaglie nell’entroterra di Albenga, nella zona di Ortovero e Ranzo (IM), avvalendosi dell’aiuto della Brigata Nera <3 ‘Francesco Briatore’ di Savona, a quel tempo comandata da Felice Uboldi. Ben presto la fama della Feldgendarmerie come ‘squadrone della morte’ si era diffusa nella zona dell’albenganese, accrescendosi anche per la personalità quantomai feroce e spietata di Luciano Luberti <4, chiamato ‘il Boia’. Luberti, si scoprirà solo alla fine della guerra, aveva torturato e ucciso più di un centinaio di persone. Solo la foce del fiume Centa restituirà cinquantanove cadaveri, fucilati senza pietà da Luberti e dal suo sottoposto Romeo Zambianchi, chiamato il ‘vice-Boia’.
[NOTE]
1 La Feldgendarmerie era la polizia militare dell’esercito tedesco. Era divisa in «Trupp» e di norma era formata da due plotoni, tre ufficiali, quarantuno sottufficiali e venti graduati di truppa.
2 Gianfranco Simone, Il boia di Albenga. Un criminale di guerra nell’Italia dei miracoli, Milano, Mursia, 1998, p. 25.
3 Nel giugno del 1944 era stato istituito, per volere di Alessandro Pavolini, il Corpo Ausiliario delle Squadre d’azione delle Camicie Nere. Le federazioni provinciali del Partito Fascista Repubblicano avevano preso il nome di Brigate Nere.
4 Luciano Luberti (Roma, 1921-Padova, 2002), detto ‘il Boia di Albenga’, era stato un criminale di guerra, giunto alla ribalta della cronaca anche negli anni ’60 per l’uccisione della compagna Carla Gruber. Secondo alcune fonti Luberti si arruolò nell’esercito nel 1941 ma è nel gennaio 1944, con il suo reclutamento tra le file della Wermacht che Luberti iniziò a farsi strada tra tradimenti e omicidi. Nel gennaio 1944 fu coinvolto nel rapimento di Umberto Spizzichino, ebreo suo amico, condotto nel campo di sterminio di Auschwitz, dove morì nell’agosto 1944. Sempre nel 1944 Luberti decise di passare alla Feldgendarmerie di Albenga, in veste di traduttore, ma ad Albenga uccise e torturò più di
sessanta persone (stando alla sentenza della corte d’Assise straordinaria di Savona Luberti si era reso colpevole di oltre duecento omicidi). Catturato nel 1946, mentre cercava di espatriare in Francia, Luberti venne condannato a morte e scontò sette anni di carcere. Subito dopo la sua scarcerazione Luberti tornò a Roma dove, tra il 1953 e il 1970, diede vita ad alcune iniziative editoriali attraverso l’Organizzazione Editoriale Luberti, pubblicando suoi testi come Furia (sotto lo pseudonimo di Max Trevisant) del 1964 o I camerati del 1969. Nel gennaio 1970 la compagna di Luberti, Carla Gruber, fu ritrovata morta nell’appartamento del ‘Boia’ in avanzato stato di decomposizione, uccisa da un colpo di pistola al cuore. Luberti venne arrestato per l’omicidio della Gruber solo nel 1972 e scontò, anche questa volta, solo otto anni di carcere perché «incapace di intendere e volere». Trascorse i suoi ultimi anni a Padova, tra arresti per detenzione di droga e il manicomio. Nel 1998 la Rai lo intervistò per la trasmissione "Parola ai vinti". Il ‘Boia’ morì qualche anno dopo, ospite di una casa di riposo.

Francesca Bergadano, «Il gioco irresistibile della vita». Ricerche su Ennio Contini (1914-2006): poeta, scrittore, pittore, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2017-2018

giovedì 3 agosto 2023

All’inizio dello stesso mese a Imperia ci furono le prime deportazioni politiche

La pietra d'inciampo dedicata alla memoria di Nicola Serra. Fonte: Wikimedia

Nel dicembre del 1943 si ebbe il primo vero scontro a fuoco tra il gruppo di Felice Cascione e i nazifascisti a Colla Bassa, tra Montegrazie e Sant'Agata di Imperia. All’inizio dello stesso mese a Imperia ci furono le prime deportazioni politiche con l’arresto, in seguito a una delazione, di un gruppo di antifascisti che organizzavano la Resistenza: tra questi i fratelli Enrico e Nicola Serra, Bruno Gazzano, Raimondo Ricci e i fratelli Alberto e Carlo Todros, tutti deportati a Mauthausen, da cui i primi tre non faranno più ritorno.
Redazione, Guerra Partigiana - La Resistenza ligure, dal mare alla Benedicta - parte 1, Vento d'Aprile, 27 febbraio 2014
 


Tra i deportati nei campi di sterminio nazisti vi furono anche tre panteschi: i fratelli Alberto e Carlo Todros e Donato Spanò.
Alberto era nato nel 1920, mentre Carlo, il minore dei due fratelli, nel 1923, entrambi a Pantelleria. Figli di un ebreo torinese e di una cattolica pantesca, i due fratelli erano studenti quando, in seguito alle leggi razziali del 1938, furono classificati come ebrei ed espulsi dall’Università di Torino. Trasferitisi ad Imperia, dove conducevano una vita di stenti, dopo l’8 settembre parteciparono attivamente alla resistenza occupandosi della raccolta di armi per i partigiani. Furono entrambi arrestati nell’ottobre del ’43 e, dopo un lungo peregrinare fra le carceri della Liguria, inviati nel campo di transito di Fossoli presso Modena (lo stesso da cui passò Primo Levi). Da qui furono mandati nel campo di sterminio di Mauthausen, in Austria, dove giunsero il 27 giugno 1944. Stranamente, i nazisti non si accorsero che i fratelli erano ebrei e furono pertanto classificati come Schutzhäftlingen (detenuti per motivi di sicurezza) e non come juden. Attivi nel comitato clandestino che operava nel lager, i fratelli Todros sopravvissero alla prigionia. Alberto, divenuto in seguito un importante urbanista, fu anche autore di un memoriale [...]
Fabrizio Nicoletti e Marcella Labruna, I fratelli Alberto e Carlo Todros e Donato Spanò deportati nei campi di sterminio, Pantelleria Internet, 15 aprile 2016
 
I fratelli Serra, previa consultazione con lo scrivente, nei gruppi del quale erano incorporati, erano saliti in montagna - con espresso incarico di organizzare i giovani alla macchia - nei giorni immediatamente seguiti all'armistizio dell'8 settembre, dopo essersi adoperati, fra l'altro, per il ricupero delle armi (Enrico aveva partecipato all'azione per tentare di recuperare le armi della Capitaneria di porto in Porto Maurizio, il 9 settembre, ed entrambi qualche giorno dopo avevano preso parte ad un'azione per l'occultamento e il trasporto di armi della caserma Crespi, già precedentemente fatte uscire dalla caserma stessa). Nicola, diplomato in ragioneria, studente universitario della facoltà di scienze economiche e commerciali, sottotenente di complemento a Chiari l'8 settembre, era appassionato studioso di Croce, e appariva di tendenze liberali; Enrico, fornito del diploma di capitano marittimo (conseguito al Nautico di Savona dopo avere frequentato il ginnasio-liceo di Oneglia), e già collegato, tramite lo scrivente, al Partito d'Azione, dimostrava, in genere, lo stesso orientamento politico del fratello. Arrestati nel dicembre del '43, morirono, come già è stato ricordato, a Mauthausen, dopo indicibili sofferenze.
Acquarone Aldo, o Sebastiano Aldo, di Lena Pilotti e fu Federico, appartenente allo stesso gruppo di montagna dei fratelli Serra, era nato in Imperia il 12 agosto 1924. Fermato mentre si trovava nella propria abitazione, fu costretto - per evitare molestie alla madre - a frequentare in Germania i corsi di addestramento dell'esercito di Salò; ma riuscì di nuovo a fuggire, e tornò in montagna verso la fine del '44 col soprannome di «Alpino». Fu ucciso dai nazifascisti nelle vicinanze di Tavole nel gennaio del 1945 (17 gennaio). Il di lui padre, Federico, era morto nella campagna di Russia.
In montagna con i Serra vi era anche stato il giovane Bruno Gazzano, nato a Roma il 19 febbraio del '24, ma oriundo imperiese. Il Gazzano, arrestato dalla GNR l'11-2-44, fu successivamente incarcerato ad Oneglia e a Genova (Marassi), e quindi deportato nel campo di concentramento di Fossoli. Di qui dimesso, verso la fine del giugno 1944 entrerà nelle formazioni partigiane «GL» dislocate nei dintorni di La Spezia; di nuovo arrestato il 3 agosto del '44, sarà incarcerato prima a Marassi in Genova, poi a San Vittore a Milano, e quindi sarà successivamente deportato nei campi di concentramento di Bolzano e in quelli di Flossenburg, dove morì in data 22-2-45, nella dipendenza di Hersbruk.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
 
Con decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1994 vistato dalla ragioneria centrale in data 7 febbraio 1995,  n.  40/S, è stata concessa la seguente ricompensa al valor militare "alla memoria" per attivita' partigiana:
Medaglia d'argento
Serra Nicola, nato il 2 luglio 1918 ad Imperia. "Fiero oppositore della dittatura fascista, già molto prima del 25 luglio 1943 si adoperava ad organizzare la Resistenza facendo attiva propaganda tra i giovani, recuperando armi e materiali per la guerra partigiana e costituendo bande armate nei pressi di Tavole. Catturato dai nazifascisti durante una rischiosa e volontaria missione nella città di Imperia, veniva deportato a Mauthausen dove moriva, dopo mesi di indicibili sofferenze, il 21 novembre 1944". - Mauthausen, 21 novembre 1944.
Gazzetta Ufficiale n. 129 del 5-6-1995 
 
Di lì [n.d.r.: il campo di transito di Fossoli] passò anche l'esuberanza giovanile di Bruno Gazzano di Porto Maurizio, che mi è stato caro amico di scuola. Giovane sportivo e leale, venne arrestato dalla GNR l'11 febbraio 1944. Dalle carceri di Oneglia e di Marassi passò a Fossoli. Fu liberato. Ma Bruno era troppo generoso per desistere dalla lotta antifascista. A fine giugno raggiunse le formazioni partigiane GL sulle montagne di La Spezia. Fu ancora ripreso e subì l'altra trafila: il 3 agosto rientrò nelle carceri di Marassi, poi fu internato in quelle di San Vittore: quindi nel campo di concentramento di Bolzano. Atto finale: a Flossenburg, dipendenza di Hersbruck, Bruno Gazzano terminò il suo martirio e morì il 22 febbraio 1945. Tre giorni prima della morte aveva raggiunto 21 anni di età!
Altro dolore imperiese era racchiuso a Fossoli: stavolta sono due sposi, Mario Vespa e Teresa Vespa Siffredi. Nel campo giunsero, per la solita trafila, dalle carceri di Marassi dopo inimmaginabili torture fisiche e morali. La povera donna, incinta, fu dimessa dopo quasi sei mesi di prigionia, mentre il marito proseguiva il suo calvario fino a Mauthausen! [...]
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992 
 
"Ma bisogna tanto farsi coraggio, aver fede che un giorno torneremo a quella serena spensieratezza degli ultimi tempi felici, di quei mesi così intensamente vissuti, il cui ricordo tanto sovente mi ritorna…".
Così il giovanissimo Aldo Acquarone scriveva a Maura (Dida) Ricci, nell'aprile del 1944. Si trovava, suo malgrado, nel campo di Senne III, in Germania, per un periodo di addestramento del Primo Reggimento di Fanteria della Repubblica sociale italiana (RSI). Era stato forzosamente arruolato dopo l'arresto avvenuto quattro mesi prima. Era uno di quei militari di leva che avevano disertato nel settembre del 1943 per unirsi a un primo gruppo di resistenti antifascisti sulle alture di Imperia. Fu catturato nel mese di novembre del '43, a causa di una leggerezza fatta nell'occasione di una “discesa” clandestina a Oneglia alla ricerca di abiti caldi per se e per i compagni per affrontare l'inverno in arrivo. Fatto il suo dovere, decise di incontrarsi con una ragazza che forse, ma non lo sapremo mai con certezza, era proprio Dida. Ciò che invece sappiamo con certezza è che Aldo aveva frequentato con grande assiduità, tra il '41 e i primi mesi del '43, quel gruppo di giovani portorini che avevano iniziato a maturare un profondo sentimento antifascista: Raimondo Ricci e sua sorella Dida, Angelo Magliano e sua sorella Mariella, Bruno Gazzano, i fratelli Todros e i fratelli Serra.
Franco Miglietta e Federico Acquarone, Aldo Acquarone, un partigiano, Storia e Memoria, n. 1, 2023, ILSREC - Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea
 
Angelo Magliano, classe 1919, già militare, fu fondatore della rivista clandestina “Costumi”, fu grande amico di Felice Cascione e dopo la Liberazione diresse sei riviste a livello nazionale, durante la Resistenza fu nell’organizzazione “Franchi” con Valiani.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora) Atti del Convegno storico Le Forze Armate nella Resistenza di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona

domenica 11 ottobre 2020

Radio Londra e le reclute partigiane

Torrazza, Frazione di Imperia - Foto:
 
Cresceva l'odio verso i nazisti, a causa dei quali la situazione diventava sempre più insostenibile; si sentiva parlare di attentati contro i tedeschi, ma pochi di noi conoscevano come avvenivano.
Il 14 dicembre 1943 per la prima volta da Torrazza
[Frazione di Imperia] sento le raffiche dei mitragliatori nello scontro di Montegrazie fra partigiani e militari fascisti.
Entusiasta di quella battaglia non valutavo il pericolo che si stava creando con la guerra partigiana, e dentro di me sentivo un gran desiderio di essere uno di loro, ma non ancora chiamato alle armi continuavo il mio lavoro, esposto ai bombardamenti.
La guerra si aggravava sempre di più, mentre ogni giorno le bande partigiane crescevano di numero .
Migliaia di persone venivano deportate nei campi di concentramento e i fascisti appoggiavano i nazisti in tutte le loro azioni più criminose.
L'otto giugno 1944 appare sui muri il bando fascista che recluta la mia classe. Quel manifesto cui ero già preparato, non mi aveva sorpreso e quasi ne provai  piacere.
Molti amici mi avevano già preceduto sui monti, non mi rimaneva che seguirli.
Lasciato il lavoro, il 9 di giugno mi nascondo nella mia casa isolata di campagna.
Disapprovato dai miei genitori, mi preparavo per l'imminente partenza.
Il giorno 11 successivo ci raduniamo nell'unica osteria del paese di Torrazza; con me sono Giuseppe Baria e Raffaele, la sala è vuota, vociferando stabiliamo il giorno della partenza in modo da avvertire tutti i compagni che vogliono seguirci e, mentre continua il nostro colloquio, accendiamo la radio per sentire le ultime notizie che possono riguardarci.
Con il volume appena udibile, ci sintonizziamo su radio Londra.
L'indimenticabile "tamtam", seguito dal bollettino di guerra, annunciava le notizie del fronte, proseguendo poi con le notizie della guerra partigiana e con una serie di bollettini in codice a noi incomprensibili.

Torre antibarbaresca di Torrazza - Foto:

11/6/44
Sono alla vigilia di quella indimenticabile partenza; seduto attorno al tavolo vicino a mio padre e a mia madre, ho appena finito di cenare. In casa mia c'è silenzio, sono preoccupato, nel mio entusiasmo nascondo un po' di paura; nello sguardo dei miei genitori c'è tanta malinconia. La mamma mi volta le spalle per nascondere le lacrime; sebbene mio padre capisca che quella é l'unica via che mi rimane, nel suo sguardo leggo disapprovazione. Per alcuni minuti mi trattengo con loro, provo una voglia matta di rimanere, ma non trovo più parole per tergiversare ancora. Mi alzo di scatto, inforco lo zaino sulle spalle e senza voltarmi saluto con un nodo alla gola uscendo quasi di fretta, allontanandomi nel buio.
Mentre proseguo su di una scaletta in mezzo al vigneto, guardo ancora una volta la mia casa; attraverso l'uscio le ombre dei miei genitori sono proiettate fuori dalla luce di un lume a petrolio. Come assalito da un rimorso, mi volto verso la strada per non pensarci, mi avvio sulla mulattiera verso Torrazza, proseguo oltre il paese e raggiungo la vecchia torre, dove avevamo fissato il luogo dell'appuntamento.
Quell'antica costruzione ancora una volta serviva, se pur brevemente, per sfuggire a un nuovo invasore.
Pochi scalini pericolanti mi conducono all'entrata, resto solo nel buio per mezz'ora, dopodiché mi raggiunge Ernesto Corradi detto "Nettu", promotore dell'appuntamento. Trascorriamo quasi tutta la notte al buio nel silenzio della torre, in attesa degli altri compagni. Prima dell'alba il rumore di svariate persone ci fa capire che i nostri amici stanno arrivando; un po' guardinghi ascoltiamo le voci che si approssimano. Con loro ci sono altri compagni del vicino paese di Piani [Frazione di Imperia]. Ci salutiamo nel buio con qualche battuta scherzosa e proseguiamo subito verso i monti.
12/6/44
Siamo in diciotto, senza una meta precisa camminiamo verso un destino che ci riserverà giorni spaventosi. Fra lo scalpitio dei nostri passi, seguo i vari discorsi di quei compagni, penso alle nostre famiglie e al nostro paese che, dopo il nostro gesto, sarebbero diventati motivo di rappresaglia delle milizie fasciste. Preoccupato del nuovo giorno cui andavo incontro, mi tormentavo inutilmente per una realtà che ancora non conoscevo. Raggiunta la chiesetta di Santa Brigida, è quasi l'alba; il cielo si è tinto di rosa e lontano si scorgono nitide le cime dei monti. Proseguiamo inoltrandoci nel bosco che fiancheggia monte Faudo. Ormai si è fatto giorno, finito il bosco siamo nei prati, la visibilità è buona, camminiamo osservando lontano con la speranza di incontrare i partigiani. In prossimità di monte Moro scorgiamo in basso verso Villa Talla [Villatalla, Frazione del comune di Prelà (IM)], fra le piante, qualcosa che luccica sotto i raggi del sole: è un gruppo di uomini armati che sale verso di noi. Seduti sul prato attendiamo l'avvicinarsi di quegli uomini che, senza dubbio, dovevano essere partigiani. Dopo venti minuti il gruppo è vicino sotto di noi. Riconosco subito due compagni che mi avevano preceduto su quelle montagne. Sono Luciano Sciorato e Nardetto. Ci dicono di far parte della banda "Ivan" (Giacomo Sibilla) e che sono di ritorno da una missione. Ci aggreghiamo a quel gruppo e con loro raggiungiamo il comando della banda a Costa di Carpasio [località di Montalto Carpasio (IM)]. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. Uomini equipaggiati con poche armi, tutte di tipo diverso, sdraiati qua e là sotto le piante, vestiti con abiti civili, molti con la barba lunga, alcuni feriti. Solo al cinema avevo vi­ sto quello che in quel momento vedevo e ciò mi impressionava molto. Seduto sotto i castagni in mezzo a quegli uomini, provati da una vita impossibile, mi sentivo a disagio. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. Uomini equipaggiati con poche armi, tutte di tipo diverso, sdraiati qua e là sotto le piante, vestiti con abiti civili, molti con la barba lunga, alcuni feriti. Solo al cinema avevo visto quello che in quel momento vedevo e ciò mi impressionava molto. Seduto sotto i castagni in mezzo a quegli uomini, provati da una vita impossibile, mi sentivo a disagio. In quella banda c'era pure una giovane donna detta "Candacca" (Pierina Boeri), che il giorno prima si era battuta contro i nazifascisti nella battaglia di Badalucco. Cominciavo a capire quale era la vita e il pericolo cui andavo incontro. Sentivo parlare di guerra, di attentati e torture; discorsi che mi facevano paura, ma per nessun motivo sarei tornato indietro, e col passare delle ore mi sentivo già dei loro. Ero giunto cosi al termine di una giornata in cui mi ero fatto un'idea di quello che stavo per affrontare. Prima del tramonto la banda si trasferisce; una parte delle attrezzature è caricata sui muli e col sopraggiungere della notte partiamo verso una destinazione sconosciuta. Accodati a quella colonna in marcia, imbocchiamo al buio la strada di Carpasio; appena nel paese ci viene distribuito pane e formaggio e verso mezzanotte giungiamo a Prati Piani. La sosta per quella notte sembrava definitiva; eravamo molto stanchi, alcuni, coricati sul margine della strada, dormivano già [...] 
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza, Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982
 

sabato 11 aprile 2020

Lo spettacolo del nostro esercito che si dissolve è impressionante

Ormea (CN): un vicolo. Fonte: mapio.net

In base agli accordi presi a Casalecchio, nei pressi di Bologna, tra comandi supremi italiano e tedesco il 15 agosto 1943, la sostituzione del contingente italiano in Provenza con quello tedesco avrebbe dovuto ultimarsi entro il 9 settembre '43. Mentre le operazioni si stavano ultimando, giunse al comando dell'armata una comunicazione, "Memoria 44", in cui in previsione di una possibile aggressione tedesca veniva disposto che le divisioni Pusteria e Taro della IV armata fossero raccolte nelle valli Roja e Vermenagna "per interrompere le vie di comunicazione della Cornice..."
Mario Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943, Stato maggiore dell'Esercito, Ufficio storico, Roma, 1975 
 
Imperia: un'immagine datata della Caserma Crespi

A partire dal 25 luglio 1943, data della caduta di Mussolini e del fascismo, i tedeschi iniziarono ad attuare loro piani già pronti, facendo affluire truppe dal Brennero e dalla Francia, che si insediarono in seguito anche in provincia di Imperia.
Già dall'agosto 1943 a ridosso dei valichi appenninici e delle Alpi Liguri sono presenti le divisioni tedesche 76^ e 94^, appartenenti all'87° Corpo d'Armata. 
Altre quattro divisioni tedesche, la 157^, la 356^, la 715^ e la 60^ Panzer, erano dislocate in Provenza [...]
Tuttavia sino all'armistizio di Cassibile non si ha notizia di truppe tedesche stanziate ad Imperia.
Per quanto concerne le truppe italiane in provincia [alla vigilia dell'8 settembre] era operativo il I° Corpo d'Armata, composto dalle divisioni costiere 223^, comandata dal generale Andreoli, 224^, agli ordini del generale Bancale, e Taro, sotto il comando del generale Pedrazzoli.
A partire dall'8 settembre la città di Imperia rappresentava un centro di accoglimento delle forze italiane della IV^ Armata già stanziata in Provenza.
Alla data dell'8 settembre 1943 si trovavano in Imperia, alloggiati presso la Caserma Crespi, tre battaglioni del 41° reggimento fanteria, di cui uno reduce dalla Grecia.
Nella caserma Siro di Imperia Porto Maurizio era presente un battaglione di soldati delle classi 1903-04 richiamati alle armi solo alcuni giorni prima. Altre truppe erano collocate in varie caserme di Imperia per un complessivo di 4500 militari e 200 ufficiali. Ad Imperia era anche presente il cacciatorpediere F.R. 34, in seguito catturato dai tedeschi e ribattezzato T.A. 34.
Nella zona compresa tra Imperia ed Albenga era stanziato il 21° Battaglione Guardia Costiera agli ordini del tenente Fassani.
A Diano Marina (IM) la Caserma U. Comandone fungeva da deposito del 15° Reggimento Artiglieria di Corpo d'Armata, il quale era dotato di cannoni semoventi corazzati. 
Nella parte occidentale della provincia presso la Caserma Umberto I di Sanremo (IM) era accantonato un distaccamento del 90° Reggimento Fanteria e nella Caserma Revelli di Taggia (IM) era collocato il centro automobilistico del 15° Corpo d'Armata...
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
A Imperia si trovavano quattro VAS della 5a Squadriglia, al comando del tenente di  vascello  Ludovico  Motta.  L’8  settembre [1943],  su  ordine  del  Comando  Marina  di  Genova,  Motta  uscì  con la VAS  214, per dare la caccia a un sommergibile; fu raggiunto dalla VAS 237, uscita da Portofino. Alle sette del 9, la  caccia  al  sommergibile  fu  interrotta  e  le  due  unità  rientrarono  nei  porti  di  provenienza. Motta, giunto a Imperia alle 12:15, fu informato dal comandante del porto   (tenente colonnello delle capitanerie di porto, Piaggio) della proclamazione dell’armistizio; chiese  istruzioni a  Comar  Genova,  che  gli  disse  di  dirigere  per  un  qualsiasi  porto  a  sud  di  Livorno.  Motta  procedette alla distruzione dell’archivio segreto e, alle 17, lasciò Imperia con le sue unità (214, 208, 219, 220).  Le  unità  procedettero a moderata  velocità,  date  le  precarie  condizioni di efficienza di alcune di loro, verso Capraia. [...] Scontri avvennero a Villafranca e a Mentone, con perdite fra il personale della Marina. Alcuni dei marinai italiani riuscirono a raggiungere la frontiera svizzera e furono internati in tale Paese. [...]  Il  9  settembre  caddero  a  Mentone  il  sottocapo  infermiere  Mario  Acquisti  e  il  cannoniere Armando Alvino. [...] Anche in Francia alcuni marinai riuscirono ad allontanarsi e si mantennero alla macchia o raggiunsero la Resistenza francese. [...]
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale - Anno XXIX - 2015, Editore Ministero della Difesa 

Anche il battaglione della Guardia di Finanza presente a Nizza aveva già ricevuto l'ordine di rimpatrio e nella giornata del 9 settembre da Ventimiglia raggiunse Cuneo e poi Torino, dove fu sciolto. Furono invece internati parte dei  militari della compagnia di Finanzieri di Tolone, mentre quelli della compagnia dislocata in Corsica, dopo aver partecipato ai combattimenti intorno a Bastia, si trasferirono in Sardegna alla fine di ottobre.
Gabriele Bagnoli, La Guardia di Finanza nella seconda guerra mondiale, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2013-2014

L'8 settembre 1943 il comando della Wehrmacht di stanza ad Acqui (AL) "alle ore 18.30 dalla radio inglese BBC ed alle ore 19 da quella italiana" precisa Francesco Biga (Il settembre 1943 nell'Imperiese, supplemento a "Storia e memoria", n° 2, 1993) "immediatamente allertava l'87° Corpo d'Armata tedesco: alle 22.25, infatti, il generale Rommel ordinava di disarmare le truppe italiane in base alle misure previste dal piano 'Achse' a iniziare dalle ore 5 del mattino del 9 settembre".
In effetti prima delle 12 del 9 settembre 1943 i tedeschi avevano già preso possesso militarmente della costa ligure tra Genova e Savona e si erano lanciati all'inseguimento, nella parte occidentale della Liguria, dell'Esercito Italiano.
La 76^ divisione tedesca, ricevuto l'ordine, si diresse verso Albenga lungo la Via Aurelia. La 94^ doveva marciare anch'essa verso la città ingauna, oltre che su Imperia, passando nell'entroterra da Carcare-Ceva-Garessio.
Il gruppo tattico della 94^, al comando del colonnello Lodowig, occupata Albenga a mezzogiorno senza incontrare veri e propri ostacoli, giunse in serata a Sanremo e a Ventimiglia, dove si congiunse con la 60^ divisione Panzer proveniente dalla Provenza...
Il grosso della 94^ incontrò invece ostacoli sul suo cammino: il gruppo tattico partito da Alessandria alle ore 6.30 del 9 settembre dovette affrontare alle ore 14 presso Priola (CN) un conflitto a fuoco con soldati italiani condotto rapidamente a proprio favore. "A Garessio alle ore 15" come chiarisce Carlo Gentile ("Notiziario dell'Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e provincia", n° 3, 1991) "il gruppo tattico si divise in due tronconi: una parte prese la direzione del Colle di San Bernardo dove si imbattè nella colonna delle truppe italiane provenienti da Albenga". Queste ultime erano reparti della 201^ Divisione Costiera - 5000 uomini - che in un primo tempo rifiutarono di arrendersi, ma che dopo alcune trattative dovettero cedere.
Rocco Fava, Op. cit.

Meno drammatica ma assai amara fu la vicenda che si consumò al Colle di San Bernardo, tra Albenga e Garessio.
Il colonnello Gerolamo Pittaluga decise di trasferire verso i monti del Cuneese le forze schierate tra Ventimiglia ed Albenga <15. Partita il pomeriggio del 9, la lunga colonna si sfilacciò tra sbandamenti e diserzioni per poi attestarsi sul Colle di San Bernardo; ma la mattina dopo Garessio era già occupata da ingenti forze germaniche. Vista la mala parata, non restava che trattare la resa. I tedeschi promisero la libertà in cambio del disarmo; poi, con tipico senso dell’onore militare, deportarono tutti ad Acqui Terme <16, e da lì in Polonia nei tristemente noti stalag. Pochi furbi riuscirono a dileguarsi fra le montagne: a Garessio si contarono 3000 prigionieri e un ingente bottino di armi leggere e pesanti <17.
[NOTE]
15 Ibidem, vol. I, pp. 31 - 32. Le peripezie della colonna che da Albenga risalì verso Garessio sono narrate in R. Lucifredi, Rottami, Oneglia, Dominici, 1982
16 Vedi R. Lucifredi, op. cit., capp. III - IV.
17 G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Farigliano (CN), Milanostampa, 1965-69, vol. I, p. 32.

Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000
 
Con l’annuncio radiofonico della capitolazione ad opera del maresciallo Badoglio, la sera dell’8 settembre, la situazione divenne caotica, poiché elementi della 201ª divisione costiera, che stazionavano nella zona di Mentone, ripiegarono in disordine su Ventimiglia [...] De Castiglioni, prima di raggiungere il colle di Nava, provò ad organizzare a Imperia una difesa anticarro sulla via Aurelia, ma il generale Bancale, comandante del XV° CA, gli ordinò di abbandonare i cannoni dopo averli neutralizzati; il 9 settembre alle 7.30 si trovava al colle di Nava, dove una dozzina di carabinieri intercettarono gli sbandati venuti dalla Francia; alle 18, i tedeschi si avvicinarono a Ormea, dove si combatté fino alle 22, prima di imboccare la pista del Passo Tanarello, dove arrivò con un migliaio di uomini alle 9 del giorno 11 <44. Quanto al generale Operti, intendente della 4ª Armata a Beaulieu, decise di rimpatriare rapidamente i fondi in suo possesso per mezzo di due convogli di camion: uno, contenente la cassa principale di Beaulieu (42.696.000 lire e 204.905.000 franchi, più cinque quintali di monete d’argento) raggiunse Savona e successivamente proseguì verso Alba, perdendo lungo la strada qualche veicolo di scorta fermato dai tedeschi a Savona; il secondo, che conteneva la cassa sussidiaria di Mentone (16 milioni di franchi e lire), venne invece catturato a Savona <45.
[NOTE]
44 Ibidem, Cartella 2121/A/3/2, testimonianza del generale Gazzale.
45 R. OPERTI, Il tesoro della 4ª Armata, Torino 1946, pp. 60-62.

Jean-Louis Panicacci, Le ripercussioni dell’occupazione italiana in Francia nella provincia di Imperia, Intemelion, n° 18 (2012)
 
Il secondo gruppo della 94^ Divisione tedesca, che da Garessio (CN) aveva seguito la strada 28 verso Imperia, ad Ormea (CN) venne in contatto con truppe italiane decise a non arrendersi. Ne seguì un duro scontro al termine del quale i tedeschi sgominarono gli italiani.
All'alba del 10 settembre le truppe tedesche lasciarono Ormea e, passando per Pieve di Teco (IM), alle 10.30 raggiunsero Imperia. "Nel corso della medesima giornata disponevano le truppe a presidio della costa" (Gentile).
Emblematico risulta il caso di Ormea (CN), un comune ed un circondario intorno al quale operarono spesso in seguito i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria, segnatamente la VI^ Divisione "Silvio Bonfante". Di Ormea e di quanto vi accadde nel drammatico settembre 1943 scrisse in un diario-memoriale (Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994), che riguarda la zona Ormea-Pieve di Teco per tutto il periodo che va dall'8 settembre alla Liberazione, Nino Barli, podestà di Ormea dopo il 25 luglio 1943, ma subito dimessosi dopo i tragici avvenimenti, qui di seguito riportati con le sue parole. "Fin dal mattino del 10 incominciarono a giungere ininterrottamente dalla costa ligure colonne di militari italiani, anche marinai,  mentre gli ufficiali già in Ormea davano disposizioni per organizzare un poderoso centro di difesa". Venne posto un camion sul ponte dell'Armella ostruendo completamente il passaggio e, come precisò il Barli, "furono posizionate mitragliatrici sulla piazza della Chiesa Parrocchiale, oltreché nei vigneti sovrastanti la Statale 28. Molti soldati, armatissimi e con zaini di bombe a mano, vennero dislocati nelle case private". La popolazione, spaventata per tutto questo muoversi di truppe e temendo il peggio, fuggì in gran numero portandosi dietro quello che poteva.[...]
Di fronte ad un tale dispiegamento di armi e armati, la popolazione, invitata dai generali Bancale, Gonzales, da un altro ufficiale e da un colonnello dello Stato Maggiore, a chiudersi in casa, presa dal panico, già dalle ore 14 aveva incominciato ad abbandonare il paese, portando con sé quello che poteva. Il pomeriggio trascorse in un continuo aumento di tensione per le notizie per le notizie che giungevano e che annunciavano prossimo l’arrivo dei tedeschi.
Ad un tratto lungo la strada si scorse l’avvicinarsi di una grossa colonna nemica proveniente da Garessio, si udì la  prima  raffica di mitragliatrice nei pressi di San Rocco. 

Da quel momento il fuoco andò sempre aumentando di intensità. 
Il fragore era tremendo, l’azione durò due ore e un quarto: dalle 19 alle 21,30, ora in cui gli italiani si arresero.
All’inizio dell’attacco i soldati tedeschi  si  erano divisi  in  tre  colonne: una marciò verso il centro dell’abitato, l’altra s’inoltrò a monte dello stesso,  passando  attraverso  i vigneti, per il sentiero del Rio Arozzo, che porta alla Cappella di San Moro e  la terza, avanzando lungo il Tanaro, raggiunse il così detto Ponte dei Sospiri. In tal modo l’abitato venne a trovarsi sotto un intensissimo fuoco incrociato, le cui conseguenze lasciarono il  segno per molto tempo.
Una volta arresisi gli italiani, i tedeschi  iniziarono uno spietato saccheggio che si protrasse per tutta la notte dell’11 settembre, convinti che la popolazione in massa avesse appoggiato i nostri soldati, lanciando bombe dalle finestre ed azionando mitragliatrici dalle case private. 
Durante i combattimenti caddero cinque nostri soldati ed un ufficiale,  una  decina  di  feriti  furono ricoverati nell’Ospedale.
Correva voce che i tedeschi avessero perduta una trentina di uomini tra morti e feriti, falciati dalla mitragliatrice piazzata in località San Rocco, mentre su autocarri scoperti giungevano  da  Garessio. Ma niente fu possibile appurare. Nei pressi della Chiesa Parrocchiale,  il  tenente delle  SS  che  comandava  la  colonna  di  centro,  ebbe  il braccio destro fratturato in due punti da pallottole, e perciò fu ricoverato  nell’Albergo delle Alpi; al tempo stesso diede ordine che tutta la popolazione maschile dai 18 ai 35  anni venisse deportata in Germania, convinto che avesse appoggiato i  soldati italiani.  
Il  paese  trascorse  qualche ora di terrore ma poi,  grazie all’intervento di una signora tedesca, moglie di un ufficiale, nella zona da più giorni per raccogliere informazioni, fu evitata la deportazione. 
Il giorno 11 settembre, alle ore 10, giunse in Ormea una lunga colonna  di  soldati  italiani  ed  una trentina  di  ufficiali,  fatti  prigionieri durante la notte lungo la Statale 28, tra Cesio e Nava. Erano  settecento circa, affiancati da soldati tedeschi armati di mitragliatori, ed erano avviati ad accamparsi nel campo sportivo.  
La  popolazione  tutta  gareggiò nel provvedere loro viveri, indumenti,  medicine ed  altro. Il Comune  fornì  in  abbondanza  altre provvigioni. I prigionieri bivaccarono  tutta  la notte nel campo, ma il mattino del12, alle ore 8, con una lunga e lenta  tradotta  furono  fatti  partire  per Alessandria.
In Ormea rimasero una  trentina  di  tedeschi a custodia del  deposito del  90°  Reggimento Fanteria,  fornito di una grande quantità di materiale militare che i tedeschi, con cinque torpedoni della ditta Fava di Imperia, trasportarono allo scalo  ferroviario,  caricandolo  poi  su  sessantacinque  vagoni, che avevano per destinazione una località ignota (forse Alessandria).
In previsione di giorni drammatici il Comune di Ormea riuscì a farsi consegnare dall’ufficio dell’ammasso di Ceva circa quattromila quintali di grano che, con l’aiuto degli amministratori della  cartiera, furono ammassati nel Comune e quindi distribuiti alla popolazione. Fu un saggio provvedimento perché, dove si agì diversamente, enormi quantità di grano furono deviate in Germania, con gravi conseguenze per la popolazione... (Barli)
Nei  giorni  successivi  al  12,  i  tedeschi organizzarono una serie di capisaldi; dopo il 15 il gruppo tattico Reich assunse la seguente dislocazione: il Comando a Borgomaro, in Valle Impero; il  Comando del reparto esploratori  della  94a Divisione ad Oneglia, con a capo il capitano  Kohler;  il  2° Squadrone  dello stesso reparto, a Bordighera. Invece ad  Albenga  fu  dislocato  il  Comando del reparto esplorante della 76a Divisione, con uno squadrone ad Alassio. L’artiglieria del 451° gruppo, diviso in due sezioni, prese posizione a Leca di Albenga e nella Caserma U.  Comandone  di  Diano Castello.
Il senso di sbandamento che assaliva la popolazione in seguito all'occupazione tedesca è reso percettibile da un testimone oculare di quei drammatici giorni, Vincenzo Calzia, all'epoca segretario comunale di Borgomaro (IM). Calzia annotò nel suo diario, conservato presso l'Archivio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia: "9 settembre 1943: lo spettacolo del nostro esercito che si dissolve è impressionante". Più avanti Calzia si riferisce alle truppe tedesche "fanno presto a prendere possesso dell'Italia; non li aspettavo. Confesso che ho provato un senso di paura, seguito da un moto di ribellione". Il senso di impotenza e di sconforto trasuda dalle pagine dello stesso diario il 15 settembre 1943 "... la popolazione è terrorizzata: vive sotto l'incubo del peggio. Come si sta male a sentirci soli, senza una protezione, separati dalla nostra gente, vedere la nostra patria annientata!". Il 20 settembre Calzia sottolinea l'arrivo del grosso delle truppe tedesche che "si sono sistemate senza tante cerimonie".
Il comando tedesco il 20 settembre 1943 pubblica un'ordinanza diretta a tutta la popolazione ed ai soldati italiani, che intima la consegna immediata delle armi: tale ordine, tuttavia, sarà completamente ignorato.
Tra le località in cui la popolazione accennò un tentativo di ribellione figura Castellaro (IM), in cui la cittadinanza sabotò i cannoni di una batteria abbandonata dal Regio Esercito.
In alcune località i tedeschi occuparono i presidi militari già del Regio Esercito, ma giungendo dopo che i cittadini avevano già messo al sicuro le armi, come nel caso di Sanremo e di Ventimiglia (IM).
I nazisti ritennero vitale dal punto di vista strategico la Strada Statale 28 Imperia-Ceva e, per tale ragione, insediarono due centri tattici importanti a Pieve di Teco e a Borgomaro (IM). Tali presidi furono creati per fronteggiare un imminente sbarco alleato in Liguria, sbarco che avvenne invece solo il 15 agosto 1944, ma in Provenza.
Rocco Fava, Op. cit., Tomo I
 
Il 14 settembre 1943 venne rastrellata la val Roja, nella quale, in base ai risultati della ricognizione aerea dovevano trovarsi ancora elevati contingenti delle truppe del XV corpo d'armata italiano provenienti dalla Francia.  Non furono tuttavia i soldati di Peiper a ricevere quest'incarico.
Il battaglione si era frazionato nel corso della sua marcia e aveva lasciato reparti a presidio delle città occupate del basso Piemonte - Alessandria, Asti, Alba, Bra, Mondovì, Cuneo - diventando troppo debole per accollarsi ancora questo compito.
... All'alba del 14 settembre, il reparto esplorante (Aufklärungs-Abteilung) divisionale fu messo in marcia da Chivasso alla volta di Cuneo allo scopo di provvedere al rastrellamento della val Roja.
Giunto a Cuneo verso le 9 del mattino, il reparto proseguì attraverso la Vermenagna, passò in val Roja dove catturò a Tenda e a Briga Marittima i resti dei tre battaglioni del 7° reggimento alpini e il 5° reggimento di artiglieria alpina e si spinse fino a Breil.
Qui, dove la strada era stata fatta saltare dai soldati del Regio Esercito in ritirata, fu preso contatto con un reparto della divisione Feldherrnhalle che proveniva dal Nizzardo.
Già il giorno seguente, il grosso del reparto esplorante fu fatto rientrare quasi completamente a Chivasso.
Rimasero nel Cuneese solo alcune aliquote incaricate di effettuare ulteriori operazioni di disarmo in direzione del confine francese.
Vediamo la comunicazione del 15 settembre: "Il disarmo si avvia alla conclusione. Il raggiungimento delle aree periferiche ha portato i seguenti risultati: strada Cuneo, Breglio, nessun ulteriore accertamento del nemico. Aliquote dell'A[ufklärungs] A[bteilung] "LSSAH" inviate da Cuneo verso ovest hanno disarmato a Demonte 30 ufficiali e 20 uomini, a Vinadio 30 ufficiali e 300 uomini della G.A.F. [Grenzjäger].  Le moderne fortificazioni del confine sono libere..."
Carlo Gentile, Settembre 1943. Documenti sull'attività della divisione "Leibstandarte-SS-Adolf Hitler" in Piemonte, in Il presente e la storia: rivista dell'Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia
 
Ultima categoria a ripiegare nella Riviera dei Fiori fu quella degli ebrei, fino ad allora protetti nella zona di occupazione italiana. Tra loro alcune decine riuscirono a raggiungere la provincia di Imperia il 9 settembre e si stabilirono nei dintorni di Sanremo. Si trattava di Hélène Saulnier e delle famiglie Viterbo, Tarica, Sciarcon, Modiano, Avigdor e Tilche <46.
46 P. VEZIANO, Sanremo. Una nuova comunità ebraica nell’Italia fascista, 1937-1945, Reggio Emilia 2007, pp. 171-178.
Jean-Louis Panicacci, art. cit.

Doc. 33 (BA-MA, RS 2-2/27)
Comunicazioni del Quartiermeister (sezione dello stato maggiore addetta, tra l'altro, ai rifornimenti ed all'amministrazione dei prigionieri di guerra) del II. SS-Panzerkorps all'Heeresgruppe B.
17-9-43: "Lungo la strada Cuneo - Ventimiglia, catturati al Colle di Tenda un btg. ed a Briga due btg. del 7° regg. Alpini. I cannoni del 5° regg. art., in posizione in montagna, privi dei serventi. A Saorgio, il ponte stradale e quello ferroviario fatti saltare [...]".
Carlo Gentile, Op. cit.
 
10.9.1943. Cartolina postale da Ormea a Marina 999 di Tolone, però indirizzata a Nizza. La cartolina non potè essere recapitata per il precipitare degli eventi e venne rispedita AL MITTENTE, reindirizzata a Savigliano ove la signora si era trasferita. Fonte: Riccardo Bertolotto, art. cit. infra

“Ormea 10 sett. 1943
Dario mio, Sebbene sia quasi sicura che non ti giunga questa mia te la invio ugualmente per farti conoscere le nostre buone condizioni di salute. Fino a ieri ho sempre sperato di vedere in mezzo ai numerosi marinai e soldati venuti da tutte le parti della Francia, anche te, purtroppo invece nulla, possibile che ci si debba rassegnare a questa dura sorte. Che disperazione Dario mio! Non per fartene un rimprovero, ma se avessi ascoltato il nostro consiglio!! Io lo sentivo che finiva così. Speriamo che Dio e la Madonna non ci abbandonino del tutto e ci proteggano. Anche noi qui sentiamo le conseguenze e faccio conto di rientrare prima del previsto a Savigliano ove credo sarò più tranquilla. Sta bene, Dario caro, e di buon animo che le cose si aggiusteranno speriamo presto. Ricordi e baci infiniti da Giorgio e da me tua Maria.
Maria Barla. Villa De Michelis. Ormea.”
Riccardo Bertolotto (da IL FOGLIO dell'U.F.S. n. 173), Spigolature, armistizio su due fronti, Il Postalista
 

sabato 21 marzo 2020

Uccisi 6 civili a Villa Junia di Sanremo

Baiardo (IM) - Foto Moreschi

Il 17 gennaio 1945 nella zona di Baiardo Bersaglieri Repubblicani catturano i sapisti Laura Giobatta, Laura Mario, Laura Silvio Antonio, Laura Silvio Luigi e Laura Luigi “Miccia”. I cinque partigiani con il medesimo cognome, facenti parte della banda locale di Baiardo furono incolpati di aver trasportato un carico di farina da Baiardo a Passo Ghimbegna e a Vignai per rifornire i partigiani. Vennero portati a Sanremo nella Villa Negri, situata vicino alla Chiesa Russa, dove c'erano delle piccole celle. Il partigiano Laura Luigi Miccia riesce a fuggire durante un allarme aereo e a mettersi in salvo [riuscì a salire su di un tram per andare a rifugiarsi in un casolare in Località Tre Ponti di Sanremo]. Gli altri quattro partigiani furono trasferiti in un primo tempo nella Villa Ober [Oberg, Auberg...] e successivamente in un luogo poco distante, Villa Junia, dove dai Bersaglieri furono obbligati a scavarsi la fossa e quindi dagli stessi fucilati il 24 gennaio 1945.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia  

Nella vicina Sanremo (IM) la notte successiva vennero fucilati presso Villa Junia cinque partigiani della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione, che erano stati arrestati a Baiardo (IM) il 17 gennaio.  Quattro di essi portavano il cognome Laura: Gio Batta Paolo, Luigi Gino, Mario Mario e Silvio Antonio. Come segnalato anche da  "Mimosa" [Emilio Mascia] alla Sezione SIM del CLN di Sanremo, il quale avvertiva che dopo l'uccisione di "Bacucco" e l'arresto della moglie le brigate nere avevano ucciso in Sanremo 4 persone tutte di cognome Laura e che altre 20 erano state arrestate e trasferite a Sanremo dove sarebbero state processate dal nemico per connivenza con i patrioti.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Fonte: Pietre della Memoria

25 gennaio 1945 - Dal C.LN. di Sanremo, prot. n° 225/SIM, al Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa, al comando della II^ Divisione ed al comando della V^ Brigata - Relazione militare: nella notte tra il 23 ed il 24 u.s. a Sanremo erano stati uccisi 6 civili a Villa Junia in Corso Inglesi; a Taggia erano stati trucidati da SS italiane e tedesche 7 patrioti.
da documento Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II
 
Elenco delle vittime decedute
Laura Giobatta (nome di battaglia “Paolo”) di Giobatta, nato a Baiardo il 7.06.1925, anni 19, contadino, Partigiano, (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 5.06.1944 al 24.01.1945 n° dichiaraz. Integrativa 3260.
Laura Mario (nome di battaglia “Mario”) di Eugenio, nato a Baiardo il 27.08.1923, anni 21, frantoiano, Partigiano, com.te squadra, (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 10.06.1944 al 24.01.1945 n° dichiaraz. Integrativa 3261.
Laura Silvio Antonio (nome di battaglia “Antonio”) di Antonio, nato a Baiardo il 29.04.1923, anni 21, contadino, Partigiano, com.te squadra (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 10.06.1944 al 24.01.1945 n° dichiaraz. Integrativa 3263.
Laura Silvio Luigi (nome di battaglia “Gino”) di Silvio, nato a Baiardo il 13.08.1921, anni 23, contadino, Partigiano, com.te squadra (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 12.04.1944 al 24.01.1945 n° dichiaraz. Integrativa 3262.
Altre note sulle vittime:
1. Laura Luigi, fratello del fucilato Laura Mario (nome di battaglia “Miccia”) di Eugenio, nato a Baiardo il 14.11.1926, contadino, Partigiano, Commissario di Distaccamento (II Div. “F. Cascione” V Brig.) dal 07.07.1944 al 30.04.1945 n° dichiaraz. Integrativa 4123
catturato insieme agli altri 4 partigiani (con il medesimo cognome) nella zona di Baiardo il 17.01.45 - ferito precedentemente ad un ginocchio a Carmo Langan - condotti a Sanremo nella Villa Negri e rinchiusi in cella, ma essendo invalido non era vigilato come gli altri prigionieri - durante un interrogatorio suona l'allarme aereo coglie il momento favorevole e si dà alla fuga. Riesce a prendere un tram a portarsi in località Tre Ponti dove si nasconde nel casolare di una sua campagna.
(da una memoria del partigiano Giancristiano Pesavento conservata nell'archivio ISRECIm sez. III cartella 24 bis)
Descrizione sintetica
Il 17 gennaio 1945 nella zona di Baiardo Bersaglieri Repubblicani catturano i sapisti Laura Giobatta, Laura Mario, Laura Silvio Antonio, Laura Silvio Luigi e Laura Luigi “Miccia”. I cinque partigiani con il medesimo cognome, facenti parte della banda locale di Baiardo furono incolpati di aver trasportato un carico di farina da Baiardo a Passo Ghimbegna e a Vignai per rifornire i partigiani. Vennero portati a Sanremo nella Villa Negri, situata vicino alla Chiesa Russa, dove c'erano delle piccole celle. Il partigiano Laura Luigi “Miccia” riesce a fuggire durante un allarme aereo e a mettersi in salvo. Gli altri quattro partigiani furono trasferiti in un primo tempo nella Villa Oberg e successivamente in un luogo poco distante Villa Junia, dove dai Bersaglieri furono obbligati a scavarsi la fossa e quindi dagli stessi fucilati il 24 gennaio 1945.
(Da Vol. IV della “Storia della Resistenza Imperiese” di F. Biga pagg. 123, 124 e 233;
Memoria del partigiano Giancristiano Pesavento conservata nell'Archivio ISRECIm Sez. III cartella 24 bis)
Note sui presunti responsabili:
Estremi e Note sui procedimenti:
III. MEMORIA
Monumenti/Cippi/Lapidi:
Sacrario: lapide in marmo, lapidi in marmo su tombe dei caduti partigiani iscrizione: a perenne ricordi dei Garibaldini che al sacro Ideale della Libertà immolarono le loro vite generose... (inseriti anche i nomi dei 4 partigiani)...  committente: ANPI - situata presso il Cimitero di Baiardo.
Cippo in pietra: lapidi in bronzo, riferito a combattimento, rastrellamento e fucilazione iscrizione: Baiardo ai Caduti partigiani e civili della guerra di Liberazione 1943-45 (inseriti anche i nomi dei 4 partigiani ) - committenti: A.N.P.I., Comune di Baiardo, Comunità montana intemelia, F.IV.L., I.S.R. Di Imperia - situato presso il Parco delle Rimembranze a Baiardo.
Edicola in marmo: lapide in marmo riferita a rastrellamento e fucilazione (del 24.01.45 e 12.002.45) iscrizione: a perenne ricordo dei Garibaldini (inseriti anche i nomi dei 4 partigiani di Baiardo)... che al sacro ideale della libertà immolarono le loro vite generose vittime del furore nazifascista... situata in Corso Inglesi a Sanremo
Edicola in laterizio: lapide in marmo riferita a fucilazione (del 24.01.45 e 12.002.45) (inseriti anche i nomi dei 4 partigiani di Baiardo) - Situata presso Villa Junia - Sanremo
Roberto Moriani, Episodio di Villa Junia, Sanremo, 17-24.01.45, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia