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martedì 16 gennaio 2024

Attacco nazifascista alla IV Brigata

Una vista dal Passo della Pistuna. Fonte: Wikiloc

Il rastrellamento previsto contro la IV brigata ha inizio.
Una colonna di Tedeschi proveniente da Molini di Triora scende nelle prime ore del pomeriggio del 31 ottobre [1944] verso Montalto ove attende un'altra colonna proveniente da Arma di Taggia: circa trecento uomini che, raggiunta Badalucco ove compiono ulteriori saccheggi e arrestano Secondo Antonio fu Napoleone che fanno sparire, proseguono e si congiungono alla prima.
Nel tardo pomeriggio una parte dei Tedeschi ritorna a Molini di Triora mentre il grosso della colonna pernotta per proseguire all'alba del giorno successivo per Carpasio, con tutte le mucche razziate lungo il cammino.
Il Comando della brigata garibaldina, informato che quello tedesco era a conoscenza dell'ubicazione del Comando stesso, decide di spostarsi nella notte, con tutto il materiale e gli uomini, in altra località.
Il primo distaccamento e quello di brigata ricevono anch'essi l'ordine di spostarsi nella notte in un'altra località, pur mantenendo le guardie ai soliti passi.
E' l'alba del primo novembre quando circa centocinquanta garibaldini del primo battaglione del comandante Giovanni Alessio (Peletta), e del 2°, del comandante Giacomo Sibilla (Ivan), incominciano ad animarsi negli accampamenti posti tra il passo della Pistona [Pistuna] e quello di Verna, e a Costa di Carpasio, mentre alcune squadre da qualche ora erano di pattuglia.
Il Comando brigata, come prestabilito, aveva rapidamente attuato lo spostamento. Rimane invece appostata sulla strada una squadra agli ordini del vicecomandante di brigata Angelo Perrone ("Bancarà" o "Vinicio"), per attendere la prevista colonna nemica proveniente da Montalto e diretta a Carpasio. Ma non avvertito alcun movimento apparente, la squadra si ricongiunge al distaccamento alle ore 10 circa antimeridiane e perciò la colonna tedesca, non individuata ed attaccata, alle ore 11 può raggiungere indisturbata il paese di Carpasio.
Il nemico invade il paese con violenza, svaligia per l'ennesima volta tutte le case e preleva tre ostaggi di cui uno verrà fucilato a San Remo.
Sviluppa l'attacco alla IV Brigata pure da levante e perciò il primo novembre Tedeschi e fascisti della formazione del capitano F. [Ferrari] provenienti da Pontedassio e penetrati in Borgomaro, saccheggiano una dozzina di case e catturano il garibaldino Agostino Guglieri (Barba) fu Agostino, nato a Borgomaro il 24.3.1918 (che verrà fucilato a Taggia il 28.11.1944). Altre tre persone catturate come ostaggi finiranno nel campo di concentramento di Bolzano (1). Una squadra di Tedeschi saccheggia alcune case nel borgo di Candeasco.
La rapida evoluzione della situazione militare induce il vicecomandante "Bancarà" a chiedere rinforzi al primo battaglione il cui comandante "Peletta", già in osservazione col binocolo sulla cresta della montagna presso il passo della Pistona, aveva scorto una colonna tedesca in marcia in direzione del valico di Conio.
I garibaldini decidono di affrontare immediatamente i Tedeschi per bloccarli al valico e quindi ricacciarli indietro per non permettere loro di circondare la brigata.
Una quindicina di componenti del primo battaglione, ivi compresi il comandante "Peletta" (2), il vice comandante, il commissario Mimmo Semeria (Sparviero), uomini del 6° distaccamento, ed altri tra cui Pietro Frangi (Milan), "Canteria", "Nando" e Raul Oreggia (Raul), affrettano il passo per giungere al valico prima dei Tedeschi e tendere loro l'imboscata.
Si muovono sul versante a mare con "Milan" in avanscoperta che sulla cresta della montagna, giunto a circa 400 metri dal valico, scorti sul versante opposto, per i prati, numerosi Tedeschi avanzanti in ordine sparso in direzione del valico stesso, col movimento di un braccio esorta i compagni ad accelerare la marcia per arrivare prima del nemico a prendere posizione sulla cresta, alla quale ormai sono prossimi.
In anticipo solo di un minuto sul nemico ignaro, i garibaldini riescono appena in tempo a piazzare le armi automatiche e a prenderlo di mira da una distanza di circa trenta metri.
Con lo scoppio fragoroso e micidiale di un grappolo di quattro bombe a mano tedesche, lanciate da "Peletta", che provocano una strage in mezzo al nemico, inizia un violento combattimento.
Allo scoppio segue un fuoco infernale scatenato dalle armi automatiche (mitra, machinen-pistole, parabellum, Mayerling) che investe i nazisti sorpresi dall'attacco e perciò, in preda al terrore, subito tentennano e quindi cercano riparo tra le rocce che non sono a portata di mano.
La sparatoria durerà circa due ore (3).
Il comandante tedesco che, all'inizio dello scontro, con la rivoltella in pugno marciava davanti ai suoi uomini, imbottito di piombo da "Sparviero" e da altri compagni di lotta tarda a cadere; sembra che le pallottole lo sfiorino appena e avanza ancora verso la posizione garibaldina con gli occhi di ghiaccio e quasi è addosso agli uomini quando cade a terra morto. Sgomento tra i garibaldini davanti a tale allucinante spettacolo.
Rimangono sul terreno una quindicina di nemici uccisi prima che, inceppatosi il Mayerling, i garibaldini si ritirino sul valico del Maro, verso il quale i Tedeschi, rimasti incolumi, da un riparo all'altro, da un cespuglio all'altro, cercano di spostarsi.
Dai loro movimenti appare evidente il tentativo di riunirsi in colonna per portarsi a quel valico onde prendere alle spalle i garibaldini. I quali vi giungono per primi e scatta, così, la seconda imboscata della giornata.
Lo scontro si accende accanito con le avanguardie nemiche; al gruppo si sono ora aggiunti i garibaldini del 6° distaccamento guidati da "Ivan" [Giacomo Sibilla], comandante del 2° battaglione.
Si combatte per circa due ore; tra morti e feriti sono messi fuori combattimento una trentina di nemici (4).
Verso le ore 11, cessato ormai il combattimento, in perlustrazione con il binocolo "Peletta" scorge piazzata sul sagrato della chiesa di Carpasio una mitragliera da 20 mm. che inizia, in quel momento, un violento fuoco sul gruppo dei partigiani usciti dal riparo.
"Sparviero" riesce a pararsi in tempo, ma il garibaldino Giovanni Blasi (Fiorello) di Antonio, nato a Lecce il 14.11.1920, viene colpito da un proiettile alla spalla sinistra (5).
Intanto per penuria di munizioni i garibaldini si sganciano ma i Tedeschi non osano andare avanti.
A tarda sera carri nemici, che trasportano le salme dei caduti coperte di frasche, scendono per la strada di Borgomaro.
Durante questa giornata di scontri viene pure proditoriamente attaccato dal nemico, con l'aiuto di una spia, il 5° distaccamento e perciò cade il garibaldino Angelo Gorlero (Toro) fu Luigi, nato a Imperia il 5.10.1922 e due altri rimangono feriti; il nemico perde tre uomini.
Il comando partigiano, prevedendo un rastrellamento generale per il giorno successivo, che avrebbe potuto precludere ogni possibilità di ritirata alla IV Brigata, ordina ai distaccamenti di scindersi ordinatamente in squadre secondo le istruzioni a suo tempo emanate.
Il 2 di novembre tre colonne di nazifascisti, rispettivamente provenienti da Conio, da San Bernardo e da Aurigo dove avevano pernottato (presumibilmente gli stessi che il giorno innanzi avevano sostenuto i combattimenti ai valichi di Conio, del Maro ed attaccato il 5° distaccamento), si riuniscono a Ville San Pietro, invadono la chiesa durante la S. Messa dei defunti e catturano quattro ostaggi (6).
Il rastrellamento si estende in tutta la valle dell'Impero, in valle Prino da Villa Talla al mare, in valle Argentina da colla d'Oggia a Montalto; viene così investita tutta la zona d'operazioni della IV Brigata.
Nel pomeriggio a Ville San Pietro si formano due colonne, di cui una, composta di Tedeschi, scende ad Arzéne, già sede del Comando della brigata, l'altra, composta di fascisti, scende a Villa Talla e assedia il paese. I nemici intimano l'alt ad un civile che non si ferma e riesce a fuggire, quindi radunano la popolazione in piazza e sono catturati alcuni membri del C.L.N. Locale. Messi in marcia, due di essi fuggono lungo la strada e i quattro rimasti vengono condotti a Valloria dove altro ancora, elusa la sorveglianza, riesce a nascondersi.
Dei tre non riusciti a fuggire, ammanettati e trascinati in prigione a Porto Maurizio dalle SS, Francesco Trucco verrà liberato dopo tre mesi di detenzione, mentre Mario Gazzano e Pietro Pellegrini, deportati nel campo di concentramento di Bolzano dopo quattro mesi, ne usciranno alla fine della guerra.
Dopo aver messo a sacco Villa Talla, la colonna fascista prosegue per Tavole e Lecchiore.
Durante il tragitto una nebbia fittissima protegge i fascisti; infatti quattro squadre garibaldine (due del 3° distaccamento e due del 4°) trattenute dal Comando allo scopo di colpirli sulla via del ritorno, a causa del fenomeno non riescono a stabilire l'entità delle loro forze, mentre li odono gridare e chiamarsi a vicenda nell'abitato di Tavole.
Allora i partigiani si appostano alla cappella di Santa Marta perché sembra, con tutta probabilità, che i nemici vogliono salirvi; invece, protetti ancora dalla fitta nebbia si portano a Lecchiore, guidati dal capitano Ferrari, e circondano il paese.
Su indicazioni di spie, sorprendono il garibaldino Patrone Battista (Patron) di Giobatta, nato a Pieve di Teco l'8.8.1926 che feriscono gravemente, ed intimano di alzare le mani a Elio Cologni (Ricon) di Antonio, nato a Bergamo il 13.01.1911, vicecommissario del primo battaglione, mentre tenta di portare in salvo il compagno ferito.
Il Cologni non si dà per vinto e reagisce ma viene mortalmente colpito al cuore da una raffica di mitra; si conclude, così, la sua nobile esistenza perché è stata di continua lotta per la libertà (7).
Anche il Patrone viene barbaramente finito con una raffica alla nuca (8).
In giornata, prima di allontanarsi da Montalto, i bersaglieri fascisti bruciano l'osteria del paese; in uno scontro nei pressi di Vasia cade il garibaldino Augusto Dal Bò (Tripolino) di Angelo, nato a Treviso il 16.07.1928. A Poggialto viene catturato e fucilato Guglieri, detto "Rinè", di Borgomaro. Cade anche Attilio Ventimiglia di Conio. E' catturato dai nazifascisti pure Armando Benza che verrà fucilato alla periferia di Oneglia il 6 novembre 1944.
Avvisate dalla pattuglia inviata verso Lecchiore il 3 novembre, le quattro squadre, che erano state tenute in riserva per le imboscate, con i rispettivi comandanti si portano rapidamente al valico di Santa Brigida per attaccare il nemico che sta transitando per scendere verso la costa, ma giungono in ritardo. La retroguardia composta da diciassette fascisti si salva, così, per pochi minuti.
Nonostante i combattimenti sostenuti per due giorni consecutivi, gli appostamenti prolungati sotto terribili acquazzoni, i vestiti fradici senza possibilità di asciugarli ad un fuoco ed alcune perdite subite, i garibaldini escono dal rastrellamento, condotto dal nemico con ingenti forze per distruggere la gloriosa IV Brigata isolata in Liguria, col morale alto e le fila del tutto intatte.
Ed appunto il nemico, conscio dello scacco subito, scatena la sua rabbia su vari paesi del litorale.
Il 3 di novembre rastrella cinque persone a Castellaro, fra queste Vincenzo Capponi viene deportato in Germania ed altre due nelle carceri di Marassi a Genova. In rastrellamento fucila Giambattista Filippi a Terzorio e sulla strada una giovane donna che transitava in bicicletta.
Rastrella sessanta civili a Riva Santo Stefano, di cui, quaranta deporta nella villa Magnolia a San Remo, venti a Marassi ed in seguito, otto di questi in Germania, compresi Renato Minasso, G.B. Garibaldi,  Settimo Boeri e Gerolamo De Micheli.
Nella prima decade di novembre si stabilisce a Baiardo una compagnia di bersaglieri fascisti di cui descriveremo le malefatte, e vi rimarrà fino alla liberazione; durante questo periodo colpirà duramente le località di Vignai, Fontana Bianca, Pei, Valeglia, Ciliegia, Castello, Serra, San Giorgio, Carosse, Fornace, e Berzi.
[NOTE]
1 Gli ostaggi ostaggi catturati e finiti a Bolzano in campo di concentramento sono: Aldo Gandolfo, Giacomo Guglieri, Onorino Toesca; vi rimarranno fino alla liberazione.
2 Giovanni Alessio (Peletta) fu un grande combattente per la libertà. Nell'aprile 1944 disarmò due carabinieri a Borgo Prino e a Caramagna; nella primavera, con una squadra, catturò il presidio fascista di San Lorenzo al Mare; attaccò per tre giorni un presidio nemico nei pressi di Civezza; prelevò a Villa Ludovici otto Tedeschi in servizio ai pozzi minati; catturò e disarmò la batteria di Poggi composta da trentasette milili della San Marco e da un Tedesco; sbaragliò una colonna nazifascista presso Prelà; il 4 settembre 1944 attaccò e distrusse una squadra tedesca presso Santa Brigida. Le imboscate da lui tese coi suoi uomini, susseguitesi per tutto l'inverno a Tavole, a passo Verna, a passo Pistona, a Pietrabruna, a Dolcedo, ecc., causarono tali perdite ai nazifascisti che essi stessi lo bandirono promettendo una taglia di un milione di lire da consegnarsi a chi l'avesse catturato e rortato vivo o morto al loro Comando.
3 Da una relazione della IV brigata pervenuta al Comando divisione il 26.12.1944.
4 In occasione dei vittoriosi scontri venne emesso dai Comandi partigiani il seguente ordine del giorno:
"... Corpo Volontari della Libertà aderente al C.L.N.
Comando Divisioni e Brigate d'Assalto "Garibaldi".
Ispettorato della I e II Zona Liguria.
       Al Comando della IV Brigata.
       A tutti i volontari della IV Brigata.
                                                                                               Ordine del Giorno
Il Comando della IV brigata e tutti i volontari della libertà che la compongono sono citati all'ordine del giorno per avere, durante l'ultimo tentativo di rastrellamento, saputo tener testa con fermezza e coraggio a tutti gli attacchi del nemico, passando quindi alla controffensiva ed infliggendo ai Tedeschi gravi perdite.
L'encomio è decretato al comandante "Ivan" ed al 6° distaccamento per il loro valoroso comportamento e per lo spirito combattivo dimostrato al passo del Maro il primo novembre contro il tentativo di rastrellamento nemico.
L'encomio solenne è decretato al garibaldino Blasi che, incurante dell'offesa nemica, troppo si esponeva e rimaneva mortalmente ferito al passo del Maro il primo di novembre.
L'encomio solenne è decretato al vicecomandante di brigata "Vinicio", al comandante "Peletta" e alla squadra del primo battaglione che con loro ha combattuto a passo di Conio e al passo del Maro, per essere stati gli animatori della lotta, per decisione nel combattimento e alto spirito combattivo.
La IV ha saputo in questa circostanza mantenere alta la bandiera della divisione "F. Cascione" e la sua eroica tradizione di sacrificio e di lotta per i più alti destini della Patria.
                               Il Comandante Ispettore della I e II Zona Liguria
                                 firmato: "Simon"                                                             ..."
(n.d.r. - Angelo Perrone aveva due nomi di battaglia: "Vinicio" e " Bancarà")
5 A nulla valsero le cure. Il 7 di novembre 1944 il garibaldino Blasi colpito da setticemia cessa di vivere, murato in una nicchia rifugio di una “fascia” di Valloria, ove era stato nascosto, assistito dal dr. D'Alessio.
6 Gli ostaggi verranno rinchiusi nelle carceri d'Oneglia e sottoposti a torture per due mesi.
7 Vedi nota 8 del capitolo precedente.
8 Da relazione del Comando IV brigata "E. Guarrini" alla Delegazione militare della I Zona Liguria, prot. n. 6/Cm, 5.11.1944.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977, pp. 235-240

giovedì 30 marzo 2023

Terminato il rastrellamento, il Comando partigiano nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo

Il Bosco di Rezzo vicino al Passo della Teglia. Foto: Pampuco su Wikipedia

Finalmente anche il giorno 6 [settembre 1944] ha termine; il nemico riunisce i reparti rastrellanti [nd.r.: si trattava della battaglia di Montegrande], riforma le colonne, si concentra a fondo valle.
Il pugno di ferro si era stretto; che aveva preso? Che risultato aveva avuto il grande spiegamento di forze aiutate da circostanze eccezionali favorevoli? Nulla, quasi nulla: su più di un migliaio di partigiani, solo una diecina caduti nella rete. Ettore Bacigalupo, Aldo Gagliolo, Italo Ghirardi erano caduti il primo giorno. Germano Valsecchi (Germano) di Giovanni, nato a Bergamo il 14.4-1927, uno della IV brigata, catturato mentre, estenuato, dormiva in un fienile, venne impiccato a San Bernardo di Conio. I civili Michele e Luigi Vinai saranno trovati tra i cespugli crivellati di colpi (7).
Altri tre garibaldini, catturati dal nemico, riusciranno a fuggire con l'aiuto dei civili.
Alle ultime luci del tramonto i Tedeschi lasciano il bosco; le macerie fumanti di San Bernardo di Conio, di case Rosse, di case Dell'Erba, delle cascine e dei fienili distrutti, indicano che anche lì, come a Triora, a Molini, a Pornassio, a Villa Talla, erano passate le truppe di Hitler.
Non note le perdite nemiche. La popolazione aveva scorto scendere per la rotabile di Rezzo alcuni carri chiusi e sanguinanti.
Terminato il rastrellamento, il Comando divisionale nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo riuscendo a riorganizzare in brevissimo tempo tutta la divisione, dai Comandi ai distaccamnenti, per prepararla alle previste battaglie autunnali.
A livello della critica storica, non è stato ancora chiarito lo scopo degli annunci radio alleati della loro offensiva sulla costa ligure, poi mancata, con la conseguenza di creare, per alcuni giorni, una situazione precaria gravissima alle formazioni partigiane. Solo le autorità politiche e militari inglesi e americane avrebbero potuto dare una risposta all'interrogativo che si sono posti gli uomini del Comando militare unificato regionale e della Resistenza imperiese che, sempre, hanno avuto dagli alleati incitamenti alla lotta ma, in riscontro, per tutto il 1944, mai hanno ricevuto da loro un fucile o una cartuccia, e che il 5 di agosto ed il 5 di settembre hanno rischiato la vita per causa della leggerezza o di qualche equivoca intenzione... del Comando anglo-americano.
Come si sa, le formazioni garibaldine erano organizzate dal P.C.I., e la II divisione «F. Cascione» era una divisione garibaldina.
L'8 di settembre nella zona di Triora, una compagnia di Tedeschi a bordo di due camions, caduta in un'imboscata, lascia sul terreno parecchi morti.
Il nemico fucila a San Remo il partigiano Ciccio Corradi (Gigi) di Agostino, nato a San Remo l'8.5.1925, che in agosto aveva consegnato ad Alfredo Esposito di San Remo una trasmittente da portare in montagna (8).
 
San Bernardo di Conio. Foto: nico su Riviera Time

[NOTE]
(7) Encomi solenni e promozioni.
Il 15 settembre 1944 il Comando divisionale premiava coloro i quali si distinsero singolarmente o ad intere squadre nella battaglia di monte Grande, con splendide motivazioni, promozioni e proposte di decorazioni, che da sole costituiscono il più alto elogio allo spirito combattivo delle formazioni garibaldine:
1) Encomio solenne alla squadra d'assalto della I brigata «Silvano Belgrano» per l'eroico contegno avuto durante l'attacco al monte Grande nella giornata del 5 corrente mese. Guidata dal suo comandante «Mancen» [Massimo Gismondi], dopo aver raggiunto d'assalto la cima del monte causando gravissime perdite al nemico, si manteneva sulle posizioni malgrado i contrattacchi dell'avversario fino alle tarde ore della sera permettendo alle forze della divisione, poste in difficoltà, di ritirarsi in buon ordine e senza perdite.
2) Encomio solenne alla squadra mortaisti ed al suo comandante «Romano» per aver contribuito validamente al successo della squadra d'assalto con il suo tiro preciso mettendo in fuga il nemico, sotto la guida del comandante di brigata «Cion».
3) Encomio solenne alla squadra del distaccamento di «Socrate», guidata dal volontario «Vittorio il Biondo», per aver partecipato all'azione della conquista di monte Grande con impeto e coraggio; contribuendo al successo delle nostre forze.
4) Di «motu proprio» il Comando divisionale per i motivi suddetti: promuove il comandante di brigata «Cion» [Silvio Bonfante] vice comandante di divisione per il suo comportamento durante l'azione di monte Grande, per la perizia dimostrata e per tutta la sua attività che lo addita come uno dei migliori comandanti delle nostre brigate.
Promuove il comandante «Mancen» del distaccamento d'assalto «G. Garbagnati» della I brigata a vice comandante di brigata.
Propone al Comando militare della Liguria che al comandante «Cion» e al comandante «Mancen» sia conferita la decorazione al valore partigiano.
5) Proposta per la medaglia d'argento al valor militare alla memoria del garibaldino «Ettore Bacigalupo», vice comandante del distaccamento «A. Viani» con la seguente motivazione:
«Avvertito che una postazione attaccata dai Tedeschi aveva perduto il mitragliatore, si slanciava al seguito del comandante di distaccamento al contrattacco per recuperare l'arma. Accolti nel tentativo dalla violenta reazione del nemico ormai attestato sulla posizione perduta, i garibaldini persistevano sinché, visto inutile ogni tentativo, iniziavano un ripiegamento. Ettore Bacigalupo con le lacrime agli occhi per la perdita di quel mitragliatore tedesco da lui conquistato alcuni giorni prima, non volle desistere dall'impresa. Riportatosi sotto la postazione nemica l'attaccava nuovamente con l'audacia dei forti. Lanciatosi improvvisamente contro i Tedeschi dal riparo che aveva raggiunto, imbracciando un mitragliatore «Otcis», riusciva a far tacere la mitragliatrice nemica, ma, colpito da una raffica di machinen-pistole, cadeva esamine. Il suo corpo fu poi ritrovato deturpato dalla rabbia nazista. Monte Grande (Rezzo-Imperia) 5.9.1944».
(8) Come informa una lettera, del 16.9.1944, inviata da «Petrowich» a «Prof», il Corradi fu ucciso nella caserma «La Marmora» [di Sanremo, zona San Martino] con raffiche di mitra, prima alle gambe e poi alla testa, dai fascisti del comandante G. che, già, aveva fatto arrestare e rinchiudere nella villa Magnolia l'antifascista cap. Amilcare Rambaldi (Archivio [IsrecIm], fascicolo 4.11.1944).
 
Dintorni di Rezzo (IM). Fonte: Ponente Ligustico

Francesco Biga
, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

lunedì 31 agosto 2020

Il partigiano Lionello Menini, protagonista della battaglia di Montegrande


La croce di vetta del Monte Grande - Fonte: Monti Liguri

Nei primi giorni di settembre 1944 nella I^ Zona Liguria i comandi partigiani avevano già predisposto tutte le loro formazioni per attaccare i principali centri della costa, come supporto ad un attacco alleato proveniente dalla Francia: questo era dato già per avvenuto da Radio Londra, che il 1 settembre trasmetteva: "truppe alleate sono già a 8 Km oltre frontiera in territorio italiano. Le prime formazioni partigiane hanno preso contatto con gli alleati..." (così in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977).
Purtroppo la notizia si dimostrò falsa e i partigiani dovettero lottare per altri 8 mesi.
Le formazioni tedesche e fasciste, appurata la non veridicità della notizia appena descritta, organizzarono una ennesima operazione di rastrellamento ai danni dell'estremo ponente ligure: l'obiettivo era quello di accerchiare i partigiani attaccando dalla Val Prino e dalla Valle Argentina.
I garibaldini, venuti a conoscenza del piano d'attacco tedesco, appurarono che la forza nemica era enorme: circa 8.000 unità.
L'azione a vasto raggio coinvolse la I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" e la IV^ Brigata "Elsio Guarrini"della II^ Divisione "Felice Cascione", che aveva la propria sede comando nel bosco di Rezzo (IM).
Il giorno 4 settembre [1944] i soldati tedeschi e fascisti, avanzando da varie direttrici, "si spingono su Borgomaro, occupano la zona di Moltedo, raggiungono il paese di Carpasio e dilagano nella vale di Triora. Da Pieve di Teco si spingono su Pornassio e su San Bernardo di Mendatica" (Francesco Biga, Op. cit.).
Alle 5 del mattino del giorno successivo iniziò l'attacco nazifascista. Il passo Teglia fu il teatro dove caddero i primi garibaldini. Conquistato anche il Monte Grande, i tedeschi obbligarono i partigiani a ripiegare.
Il comando della Divisione prese allora una decisione rischiosa ma necessaria: attaccare il Monte Grande [prossimo a San Bernardo di Conio, Frazione del comune di Borgomaro (IM)].
"Mancen" Massimo Gismondi fu prescelto per questa rischiosa azione. Accompagnato da altri 12 garibaldini, riuscì a risalire il ripido pendio e prendere alle spalle i nazisti che, colti di sorpresa, fuggirono lasciando armi e munizioni sul luogo.
L'obiettivo garibaldino era stato centrato. In questo modo si poteva procedere allo sganciamento degli uomini, all'occultamento del materiale bellico e delle salmerie, in ciò anche con l'aiuto di una situazione meteorologica favorevole.
Il giorno successivo gli 8.000 tedeschi non trovarono, pertanto, i garibaldini. Questi si erano nascosti nel territorio che conoscevano bene.
Così terminò il grande rastrellamento, che aveva tuttavia causato la perdita di dieci vite tra civili e partigiani.
Cessata la tempesta, il Comando Divisionale tornò nel bosco di Rezzo a riorganizzare le proprie fila.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Il 4 settembre  del  44,  al  mattino  presto era arrivato dalla strada di Andagna un “prete“, cioè un  uomo vestito da prete, ed era stato fermato da tre partigiani della postazione di guardia e  accompagnato al Comando di Distaccamento, a Passo Teglia di Fenaglia, dove il comandante era Germano Belgrano (Giuda) e il Commissario era Bruno Brilla (Padoan), fratello maggiore di  Francesco. Poi  il  prete  veniva  trasferito  ulteriormente  al Comando di  brigata che si trovava a S. Bernardo di Conio sul piazzale. Lì sostavano Nino Siccardi (U Curtu), Carlo Farini (Simon), Silvio Bonfante (Cion) e il “prete” subiva uno stringente interrogatorio. Non essendo emerso nulla di compromettente, era rilasciato e riaccompagnato a Passo Teglia, quindi veniva considerato un vero prete. Nel pomeriggio  costui  essendo  sostato  a  Passo  Teglia, aveva parlato nuovamente con Bruno Brilla e gli altri partigiani di sorveglianza, potendo quindi osservare bene  dove  era  situato il  posto  di guardia del Comando di distaccamento. In realtà il prete era una spia; non scoperto, aveva informato dettagliatamente i tedeschi  della collocazione del posto di blocco a Passo Teglia. Occorre precisare che due giorni prima erano arrivati circa una quarantina di ex Sanmarchini (gruppo Menini) con  i  mortai  a  rimpinguare  il  raggruppamento  ed  una  ulteriore  ventina  di  partigiani  venivano  mandati a posizionarsi in questo distaccamento di Passo Teglia. Bruno Brilla per prudenza non ambiva dormire con i nuovi arrivati nel casone, preferiva  dormire  fuori,  all’aria  aperta  nonostante le incipienti notti fresche, riparato precariamente sotto un carro. Al mattino, alle ore cinque e trenta sentiva con stupore una breve raffica di machine pistole, armi simili non erano assolutamente in  dotazione  ai  partigiani. Infatti era accaduto che una pattuglia di tedeschi, conoscendo il luogo della postazione di guardia  (rivelata  dal  finto  prete)  erano  arrivati in pieno silenzio e avevano eliminato i tre partigiani di guardia. Padoan dava immediatamente l’allarme a tutti i ribelli presenti, che si mobilitavano rapidamente; inoltre mandava subito una staffetta a Conio al Comando Brigata per comunicare che la zona era infestata dai tedeschi. Sede ANPI di Imperia Oneglia, 31 Ottobre 2017, intervista a Francesco Brilla
Marina Siccardi, figlia di Nino Siccardi “U Curtu”, Comandante della I^ Zona partigiana Liguria. in ANPI Resistenti, ANNO XII N° 1 - aprile 2019, di ANPI Savona


[...] Dice Wan Stiller [Primo Cei, già commissario di squadra della I^ Brigata "Silvano Belgrano della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]: "alla prima raffica eravamo rotolati giù, lungo il pendio, ma Cion (Silvio Bonfante) in piedi, aveva individuato sul Monte Grande i tedeschi, quindi aveva iniziato a sparare e li aveva impegnati subito con raffiche continue. Nel frattempo aveva chiamato Lionello Menini (Menini), comandante (1) dei mortaisti (erano degli ex Sanmarchini) che Cion aveva reclutato soltanto due giorni prima a Chiappa e a Molino Nuovo (Andora). Li aveva convinti a passare dalla  nostra  parte, questi ex  marò avevano due  mortai da 81 in dotazione. Cion interpellava il comandante degli ex soldati dicendo: fammi vedere cosa hai imparato durante l’addestramento in Germania! Menini aveva due  squadre, una di tre e una di  quattro militi che utilizzava per piazzare i due mortai nel declivio della collina. Sopra la collina c’era e c’è tutt’ora una chiesetta. I mortai dovevano essere piazzati in  posizione asimmetrica, uno sottostante all’altro, ma non sulla stessa verticale perché le vibrazioni del primo avrebbero disturbato la stabilità del secondo. Il terreno era scosceso, umido e scivoloso, ma Menini, da provetto esperto riusciva a creare con la zappa due  piattaforme piane, rinforzate verso valle con sassi e terra;  il bipiede del mortaio aveva una staffa con l’incastro per bloccare il mortaio quando rinculava. Venivano apprestati due gradini, uno sopra e uno sotto. Quello inferiore più avanti per non far scendere l’arma. I mortai erano privi del telemetro e si avvalevano di due bastoncini alti 1 metro, (le cosi dette paline) dipinti con anelli bianchi e rossi per traguardare l’oggetto  da  colpire. Il proiettile doveva essere sparato in linea retta tra la prima e la seconda palina. Menini per la prima prova aveva messo una carica supplementare per evitare errori e per valutare eventuali modifiche  da  apportare.  Eseguivauna  prova  supplementare  per i due mortai e iniziava a sparare sul nemico contemporaneamente al fuoco di Cion. Quattro partigiani erano dedicati ad un mortaio e quattro all’altro. Menini aveva magistralmente stabilito l’esatta in-clinazione della canna del mortaio,  poi ordinava: Spara!  Spara!  Si  avvertiva  così  uno  sparo  dopo  l’altro, sia del primo che del secondo mortaio in sequenza.  Quindi  nell’aria  potevano  esserci  contemporaneamente anche due o tre proiettili a seconda dell’aumento della carica. I tedeschi sorpresi  dagli scoppi  arretravano subito,  quindi bisognava aumentare potenza e gettata per allungare il tiro. Menini controllava sempre con i binocoli  la  lunghezza  e  le conseguenze del  tiro.  I tedeschi erano sconcertati, sbigottiti perché non immaginavano che  i  partigiani  potessero avere due mortai in dotazione e che fossero così precisi nei colpi sparati. Tutto avveniva in brevissimo tempo, e vista la situazione favorevole Cion pro-nunciava risolutamente la frase: ragazzi bisogna andare lassù... [...] Gli impavidi componenti delle squadre erano: Giobatta Acquarone (Fulmine), Attilio Alquati (Alquati),  Giuseppe Bergamelli (Gnek), Mario Longhi (Brescia), Primo Cei (Wan Stiller), Carlo Cerrina (Cigrè), Felice Ciccione (Felì), Bartolomeo Dulbecco (Cristo), Alfredo Giovagnoli (Alfredo il toscano), Calogero Madonia (Carlo siciliano) e Silvio Paloni Ruman). Non dovevano intralciarsi o rischiare di spararsi addosso pur essendo oggetto di tiro nemico dall’alto: se si saliva troppo velocemente c’era anche il rischio di essere colpiti dalla mitragliatrice e dai  mortai,  che  a  loro  volta  sparavano  sulla  cima. Quindi le due squadre di assalitori potevano in caso di sfortuna essere colpite dal basso (fuoco amico), ma Cion e Menini calcolavano bene e prudentemente il dislivello tra i partigiani in basso e il nemico in alto. Tenevano anche conto dei rapidi spostamenti partigiani che balzavano verso l’alto, inoltre le due squadre di 6 e 7 uomini si alternavano nella corsa anche di traverso. Quindi si incrociavano, anche se in tempi diversi, sulla  stessa  porzione  di monte: avevano perciò un occhio rivolto verso il nemico e contemporaneamente un occhio all’amico. I tedeschi sparavano verso il basso e solo verso i partigiani arrembanti. Conta delle armi dei partigiani nell’episodio: due mortai di Menini, Machine Gaver di Alquati, Machine Gaver di Brescia (che morirà a Ginestro vicino a Testico nel gennaio 1945). Presente alla lotta partigiana in un altro distaccamento, vi era anche il comandante Umberto Bonomini  (Brescia), che non va confuso con questo Brescia, cioè Mario Longhi. La battaglia durava più di due ore, con il risultato positivo di nessun ferito fra i partigiani. Menini con i mortai aveva fatto una sola prova, poi col binocolo vedeva i tedeschi che si allontanavano terrorizzati, allora aumentava la carica supplementare per il prolungamento del tiro. Forse aumentava anche il peso della carica. Tutto avveniva molto velocemente, come arma ulteriore Alfredo il toscano utilizzava un mitragliatore Saint Etienne. I partigiani salivano a zig-zag contro il sole. Gli ufficiali tedeschi venivano dalla scuola militare e  comandavano dei soldati ben addestrati. I partigiani si capivano con gli sguardi; Franco Bianchi (Stalin) e Massimo Gismondi (Mancen) avevano due mitra, fucili semiautomatici catturati ai tedeschi. Silvio Bonfante (Cion) era stato un seminarista ad Albenga, Stalin [Franco Bianchi] infermiere marinaio, Brescia soldato, Alquati soldato, Wan Stiller studente, Mancen camallo ad Oneglia. Anche un partigiano, forse Giuseppe Cortellucci (Carabinè), girava a Ruggiu, al passo della  Mezzaluna vestito da carabiniere; se lo prendevano lo uccidevano subito. La grande vittoria con la fuga dei tedeschi era maturata per la notevole bravura di Menini e dei suoi uomini; altresì grande era stata la fiducia, non gli  ordini  di Cion,  ma complici risolutivi solo gli sguardi. [...]
Questa è stata la testimonianza di Wan Stiller che io ho avuto l’occasione di raccogliere. Diano Marina 30 Ottobre 2017.
Marina Siccardi, figlia di Nino Siccardi “U Curtu”, Comandante della I^ Zona partigiana Liguria, in ANPI i resistenti, ANNO XII N° 1 - aprile 2019, di ANPI Savona
 
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini (1).
3 gennaio 1945 - Tribunale Militare tedesco - Copia della sentenza di condanna a morte (1) per i garibaldini Lionello Menini, Ezio Badano, G.B. Valdora e Lorenzo Gracco.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II 

(1) Lionello Menini, nato a Chatillon (AO) il 25 ottobre 1922 (nella sentenza di morte del comando tedesco Lionello Menini risulterebbe essere nato a Siena il 25 ottobre 1919), figlio di un capostazione di Torino; è arruolato e mandato in Germania per l’addestramento. Terminato il periodo, è destinato con i suoi commilitoni in Liguria, a Laigueglia. In terra tedesca aveva appreso il vero volto del fascismo; appena rientra in Italia, come molte altre giovani reclute, ipotizza di unirsi alle formazioni partigiane. Ai primi di giugno è avvicinato dai fratelli Scarati, già attivi nella Resistenza, collegati alla “Volante” di Massimo Gismondi “Mancen” e di Silvio Bonfante “Cion”. Intravvista la possibilità di abbandonare le forze fasciste, abbraccia la lotta resistenziale. A luglio 1944 è nella squadra d’assalto del Distaccamento “Viani”, e, dopo aver partecipato a numerose azioni, tra cui la battaglia di Pievetta (CN), viene promosso capo distaccamento.
Il 17 agosto 1944 è protagonista di un conflitto a fuoco ad Ormea contro i blindati tedeschi; il 5 settembre è a Montegrande nel distaccamento “Bacigalupo”, laddove l’azione dei mortaisti di cui è a capo, è determinante per aprire un varco tra le file nazifasciste, da cui defluiscono i partigiani. A fine dicembre Menini, ammalato, è ad Armo, in Alta Valle Arroscia, dove è dislocato un nucleo partigiano dell’Intendenza Divisionale.
Su indicazione di una spia il mattino del 31 dicembre un centinaio di tedeschi provenienti da Pieve di Teco investono la zona. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri (tra cui tre austriaci disertori) cadono prigionieri. Menini riesce a far fuggire due suoi uomini, esponendosi all’arresto. Portato al comando di Pieve di Teco è riconosciuto come capo partigiano. Dopo tre giorni di percosse e un processo farsa in cui confessa di essere partigiano, è emessa per lui e per altri tre partigiani della II^ Brigata d’assalto “Sambolino” Divisione Garibaldi “Gin Bevilacqua” operante nella II^ Zona ligure (due savonesi: G.B. Valdora “Ferroviere” e Ezio Badano “Zio”, e un veneto Lorenzo Gracco) la sentenza di morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo Commissario, Giuseppe Cognein, per informarlo che gli austriaci avevano parlato e che non era dispiaciuto di morire per una causa giusta. L’esecuzione ha luogo il 3 gennaio 1945 al Prato San Giovanni.
Lionello Menini va incontro alla fucilazione cantando la canzone “La guardia rossa”. A lui viene intitolato un Battaglione della Brigata “Nino Berio” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Proposta alla memoria di Lionello Menini  la medaglia di bronzo con la seguente motivazione: “Fatto prigioniero dai Tedeschi durante un colpo di mano contro l’Intendenza Divisionale, essendosi attardato sino all’ultimo a dare ordini, si comportava sino alla sua ultima ora con la serenità dei forti, non smentendo la sua condotta da partigiano che lo aveva elevato a stima di tutti. Oltraggiato e seviziato, non mancò mai di incoraggiare i suoi compagni di sventura. Portato al luogo dell’estremo supplizio, attraversava la via di Pieve di Teco con la testa fieramente eretta, cantando le nostre canzoni. Avvicinato nella prigionia da elementi fidati, inviava informazioni utilissime. Lo stesso nemico ne elogiò la condotta. Pieve di Teco (Imperia) 30-12-1945"
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011