10-7-44 - Una squadra del Distaccamento «Volante» in risposta ad un attacco precedente esegue al tramonto un colpo di mano contro il presidio tedesco di Erli (Savona) dal quale era partita la puntata del 9.
Il furioso fuoco di mitragliamento dei partigiani causa alle forze nemiche, adunate per il rancio serale, diversi morti e feriti.
10-7-44 - Una squadra del Distaccamento «Matteotti» provoca il ribaltamento di una camionetta tedesca lungo la strada Erli-Albenga. I 4 occupanti vengono uccisi. Bottino: 1 M.P., 2 fucili.
12-7-44 - Il Distaccamento «Volante» agli ordini di «Cion» [Silvio Bonfante] asporta dalla Stazione di Andora, da un treno merci tedesco, il seguente materiale: q.li 13 di zucchero, q.li 7 grano, q.li 114 di riso, q.li 1 di avena. Buona pane delle derrate vengono distribuite alla popolazione civile.
13-7-44 - Tre garibaldini della 4^ Brigata del Distaccamento Gar. «Libertas» si recano in frazione Romita a Porto Maurizio per ritirare 1700 colpi di mitra.
15-7-44 - In uno scontro con i tedeschi del presidio di Pogli (Savona) cade il garibaldino Cassiani Domenico.
15-7-44 - A conoscenza che in Via Romita a Porto Maurizio stanziano tre soldati russi armati di fucile «ta-pum» a guardia di sei cavalli, 4 uomini del distaccamento «Libertas» della 4^ Brigata si recano sul posto e, benché sorpresi dall'allarme aereo si impossessano dei «ta-pum» e di altro materiale ritornando alla base con i russi che già avevano espresso il desiderio di fuggire. La stessa pattuglia disarma della pistola un brigadiere di P.S.
20-7-44 - Tre Distaccamenti: «Volante», «ex Volantina», «Pelazza», agli ordini del Comandante Cion [Silvio Bonfante] entrano in Ceva nascosti nel treno della linea Ormea-Ceva. Il debole presidio tedesco si eclissa. La città viene rastrellata. I treni di passaggio in stazione perquisiti. Vengono catturati: 4 spie nazi-fasciste, un tedesco ed un italiano delle SS. Il magazzino militare viene vuotato.
23-7-44 - Dal 1° Distaccamento del Comando 4^ Brigata viene comunicato al Comando di Divisione:
«Diamo il nominativo di due splendide figure di partigiani immolatisi per la libertà dei popoli. Sono stati brutalmente assassinati sulla piazza di Moltedo per mano dei cani fascisti. Sono caduti chiedendo la fucilazione nel petto «perché non siamo dei traditori» e morivano gridando «Viva i partigiani».
Eccovi i nominativi:
GUARRINI ELSIO da Oneglia, classe 1925 - GAZZANO GIOVANNI da Moltedo, classe 1925.
23-7-44 - Una pattuglia di partigiani della 5^ Brigata comandata da «Ivano» viene attaccata da forze tedesche e deve ritirarsi dopo breve lotta. Al rientro alla base si nota la mancanza di due uomini. Da pronte indagini si viene a conoscere che, feriti alle gambe, sono stati fatti prigionieri dai tedeschi, portati a Tenda ed ivi passati per le armi. Ecco i nominativi:
PASTOR LUIGI di Luigi e di Borfiga Caterina, nato a Buggio (Frazione Pigna) il 21-10-1922, ivi residente in Via Carriera Piana n. 55, di professione infermiere, partigiano dal 2-6-44 - APOLLONIO ANGELO, di Pietro e di Baccolo Luigia, nato a Salò (Brescia) il 25-4-1925, ivi residente in Via Francesco Calzani n. 468, di professione pittore, partigiano dal 2-5-44.
23-7-44 - Una pattuglia di partigiani del 5° Distaccamento, durante la notte apre il fuoco di disturbo contro una postazione nemica che mette in allarme tutta la zona.
24-7-44 - Nella notte tra il 23 ed il 24 il 4° Distaccamento della 4^ Brigata in unione al 1° Distaccamento si porta in regione Garbella [di Imperia] nel tentativo di far saltare la galleria della strada ferrata. Colà si incontra col 3° Distaccamento che agisce sul medesimo obbiettivo. Malgrado un precedente accordo con un caporale e un soldato austriaci, l'azione non può essere effettuata: vengono comunque disarmati i 7 soldati di guardia; 4 di essi sono accolti nel 1° Distaccamento e 2 nel 4°. Bottino: due pistole automatiche, 3 canne per mitragliatori, 6 caricatori «Maxim», tre cassette munizioni per mitragliatore tedesco. Nessuna perdita.
25-7-44 - Il Comandante della Brigata Alpina (Capitano Umberto) comunica:
«Stamattina alle ore 10, le forze di «Turbine» sono state attaccate a Garessio da forze tedesche. I primi feriti sono arrivati qui da noi. Invieremo rinforzi».
Il nemico, proveniente da Albenga e Ceva, effettua un violentissimo rastrellamento nell'alta Val Tanaro. Il Distaccamento «Volante» di Garessio si porta sul Colle S. Bernardo di Garessio, in rinforzo al presidio ridotto agli estremi. Arrivati al Colle, gli uomini del Distaccamento sono costretti ad uscire di strada essendo il crinale già occupato dag1i attaccanti.
Operata una diversione, si spostano per un attacco laterale attendendo - per accerchiare il nemico - l'arrivo di rinforzi da Pivetta che, a loro volta attaccati, non giungono. Avvertiti del motivo del ritardo gli uomini della «Volante» attaccano ugualmente sostenendo un combattimento impari, con un avversario munito di armi pesanti ed ormai attescato. Dopo 4 ore di fuoco, centrati dal tiro delle armi pesanti e scarseggiando le munizioni, i partigiani debbono ritirarsi: Garessio è perduta.
Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 299-301
Nei primi giorni di luglio [1944] giunse l'ordine di partire per la Val
Tanaro (Ormea, Garessio, Pievetta), in quanto in quella zona erano sorti
dei dissidi tra le formazioni badogliane e i garibaldini della zona.
Dissidi
che si trasformarono in gravi contrasti a tal punto da provocare in una
settimana l'uccisione di alcuni garibaldini da parte dei badogliani
stessi.
Tra gli uccisi ricordiamo il garibaldino detto "Dino", comandante di distaccamento.
Data la situazione, era necessario che si andasse a rinforzare le nostre esigue formazioni.
Il distaccamento "Volante" (che aveva per comandante "Cion" e per commissario "Germano") si stabilì a Garessio.
Il
distaccamento "Matteotti" con comandante "Turbine" (Pasquale Muccia) a
San Bernardo di Garessio, e noi della "Volantina", con comandante
"Mancen" [Massimo Gismondi], nel paese di Pievetta.
Giungemmo nella località sopra un autocarro (dopo aver camminato per dodici ore a piedi).
Fu in questa occasione che "Raspin" [Franco Piacentini] mi disse: "In Piemonte va meglio, ci fanno viaggiare bene, speriamo sia sempre così".
Stabilimmo ottimi rapporti con la popolazione e con le ragazze del paese.
Ci accasermammo nelle scuole ed attendemmo nuovi eventi dopo la pacificazione raggiunta tra noi e i badogliani.
Intorno
al 15 luglio [1944] si presentò al nostro distaccamento un ex ufficiale
del Regio Esercito, giunto da Albenga per inquadrarsi nelle nostre
formazioni.
Di nome Giorgio Olivero,
ci informò che sia in Normandia che nell'Italia centrale, dopo i primi
successi, il fronte si era stabilizzato, per cui le nostre speranze
sulla fine del conflitto entro breve tempo si affievolirono, anche se
continuammo a sperare.
Il fatto che Giorgio volesse fermarsi con i
garibaldini ci sorprese un poco. Nella zona gli ex ufficiali del Regio
Esercito erano nelle file dei badogliani di tendenza monaichica. In base
a queste considerazioni, per un certo periodo di tempo lo tenemmo sotto
controllo e in questo clima non poteva non crearsi un certo costume
d'ambiente. Il partigiano "Grillo", osservando i magnifici scarponi che
aveva ai piedi, gli faceva allusioni poco benevoli; gli chiedeva che
numero avessero, diceva che forse gli andavano bene e che intendeva
prenotarli in caso gli fosse successo qualcosa. Fatto sta che il mattino
dopo Giorgio era sparito; con grande preoccupazione lo mandammo a
cercare. Ma il giorno successivo venimmo a sapere che lui si era recato
al nostro Comando a conferire con Nino Siccardi
("Curto"), per chiedere sicurezza e tranquillità. In seguito, grazie ai
suoi meriti e alla sua esperienza militare, diventerà il comandante
della I^ brigata d'assalto Garibaldi "Silvano Belgrano".
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998
La zona di Imperia assume nella primavera/estate del '44 un particolare rilievo strategico. Qui si sono concentrati numerosi gruppi partigiani, decisi a ostacolare le forze naziste in prevedibile ritirata attraverso i valichi alpini. Nonostante la complicità di due soldati austriaci nella notte fra il 23 e il 24 luglio '44 a Imperia in regione Garbella fallisce il tentativo di un gruppo di partigiani della II Divisione Garibaldi "F. Cascione" di far saltare un tratto di strada precedentemente minato dai tedeschi. I sette soldati di guardia vengono comunque disarmati e quattro di loro passano con i partigiani.
La reazione tedesca non si fa attendere. Il 25 i nazisti risalgono la Valle del Prino e raggiungono Vasia, un piccolo centro dell'entroterra.
[...] Così nella drammatica testimonianza di un ragazzo dell'epoca la rievocazione dei fatti che hanno portato alla morte di due civili e di cinque partigiani impegnati, pare, a mettere a segno l'assalto alla Questura di Imperia per impossessarsi di armi automatiche.
I partigiani caduti sono Salvatore Filippone, nome di battaglia "Mariella", nato a Palmi (RC) il 24 giugno 1920, Carmine Saffioti, nome di battaglia "Carmé", nato a Palmi il primo aprile 1925, Stefano Danini di Rivarolo (GE), Igino Rainis di Treppo Carnico (UD) e Vincenzo Raho di Ruffano (LE).
Pino Ippolito Armino, Storia della Calabria Partigiana, Pellegrini, 2020
Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946:
[...] Il 2 novembre 1943 entrai a far parte della GNR e assegnato alla Compagnia OP, comandata dal Tenente Ferraris.
[...] nei primi di luglio, unitamente alla compagnia, partimmo per un' azione di rastrellamento nei comuni di Vasia e Montegrazie. Prima di giungere a Vasia il Capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani (da una delle squadre) che vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris ma non posso precisare da chi in quanto la mia squadra si trovava più avanti.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019
Il nostro Comando, visto che la prima incursione
nella città di Ceva era andata bene, volle ritentare l'operazione dopo
alcuni giorni. Ma questa volta andò diversamente. Giunti sul piazzale
della stazione, fummo accolti da un nutrito fuoco nemico (per fortuna di
armi leggere) proveniente dall'interno dell'edificio. Constatata la
difficile situazione nella quale ci trovammo coinvolti, decidemmo di
ritornare alla base di partenza. Comunque il fatto che noi fossimo
padroni di una parte della strada statale 28 (Imperia-Ceva ) metteva i
tedeschi in crisi, sia per il traffico stradale, sia per il prestigio.
Allora con una poderosa azione decisero di farci sloggiare.
Il 25
luglio 1944 iniziarono un rastrellamento in grande stile; avanzarono con
autoblinde da Ceva e dal Colle di San Bernardo di Garessio. Venendo da
Ceva, prima di Pievetta vi sono le Rocche di Santa Giuditta, (o
Prancisa, o Recisa) costituite da due "spontoni" posti uno sopra la
statale a sinistra e l'altro sopra il Tanaro a destra.
Il primo
occupato dai nostri uomini, tra cui Tino Moi, capo squadra, e
"Mancinotto", fratello di "Mancen" [Massimo Gismondi], con il compito di
bloccare con una mitragliatrice pesante i tedeschi provenienti da Ceva,
che mantenevano in avanscoperta due autoblinde.
Il secondo occupato dai badogliani.
Quando
i tedeschi giunsero a tiro, sia i nostri che i badogliani aprirono il
fuoco di sbarramento, che costrinse il nemico a ritirarsi dietro una
curva della strada, dando l'impressione di desistere. Ma non fu così
perché, dopo una decina di minuti, iniziò a picchiare forte sulle due
postazioni partigiane con i mortai da 81 millimetri. I nostri furono più
fortunati perché non vennero colpiti, a differenza dei badogliani
centrati al primo colpo, per cui la loro postazione fu messa a tacere.
Constatata
la situazione veramente pericolosa, e visto cosa era successo ai
badogliani, il comandante "Mancen" diede immediatamente l'ordine del
ripiegamento.
Mentre ciò avveniva, i nostri furono individuati da
una delle due autoblinde che stavano avanzando, la quale iniziò un fuoco
infernale.
Fu in quel momento che Tino Moi venne colpito al petto
in modo grave. "Mancen" e i compagni presenti cercarono di portare fuori
tiro il ferito.
L'autoblinda continuava a sparare loro addosso in modo rabbioso.
Non
rimase altra possibilità che mettere il ferito al riparo di una roccia,
e quindi ritirarsi verso Pievetta, dove io e una seconda squadra
eravamo appostati con un'altra mitragliatrice pesante sulla piazzetta
della chiesa, in modo da prendere di infilata, se fosse stato
necessario, il rettilineo che ci si presentava davanti e, al tempo
stesso, tenere sotto tiro anche il letto del Tanaro.
Col cuore
trepidante, attendevamo che comparissero i tedeschi. Dopo alcuni minuti
scorgemmo dei tedeschi avanzare nel letto del fiume; iniziammo a sparare
contro di loro, costrigendoli a eclissarsi nella vegetazione.
Intanto
venne avanti l'autoblinda sparando raffiche a casaccio in tutte le
direzioni. Il fuoco continuò ancora per qualche minuto, poi l'autoblinda
si fermò, smettendo di sparare.
Noi non riuscivamo a spiegarci il perché.
Ben
presto, però, capimmo la mossa del nemico, quando in alto a mezza costa
"Mancen" iniziò a gridare di ritirarci in collina perché i tedeschi
stavano giungendo, sopra di noi, nella nostra stessa direzione, mentre
noi li attendevamo sulla strada o nel letto del fiume. Ci ritirammo con
fatica e appena in tempo, per non rimanere circondati, portandoci dietro
la mitragliatrice pesante.
Il grido di "Mancen" ci aveva salvato dall'annientamento.
Capimmo
che l'autoblinda si era fermata ed aveva cessato il fuoco per non
colpire i suoi e con la speranza di prenderci alle spalle.
Ci
ritirammo a circa duecento metri sopra Pievetta e piazzammo la
mitragliatrice, azionandola contro i soldati che stavano giungendo sulla
piazzetta della chiesa. Erano convinti di catturarci, invece si
trovarono sotto il nostro fuoco; si ripararono dietro la chiesa e nei
vicoli vicini.
Però noi, consapevoli della precarietà della nostra
posizione (sì che avevamo una mitragliatrice, ma essa era senza una
idonea protezione), pensammo che era meglio ritirarci più in alto
ancora, e facemmo bene perché, fatta una cinquantina di metri, arrivò un
colpo di mortaio proprio nel punto dove eravamo stati piazzati, seguito
da alcuni altri.
Raggiungemmo la cima della collina dove si era già ritirato il grosso del nostro distaccamento.
Nel frattempo giunse anche "Mancen", insieme agli altri.
Prendemmo
posizione disponendoci in una lunga fila per essere meno esposti,
scavando delle fosse ove piazzare meglio le nostre armi pesanti.
I
tedeschi giunsero ad un centinaio di metri dalla nostra posizione; ma
dopo un breve scambio di raffiche si ritirarono nel paese e lì si
concentrarono.
Subito lo smacco, presi dalla solita ira sanguinaria,
iniziarono a compiere i soliti eccidi di cittadini inermi. Passarono per
le armi una ventina di civili locali e alcuni partigiani che avevano
catturato dalle parti di Priola. La loro rappresaglia ci fece supporre
che avessero avuto delle perdite durante gli scontri.
Dopo una breve
consultazione decidemmo di spostarci sulle colline di Garessio o di
Ormea per cercare notizie sulla "Volante" di "Cion". Ci dirigemmo verso
la località Croce di Nascio e, sul far della notte, giungemmo sul Bricco
Mindino (1879 metri sul livello del mare).
Sandro Badellino, Op. cit.
Il rastrellamento della valle Tanaro tra il 25 e il 29 luglio 1944 fece 8
caduti civili e 24 partigiani nei comuni di Bagnasco, Garessio, Priola,
ma tra i 24 riconosciuti partigiani si celano molti civili, di oltre 60
anni, il cui riconoscimento è dovuto soltanto a motivi pensionistici.
(a cura di) Aa.Vv., Il Piemonte nella guerra e nella Resistenza: la società civile (1942-1945), Consiglio Regionale del Piemonte, 2015