Visualizzazione post con etichetta Domenico Arnera. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Domenico Arnera. Mostra tutti i post

martedì 5 novembre 2024

Hanno preso Aldo, il capo della Stella Rossa

Mondovì (CN). Fonte: mapio.net

Arnera, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano", a quel tempo ancora incorporata nella II^ Divisione "Felice Cascione", venne arrestato in Val Tanaro il 18 dicembre 1944 a seguito di un'involontaria delazione e fu fucilato a Mondovì (CN) il 27 dicembre 1944. A lui venne intitolata la IV^ Brigata della nuova Divisione "Silvio Bonfante".
Si presero contatti anche con le formazioni autonome di "Mauri".
Rocco Fava, La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste,  Anno Accademico 1998-1999

Domenico Arnera, nato a Savona il 25 aprile 1917, aiuto disegnatore, già sottufficiale di marina. Come molti savonesi di Villapiana, quartiere dove abita, aderisce al movimento della Resistenza. Agli inizi di luglio 1944 è tra gli organizzatori delle formazioni garibaldine liguri in Val Tanaro, comandante del Distaccamento "Bellina", dislocato a Fontane di Frabosa Soprana: è attivissimo nella raccolta di derrate alimentari, coperte ed abiti per i distaccamenti. A fine ottobre è Capo di Stato Maggiore della Brigata "Belgrano" della Divisione Garibaldi "Felice Cascione". È arrestato in Val Corsaglia il 18 dicembre 1944, a seguito di una involontaria delazione di un abitante del luogo che, vedendolo passare scortato da un tedesco armato, pare abbia commentato: "Hanno preso Aldo, il capo della Stella Rossa". In realtà Arnera, in compagnia di Fred Sutterline (disertore tedesco ancora in divisa, appena arruolatosi con i partigiani) è in viaggio verso l'ospedale di Mondovì per ricevere cure appropriate e debellare un'infezione. È condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza e rinchiuso nelle carceri della Caserma Galliano. I tentativi dei comandi partigiani per uno scambio di prigionieri non danno l'esito sperato; Aldo viene fucilato il 27 dicembre 1944.
Decorato alla memoria di medaglia di bronzo al valor militare: "Durante un forte rastrellamento da parte del nemico, incurante del pericolo, sotto l'imperversare di un'intensa azione di fuoco, provvedeva ad occultare un ingente quantitativo di viveri evitando che cadesse in mani nemiche. Sebbene ferito, rimaneva ancora per cinque giorni al suo posto di lotta, finché sfinito di forze, veniva fatto prigioniero; sottoposto a torture e sevizie le sopportava fieramente destando l'ammirazione dello stesso avversario. Affrontava serenamente la morte senza svelare alcuna notizia". Val Corsaglia-Mondovì, 10-27 dicembre '44
Redazione, Arrivano i Partigiani - inserto 2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona, I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

Prima di proseguire con la storia di Elia accenno alla fine drammatica del suo carissimo compagno ed ex comandante "Aldo" Domenico Arnera. Di questa morte Elia ne sarà edotto quando a sua volta sarà arrestato e giungerà nella medesima stanza di reclusione. Ecco gli avvenimenti.
Il grande rastrellamento delle forze nazi fasciste iniziato il 7 dicembre 1944 ha portato alla morte molti partigiani dell'intendenza garibaldina ligure comandata dal tenente "Aldo". Sono stati fucilati: De Grossi, Regis, Grondona, Pastorelli, altri sono dispersi o sono in arresto. Il 17.12.1944 Domenico Arnera è affetto da un'infezione alla mano causata da una ferita prodotta dalla ventola di una macchina o da una catena della moto (l'incidente non è chiaro): si è ferito mentre la stava riparando. L'alta febbre gli pervade tutto il corpo, nonostante le cure prestate dal dottore partigiano Severino Travaglio, nato a Mondovì (CN) il 18.12.1918, con i medicinali di fortuna allora disponibili.
"Aldo" decide a questo punto di farsi ricoverare nell'ospedale di Mondovì. In tasca ha un permesso tedesco ed è accompagnato da un disertore tedesco ancora in divisa, Fred Sutterline, un alsaziano di Moulhouse, recentemente arruolato tra i partigiani (sequestrato a Mondovì - vedi lettera precedente di "Aldo").
"Aldo" ha passato la notte a Corsaglia nell'albergo Europa e si avvia verso l'ospedale di buon'ora. <31 Passa davanti alla trattoria di Corsagliola dove vi sono seduti il calzolaio Giovanni Viglietti, il panettiere Giovanni Prucca ed il suo garzone Volpe. Seduto ad un altro tavolo c'è il maresciallo degli Alpini del Cadore M. Massa. Scorgono il passaggio di "Aldo" accompagnato dal disertore tedesco armato ed il commento che echeggia dalla bocca del calzolaio è: "Hanno arrestato Aldo, il capo delle Stelle Rosse". Il maresciallo repubblichino intuisce, si precipita fuori dalla trattoria, li rincorre e li arresta.
Questa delazione forse involontaria o superficiale procura in seguito un processo partigiano al calzolaio Giovanni Viglietti che, nonostante i buoni rapporti di collaborazione con le forze resistenti, vede svolgersi un'accurata indagine sul fatto da parte garibaldina, effettuata dai comandante "Lello" Raffaello Nante, di Nicola, nato ad Imperia il 07.10.1924, valoroso capo partigiano sottoposto di "Fra Diavolo". <32 "Lello" ha aderito al movimento ribelle assieme al fratello "Libero", Libero Nante, nato a Imperia il 30.lO.1920, allora studente universitario in medicina, e alla sorella Angela Nante, nata nel 1929.
Il Viglietti è convocato a Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)] per il processo, viene accompagnato dal partigiano Francesco Bellotto, "Valleggia", nato a Teolo (PD) il 05.07.1925, ma Quilianese di adozione. <33  Dall'interrogatorio delle persone presenti e dal Viglietti stesso emergono delle dichiarazioni un po' discordi, forse un po' reticenti, ma "Lello" lo tratta con umanità, senza il rigore del tempo. Altri partigiani del Gruppo del Cap. Cosa testimoniano a favore del Viglietti: tra essi figurano il famoso gruppetto di Sardi, Giovanni Salis, Mauro Pisano, Agostino Schirra, Raffaele Mannai e i monregalesi Claudio Manfredi e Piero Basso. <34 E' fuor di dubbio che Arnera conoscesse il calzolaio con cui ha intrattenuto rapporti per l'acquisto di scarponi: l'esclamazione incriminata forse è dovuta alla sorpresa del passaggio. Dopo aver redatto diligentemente le dichiarazioni degli interrogati, la sentenza conclude il processo non toccando la vita ma solo il portafoglio. Sono ben duecentomila lire di multa comminate e regolarmente pagate dal Viglietti, come attesta la ricevuta (rintracciata nell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia) controfirmata da Germano Tronville. E' una cifra notevole ma commisurata all'alto grado che rivestiva il ten. "Aldo". <35
Torno all'arresto di Arnera:
Domenico è condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza e rinchiuso nelle carceri della Caserma Galliano; da una sua lettera fatta uscire fortunosamente dalla prigione dalla staffetta "Iuccia/Sonia", Rustichelli Martini Maria, nata a
Moline di Vicoforte Mondovi (CN) 10.11.1900, e "Matilde", Cuniberti Martini Margherita, nata a Vicoforte Mondovì (CN) 03.08.1903, ci ricorda la sua triste condizione di prigioniero "carico di pidocchi" e la drammaticità della sua detenzione. Spera di uscire vivo da quell'inferno ventilando uno scambio tra prigionieri partigiani/fascisti. Purtroppo per il tenente "Aldo" l'agognata libertà sarà solo un sogno: c'è la fretta di un nuovo bagno di sangue nel comando tedesco di Mondovì, dopo quello del 18.12.1944, dove sono stati giustiziati Domenico Penazzo, Giovanni Scotto, Giuseppe Regis "Placido", suo inseparabile compagno di banda, savonese di adozione, e Giovanni Audisio, una guardia campestre che, prigioniera dei partigiani, è arrestata nel rastrellamento dai tedeschi e accusata di essere un partigiano. Non viene creduta la sua fede fascista e deve soccombere al pari degli altri partigiani.
Ecco il testo della lettera di "Aldo" <36:
"all'interrogatorio ho detto di essere venuto nei partigiani il 12 Agosto circa, perché convinto dalla propaganda per la paura di essere portato sul fronte a combattere. Ho riferito che facevo soltanto il servizio di rifornimenti viveri, vestiario, ecc. Ho detto che mi ha accompagnato un tizio che non conosco verso i partigiani e sono sempre stato in magazzino. Le località in cui io sono stato sono: Ponti di Nava, Piaggia, Viozene, Fontane. Se è possibile comunicare al Curto della mia prigionia e far sì di avere un cambio, quindi se prendono dei prigionieri tenerli per me, oppure rivolgersi anche ad altre formazioni del Piemonte ed in caso prendano qualcuno tenerlo per il cambio con me. Io non ho parlato. Ho detto che a Mondovì ed in altre zone io non ho nessun collegamento. Mi occorre: sigarette, fazzoletto e quello che si può perché sono pieno di pidocchi. Saluti fraterni a tutti, Aldo".
Dopo circa dieci giorni dal suo arresto, mercoledì 27.12.1944, per il tenente e i suoi compagni di sventura, Luigi Borini, Francesco Leonardi, Alberto Tallone, RoccoVerdone è l'ultimo giorno di vita. Si salva una donna, "Mitzi", madre di quattro figlie, con il marito in guerra (così dice lei): condannata a morte e detenuta con gli uomini (cosa alquanto strana), è graziata e rilasciata all'ultimo minuto.
Viene comunicata l'esecuzione: di lì a poco tempo arriva il prete Don Vincenzo Sclavo, che raccoglie le ultime volontà dei condannati, i pochi oggetti personali da far pervenire ai famigliari ed amici <37. Dopo un sentimento di ribellione ad una morte così crudele che attanaglia tutti i reclusi, subentra la rassegnazione. Francesco Leonardi ha sperato fino all'ultimo nello scambio: dal mese di novembre c'è in piedi una trattativa, il suo nome compare in un documento tedesco (ne parlerò in seguito) con una lunga serie di persone.
Il 07.12.1944 sono ceduti 31 tedeschi catturati a Pogliola (CN) e liberati 90 ostaggi delle Nuove a Torino ma per lui nulla, nessuna liberazione, una crudeltà. "Mitzi", dopo aver salutato e baciato i condannati, sviene. Forse si è affezionata durante la prigionia a questi compagni, non regge vederli andare incontro alla morte. Borini, il più giovane, recrimina su questa sorte; solo un prigioniero già ferito e claudicante nella via Vasco che li porta alla fucilazione, si lamenta penosamente preso dallo sconforto. Gli altri condannati con le mani legate dietro la schiena ma con coraggio affrontano il plotone di esecuzione e i ghigni dei giustizieri comandati da un maggiore che non li fa fucilare tutti assieme, ma per incutere ancora più dolore e paura li uccide uno per volta. Arnera è il terzo, il suo ultimo pensiero per l'amata Minnie si ferma tra gli schizzi di sangue prodotti dalle raffiche dei mitra. Poi i corpi sono portati al cimitero con l'ausilio del comune che fornisce le casse di legno e l'opera pietosa di alcune donne del soccorso.
Il tenente "Aldo" è decorato con medaglia di bronzo.
Un'ultima annotazione da tenere a mente: "Aldo" muore due giorni prima dell'arresto di Elia Sola, che sarà imprigionato a sua volta nello stesso stanzone e con i medesimi compagni reclusi con "Aldo".
[NOTE]
32 Verbale all'Isrecim
33 Testimonianza orale di Francesco Bellotto
34 Verbale all'Isrecim
35 Documento originale in Isrecim
36 Lettera inviata ad Alfonso = Aldo Peirone, Isrecim
37 Diario scritto di Don Vincenzo Sclavo a Niella Tanaro

Ferruccio Iebole, Partigiani, Martiri Liguri, Piemontesi e Cacciatori degli Appennini, Edizione AeC - Mondovì, 2005, pp. 47-50 

venerdì 8 maggio 2020

I partigiani dell'Imperiese ed il proclama di Alexander

Colline a ponente di Baiardo (IM)

La Brigata S.A.P. di Imperia "Walter Berio" a novembre 1944 disarmò 4 militi repubblichini, recuperò diverse armi leggere, vari equipaggiamenti, 10 bombe  a mano tedesche, arrestò 4 spie, che vennero consegnate ai partigiani in montagna; giustiziò (il 4 novembre) un soldato delle brigate nere vicino ad Oneglia: per rappresaglia il nemico prelevò dalle carceri tre prigionieri partigiani che vennero uccisi in pubblico.
Gli alleati il 9 novembre bombardarono pesantemente Bordighera (IM) con il tiro di cannoni a lunga gittata.
Il 13 novembre 1944 venne diffuso il tristemente noto "proclama di Alexander", con cui il generale inglese, ringraziando i partigiani italiani per l'impegno profuso, li invitava a tornare alle proprie case, abbandonando provvisoriamente la lotta, in attesa che trascorresse il freddo.
Gli organi locali di stampa del fascismo scrivevano con compiacimento che gli alleati intendevano abbandonare i ribelli al loro destino. Sostenevano, ad esempio, che "in simili circostanze il dovere del governo [Bonomi] è di aiutarli. Ma se egli non riesce a procurarsi quei pochi aereoplani che sarebbero necessari per inviare a Berna e a Londra i nuovi ambasciatori italiani, come potrà organizzare un rifornimento per via aerea in favore dei fuorilegge?"
Il proclama di Alexander non considerava che i patrioti nelle loro case erano attesi dai capestri. E non valutava neanche il loro orgoglio.
Nei reparti della I^ Zona Operativa Liguria si sviluppò un acceso dibattito sul proclama. I garibaldini intesero continuare la guerra.
Tutt'al più alcuni di loro andarono ad ingrossare le file delle S.A.P.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

A quel proclama rispose duramente Carlo Farini [Simon], ispettore della I^ Zona operativa Liguria, a nome del Comando unificato ligure, dicendo al generale Alexander quello che si meritava e incitando i partigiani a serrare le fila e a combattere ancora più duramente contro i nazifascisti, rinfacciando altresì agli alleati la scarsissima consistenza degli aiuti inviati ai garibaldini, sporadicamente, e fino ad allora solo per mare con una minuscola imbarcazione che sbarcava nella zona tra Bordighera e Ventimiglia.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

Pagina iniziale della "interpretazione" data dal CVL al proclama di Alexander

Così, durante il mese di novembre, uno a uno, i distaccamenti della II^ Divisione garibaldina "F. Cascione" rivalicarono lunghe teorie di monti, di passi e di boschi, tra bufere di neve, nel gelo e nei pericoli delle valanghe, e rientrarono ai loro casoni ben sapendo che qui li attendeva l'inverno ed un avversario dappertutto vigile e implacabile.
C'era, però, in loro anche la fiducia che la pressione dei tedeschi sarebbe stata fra non molto alleggerita, perché gli alleati angloamericani avrebbero dato avvio all'offensiva contro la Linea Gotica costringendo i tedeschi a ritirare soldati e mezzi dal fronte antiguerriglia.
Senonché, inatteso, una di quelle grigie sere di novembre, toccò anche ai partigiani della I^ Zona Liguria di dover ascoltare un proclama rivolto a tutti i partigiani d'Italia, che diceva:
"Patrioti, la campagna estiva è finita e ha inizio la campagna invernale. Il sopravvento della pioggia e del fango inevitabilmente significa un rallentamento del ritmo della battaglia. Quindi le istruzioni sono come segue:
1) cesserete per il momento operazioni organizzate su vasta scala;
2) conserverete le vostre munizioni e vi terrete pronti per i nuovi ordini;
3) ascolterete il più possibile il programma 'Italia combatte' trasmesso da questo Quartier generale in modo da essere al corrente di nuovi ordini e cambiamenti di situazioni...
".
Si trattava del proclama del comandante delle truppe alleate in Italia, generale Alexander; un proclama col quale si invitavano i partigiani italiani a deporre le armi, a non guerreggiare più; in altre parole a tornarsene a casa, come se ai tedeschi e ai fascisti essi avessero potuto dire:  "Per adesso non facciamo più alla guerra, stiamocene in pace per qualche mese, riprenderemo ad ammazzarci più avanti, quando gli angloamericani daranno l'ordine".
"Un assurdo, un tradimento, una sporca manovra politica per smantellare il movimento partigiano e vietare al nostro popolo di conquistarsi col proprio decisivo contributo la libertà e l'indipendenza", ecco, questa fu l'immediata amara interpretazione che la stragrande maggioranza dei partigiani diede al proclama.
E dignitosa fu la risposta che anche i partigiani dell'estremo Ponente ligure diedero all'ordine del generale Alexander: "Non lasceremo la botta; non nasconderemo le armi; non attenderemo ordini di smobilitazione dallo straniero, ma solo dai nostri comandanti, che sono con noi nel pericolo e nel sacrificio".
Fu una risposta tanto dignitosa quanto drammatiche si prospettavano le condizioni di lotta in quella vigilia di un inverno rigido e in un territorio impervio, povero di risorse alimentari e, soprattutto, intensamente presidiato dal nemico che, per effetto del proclama del generale Alexander, poteva intensificare le azioni dì rastrellamento, più abbondantemente disponendo di uomini e di mezzi distolti dal fronte di guerra, appunto dalla cosiddetta "Linea Gotica".
Ebbe così inizio un altro capitolo della Resistenza dell'Estremo Ponente ligure; le squadre, i distaccamenti, i battaglioni e le brigate, più saldamente organizzandosi in due divisioni, anziché deporre le armi, ne tirarono fuori altre, e, in luogo di cessare le "operazioni organizzate", moltiplicarono le azioni di guerriglia in imboscate, in colpi di mano, in attentati, in sabotaggi, in distruzioni di ponti, in attacchi a mezzi di comunicazione tedeschi, in caccia a spie e a collaborazionisti.
Per risposta, tedeschi e fascisti reagirono con più ferocia investendo le basi partigiane, moltiplicando i rastrellamenti, le razzie, le fucilazioni indiscriminate e le persecuzioni contro i civili rastrellati per i casolari e nei poveri villaggi della montagna.
Bruno Erven Luppi, Saltapasti, La Pietra, Milano, 1979 

I partigiani garibaldini e i badogliani, allora gli rispondono di no, al generale Alexander, che gli aveva mandato a dire di disarmare, basta così.
Gli rispondono fuori dai denti, che se lo tenga pure tutto intero il suo proclama, ma se lo adoperi soltanto per pulirsene il culo; e che semmai lo mandi a dire ai nazifascisti di mettersi in borghese, si salvi chi può.
Poi nei loro dialetti tutti d'accordo in tutte le valli dell'alta Italia, gli dicono ancora degli altri bruttezzi come vengono vengono, alla sanfasson.
A Fontane però, i tedeschi non ci vengono né subito né dopo, stancandosi ai valichi; cosicché in Piemonte con comodo i garibaldini, coi soldi del cielleenne, si mettono in sesta; invece i badogliani allarmati cominciano a ciccare aglio avanti indietro, per il timore della rappresaglia, dopo i primi colpi di mano.
Le staffette si mettono per la pianura dalle parti di Mondovì, in cerca di panno buono e di scarpe di cuoio fatte a mano, tanto per non perdere tempo in quella valle tranquilla, dove non ci capita mai niente; i distaccamenti fanno qualche puntata qua e là, ma per lo più battono la fiacca, perché adesso si mangia finalmente il pane bianco e di nuovo il ragù, anche se manca il sale.
Poi, a poco a poco si rifanno gli appelli e gli elenchi della roba, con gli inventari tutti in regola per la intendenza, trafficando un po' con la repubblica nei magazzini di fondovalle o alle buone o alle brutte, chissà come capita.
Ma gli uomini diventano nervosi a stare sempre lassù, essendo all'altro modo il terreno piemontese tutto diverso nella guerriglia che dura; eppoi, bisogna ben tornarci sul terreno ligure adatto e confacente tra gli ulivi, che loro conoscono essendoci sempre stati come a esserci proprio di casa: laggiù dico, dove i nazifascisti hanno bruciato così tanto vicino al mare; bisogna ben tornarci per rifarli anche con loro i conti come si deve.
Bisogna ben dirlo insieme con tutta quella gente com'è andata, e i conti rifarli proprio giusti sul posto tutti insieme, senza imbrogli per nessuno, altroché.
C'è della gente, ce n'è ancora tanta laggiù tra gli ulivi, con le spie i campi minati i ponti rotti e i posti di blocco, senza l'intendenza senza nessuno che ci pensa; senza più nemmeno poter piangere da soli con gli occhi secchi.
Epperciò, bisogna ancora farne per così di delibere democratiche nelle repubbliche di quelle valli vicine al mare, scarpentate dai nazifascisti; bisogna farle lo stesso, anche se adesso ci sono ancora i tedeschi con la brigata nera, che non la finiscono mai di bruciare.
E tu dunque, o partigiano delle balle, lo capisci sì o no che non ci puoi più stare in questa valle piemontese, anche se ci stai comodo, perché non ci sei di casa? 
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 114
 
Il 15 novembre 1944 i tedeschi, accompagnati da un delatore del posto, rastrellarono la zona di San Romolo, Frazione di Sanremo (IM), ed uccisero in varie azioni, alcune particolarmente efferate, 5 patrioti, tra cui Aldo Baggioli (Cichito), comandante della Brigata S.A.P. "Giacomo Matteotti". Delle centinaia di persone fermate in quell'operazione, quasi tutte rilasciate, 7 o 8, a seconda delle fonti, vennero fucilate al Forte di Santa Tecla nei pressi del porto di Sanremo (Mario Mascia nel suo L'epopea dell'esercito scalzo - Ed. Alis, 1946, ristampa del 1975  a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - raccolse e pubblicò su quel rastrellamento la drammatica e dettagliata testimonianza del sapista Dario Lori Rovella).
Molti altri episodi di guerriglia e di rastrellamenti si susseguirono nella seconda metà di novembre 1944.
Per colpa di alcune spie vennero uccisi 2 partigiani a Pieve di Teco (IM).
Il 17 novembre al termine di un  rastrellamento condotto nel centro storico della Pigna e in Frazione Poggio, sempre di Sanremo, venivano fucilati 3 civili. A Poggio vennero anche bruciate alcune case.
Il 24 novembre i nazifascisti uccisero in Sanremo altre 10 persone su 24 prelevate in alcuni paesi.
Da Pigna vennero condotti a Poggio di Sanremo per essere fucilati i partigiani Giuseppe Castiglione, Pietro Famiano, Michele Ferrara, Giobatta Littardi, Angiolino Bianconi Selmi.
Da Rocchetta Nervina a San Giacomo di Sanremo, dove vennero trucidati, Domenico Basso, Filippo Basso, Stefano Boero e Marco Carabalona. Sempre in Sanremo venne fucilato quel giorno il sapista Giovanni Dino Ceriolo.
Il 18 novembre 1944 aerei alleati colpirono Briga e Pieve di Teco (IM).
Il 20 navi inglesi bombardarono Sanremo (IM), causando danni nella parte occidentale della città.
Il 29 venne colpita dal mare - ci furono numerose vittime - Ventimiglia (IM).
I partigiani, molti dei quali erano diventati molto abili nell'uso del tritolo, attuarono un numero considerevole di attentati, utilizzando anche mine anticarro e mine antiuomo: tra le vie di comunicazione rese inagibili figurano quella di Triora-Montalto e quelle di Montalto-Carpasio.
Si intensificarono da parte nazista i ricorsi ai delatori. Le informazioni erano pagate fino a 25 mila lire. Era una strategia non più basata su vasti rastrellamenti, che si erano dimostrati macchinosi e scarsi di risultati, ma su attacchi veloci, di preferenza notturni, su obiettivi sicuri indicati da spie.
In un quadro di questo genere andò a delinearsi a breve la trista figura della "donna velata".
I comandi tedeschi e fascisti, inoltre, per cercare di tagliare gli approvvigionamenti ai garibaldini, decisero di presidiare più centri abitati con stanziamenti militari fissi.
Rocco Fava, Op. cit.

venerdì 6 marzo 2020

Il comandante partigiano Fra Diavolo doveva rimanere in Val Tanaro


Ormea (CN) - Fonte: Wikipedia
Negli ultimi giorni di gennaio [1945] in una meravigliosa giornata di sole (con noi c'era anche Rustida * [Costante Brando] che coi suoi ci aveva nel frattempo raggiunto) andavamo verso Nasino [(SV)] senza nessuna meta particolare, quando vediamo venire verso di noi un uomo. 
Lello ** [Raffaele Nante, in seguito vice comandante della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] con il suo solito umorismo dice: «Sento odore di C.L.N. Questo qua è uno di loro». 
Quando lo incrociamo si ferma e domanda di Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi, già a capo nell'autunno 1943 di un piccolo gruppo partigiano in Cipressa (IM), poi comandante della richiamata IV^ Brigata].
A mia volta gli chiedo cosa vuole. 
Replica che può dirlo solo all'interessato.
Uno dei ragazzi allora gli chiese se era del C.L.N. di Albenga [(SV)] e lui rispose di no, che era un rappresentante del C.L.N. di Ormea [(CN)]. 
Tutti scoppiammo in una grossa risata, che disorientò alquanto il nostro amico.
Allora mi presentai e gli spiegai il motivo di tanta ilarità.
Ci aveva portato alcuni pacchetti di sigarette e ce li offrì. 

Mi appartai con lui, che era latore di una lettera del Comandante della I^ Zona Liguria, una lettera di Curto [Nino Siccardi]. 
Prima di aprirla gli chiesi se ne conosceva il contenuto. «Parzialmente sì» mi rispose. 
Gli dissi che quello che non conosceva non mi interessava, perché certamente sarebbero state parole poco lusinghiere per me.
Aggiunse che era certo che mi sbagliavo e iniziò a spiegarmi il perché della sua visita.
Il Comitato Liberazione Nazionale di Garessio [(CN)] e quello di Ormea [(CN)] avevano deliberato di dar vita ad una formazione Garibaldina Ligure-Piemontese che operasse nell'alta Val Tanaro e nell'alta Val d'Arroscia, nella quale far confluire tutti i giovani desiderosi di combattere contro i tedeschi e i fascisti, ma che per vari motivi non intendevano farlo nelle formazioni Autonome (che noi allora chiamavamo Badogliani, come loro ci chiama­vano Stelle Rosse).
Tradotto in pratica, tutto questo poteva voler dire che gli Autonomi non davano grande importanza al C.L.N. e che, per questo motivo, molto probabilmente, lo stesso aveva deciso di creare o di favorire la formazione di una Brigata garibaldina.

E proprio a me, che ero il «rompiballe» della I^ Zona Liguria, affidava la gatta da pelare.

La zona del Bosco di Rezzo -  © 2020 - Ente Parco delle Alpi Liguri  - Foto: A. Biondo in Parks.it
 
Allora pensai a quanto mi aveva raccontato Italo Cordero [in seguito autore di Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991], uno degli artefici della difesa della Val Casotto, quando per divergenze coi Comandi Autonomi s'era allontanato con sua moglie, rifugiandosi nel bosco di Rezzo [(IM)].

Aprii la lettera di Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] che mi presentava il compagno «Etienne» del C.L.N. di Ormea [(CN)], con il quale mi sarei accordato per l'Alta Val Tanaro e dal quale avrei avuto tutto l'aiuto necessario e anche la presentazione al C.L.N. di Garessio [(CN)].
Il mio vecchio Distaccamento G. Maccanò mi avrebbe seguito in Val Tanaro, senza però il suo comandante Libero che sarebbe stato destinato invece ad altri incarichi.
Di quanto successo davanti al castello di Alto [(CN)] neanche una parola, come se niente fosse accaduto. Con Etienne prendemmo appuntamento per il giorno seguente a Barchi, frazione di Ormea, dove iniziammo i contatti con alcuni partigiani locali che chiedevano di essere arruolati nella costituenda Brigata Alpina «Domenico Arnera». Nella lettera di Curto mi si autorizzava, se lo credevo necessario per il buon andamento della nuova formazione in allestimento, a dipendere direttamente dal Comando I^  Zona.

Fra i partigiani che incontrai a Barchi [Frazione divisa tra Garessio ed Ormea (CN)] ricordo Renzo, Plastico [Tirreno Meacci, comandante di distaccamento], Arturo [Walter, Gravagno, poco dopo vicecommissario di Brigata], King Kong [Secondo Bottero, comandante di distaccamento] ed altri dei quali non rammento più il nome. Dall'incontro capii che il loro desiderio era proprio quello di combattere nella loro valle, sino alla liberazione totale di tutta la zona. Non intendevano abbandonare la loro terra come era già stato loro richiesto, quando in settembre pen­savamo di scendere sulla costa.
Li assicurai subito in proposito e compilammo una carta nella quale tutti quanti ci impegnavamo a combattere in zona fino alla liberazione dell'Alta Val Tanaro: non avremmo permesso a nessuno di giudicare i componenti della Brigata che avessero sbagliato: li avremmo giudicati noi stessi, con un rappresentante per Distaccamento. Presidente del Tribunale sarei stato io, quale Comandante di Brigata.

Rientrarono così in Alta Val Tanaro gli uomini del Distaccamento Giuseppe Maccanò, e dagli stessi venni a sapere che Commissario della sesta divisione Silvio Bonfante era stato nominato allora Mario De Lucis [Carlo De Lucis].
Lo conoscevo e lo stimavo immensamente e la sua nomina a Commissario, con il comandante Giorgio [Giorgio Olivero, comandante, appunto, della Divisione "Silvio Bonfante"], mi dava la certezza di un futuro corretto e leale rapporto. Informai Curto della mia scelta di dipendere dal Comando della Sesta Divisione inviando nel frattempo la prima relazione sul lavoro svolto. Mario Commissario di Divisione voleva dire la certezza che intromissioni come quelle di Bosco e Degolla non si sarebbero più verifi­cate.
Colgo l'occasione per rammentare che la I^ Zona Liguria ha avuto i due validissimi Commissari in Libero [Giulio] Briganti [Libero Remo Briganti, commissario politico del distaccamento garibaldino costituito il 22 febbraio 1944 alla Maddalena di Lucinasco (IM) e della IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" che, da quello, il 20 giugno 1944 si sviluppò, con sede nel bosco di Rezzo (IM), e infine commissario politico della II^ Divisione "Felice Cascione" germinata dalla IX^ Brigata il 7 luglio 1944], morto a Upega [(CN)], e Mario De Lu­cis  [Carlo De Lucis], ambedue di Savona; assurdamente nessuno parla molto di loro, io dirò soltanto che entrambi sono fra gli uomini che più ho stimato e amato nella I^ Zona Liguria.
Dopo l'incontro di Barchi ci trasferimmo definitivamente in Val Tanaro; il nostro compito non era dei più facili ma, grazie a Etienne, a Lucia, anch'essa rappresentante del Partito Comunista nel C.L.N. di Garessio (CN), ai partigiani già ricordati in precedenza e al figlio di Etienne, Aldo, per il 15 di febbraio [1945] avevamo già costituito tre Distaccamenti effettivamente operanti in Alta Val Tanaro. 

Nel dicembre-gennaio precedenti erano stati effettuati grossi rastrellamenti in tutta la provincia di Imperia e pure nel savonese. Molti giovani renitenti alla leva e numerosi partigiani arrestati furono trasferiti a Ceva [(CN)], oppure a Cuneo, e lì incarcerati. I fascisti chie­devano loro in extremis di arruolarsi e giurare fedeltà alla Repubblica Sociale: solo così avrebbero potuto evitare la deportazione nei campi di prigionia nazisti. Dopo un breve periodo di istruzione militare sarebbero stati impiegati nei rastrellamenti, oppure al fronte. 
Venivo a conoscenza di tutto ciò dai parenti che transitavano lungo le mulattiere da noi controllate quando si recavano a trovarli. Questi viandanti sceglievano la stra da meno battuta perché portavano sempre con sè un po' d'olio che servi­va ad alleviare le pene della detenzione ai loro congiunti.
Lucia, la rappresentante del C.L.N. di Garessio [(CN)], decise di intervenire sui giovani che avevano già aderito alla Repubblica di Salò per invitarli a disertare ed a unirsi a noi.
Dai parenti che transitavano nella nostra zona, si facevano dare gli indirizzi, e Lucia poteva così presentarsi ai giovani dando loro tutte le indicazioni per raggiungere le nostre formazioni.

Ricordo sempre l'arrivo del cugino di Cion, Bonfante (nome di battaglia «Automatico»), nativo di Cenova [Frazione di Rezzo (IM)]...

Coi nuovi arrivati da Cuneo e da Ceva [(CN)], e coi primi lanci degli alleati, organizzammo altri due Distaccamenti funzionanti. 
Al Comando di uno di questi fu destinato Franco Bonello, un ragazzo di Rezzo [(IM)] che era stato fatto prigioniero ai primi di gennaio del 1945 e che, quindi, era fuggito anche lui da Ceva [(CN)], il mese dopo. Per il secondo Distaccamento, non avendo accettato Rustida * [Costante Brando] il comando, lo convinsi a farne le veci fino a che gli uomini non avessero trovato un altro Comandante...

Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
 
Il 13 marzo 1945 truppe tedesche partono [da Ormea] verso Ceva su autoblindo. Il 14 vengono iniziati lavori di gallerie e rifugi dietro il municipio e dietro il palazzo delle scuole. Il 15 marzo alcuni apparecchi in picchiata lanciano centinaia di manifestini sulla cartiera in lingua tedesca. Intanto continuano gli spari di molestia da parte dei partigiani. Il 4 aprile Ormea è quasi deserta ed il comando tedesco ordina il coprifuoco, perchè nessuno si è presentato a lavorare nei rifugi in costruzione.
Guida di Ormea, a cura delle "Campane di San Martino", 1986

2 marzo 1945 - Dal commissario [Mario, Carlo De Lucis] della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione politica sull'attività di febbraio 1945: ... i primi giorni sono stati impiegati per riorganizzare i Distaccamenti  dopo i rastrellamenti di fine gennaio... inviato Frà Diavolo in Val Tanaro per riorganizzare gruppi garibaldini...

3 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Ramon, Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Fra Diavolo, che chiedeva se doveva tornare, aveva risposto di rimanere in Val Tanaro, e poneva il quesito se nominare di nuovo Fra Diavolo comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"...

4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 170, al capo di Stato Maggiore della Divisione - Comunicava che... "Fra Diavolo" doveva continuare, anche se in disaccordo con "Martinengo"  [Eraldo Hanau, comandante della Brigata 'autonoma' Val Tanaro della IV^ Divisione Alpi del Iº Gruppo Divisioni Alpine 'autonome' che facevano riferimento al maggiore Enrico Martini 'Mauri'], la sua opera in Val Tanaro...

10 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento divisionale "Mario Longhi" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che Frà Diavolo aveva preso contatto con un rappresentante del CLN di Garessio e che quest'ultimo aveva assunto l'impegno a rilasciare un'autorizzazione alla presenza di reparti garibaldini in Val Tanaro...

25 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava... il 22 marzo 1945 "Fra Diavolo" aveva compiuto un attentato sulla strada 28 in cui avevano trovato la morte un maggiore tedesco ed altri soldati...

26 marzo 1945 - Dal Comando Operativo [comandante "Curto", Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio  Bonfante" - Comunicava che per ordine del Comando Militare Unificato Regionale [CMURL] la Divisione veniva rinominata "VI^ Divisione d'assalto Garibaldi Silvio Bonfante" e chiedeva notizie sull'imminente riunione tra CLN e garibaldini.

28 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che... il 22 marzo il Distaccamento divisionale "Mario Longhi", comandato da "Fra Diavolo" aveva ucciso sulla strada 28 in Val Tanaro un maggiore tedesco e 3 soldati.

15 aprile 1945 - Dal commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che: ... Frà Diavolo ha attaccato nei giorni scorsi una macchina tedesca ferendo un tenente colonnello: la formazione colà stanziata funziona bene e continua ad arruolare nuovi volontari...

17 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla "formazione in Val Tanaro" [non era ancora stata ufficializzata la IV^ Brigata "Domenico Arnera"] - Chiedeva la presenza del comandante "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi] ad una riunione ad Alto per discutere un piano con "Basco" [anche "Blasco", Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata].

19 aprile 1945 - Dal Comando Operativo [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comandante Martinengo [Eraldo Hanau] -  Si rispondeva ad una comunicazione affermando che "l'offerta delle munizioni per i St. Etienne è la più bella dimostrazione dello spirito di collaborazione e amicizia che ci lega e che deve essere sempre più perfezionato. L'alta Val Tanaro non deve essere un elemento di discordia, ma il campo per la lotta comune per poi ricostruire insieme la pace".

19 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comandante della IV^ Divisione  'autonoma' Alpi - Si dichiarava che il capitano Bentley [ufficiale alleato di collegamento con i partigiani della I^ Zona] aveva richiesto le armi nascoste a Viozene. Che le armi, anche se recuperate, non erano mai state consegnate al richiedente. Che non era veritiera l'affermazione del "maggiore" secondo la quale "disposizioni superiori stabiliscono che tutto il Piemonte è di giurisdizione dei gruppi 'Mauri'. Che le suddivisioni amministrative non risultavano attendibili quanto "la demarcazione fisica" rappresentata dalle Alpi. Che tutta la zona a sud delle Alpi era indispensabile alle formazioni Garibaldi per poter difendere l'Alta Val Tanaro. Che nella Val Tanaro le richiamate organizzazioni autonome non avevano organici sufficienti per procedere ad un'adeguata occupazione del territorio. Che di conseguenza lo scrivente comando della I^ Zona aveva deciso di fare agire alcune sue strutture nella zona di Garessio-Ormea-Ponti di Nava. Che si prendeva nota del desiderio di collaborare fraternamente nella lotta. Che il capitano Bentley era già addivenuto tramite incontro ad un accordo con la missione inglese presso le formazioni 'Mauri' per ottenere una proficua collaborazione più generale.

19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".

23 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Scriveva che "Frà Diavolo ha effettivamente 150 uomini... la val Tanaro è completamente nostra politicamente, lo deve essere anche militarmente".

23 aprile 1945 - Dal comando [comandante "Fra Diavolo", Giuseppe Garibaldi] della IV^ Brigata "Val Tanaro" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che "poiché dell'ultimo lancio non è giunto nessun rifornimento bellico alla Brigata in indirizzo, nonostante si fosse fatto presente che i suoi 4 Distaccamenti sono disarmati, potete fare conto che la Brigata non esista più. Sospendiamo il nostro lavoro di organizzazione fino ad una vostra risposta... è inutile assegnare delle zone senza delle armi per poterle controllare". 

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Alcuni giorni dopo [a fine marzo 1945] ricevetti l'ordine di mandare un Distaccamento a Viozene, a disposizione del Comando Zona. Decisi di andare con cinque squadre, una per distaccamento e col vice Comandante di Brigata Lello **. Credevo che Osvaldo [Osvaldo Contestabile], il Commissario, ormai completamente ristabilito, prendesse contatto con i vari Distaccamenti e anche con i componenti del C.L.N. perchè, è doveroso dirlo, i contatti con i vari componenti degli stessi non erano sempre improntati alla più schietta cordialità, (anche se, nel caso del C.L.N. dell'alta Val Tanaro, avevamo sempre trovato la massima comprensione.) Per Osvaldo invece le sue esperienze antecedenti (Commissario della quinta Brigata della Cascione e Commissario della Divisione Bonfante) lo avevano lasciato assai diffidente.
Arrivammo a Viozene e ci sistemammo in una frazione del paese. Subito dopo mi recai a salutare Curto. Mi feci accompagnare da alcuni garibaldini, ma lasciai Lazzaro con Lello e gli altri, raccomandando loro di fare in modo che non rimanesse mai solo. Curto mi chiese notizie della Brigata alpina, dei Distaccamenti, dei loro Comandanti. Lo informai di Rustida *, forse era stato il primo ex Sanmarco a diventare Comandante di Distaccamento, gli raccontai della sua eroica morte e il duro Curto mi disse: «Immagino quello  che provi, perché so che eravate uniti; il tuo grande difetto è che ti affezioni troppo ai tuoi uomini migliori, e in guerra, in special modo nella guerra partigiana, questo porta indubbiamente dei vantaggi. Ma si corre anche il rischio, nel caso della perdita di uno di questi, di non essere abbastanza sereni». Capii che lui, in quel momento, pensava alla morte di Giulio e di Cion e al suo errato comportamento a Carnino; lo interruppi e gli disssi: «Tu pensi a Upega; ma io sono certo che, se non avessimo avuto la disgrazia di avere con noi il Prof., le cose sarebbero andate in altro modo. «Puoi anche avere ragione», rispose.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Op. cit., p. 187
 
* Costante Rustida Brando. Nato a Milano il 25 ottobre 1925. Ex sergente sanmarchino, fa esperienza organizzativa al comando di Massimo Gismondi “Mancen” e di Nino Siccardi “Curto”; in seguito si unisce a Giuseppe Garibaldi “Fra Diavolo”. Molto stimato dal comando partigiano e da “Fra Diavolo”, dopo i rastrellamenti del gennaio 1945, è mandato a capo del distaccamento “Gian Francesco De Marchi” a Nasino, zona ritenuta più tranquilla. Il 20 marzo i tedeschi puntano su Nasino, accompagnati da una spia borghese che li porta direttamente presso l’accampamento del distaccamento sito in località Scuveo. Gli attaccanti a causa della scarsa visibilità possono scendere indisturbati verso il casone. L’allarme non viene dato in tempo e i garibaldini sono colti di sorpresa; “Rustida”, tenendo a bada i nemici con la sua arma automatica permette ai compagni di allontanarsi; è raggiunto da un colpo di mortaio che gli squarcia il ventre e gli causerà una fine atroce: ha la gamba quasi staccata dall’anca. Esaurite le munizioni, rompe l’arma e si uccide con un colpo di rivoltella per non cadere vivo in mano dei tedeschi, i quali non permetteranno ai fascisti di togliergli le scarpe. A Costante Brando è intitolato un Distaccamento della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione.
Arrivano i Partigiani, inserto, I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

** La sorella di Lello, Angela Nante, Angioletta, fu aiutante sanitaria della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione; il fratello Libero, Meghettu, dirigente sanitario, invece, della già richiamata II^ Brigata. A Libero Nante, che dopo la guerra divenne un insigne clinico, venne dedicato, su Scuola Igiene e Sanità dell'Università di Siena, un forte profilo, che ci si ripromette di pubblicare qui schematicamente in una prossima occasione, ma dal quale si riprende ora una premessa, concernente i genitori dei fratelli Nante: ...  Ad Oneglia (Imperia)... padre, Nicola (“Coluccio”), era stato Vice-Sindaco  di  quella  città, nonché  Segretario  locale  del  Partito  Socialista,  che  in  Oneglia ebbe i natali, e aveva fondato una cooperativa di pescatori improntata agli ideali del socialismo; aveva sposato Giovanna  (“Nannina”) ...
 

Angioletta Nante, staffetta partigiana - Fonte: I Trucioli

Sabato 7 dicembre, l’Istituto Storico per la Resistenza e l’età Contemporanea della Provincia di Imperia - ISRECIM ha dedicato il suo prestigioso Archivio con una targa (allegata) alla memoria dei Fratelli Libero, Angioletta e Lello Nante, distintisi nella guerra partigiana combattuta sulle montagne della nostra I Zona Liguria (geograficamente compresa tra Ventimiglia e Ceriale).
Lo storico Ferruccio Iebole ha arricchito la cerimonia con una interessante commemorazione.
All’inizio del 1944, sfuggiti alla persecuzione nazifascita, con i genitori Coluccio e Nannina, dalla natia Oneglia a Viozene, i tre ragazzi vennero reclutati dal mitico Comandante Partigiano Nino Siccardi (Curto) ed adibiti i primi due (Libero, ventiquattrenne, studente di Medicina, Angioletta, quindicenne) all’organizzazione di un ospedaletto da campo ed il terzo (ventenne) alla prima linea.
A seguito del terribile rastrellamento di Upega, che costrinse i Partigiani, decimati, ad una epica ritirata tra le montagne ghiacciate, la famiglia, in ordine sparso, si ritrovò sul versante piemontese, a Fontane, in val Corsaglia. Qui Lello venne nominato Vice Comandante della neocostituita VI Brigata del celebre Fra Diavolo e Libero venne inviato, con compiti ufficialmente sanitari e, meno dichiarati, informativo-esplorativi, ad Alto in Val Pennavaire.
Iebole ha raccontato di quando Libero, in missione, sfuggì ad un agguato, avendo incontrato nel bosco una ambigua donna, che fungeva da guida ad una colonna nazifascista. Della donna in seguito si persero le tracce. In assoluta anteprima Iebole ha svelato, per l’occasione, l’identità della donna. Le sue ricerche, infatti, lo hanno portato ad identificarla in Oliva Fioretta Cordella, nata 1913 nel Bellunese, coniugata e residente a Vado Ligure, impiegata nella Croce Rossa savonese: essa si trovava ausiliaria della suddetta colonna nazifascista, dalla quale veniva anche utilizzata come spia per la sua fisica avvenenza e per il suo bilinguismo italiano e tedesco. Come tale venne in seguito giustiziata in segreto, tanto che nemmeno gli stessi Comandi partigiani seppero riferirne a Libero a fine guerra.
Di Lello, oltre al valore militare, Iebole ha raccontato l’equilibrio, quando Presidente del Tribunale Partigiano, emise nei confronti di un informatore fascista un giudizio di “pacatezza sconosciuta per quei tempi per la gravità delle colpe”. La sentenza di morte fu, infatti, tramutata da Lello in ammenda di 200.000 lire, molto utili al sostentamento della Brigata. “Che  differenza tra giustizia partigiana e giustizia fascista ! Semi di una pacificazione già presenti prima che fossero deposte le armi; l’impiego della ragione precedeva le vendette e i giorni  difficili dell’ira!” Libero concluse la sua militanza ribelle scendendo, il 25 aprile 1945, ad Albenga con il suo distaccamento ed organizzando, nell’ospedale cittadino, corsie per soccorrere i partigiani feriti. Poi ivi rimase come Medico Condotto dell’entroterra ed in seguito creatore delle due case di cura Villa Salus e Clinica San Michele. Angioletta (che in montagna gli era stata “staffetta” e “aiutante”) si fermò con lui ad Albenga, mentre Lello tornò, operaio, ad Imperia [...]
Redazione, Svelata targa alla memoria dei fratelli Nante: anche la città di Albenga presente alla cerimonia, La Voce di Genova.it, 9 dicembre 2019