Visualizzazione post con etichetta 19. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 19. Mostra tutti i post

domenica 28 luglio 2024

I nazifascisti trovano Ubaghetta deserta

Borghetto d'Arroscia (IM). Foto: Pampuco. Fonte: Wikipedia

La notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 sembra tranquilla, ma lo è solo in apparenza, perché il nemico è già in movimento. I Tedeschi dislocati a Cesio partono, raggiungono il passo di Ginestro e quindi puntano sul paese di Vellego che raggiungono rapidamente. Avvisati dalle sentinelle borghesi, i giovani si mettono in salvo; però a Degna, il paese successivo sulla carrozzabile, non giunge subito la grave notizia. Dopo un'ora è anch'esso investito, ma i nazifascisti non sembrano avere idee bellicose, cercando solo una guida per farsi condurre in Val Arroscia. I giovani del paese, chiusi in casa, sentono il rumore delle armi, degli zoccoli dei muli e delle scarpe chiodate; non possono uscire, non possono andare ad avvisare gli uomini del Comando della “Bonfante”, mentre la colonna nemica passa a circa duecento metri di distanza dallo stesso.
Sapranno del passaggio del nemico nella tarda mattinata, quando ritornerà indietro la guida borghese che aveva accompagnato la colonna sulla cresta della montagna. La colonna diretta a Bosco è accompagnata dalla oramai spia famosa “Carletto”.
Il Comando della “Bonfante” non ha alcuna possibilità di avvisare i garibaldini dislocati a Bosco. Oramai è tardi. Sperano che le sentinelle del luogo abbiano potuto avvistare il nemico che stava avvicinandosi. Si spera che anche questa azione sia una puntata isolata e non faccia parte di un momento del grande rastrellamento previsto.
Scrive Gino Glorio (Magnesia) nel suo diario: "Il Comando della Divisione “Bonfante” si sposta a Degna per esaminare la situazione più da vicino; quanti erano e come armati, con muli o senza, perché la guardia borghese non ha funzionato? In Val Lerrone la situazione si mantiene calma, ma che avviene di là? Se il nemico, come probabile, tornerà alla base per la carrozzabile della Valle Arroscia, sarà possibile agganciarlo? Sembra che al di là della cresta gli avvenimenti siano più gravi di quanto si temesse. Un borghese che si è spinto in cresta, riferisce che le colonne di fumo si levano da Degolla e da Costa Bacelega, segno che il nemico non si è limitato alla puntata su Bosco, lunghe raffiche di mitraglia indicano che la lotta è ancora in corso. Le ore passano lente, uguali, verso mezzogiorno giunge a Segua uno sbandato da Bosco. Aveva i pantaloni strappati e lo sguardo inquieto dell'animale braccato. Racconta che con i suoi era sveglio da qualche minuto, aveva rimesso al fuoco le castagne e si preparava a lavarsi, quando vede a breve distanza i Tedeschi che scendono tra gli ulivi. Urla “I Tedeschi”, e via senza voltarsi. Quelli sparano ma il fuggiasco non vede più niente, e non sa cosa sia successo agli altri. Erano quasi circondati e la resistenza si presentava impossibile. Dopo una corsa selvaggia tra i rovi e gli ulivi, si era trovato fuori tiro senza armi ma con l'asciugamano in mano. Da mezzogiorno fino a sera nessuna novità. A sera una colonna tedesca scende dalla cresta verso Degna. L'allarme è portato in paese dalla figlia di Bertumelin, contadino del luogo che aiutava molto i garibaldini. In pochi istanti borghesi e partigiani spariscono tra gli alberi, mentre i Tedeschi, preannunciati da una raffica di mitragliatrice, entra in paese. Dopo mezzora Degna è di nuovo libera, il nemico ha proseguito per Cesio. Si spera sia tutto finito. Il giorno 21 niente di nuovo in Val Lerrone. Il comandante Olivero e Gustavo Berio (Boris) lasciano la Divisione, vanno oltre la strada statale 28 in cerca del Comando I Zona Operativa Liguria, per appellarsi alla sua autorità, poiché non riescono più a controllare la situazione. La Divisione rimane così affidata al commissario Osvaldo Contestabile e al vicecomandante Luigi Massabò (Pantera). La sera del 21 il SIM, trasferitosi a Poggio Bottaro, annuncia che il rastrellamento è sospeso in seguito all'offensiva sovietica; non si capisce il collegamento tra i due eventi, ma la notizia è quella. Il 22 la situazione si chiarisce di colpo. La Valle Arroscia è presidiata dai Tedeschi e dai Cacciatori degli Appennini...".
Ma vediamo un poco più da vicino cosa è accaduto nei paesi attaccati il primo giorno di rastrellamento. All'alba del 20 un poderoso schieramento di forze irrompe nella zona della "Bonfante" col compito di rastrellare e distruggere definitivamente le formazioni partigiane ivi dislocate.
Francesco Biga  (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 35-37

Il 21 gennaio 1945 il comandante Giorgio Giorgio Olivero ed il vice commissario Gustavo Boris Berio lasciarono la sede della Divisione "Silvio Bonfante", per provare a fare il punto della tragica situazione al comando di Zona, lasciando la formazione affidata al vicecomandante Luigi Pantera Massabò. Il 21 gennaio la divisione repubblichina Monte Rosa occupava Casanova Lerrone (SV), Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV), Garlenda (SV), Testico (SV), San Damiano, Frazione di Stellanello (SV), Degna, Frazione di Casanova Lerrone (SV), e Vellego, Frazione di Casanova Lerrone (SV), dopo avere già occupato il giorno prima Alto (CN), Borgo di Ranzo (sede comunale di Ranzo), Borghetto d'Arroscia (IM), Ubaga e Ubaghetta, Frazioni di Borghetto d'Arroscia (IM). A Marmoreo il nemico uccise il civile Settimio Testa.Nei tre giorni successivi le formazioni della Divisione "Silvio Bonfante" sfuggirono ai rastrellamenti  nemici di San Damiano, Rossi, Frazione di Stellanello (SV) e Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV). Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Nelle prime ore di sabato 20 gennaio tre colonne naziste e alcune compagnie di Cacciatori degli Appennini giungono in zona provenienti da Borghetto d’Arroscia, Casanova Lerrone e Pieve di Teco. La pattuglia garibaldina avvista il nemico e apre il fuoco (dal diario militare di Luigi 'Pantera' Massabò). Al rientro dalla zona di Marmoreo dove ha portato viveri, il ventitreenne addetto all’Intendenza Mario Miscioscia avvista una delle tre colonne nazifasciste che si sta dirigendo verso Ubaghetta. Impossibilitato a sorpassarla senza farsi notare e trovandosi in una posizione che gli rende difficile la fuga, per dar l’allarme ai compagni Mario lancia contro la colonna una bomba a mano e s’avvicina ulteriormente per scaricarle contro la pistola: il colpo di mano nemico viene così scongiurato. Una raffica però colpisce mortalmente Mario: all’ufficiale fascista che gli offre di darsi prigioniero in cambio delle cure che gli avrebbe fatto prodigare, risponde: “Preferisco la morte al disonore di venire con voi”, frase riferita dallo stesso ufficiale a persone di Borgo di Ranzo. I nazifascisti trovano Ubaghetta deserta: i partigiani dislocati nei dintorni si sono allontanati e anche i contadini hanno abbandonato le loro case. Tuttavia, nel tentativo di sottrarsi al rastrellamento, sabato 20 gennaio 1945 il ventenne Germano [Cardoletti (Redaval)] resta ferito gravemente a una gamba con frattura dell’osso. In qualche modo riesce a nascondersi ma verso sera viene scoperto e catturato dai nazifascisti: portato su una scala a Borghetto d’Arroscia gli viene praticata una medicazione superficiale e viene adagiato su un dito di paglia con una sola coperta. Il maggiore comandante del battaglione dice che Germano sarà portato all’ospedale di Pieve di Teco. Eppure per tre giorni Germano resta privo di ogni cura: dei circa 60 uomini della compagnia presente a Borghetto solo un sergente maggiore mostra attenzione verso di lui. Probabilmente Germano viene interrogato, forse con percosse e torture, ma nessuna informazione ottengono i fascisti sulle posizioni dei distaccamenti in zona. Alla sera di lunedì 22 gennaio un tenente coi capelli grigi annuncia che il tribunale militare (pare composto solo da lui e da un altro soldato) s’è adunato e ha condannato Germano a morte. Nel tentativo di salvargli almeno provvisoriamente la vita, il locale sacerdote don Casa si offre invano con altri per portarlo all’ospedale. Al sacerdote che dalle ore 5.30 di martedì 23 gennaio 1945 è in attesa dell’ultimo colloquio, neppure viene concesso di parlare a Germano se non cinque minuti prima dell’esecuzione. A quel punto la voce di Germano è talmente debole che il sacerdote non è certo d’aver compreso il nome del padre Cesare e quello della madre Erminia. Alle ore 7 lo sfinito Germano viene fucilato a vent’anni dal plotone fascista d’esecuzione sulla piazzetta del municipio di Borghetto d'Arroscia in provincia di Imperia.
Redazione, Scheda biografica di Germano "Redaval" Cardoletti, Centro Documentazione Resistenza ANPI Voghera

martedì 31 gennaio 2023

Nello stesso giorno furono uccisi dalla banda Ferraris il partigiano Silvano Belgrano, il giovanissimo Matteo Canale ed il parroco di Stellanello don Pietro Enrico

 

Dintorni di Stellanello (SV). Foto: Eleonora Maini

Silvano Belgrano fu uno dei primi partigiani che aderirono alla lotta in montagna. Amico e componente della banda del Cion (Silvio Bonfante) e di Mancen (Massimo Gismondi), fu proprio a fianco di Cion che cadde, forse colpito a freddo da un infiltrato che approfittò dell’infuriare della battaglia per eliminare una delle figure più carismatiche della Resistenza imperiese della prima ora. Sicuramente a conoscenza delle posizioni tenute dal distaccamento Volante di Silvio Bonfante (Cion) e del distaccamento Volantina di Massimo Gismondi (Mancen), il comando provinciale della GNR di Imperia pianificò un’azione tesa a separare i due distaccamenti. Il distaccamento di Cion si trovava sul Monte Ceresa, quello di Mancen in zona Fussai, sopra Evigno, <1 pronti a darsi manforte reciproca in caso di attacco nemico. La GNR, il 19 giugno 1944, mise in campo, tra le altre, la compagnia operativa del capitano Ferraris, sostenuta da un plotone tedesco di cacciatori della 42a Jäger-Division appena giunta in Liguria dalla Garfagnana. Ferraris, ricco dell’esperienza fatta nei Balcani contro i titini, pianificò l’operazione incuneandosi tra le due formazioni partigiane per evitare che potessero operare in sinergia. Una colonna, per lo più composta da tedeschi salì dalla rotabile Alassio-Testico, mentre un’altra proveniente da Cesio, superò il Passo San Giacomo. L’attacco venne diretto contro gli uomini di Cion, che in evidente inferiorità numerica riuscirono a tener testa ai nemici per parecchio ore per poi sbandarsi quando la pressione avversaria divenne insostenibile. Nonostante la notevole inferiorità numerica, il distaccamento “Volante” dovette piangere un solo compagno, Silvano Belgrano, e contare poco meno di una decina di feriti più o meno gravi. Nello stesso giorno furono uccisi dalla banda Ferraris il giovanissimo Matteo Canale (Stellanello 2/3/28) falciato sull’uscio di casa nella zona di San Lorenzo di Stellanello (SV) ed il parroco di Stellanello don Pietro Enrico che, accusato di fiancheggiare i partigiani, fu portato in località Molino del Fico [n.d.r.: oggi nel comune di San Bartolomeo al Mare (IM)] e fucilato.
(1) Il Pizzo d'Évigno (988 m), detto anche Monte Torre o Torre d'Évigno, è montagna erbosa a forma di piramide, che sorge alle spalle di Imperia. È la vetta più elevata di un sottogruppo montuoso abbastanza vasto, che si estende tra la Valle Impero, la Valle Arroscia. Costituisce un importante punto nodale: verso sud dirama il contrafforte che separa la Valle Impero dalla valletta di Diano, mentre verso est dirama il costolone che delimita sul lato destro idrografico la valle del Torrente Merula, e che forma l'adiacente Monte Ceresa.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020  

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Silvano Belgrano
Nato ad Imperia il 5 agosto 1924, appartenente al Distaccamento “ Volante”.
All’alba del 19 giugno 1944 il distaccamento di Silvio Bonfante “Cion”, di stanza ad Evigno (nota 1), viene attaccato da forze nemiche, numericamente di gran lunga superiori, che ne tentano l’accerchiamento. I partigiani si portano sulle alture e combattono strenuamente a lungo: i tedeschi non passano che a sera. I garibaldini, protetti dai loro compagni, si mettono in salvo; tutti ad eccezione di Silvano Belgrano. In seguito si appurerà che a causarne la morte era stata una spia infiltratasi tra le fila dei garibaldini.
A Silvano Belgrano è intitolata la I^ Brigata della Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
(nota 1) Nella zona di Evigno avevano la loro base due distaccamenti garibaldini: quello comandato da Silvio Bonfante “Cion” è a Cian Bellotto e controlla tutto il pendio nord del Pizzo d’Evigno; quello di Massimo Gismondi “Mancen” era lungo i fianchi rivolti a sud, in località Fussai. Questa zona il 19 giugno 1944 fu teatro di una delle battaglie più accanite tra le truppe nazifasciste e i garibaldini del solo Distaccamento di “Cion”. “Mancen”, con vari uomini, si era recato a Diano Gorleri per disarmare un presidio della Guardia di Finanza e, compiuta l’azione, di ritorno all’accampamento trovò tutti i percorsi sbarrati dal rastrellamento nazifascista. “Cion” e i sui uomini dal Pizzo della Penna mitragliarono con continuità; “Fiume”, l’aiutante mitragliere che orientava la direzione dell’arma a seconda degli spostamenti nemici, si trovò le braccia ustionate dalla canna arroventata dell’arma! I Tedeschi non passarono che a sera, dopo aver pagato a caro prezzo la padronanza del campo di battaglia e tutti i partigiani, protetti dai compagni più valorosi, primo fra tutti il comandante, si misero in salvo. Unico caduto fu Silvano Belgrano.
Dal rapporto del comandante “Cion”:
"Giorno 19 giugno. Ore 6,45 il distaccamento viene messo in allarme dalle sentinelle che sentono alcuni colpi di fucile e movimenti di camion sulla strada Alassio - Testico. Ore 7, disposizione delle squadre per il combattimento. Il distaccamento viene attaccato da sinistra e di fronte da forze nazifasciste di gran lunga superiori alle nostre (numero finora accertato degli attaccanti: 1200). Noi attacchiamo senza esitare le forze nemiche che tentano l’accerchiamento di fronte al Distaccamento per poterle fare ripiegare verso sinistra dove si trovano già altre loro forze: il tentativo riesce. Portatici sulle immediate alture, cerchiamo il tutto e per tutto per far allontanare sempre di più le forze tedesche dal Distaccamento… Rientro in serata al distaccamento, ancora intatto… Da segnalare il comportamento esemplare di 4 compagni: Federico, Germano, Carlo II, Aldo, Fiume… Accertamento dei morti nemici, da fonte competente n. 62…"
.
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011
 
 
Matteo Canale. Fonte: Giorgio Caudano, op. cit.

Don Enrico e il ricordo di Lorenzo Stalla che fu catturato in Chiesa, patì la violenza dei Repubblichini e rimase prigioniero destinato ad un Lager. Riuscì a sopravvivere ed alla fine della guerra poté tornare a casa sfinito e morì dopo poco. L’altro ricordo riguarda l’uccisione di Matteo Canale, detto Malin, un ragazzo di 16 anni falciato da una raffica perché era stato visto correre verso casa sua gridando ‘I picca u prève!
Malin compagno di giochi sveglio e simpatico. In suo ricordo é stato posto un cippo davanti alla casa di famiglia, poco oltre la chiesa di San Lorenzo.
Don Enrico era austero: viveva solo nella Sua solitaria canonica, assistito da una vecchia perpetua (forse una parente), brava cuoca che ammanniva pranzi luculliani per le feste solenni a beneficio degli altri numerosi Parroci della valle e delle persone che riteneva di riguardo. A quei convivî partecipava sempre anche il vegliardo Don Laureri, di San Damiano - allora Vicario foraneo del Vescovo d’Albenga - che intratteneva i commensali improvvisando versi d’occasione.
La puntuale testimonianza sulla fucilazione di Don Enrico dev’essere di persona che si trovò ad assistervi, tanto é accurata. La vile ed inutile strage di Stellanello fu il movente del rastrellamento: chi semina vento raccoglie tempesta. Successivamente - ai primi d’agosto - vi fu il bombardamento di Andora ed allora c’è chi si trasferì a Torino (dove i bombardamenti erano ancora più frequenti e devastanti) [...]  Matteo Canale detto Malin. Nato a Stellanello il 2-3-1928. Assassinato il 19 Giugno 1944. Il comando fascista imperiese il 19 giugno 1944 coordinava un’azione di forte contrasto nelle vallate, inviando squadroni di militi con esperienza nei rastrellamento. Molti erano fuoriusciti dalla Francia, oriundi imbevuti di nazionalismo, avanzi di galera con alle spalle omicidi e violenze. Un gruppo di tedeschi seguiva le azioni repressive. Barbetta, il noto fascista Vittorio Ottavi di Stellanello, si era aggregato alle squadracce come guida pratica del posto, rimarcando così il suo odio per i resistenti. Appena giunti a Stellanello questi mercenari uccidevano un ragazzino sedicenne, Matteo Canale, uscito sulla soglia di casa al passaggio della soldataglia che aveva appena arrestato il prete don Pietro Enrico, accusato di avvisare i partigiani mediante scampanelli. Il ragazzo, impressionato dalle percosse affibbiate al povero chierico, aveva richiamato a gran voce la madre affaccendata in cucina. Ciò era bastato perché lo sventurato ragazzino si prendesse a bruciapelo una fucilata da quella ciurma di criminali. Un ulteriore colpo alla nuca ribadiva le intenzioni dei fascisti per la giornata, che si concluderà con l’assassinio del prete a Molino del Fico, vicino a dove erano già stati torturati orrendamente e poi fucilati qualche giorno prima i martiri partigiani Marco Agnese (Marco), Alessandro Carminati (Sandro), Carlo Lombardi (Giuseppe) e Celestino Rossignoli (Celestino).
Redazione, Stellanello: ricordi di don Enrico e di Malin ucciso a 16 anni. Quella vile e inutile strage. I convivi in canonica e i versi di don Laureri, Trucioli, 9 luglio 2020   
 
 
Don Pietro Enrico. Fonte: Giorgio Caudano, op. cit.

Una volta vennero sul serio da San Damiano, Testico, Stellanello, Chiusavecchia e Pairola [n.d.r.: Frazione del comune di San Bartolomeo al Mare (IM)], un finimondo che ci pareva il poligono dei tiri in funzione sul mandamento; epperciò tutto intorno, da  ogni parte, non si sentivano manco più a parlare tra loro negli spari così forti.
Con le pesanti in postazione, sì che i partigiani c'erano ai passi sempre di guardia; e anche le pattuglie avanti indietro si davano il cambio; sì che attorno ai casoni le sentinelle stavano ferme anche col freddo a sentire i rumori: ma quando li senti così vicini ormai è tardi, altro che balle.
Quando arrivano così da tutte le direzioni, che non sai come, non ti serve più, niente di niente, perché sai che tanto è inutile, sicché ce la metti tutta soltanto per schivarti se ti riesce.
Tu allora spari finché spari per fermarli e va bene, ma mica puoi gridargli alto là fermi tutti, di qui non si passa; come fai a fermarli se sono una valanga, e hanno già preso anche il Pizzo d'Evigno?
Come fai, se ce n'è pieno sulle creste e il pendìo del Ceresa è pelato come in mano, che di lì proprio non ci puoi passare sempre sotto tiro?
Adesso invece porca la miseria, in più tieniti anche sti colpi di mortaio sempre più secchi, spiaccicato lì sull'erba.
Sempre lì fermo con tutta la paura addosso che hai, intanto loro aggiustano il tiro coi binocoli; e tu rimani lì ad aspettare il colpo giusto se arriva sì o no a schiantarti; ti raggricci di più, sempre di più, con la pancia a terra da volerci sprofondare come un verme nell'erba fitta, e sparire.
Eccoti dunque che li impari a conoscere sul serio sti bastardi di mortai, col tempo che ci vuole per sentirteli proprio addosso; col tempo che ci vuole voglio dire per indovinare il colpo quando parte e lo squarcio quando arriva nello schianto, sempre di più vicino a te.
Questo modo che impari, è proprio come quello di starsene all'avventura; tanto o prima o poi lo schianto arriva preciso anche per te: è inutile pensare all'altromodo, se il tuo destino è così; ma è lo stesso anche se ti raggricci ancora di più, perché ciononostante gli squarci ti si aprono da tutte le parti coi sibili e il fracasso.
Poi sti tedeschi li senti che vengono avanti con le bardature e l'armamentario, scendono dalle creste passo passo frugando in tutti i buchi, che non gli scappa niente.
Ecco che così adesso, senti veramente di essere soltanto un verme molle da schiacciare come vogliono loro o prima o poi, siccome devi stare sempre fermo ad aspettare, guai a muoverti.
Devi starci spiaccicato pancia a terra in questo inferno, con gli squarci da tutte le parti, e loro che vengono sempre avanti a scovarti senza smetterla e sparando in presa diretta, sempre così; il fatto sta che loro sanno tutto della situazione com'è, scendendo dalle creste e mettendosi a frugare.
Lo sanno che in questa valle presidiata, da non poterne più uscire, ci sono quelli del Cion già famosi dappertutto; e che perciò adesso bisogna batterla ben bene coi mortai, per farli saltar fuori proprio tutti al completo.
Eppoi sanno che bisogna andarci dentro con le pattuglie passo passo in rastrellamento metodico per non dargli scampo; epperciò, con tutte le bardature elmetti armi automatiche munizionamento a bizzeffe e i mortai che li sparano giusti con tutti i colpi che ci vogliono e anche di più, adesso vengono avanti; vengono avanti sempre sul sicuro frugando dappertutto, così ce la faranno eccome a schiacciarti proprio come un verme molle.
Successe invece che quella impresa i nazifascisti la finirono da arrabbiati senza concludere, senza minimamente riuscire a scovarli dai nascondigli.
Dopo quel traffico della malora dalle creste e quegli spari coi mortai nel rastrellamento, ben sapendo che c'erano eccome i partigiani, o di qua o di là nella valle, ma non li trovarono chissà, si incattivirono di più, bestemmiando forte.
Difatti i partigiani erano pratici e ce la fecero anche stavolta, perché bastava un rovo una crepa una fessura o un po' di fieno, sempre lì rintanati; poi sapevano strisciare adagio un poco più in là mentre loro, proprio da crucchi, andavano passo passo frugando un poco più in qua; e così gli sgusciavano di sotto.
Per la strada invece presero don Enrico, parroco di Stellanello - lui va bene porcomondo, perché è prete; non può negare - dicevano andando; se lo misero davanti legato a colpi nella schiena, sempre più secchi: perdio se dovrà parlare altroché.
- Su, svelto, facci vedere questi nascondigli; ma fa presto che tu lo sai, spicciati.
Lo portarono di qui di là, nel folto dei canneti, ai lati del torrente e sotto negli orti, avanti fin quasi sulle creste e dentro i paesi con la gente chiusi, che parevano cimiteri.
Per le strade dei campi e fuori strada, fin nelle pietraie, dappertutto lo fecero girare legato quel prete catturato nella sua valle, picchiandolo; andando tra le botte, lui diceva di curare le anime, non ste faccende degli uomini che si sparano tra loro in questi tempi da lupi.
Diceva così: che non è lecito di andarsene in mezzo alla sua gente nelle sparatorie accanite soltanto per sparare, di andarsene senza pietà voleva dire; ma che bisognava starci da prete come si deve; non come le bestie, santo cielo, a pregare per tutti.
Loro invece no, avanti botte sempre di più a sfigurarlo - tu lo sai, tu sei d'accordo prete sovversivo; e ce lo devi dire. Per la miseria se ce lo devi dire, perché noi del fascio ti faremo cantare: hai capito che ce lo devi dire?
Lo spingevano sempre di più con le botte a fracassarlo; tanto che ormai, manco volendolo, ce la faceva più a stare dritto in mezzo a quei manigoldi.
Andando, chinava il capo rassegnato come poteva; tra le case della sua gente tutte chiuse sigillate, andava a quel modo che alla gente faceva pietà; si vedeva che andando pregava, e che sapeva come finiva la sua storia.
Lui sapeva della morte inevitabile e dei nascondigli dei partigiani, perché sapeva tutto della sua gente in quella valle da una parte all'altra; ma i fascisti perdio li fece girare a vuoto per tutto quel giorno, sotto le botte, avanti indietro nella sua valle sempre uguale; sicché alla fine non si riconosceva più massacrato a quel modo com'era, dalla testa ai piedi.
Poi loro se ne accorsero che era proprio inutile, siccome lo capirono alla fine del giorno, che non ci si vedeva più.
Lo capirono che li aveva presi ben bene in giro, non volendo tradire la sua gente né di giorno né di notte, mai.
Lo finirono, sparandogli a bruciapelo quando era già scuro, e lui non ce la faceva più a reggersi in piedi.
Lo trascinavano di peso per la strada nella polvere spessa: erano arrivati in fondo alla valle, vicino al Molino del Fico, e lì si fermarono; la gente chiusa nelle case col terrore e i ribelli nei nascondigli ad aspettare da un momento all'altro, alla fine sentirono l'ultima raffica al Molino del Fico, e loro che imprecavano bestemmiando tutti sporchi di polvere sgomberando la valle.
Allora, tutti insieme, la gente e i partigiani capirono che se un prete è un prete, deve essere un prete così come questo qui ministro di Dio e dei suoi fratelli, con la sua gente fino al patibolo; e non se lo scordarono mai più.
Osvaldo
Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982,  pp. 45-47    

mercoledì 25 maggio 2022

Oggi si viene a conoscenza che l'azione di rastrellamento a Coldirodi è stata compiuta dal Comando Tedesco e dai Bersaglieri più vicini di noi

Coldirodi, oggi Frazione del Comune di Sanremo (IM): Monumento ai Partigiani Caduti: Caputi, Giaccaglia, Graziano

Fin dai primi giorni del mese di dicembre 1944 si era abbattuta con una violenza e una ferocia indicibili sulle popolazioni comprese tra la val Nervia e le valli imperiesi la furia delle truppe naziste e dei loro alleati, i terribili “Cacciatori degli Appennini”, con l'intento di eliminare ogni traccia della presenza partigiana in questa zona, per poter affrontare il temuto arrivo degli alleati dalla vicina Francia, e di cui credevano fosse prossimo lo sbarco. Essi usavano la tecnica della rappresaglia sulle popolazioni: quando diciamo Resistenza infatti parliamo non solo dei partigiani, ma di tutti quei contadini, artigiani, uomini e donne che, al contrario delle spie, profumatamente ricompensate, rifiutarono - pagando per questo un prezzo altissimo - di denunciare i nascondigli dei Partigiani.

In questo mese infatti avvennero gli eccidi di Grimaldi, Castelvittorio, Torre Paponi, Villa Talla che costarono la vita di tanti civili, donne, uomini, bambini e sacerdoti, oltre alla devastazione dei paesi
In questo clima di violenza e terrore il 19 dicembre a Ospedaletti vengono rastrellate 503 persone: i giovani catturati sono avviati alle armi o condotti in Germania, e quello è lo stesso giorno in cui avviene lo scontro con i Partigiani a Coldirodi [n.d.r.: all'epoca Frazione del Comune di Ospedaletti].
Otto partigiani della “Volante” del Comando della V^ Brigata Garibaldi, provenienti dalle alture di Taggia, stavano tornando verso il paese, attraverso le montagne, suddivisi in terne per ragioni di sicurezza: erano scesi a Coldirodi sull’imbrunire del 18 dicembre 1944 e avevano prelevato il giovane Giuseppe Graziano per appurare se erano vere le notizie riguardanti il padre che, da informazioni pervenute, si temeva potesse essere un informatore del nemico: il giovane si era offerto di seguirli al posto del padre. 
Dopo aver ascoltato le sue dichiarazioni i partigiani si erano resi conto che le informazioni avute erano false, per cui, nella notte del giorno successivo, il tragico 19 dicembre 1944, avevano deciso di riaccompagnare a casa il giovane Giuseppe, e mettere fine all’ansia dei suoi familiari al più presto. Giunti in vista del paese, avevano chiesto a Giuseppe di fare loro da guida attraverso le mulattiere che egli, essendo del posto, conosceva meglio. 
Giunti in questo punto furono però colti da un nutrito fuoco di un gruppo di nazifascisti appostati.
Caddero, colpiti a morte i due Partigiani della prima terna: Caputi Giuseppe (Pasquale) di Molfetta, Giaccaglia Lelio (Bill) di Perugia, e con essi venne colpito a morte Graziano Giuseppe. Mentre il restante gruppo di Partigiani, nonostante alcuni feriti, riusciva a sganciarsi, Giuseppe si trascinò morente lungo un viottolo fino ad una scalinata presso un’abitazione e lì morì, dopo una lunga agonia, perché a nessuno fu possibile prestargli soccorso, data la presenza dei nazifascisti sul luogo dello scontro che lo impedivano. Il suo nome è inciso sulla lapide posta nel luogo ove terminò la sua giovane vita. Aveva 19 anni. 
All’alba del giorno seguente i nazisti giunsero in forze nel paese e rastrellarono tutti gli abitanti di Coldirodi riunendoli nella chiesa: gli uomini vennero portati a Sanremo e furono rilasciati solo grazie all’intercessione del Parroco Giovanni Battista Lanteri, pochi alla volta.
Redazione, Sanremo: domenica prossima la cerimonia organizzata dall'Anpi per commemorare i caduti di Coldirodi, Sanremo.news, 5 dicembre 2019 
 
A sinistra, in collina, Coldirodi; sulla costa, Ospedaletti. Una vista da Bordighera

I Tedeschi, sempre convinti dello sbarco di commandos nemici, rastrellano Ospedaletti il giorno 19: vengono fermate 503 persone, i giovani sono inviati alle armi, due in Germania (Celeste Trevisan fu Domenico non farà più ritorno), saccheggiate molte case.
A Coldirodi catturano e fucilano i garibaldini della V brigata Lelio Giaccaglia (Bill) fu Carlo nato a Perugia il 28-1-1921, Giuseppe Graziano di Giuseppe, e, il giorno 22, Giuseppe Caputi (Pasquale) di Pasquale, nato a Molfetta  il 15-7-1923.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

Coldirodi vista da Ospedaletti
 
In Liguria furono attivi Giuseppe Abbattista e Giuseppe Caputi (nome di battaglia "Pasquale"), il primo attivo nella 2° Brigata Julia dell'esercito italiano, il secondo nella V Brigata Nuvoloni delle Divisioni Garibaldi intitolate alla memoria di Felice Cascione, autore del canto partigiano "Fischia il vento". Giuseppe Caputi cadde in combattimento il 22 dicembre 1944 a Coldirodi, in provincia di Imperia.
Redazione, Rifondazione Comunista ricorda le storie dei partigiani di Molfetta, Molfetta viva, 25 aprile 2020 

Ospedaletti (IM): una vista da Coldirodi

[...] Il fatto avvenne il 19 dicembre 1944 in frazione Coldirodi: una pattuglia di Partigiani giunta nella parte nord del paese dove riaccompagnava il giovane Graziano, fu colta da un nutrito fuoco di un gruppo di nazifascisti lì appostati, proprio nel luogo dove ora sorge il cippo che ricorda i Caduti.
Caddero subito i due Partigiani che erano nel primo gruppo: Caputi Giuseppe (Pasquale), Giaccaglia Lelio (Bill) e con essi venne colpito a morte il diciannovenne Giuseppe. Mentre il restante gruppo di Partigiani, nonostante alcuni feriti, riusciva a sganciarsi, Giuseppe si trascinò morente lungo un viottolo fino ad una scalinata presso un’abitazione e lì morì dopo una lunga agonia perché a nessuno fu possibile prestargli soccorso, data la presenza dei nazifascisti sul luogo dello scontro. Il suo nome, Graziano Giuseppe, è inciso su una lapide posta nel luogo ove terminò la sua giovane vita. All’alba del giorno seguente i nazisti giunsero in forze nel paese e rastrellarono tutti gli abitanti portandoli nella chiesa: gli uomini vennero portati a Sanremo e furono rilasciati solo grazie all’intercessione del Parroco Giovanni Battista Lanteri, pochi alla volta.
Ma.Gu., A Coldirodi saranno commemorati i Partigiani uccisi dai nazifascisti, Riviera24.it, 18 dicembre 2010

Coldirodi vista dal confine tra Bordighera ed Ospedaletti

13 dicembre 1944
Anche questa notte vengono inviati sei uomini di guardia a Villa Giulia per servizio di vigilanza e di difesa di quella caserma che rigurgita di prigionieri politici e di ostaggi.
Ho ordine d'intensificare la vigilanza per il Bando del Capo della Provincia relativo alla fucilazione di tutti i prigionieri politici, in S. Remo, se entro il 15 c.m. non verranno rilasciati il Maggiore Papalepore ed il maresciallo Messina, prelevati dai ribelli a S. Martino.
Novità del servizio: n.n.
La guardia era comandata dal Legionario Carlevaris.
Visto il Comandante Mangano - il Vice Comandante
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo
 
Il 10 dicembre 1944, alcuni garibaldini prelevano a San Remo il maggiore della 12^ Compagnia Provinciale della Milizia Ignazio Pappalepore e il maresciallo Giuseppe Messina. Il giorno stesso i due malcapitati furono passati per armi in zona Peiranze in località Pian dei Bosi di Sanremo. In relazione la prefettura d’Imperia informava con un manifesto che se entro il giorno 15 (dicembre) i due suddetti militari non fossero stati rilasciati, avrebbe ordinato la fucilazione di tutti i detenuti politici trattenuti nelle carceri di Sanremo e di Imperia. Il CNL sanremese rispose con un altrettanto minaccioso manifesto con cui si decretava la pena di morte per tutti gli appartenenti al Partito fascista repubblicano, da eseguirsi se la suddetta fucilazione fosse avvenuta. Forse intimorito dalla minaccia ricevuta il Tribunale speciale di Sanremo aggiornò la seduta non facendo seguito alla minaccia precedentemente affissa sui manifesti. Le conseguenze però non si fecero attendere molto. Tra il 19 e il 22 del mese stesso fu organizzato un grosso rastrellamento sulle alture della città. A Coldirodi vennero uccisi, rispettivamente il 19 e il 22, Giaccaglia e Caputi. Il 22 vennero catturati in città nei pressi della loro abitazione i fratelli Zoccarato, che vennero fucilati sul posto in presenza della loro madre.
Giorgio
Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, Edito dall'Autore, 2020

[ n.d.r. tra gli altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016;
Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016
 
Copia di una delle pagine del Diario del Distaccamento di Sanremo della Brigata Nera cit. infra

Prelevamento Magg. Pappalepore e Maresciallo Messina
In data di oggi, 19 [dicembre 1944], al Comandante perviene una lettera, con dentro altra chiusa, intestata "Alle autorità competenti. Sanremo".
Vi sono due biglietti.
I - Uno così concepito: "Ci perviene in questo momento una dichiarazione diretta a sua moglie di uno dei due militari prelevati nella notte del 10 c.m. dalla quale risulta che lo stesso collabora con i patrioti.
"Dal biglietto accompagnatore nulla risulta per il secondo, ma da indiscrezioni avute sembra goda ottima salute".
II - Nel retro di un certificato di identità della signora Lamorte Antonietta (moglie del Maresciallo Messina) si legge a matita: "Io sto bene e spero che collaborando in fiducia in pieno accordo con i patrioti rivederci presto con la sicurezza di una Italia libera. Viva i patrioti. Tuo caro Giuseppe. Baci ai bambini".
Evidentemente si tratta di un autografo del Maresciallo Messina a sua moglie. Carpito a forza? Spontaneo?
Il singolare documento viene portato in visione al Capitano Sainas (G.N.R.) e comunicato per l'urgenza al Capo della Provincia, a 1/2 telefono. Alla sera, ore 18 circa ne viene informato pure il Col. Bernardi dal Comandante e prima di tutto il Comandante la 32^ Brigata "A. Padoan" Massina M.
[...] Successivamene, verso le 5 viene in sede anche il camerata Ascheri Dario, pure di Coldirodi e aggiunge particolari interessanti.
Immediatamente il Comandante Mangano e il Vice Comandante si recano dal Capitano Sainas della G.N.R. per conferire in merito da farsi ossia per portarci a Coldirodi cogli uomini senz'altro.
Il Capitano Sainas informa che l'azione di rastrellamento è in mano al Comando Germanico e che si devono attendere ordini in merito.
Nell'attesa gli uomini del nostro distaccamento sono tenuti pronti.
Possono partire 25 legionari.
Nulla ci viene ordinato nelle ore che seguono.
20 dicembre 1944 / XXIII
Oggi si viene a conoscenza che l'azione di rastrellamento a Coldirodi è stata compiuta dal Comando Tedesco e dai Bersaglieri più vicini di noi. Tre ribelli sono stati uccisi. Altri feriti. Gli uomini dai sessant'anni ai 17, rastrellati nel paese, assommano a circa 350. Sono al Grande Albergo.
[...]
21 dicembre 1944 / XXIII
La G.N.R. (albergo Nizza) chiede quattro uomini di guardia al Grande Albergo dove sono gli ostaggi rastrellati a Coldirodi.
Il Comandante invia i seguenti Legionari: Galleani Giancarlo, Viale Francesco [...]
22 dicembre 1944 / XXIII
Il freddo stana i lupi dai boschi. Allo stesso modo scenderanno i banditi dalla montagna per penetrare alla spicciolata in città. Si rende opportuno organizzare una serie sistematica di agguati e di appostasmenti nelle vie di accesso, alla periferia di S. Remo. Le probabilità di arresti e di fermi aumenterebbero di certo. I nostri Legionari desiderano tali azioni.
[n.d.r.: a firma Mangano, capitano Angelo Mangano, comandante la Compagnia O.P. della XXXII Brigata Nera, e a firma del vice comandante]
23 dicembre 1944 / XXIII
[...] Della settantina di individui delle classi richiamate rastrellati ieri da tre pattuglie di nostri Legionari, da Corso Garibaldi al Casinò, non uno è stato trattenuto dalla G.N.R. (Compagnia fucilieri). Pare fossero tutti muniti di certificati di lavoro delle ditte più svariate. Comunque, il rastrellamento fu eseguito con perfetta organizzazione e non diede luogo ad incidenti.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

lunedì 4 aprile 2022

I partigiani procedono immediatamente alla raccolta delle armi

Caramagna, Frazione di Imperia

Interessante e degna di rilievo è l'azione compiuta brillantemente dal 2° distaccamento della IX Brigata [n.d.r.: la IX Brigata "Felice Cascione", in effetti formalizzata come tale il giorno dopo l'evento qui narrato e destinata a trasformarsi a breve, il 4 luglio (o il 7, a seconda delle fonti) in II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"] comandato da Risso Rinaldo (Tito), di stanza  a Villatalla.
19 giugno 1944. Ore due: partenza da Villatalla di quasi tutti i componenti la formazione. Obiettivo: la postazione di artiglieria tedesca dotata di quattro cannoni, presidiata da circa cinquanta uomini della GNR e da una aliquota di Tedeschi. Località: Caramagna, frazione di Imperia, nell'entroterra di Porto Maurizio.
L'azione è studiata nei minimi particolari e preordinata secondo la tecnica della sorpresa con l'aiuto di qualche informatore locale che si è prestato a fornire tutte le preziose e necessarie notizie, sia sulla disposizione delle forze, che sull'entità dell'armamento e sul morale della guarnigione nemica.
Alle tre, a Molini di Prelà, le macchine requisite forniscono un celere mezzo di trasporto verso la meta. Una motocicletta in perlustrazione batte la strada. Prima dell'alba, arrivo a Cima Bastera, lungo la strada che da Caramagna svolta verso Dolcedo. Alle quattro e trenta circa, i garibaldini sono in Caramagna, quivi, secondo il piano prestabilito, gli uomini sono suddivisi in tre colonne: la prima, in posizione centrale, deve percorrere il tratto di via più breve ed appostarsi in agguato nel torrente; la seconda procede sul lato destro lungo la strada per Cantalupo; l'altra, infine, percorre la via di Caramagnetta.
Alle cinque, un fischio: il segnale dell'azione. La squadra nascosta nel torrente si muove rapidamente e aggredisce di sorpresa la sentinella, che non può dare l'allarme, mentre le due formazioni operanti sui lati invadono il campo e colgono nel sonno i soldati di guarnigione. Sono fatti prigionieri anche i due marescialli tedeschi e gli ufficiali italiani che dormivano a parte, in una casetta presso l'entrata del campo.
I partigiani procedono immediatamente alla raccolta delle armi ed al sabotaggio dei pezzi d'artiglieria non trasportabili, cui vengono tolti gli otturatori.
Mentre nuclei di mitraglieri fanno buona guardia, sorvegliando le strade provenienti da Piani e da Porto Maurizio, si procede all'ispezione del magazzino. Sono caricate su di un carro, cui sono attaccati un mulo ed un cavallo rinvenuti nelle stalle presso la postazione, tutte le cose che possono tornare di utilità alla brigata. Un altro mulo viene condotto via dagli uomini.
Intanto, i repubblichini chiedono di poter seguire i partigiani sui monti; nella confusione, qualcuno, d'idea diversa, sgattaiola e fugge via.
Sulla corriera, condotta sul posto dai partigiani, sono caricati altri oggetti in dotazione, tra cui una radio, una macchina da scrivere e vestiario. Poi, ritorno verso la base di partenza.
Un nucleo, armato di mitragliatore, si presta volontariamente per proteggere la ritirata del distaccamento ed apre il fuoco su tre camion nazifascisti sopraggiunti poco dopo.
Intimoriti dal fuoco del mitragliatore, gli autisti dei camion virano di bordo senza neppure arrivare nei pressi dell'abitato del paese.
I protagonisti, che vengono citati all'ordine del giorno, quale esempio di coraggio ed intelligente iniziativa, sono l'austriaco «Erik» e l'ex repubblichino «Umberto».
l garibaldini, trasportati da automezzi, rientrano a Villatalla verso mezzogiorno. Manca solo Giuseppe Corradi che, rimasto gravemente ferito, morirà il giorno successivo.
Bilancio dell'azione: due casse di bombe a mano tedesche fumogene, sette casse di caricatori da 6,5, sei casse di caricatori per fucile mitragliatore S. Etienne, quaranta moschetti da 6,5, due mitragliatori francesi S. Etienne, cinquantasette coperte, tre sacchi di vestiario vario, quaranta zaini e tre rivoltelle che sono consegnate a coloro che più si sono distinti nell'azione.
I repubblichini, che spontaneamente hanno seguito i partigiani, sono trentadue, tra i quali due ufficiali ed un Austriaco. Uno degli ufficiali è stato ferito per errore nel corso dell'azione: essendosi affacciato alla finestra, i partigiani, pensando che volesse reagire con lancio di bombe a mano, gli hanno sparato colpendolo alla spalla sinistra. Ma la cosa non riveste carattere di gravità non essendo stato leso alcun organo vitale.
Nella stessa giornata della brillante azione, due garibaldini partiti in missione due giorni prima, rientrano all'accampamento con ventiquattro repubblichini venuti volontariamente in banda quasi totalmente armati.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Il 19 giugno 1944 il 2° distaccamento della IX Brigata comandato da Tito (Rinaldo Risso) di stanza a Villatalla decide di scendere a valle per rifornirsi di armi e munizioni. L’obiettivo prescelto è un postazione di artiglieria costiera tedesca a Caramagna, presidiata da una cinquantina di militi della G.N.R. e alcuni tedeschi. Giunti in prossimità della postazione, i garibaldini con un’azione fulminea riescono a disarmare le guardie e fare irruzione all’interno della palazzina che funge da dormitorio. La sorpresa e la rapidità con cui si muovono gli uomini di Tito non lascia scampo ai difensori. Inizia quindi la razzia di armi e munizioni che vengono caricati su un carro trainato da due muli, requisito in loco. Oltre alle armi i partigiani portano con sé una trentina di militi della GNR che, volontariamente decidono di unirsi alla lotta in montagna. Ben presto arrivano alcuni camion nemici carichi di uomini che cercano di ostacolare la ritirata verso i monti dei partigiani. Giuseppe Corradi viene colpito mentre trasporta sulle spalle una cassetta di munizioni. Gravemente ferito morirà il giorno seguente.        Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020
 

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano:  Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016   ]

Pagina 23 del Notiziario GNR cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Il 19 corrente, alle ore 16,15, in Caramagna di Imperia, numerosi banditi armati assalirono una batteria contraerea, prelevando oltre 70 militari italiani e due germanici, sostendendo soltanto con questi ultimi un breve conflitto a fuoco.
I malviventi, dopo aver arrecato danni a pezzi d'artiglieria, asportarono tre cavalli, due muli e materiali vari dell'Organizzazione TODT, allontandosi quindi in direzione di Dolcedo.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 26 giugno 1944, p. 23, Fondazione Luigi Micheletti

giovedì 8 aprile 2021

Il giorno successivo cade in combattimento il partigiano Licurgo Bardelloni

Licurgo Bardelloni

Licurgo Bardelloni, figlio di Giuseppe e Teresa Salvadori, nasce a Monterotondo Marittimo (GR) il 23 febbraio 1923. Operaio, celibe, risiede nel paese natio in via Cavallotti 2.
Alla data dell'8 settembre, Licurgo è soldato nel 1° Genio Minatori dislocato a Palombara Sabina (Roma). Non riuscendo a fuggire ai tedeschi viene deportato in un campo di concentramento in Germania. In condizioni durissime, sempre rifiutando il giuramento alla RSI, sopravvive al durissimo inverno ’43-’44 e, all’inizio della primavera, quando ormai era chiaro che le sorti della guerra erano segnate per i nazifascisti, nel tentativo di ricongiungersi alla famiglia, il 9 marzo, accetta di essere arruolato nell’esercito della RSI.
Viene nuovamente inquadrato nel 1° Genio Minatori, prima in Germania e poi trasferito a Casale Monferrato dove rimane fino al 9 agosto 1944. Il 10 agosto, attuando un piano a lungo studiato, fugge in montagna unendosi alla Resistenza nelle formazioni garibaldine IV Brigata, 2° battaglione della 2^ Divisione “Felice Cascione” con nome di battaglia “Tim”, ottenendo anche il grado partigiano di ‘sergente’ con l’incarico di “capo nucleo” come risulta dal “Certificato Alexander 168230”.
Arrestato dai fascisti il 17 gennaio 1945 in Liguria, località Molini Triora, viene fucilato il 19 gennaio in località Pizzo di Drego, “Ponte di Glori” a Molini di Triora (Imperia). Qui viene sepolto nel cimitero di Agaggio dai suoi compagni. La salma, riesumata nel maggio 1947, viene traslata nel cimitero di Monterotondo Marittimo.
Le circostanze della morte di Licurgo Bardelloni sono descritte da una testimonianza rilasciata l’8 febbraio 1946 da Nino Allaria, mulattiere:
"... con altri mulattieri della frazione di Andagna del comune di Molini di Triora, nonostante fossi febbricitante, fui requisito dai tedeschi per eseguire un trasporto col mulo da Molini di Triora a Pieve di Teco. A Passo Pizzo sorpassai un reparto di alpini di ritorno da un rastrellamento e vidi ammanettato assieme a loro un giovanotto. Continuai la strada lasciando dietro gli alpini. Giunto a Colle S.Bernardo,  a causa della febbre, che mi era aumentata, ottenni che quanto trasportava il mio mulo fosse caricato su una macchina tedesca che si trovava in detta località e potei così tornare indietro. Quando arrivai a Passo Pizzo vidi disteso sulla neve, ucciso, quel giovanotto che avevo visto ammanettato con gli alpini nell’andata. Appena giunto a Molini comunicai ai partigiani della zona che a Passo Pizzo si trovava un morto".
Come fu accertato e come risulta dagli atti ufficiali (Archivio ISCREC, sez II, cartella II t 97 Imperia). Il morto era il partigiano Licurgo Bardelloni:
" … giovane onesto, lavoratore instancabile da tutti conosciuto e apprezzato. Viveva la sua vita tranquilla ed onesta circondato dall’affetto dei genitori e dei fratelli. All’imposizione di recarsi alle armi della pseudo repubblica fascista si presentava come molti altri, allo scopo di risparmiare dispiaceri e dolori alla propria famiglia. Non appena possibile abbandonava quelle file che non erano per lui e correva al suo posto nelle Brigate Garibaldine. Il suo Comandante ci dice che 'è caduto eroicamente Licurgo Bardelloni!' Il tuo sacrificio unito a quello di tanti altri sarà l’unico mezzo che salverà l’Italia dal fango e dall’ignavia. Noi ti uniamo alla nobile legione dei nostri martiri e dei nostri eroi e la tua Monterotondo non scorderà mai il tuo nome!".
Significativa l’epigrafe sulla sua tomba nel cimitero di Monterotondo Marittimo:
Qui riposa Licurgo Bardelloni
Partigiano delle Brigate Garibaldine
Che fedele ai principi
Di libertà e giustizia sociale
Cadde combattendo da eroe
Contro le orde nazifasciste sui monti liguri
Appena ventunenne
Il 19.1.1945
Contribuendo con il proprio sangue
A redimere la Patria
Dell’onta repubblichina
(Scheda di Carlo Groppi. Collaborazione di Cesare Gennai. Per il materiale messo a disposizione si ringraziano Giuliana e Fernanda Bardelloni, nipoti del partigiano Licurgo)
Redazione, Licurgo Bardelloni, Tim, Radio Maremma Rossa

Carpasio, comune di Montalto Carpasio (IM): Foto: Mauro Marchiani

Il giorno 18 i nazifascisti fucilano il partigiano Alberto Guglielmi (Nino) a Sella Carpe di Baiardo durante una incursione, e il giorno successivo cade in combattimento il partigiano Licurgo Bardelloni (Tim) a Ponte di Glori (Molini di Triora) (4).
Il giorno 19 il presidio nemico di stanza a Badalucco lascia il paese per andare a rastrellare la zona di Carpasio. Il giorno successivo ritorna alla base dopo aver prelevato muli e bestiame. A Carpasio rimane una Compagnia di una diecina di uomini per presidiare il paese insieme ad una autoblinda tedesca che ha il compito di perlustrare la zona fino al torrente Auxentina. Un membro del CLN locale è catturato e passato per le armi. Agenti nemici in borghese, circa una ventina, preso alloggio nell'ex caserma dei carabinieri a Taggia, perlustrano la zona di Le Lone e domandano ai contadini notizie sui "banditi".
In uno scontro a fuoco con il Distaccamento partigiano comandato da Isidoro Faraldi (Serpe), avvenuto a Molini di Triora, il nemico perde due uomini (5).
Purtroppo lo stillicidio delle perdite partigiane della V Brigata continua, è un periodo cruciale per le forze della Resistenza. Il 20 a Bordighera viene catturato e fucilato il partigiano Attilio Obbia (Tamburino).
(4)- ISRECIM, Archivio, Sezione III, cartella 210.
(5)- Notizie avute dall'Archivio Storico del Comune di Sanremo.

Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005 

giovedì 28 gennaio 2021

I partigiani imperiesi alla battaglia di Pizzo d'Evigno

Il Pizzo d'Evigno - Fonte: Gulliver

L'alba del 19 giugno 1944 sembra dare inizio ad una delle solite, meravigliose giornate, tutto splendore di prati e chiarore di cielo, che si protrarranno per tutta la successiva estate.
La primavera incantevole e varia delle nostre valli sembra, al suo morire, seminare a piene mani i suoi doni più belli perché l'uomo possa gioirne e serbarne un buon ricordo. Ma, in quel giorno, per vasto tratto, nella zona d'Evigno, non s'avverte il respiro profumato dei prati in fiore, né c'è tempo per osservare il chiarore del cielo.
Nel luogo hanno la loro base due distaccamenti garibaldini: quello comandato da Silvio Bonfante (Cion) è a Cian Bellotto <1 e controlla tutto il pendio nord del Pizzo d'Evigno; quello di Massimo Gismondi (Mancen) è lungo i fianchi rivolti a sud, in località «Fussai». Dal primo, s'abbraccia con lo sguardo la Valle dell'Arroscia, i selvosi monti a catena dell'entroterra delle province d'Imperia e di Savona, i sinuosi sentieri, la bianca strada serpeggiante Albenga  Pieve di Teco e, sparsi qua e là, abbarbicati ai degradanti dossi, i borghi, i paesi, i campanili, che offrono uno spettacolo da presepe, con quell'acqua dell'Arroscia che scorre nell'alveo ebbro di sole per gettarsi nel Centa presso Albenga, voglioso di baciare il mare. Dall'altro distaccamento s'osservano le valli dell'Impero e dello Steria, quasi parallele e divise fra loro da una cresta collinosa.
Pizzo d'Evigno ci conduce, attraverso dossi verdeggianti, a 980 metri sul livello del mare, al suo cocuzzolo dominatore di ogni altra cima all'intorno e forma con i monti Penna, Ceresa e Pizzo Aguzzo, una breve catena posta quasi trasversalmente alle vallate dell'Impero e dello Steria, come a volerle resecare. Tale catena converge poi a semicerchio verso sinistra, ed accenna a dirigersi verso il  mare. I monti e le zone nominate sono, appunto il 19 giugno, teatro di una delle battaglie più accanite avvenute fra le truppe nazifasciste e i garibaldini del solo distaccamento di «Cion», essendo impossibilitato a partecipare alla lotta quello di «Mancen», tagliato fuori dallo strano e repentino svolgersi delle operazioni. «Mancen», con vari uomini, si era recato a Diano Gorleri per disarmare un presidio della Guardia di Finanza. Compiuta felicemente l'azione, di ritorno verso l'accampamento, trova tutti i percorsi sbarrati per il rastrellamento nazifascista già iniziato.
Riportiamo, per intero, il rapporto del comandante «Cion » sullo svolgimento del combattimento <2: «Giorno 19 giugno. Ore 6,45, il distaccamento viene messo in allarme dalle sentinelle che sentono alcuni colpi di fucile e movimenti di camion sulla strada Alassio-Testico. Ore 7, disposizione delle squadre per il combattimento. Il Distaccamento viene attaccato da sinistra e di fronte da forze nazifasciste di gran lunga superiori alle nostre (numero finora accertato degli attaccanti: 1.200). Noi attacchiamo senza esitare le forze nemiche che tentano l'accerchiamento di fronte al Distaccamento, per poterle fare ripiegare verso sinistra dove si trovano già altre loro forze: il tentativo riesce. Portatici sulle immediate alture, cerchiamo il tutto per tutto per far allontanare sempre più le forze tedesche dal Distaccamento. I nazi-fascisti (per paura o per tentativo di sorprenderci alle spalle) tentano di raggiungere le vette del Pizzo e del Pizzo della Ciliegia; però non tutto gli riesce perchè il Pizzo della Ciliegia era già saldamente tenuto da una nostra squadra. Spostamento immediato della nostra mitraglia verso il Pizzo della Penna, piccoli duelli della nostra mitraglia contro due postazioni più avanzate nemiche, intervallo di 40 minuti e tentativo da parte nemica di circondare i compagni delle postazioni del Pizzo della Ciliegia. Immediato ritiro delle nostre forze dalla suddetta postazione e contemporaneo attacco della nostra mitraglia. I tedeschi (solo tedeschi) ripiegano verso il Pizzo. A questo punto vengo avvisato dalla pattuglia spostatasi verso Gazzelli che forze numerose salgono da Chiusanico e da Torria mentre altre forze provenienti da Cesio avevano già raggiunto Passo San Giacomo. Avevo già disposto la ritirata nostra per paura che nostri compagni cadessero. Visto che avevamo ancora alcuni caricatori della mitraglia decido di rimanere con due compagni mitraglieri a sparare sino all'ultimo colpo per poi rendere l'arma inutilizzabile e ritirarci in posti sicuri: ma, purtroppo, ci tocca lasciare un caricatore e mezzo perchè sottoposti al tiro dei mortai da 81. Rientro in serata al distaccamento, ancora intatto, con alcuni compagni e riprendo la nostra attività sempre più spietata contro i maledetti tedeschi e i loro schiavi fascisti. Da segnalare il comportamento esemplare di 4 compagni: Federico, Germano, Carlo II, Aldo Fiume <3. Dapprima Germano (Giuda), attualmente Commissario politico, che con una squadra di 10 uomini (nuovi) trovandosi in pessima posizione di ripiegamento, sottoposto alle raffiche nemiche, riesce a tenere in pugno i suoi uomini, rincuorandoli affinché non abbandonino il posto senza mio ordine. Federico con 4 uomini tenta di raggiungere per la seconda volta, armato di mitragliatore, il Pizzo della Ciliegia. Impossibile l'azione perché raggiunto il Pizzo per primi, i tedeschi dirigono verso di lui e i compagni un nutrito fuoco di mitraglia. Rimasto ferito, tenta ugualmente di raggiungere la posizione della nostra mitraglia. Carlo (Siciliano) [Calogero Madonia], che da solo, con mitragliatore, spara contro i nostri nemici, impedendo loro di raggiungere il Distaccamento. Aldo (Fiume) che, aiutante mitragliere, prende di mano al compagno, feritosi ad un piede, la mitraglia e sfida con esemplare eroismo ogni attacco nemico. Esemplare, inoltre, il comportamento di tutti i compagni della vecchia Volante ed alcuni dei nuovi. Con compagni di questa tempra la vecchia e la nuova Volante non perirà mai! Accertamento dei molti nemici, da fonte competente n. 62 (tra i quali un capitano tedesco e un tenente fascista). Un secondo fascista è diventato pazzo. Gloria al nostro fuoco. Il Commissario politico Giuda - Il Comandante Cion".
Ma, nel rapporto, «Cion» ha omesso la cosa più importante: il suo grande coraggio, profuso generosamente, come sempre, nell'epica battaglia. Quando, da varie ore, la lotta infuria feroce contro l'esiguo numero di garibaldini, egli, pressato da ogni parte da soverchianti forze nazifasciste armate di mitragliatrici e mortai ed attaccanti in continuità, comincia a sentirsi provato e stanco, centuplica energie e coraggio.
Con pochi altri ardimentosi, piazzato su Pizzo della Penna, impugnando stretta la sua Hotchiss, mitraglia con una continuità sconcertante, anche irritante, gli invasori esasperati. Calmo, come sempre, «Cion» risponde con precisione al fuoco dei nemici incalzanti. Oltre diecimila colpi vomita la sua prodigiosa mitragliatrice. 
«Fiume», aiutante mitragliere, che ogni tanto deve orientare la direzione dell'arma a seconda degli spostamenti dello schieramento nemico, si trova le braccia ustionate dalla canna arroventata dell'arma e deve infine sostituire «Federico», il compagno mitragliere rimasto ferito.
Enormi lingue di fuoco, ininterrotte raffiche di mitragliatrici e mitragliatori, squarci di mortai, si accaniscono contro poche, irriducibili squadre di «Cion».
I Tedeschi non passano che a sera, dopo aver pagato a caro prezzo la padronanza del campo di battaglia e tutti i partigiani protetti dai compagni più valorosi, primo fra tutti il loro Comandante, si sono ormai sganciati e messi in salvo.
Tutti meno uno: Silvano Belgrano che, col suo parabellum ancora stretto in pugno, col bel viso immobile rivolto al sole, pare osservare la sua fiorente, esuberante giovinezza allontanarsi per sempre, verso orizzonti senza confini. 
(1) «Cion» in dialetto imperiese significa chiodo. 
(2) Il manoscritto originale è stato conservato dai familiari di Silvio Bonfante. 
(3) Trattasi di Federico Sibilla (Federico), Germano Belgrano (Giuda), Calogero Madonia (Carlo Siciliano o Carlo II), Aldo Bukovic (Fiume). 
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 87-90
 
La battaglia di Pizzo d'Evigno, comune di Diano Arentino (IM), mise in luce le brillanti qualità del comandante Silvio Cion Bonfante.
Il suo Distaccamento, Volante, era dislocato in quella zona.
All'alba del 19 giugno 1944 numerosi reparti tedeschi, arrivando in parte da Cesio (IM), ed in parte da Chiusanico (IM), tentarono l'accerchiamento dei garibaldini.
Gli uomini di Cion, seppur inferiori per numero e per armamento, riuscirono a sganciarsi con astuzia.
Senonché in questo scontro cadde il partigiano Silvano Belgrano.
Nella sua relazione Bonfante scrisse che le perdite in campo tedesco ammontavano a 62 unità, tra cui un capitano tedesco ed un tenente fascista. [...]
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Silvano Belgrano "Silvano".
Nato ad Imperia il 5 agosto 1924. Appartenente al Distaccamento "Volante". All’alba del 19 giugno 1944 il distaccamento di Silvio Bonfante "Cion", di stanza ad Evigno [Diano Arentino (IM)], venne attaccato da forze nemiche, numericamente di gran lunga superiori, che ne tentarono l’accerchiamento. I partigiani si portarono sulle alture e combatterono strenuamente a lungo: i tedeschi non passarono che a sera. I garibaldini, protetti dai loro compagni, si misero in salvo. Tutti, ad eccezione di Silvano Belgrano. In seguito si appurerà che a causarne la morte era stata una spia infiltratasi tra le fila dei garibaldini. A Silvano Belgrano venne intitolata la I^ Brigata della VI^ Divisione "Silvio Bonfante". da Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Silvano Belgrano fu uno dei primi partigiani che aderirono alla lotta in montagna. Amico e componente della banda del Cion (Silvio Bonfante) e di Mancen (Massimo Gismondi), proprio a fianco di Cion cadde, forse colpito a freddo da un infiltrato che aveva approfittato dell'infuriare della battaglia per eliminare una delle figure più carismatiche della Resistenza imperiese della prima ora. Sicuramente a conoscenza delle posizioni tenute dal distaccamento "Volante" di Cion e del distaccamento "Volantina" di (Mancen), il comando provinciale della GNR di Imperia aveva pianificato un'azione tesa a separare i due distaccamenti. Il distaccamento di Cion si trovava sul Monte Ceresa, quello di Mancen in zona Fussai, sopra Evigno, pronti a darsi manforte reciproca in caso di attacco nemico. La GNR mise in campo, tra le altre, la compagnia operativa del capitano Ferraris, sostenuta da un plotone tedesco di cacciatori della 42a Jäger-Division appena giunta in Liguria dalla Garfagnana. Ferraris, ricco dell'esperienza fatta nei Balcani contro i titini, aveva concepito l'operazione incuneandosi tra le due formazioni partigiane per evitare che potessero operare in sinergia. Una colonna, per lo più composta da tedeschi, salì dalla rotabile Alassio-Testico, mentre un'altra proveniente da Cesio, superò il Passo San Giacomo. L'attacco venne diretto contro gli uomini di Cion, che in evidente inferiorità numerica riuscirono a tener testa ai nemici per parecchie ore per poi sbandarsi quando la pressione avversaria divenne insostenibile.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

Nel mese di giugno, con la costituzione della «Volantina», la «Volante» che nel maggio era a Stellanello (SV) si trasferisce a Pian Bellotto (9). L'accampamento è composto da tre stanze con funzioni di dormitori, deposito armi e cambusa-viveri. Ci sono, inoltre, la tenda per il Comando, qualche altra tenda-dormitorio, ed una radio sempre tenuta ad alto volume ed udibile a lunga distanza, in segno di sicurezza e di sfida al nemico. Pian Bellotto è alle falde del ripido pendio del monte Ceresa ed è circondato, ai suoi fianchi, da boschi e rocce. Su una di queste è piazzata una mitragliatrice. La «Volante» possiede un discreto armamento; ma le sempre nuove esigenze ne rivelano l'insufficienza anche se attraverso le quotidiane azioni i garibaldini, via via, si procurano le armi sottraendole al nemico. Citiamo un fatto narrato da «Magnesia»: «Mi disse un partigiano: "Vedi quel fucile «Mauser» con cannocchiale? Il Calabrese ne desiderava uno; poi ha saputo che un Tedesco di Andora lo possedeva ed allora, l'altro giorno, è partito da solo. È ritornato con questo"».
Il vitto, per quanto i rifornimenti lo permettano, è cucinato all'aperto: poche pietre disposte a focolare protette da qualche ramo. Il cuoco non può mai conoscere in tempo il numero dei presemi essendovi sempre nella formazione un via vai di partigiani, di passaggio o in arrivo. Comunque, la quantità di cibo è sufficiente all'alimentazione degli uomini.
Il numero dei componenti la «Volante», a seguito della creazione del distaccamento affidato a «Mancen», è ridotto ad una quarantina; ma nuovi giovani continuano ad affluirvi.
Verso passo San Giacomo ha sede una banda di badogliani e sovente, la sera, s'odono degli spari d'esercitazione.
La «Volantina» di «Mancen» prende posizione alla base del monte Torre ma dalla parte opposta a quella della «Volante», cioè sul lato sud. La zona è quella già citata di «Fussai» ed è soprastante ad Evigno, nel comune di Diano Arentino. «Mancen» controlla, perciò, la zona dello Steria e dell'Impero. In caso d'attacco nemico, compito della «Volantina» è l'occupazione di Pizzo d'Evigno a protezione della postazione «Volante», sul monte Ceresa. Il piano prevede, dunque, il dominio delle alture da parte dei garibaldini.
Aggiungiamo ora qualche particolare sullo svolgimento dello scontro così ben sintetizzato, come abbiamo visto, dal bollettino di «Cion».
Alle 7 circa del mattino è dato l'allarme, con una lunga raffica di mitragliatrice, mentre parte dei partigiani, già svegli, sta facendo colazione. Tutti afferrano le armi e si raggruppano intorno al casone principale dell'accampamento per prendere ordini. A quanto è dato supporre dalle raffiche che si susseguono, i nemici si spingono verso Stellanello. Non è ancora possibile conoscere la consistenza delle forze nemiche, sia riguardo al numero, sia all'armamento, sia anche alla direzione in cui agiranno. Contrariamente al solito, però, si intuisce che stavolta la cosa si presenta seria; ma la fiducia nella loro forza e la coscienza dell'andamento favorevole degli avvenimenti fino a quel giorno, preparano i garibaldini ad una lotta da cui, come sempre, i nazifascisti usciranno sconfitti.
«Cion», con gli uomini armati, parte incontro al nemico, mentre i nuovi arrivati, in maggioranza ancora privi di armamento e, conseguentemente ancora inutili sul fronte dello scontro a fuoco, si disperdono nei boschi vicini con l'intenzione di svolgere funzioni di staffetta e di collegamento fra le varie postazioni partigiane combattenti, e di avvistamento del nemico. Un gruppo di essi raggiunge la vetta del monte Ceresa. Le notizie si fanno sempre più precise: un'imponente forza di circa milleduecento nazifascisti, disposta su varie colonne, si avvia all'assalto delle due bande partigiane partendo dalle varie direzioni di San Damiano, Testico, Stellanello, Chiusanico, Pairola.
La situazione dei garibaldini diventa rapidamente molto difficile poiché è esclusa ogni possibilità d'aiuto da altre formazioni.
«Cion» stima la vetta del Ceresa la posizione più opportuna per la difesa: lassù, il nemico concentrerà i suoi attacchi che potranno essere contenuti poiché «Mancen» occuperà la vetta del Pizzo d'Evigno, come previsto nei precedenti piani, e proteggerà di lassù il fianco sinistro della «Volante».
Ma, come abbiamo già riferito, la« Volantina» è impossibilitata all'appuntamento. Sicchè quando il gruppo dei partigiani di monte Ceresa è fatto segno di raffiche di mitragliatrice dalla vetta di Pizzo d'Evigno, si comprende allora che, in quel luogo ci sono i Tedeschi.
La situazione si aggrava ulteriormente. Non resta, comunque, che l'unica soluzione: il proseguimento del combattimento, imperniato sulla strenua resistenza partigiana.
Lo scontro diventa progressivamente ancor più selvaggio con l'attacco concentrico delle varie colonne nemiche. I garibaldini rafficano e gli assalitori si buttano tutti a terra; le raffiche cessano e gli assalitori operano un balzo avanti e così via, per lungo tempo. Ogni tanto qualche Tedesco colpito non si rialza più.
Infine, le posizioni delle armi garibaldine sono localizzate con precisione ed inizia il bombardamento con i mortai.
«Federico» è ferito ad un braccio da una pallottola esplosiva; un colpo di mortaio tramortisce «Fiume». Resiste sempre «Cion » con la pesante Hotchiss. La sua terribile arma trattiene ancora gli assalitori che avanzano a sbalzi ed affannosamente e, ad ogni balzo, sono per loro feriti e morti. Non scomparirà mai quel sorriso ironico, a labbra socchiuse, del Comandante, ormai solo contro tutti. Come in seguito «Cion» confesserà, questo fu, per lui, il momento più difficile; ma la calma non l'abbandona. Infine, considerata inutile la prosecuzione della lotta, smonta l'arma automatica, la priva dell'otturatore e lanasconde. Quindi, ripiega nel bosco, tra i suoi uomini, ma a malincuore perché, purtroppo deve  abbandonare un caricatore e mezzo!
Fase finale della battaglia: i garibaldini si disperdono in piccoli nuclei, ormai isolati tra loro. Avvengono piccoli scontri in ogni luogo della zona, nei boschi e nei dirupi. I Tedeschi stanno rastrellando il campo ed i garibaldini tirano sporadicamente su di essi con moschetti, mitra, bombe a mano, finché s'ode soltanto l'eco delle lunghe raffiche degli assalitori indirizzate nei cespuglie lungo i fianchi del Ceresa, riecheggianti di monte in monte e nelle vallate circostanti.
I partigiani sono stremati: ognuno si cerca un rifugio tra i roveti, i cespugli, gli anfratti del terreno, sfruttando la conoscenza dei luoghi. Molti, nell'eventualità di essere catturati, sono determinati a suicidarsi per evitare di subire le torture e gli inevitabili strazi.
L'azione dei Tedeschi non è rapida perchè anch'essi sono prudenti anche se, ormai, sono assoluti padroni del campo. Poi, si preparano il rancio. Molti garibaldini nascosti li sentono vicini. I Tedeschi riprendono a sparare perchè, malgrado gli avvenimenti, non li abbandona il timore degli agguati partigiani. Verso le 16 è l'epilogo ed i nazifascisti s'allontanano.
L'azione e lo scontro sono durati, dunque dalle 7 alle 16!
Scende lentamente la sera con la sua pace. Con circospezione, i garibaldini, nascosti nei luoghi più vicini, escono cauti e silenziosi, nell'incertezza del momento. Alcuni sono rimasti feriti nel corso del combattimento. L'unico partigiano caduto è, come si è detto, Silvano Belgrano <10.
Durante il rastrellamento i nazifascisti catturano il parroco di Stellanello, don Pietro Enrico «votato con il suo popolo al sostegno coraggioso di chi lottava per la libertà ed un mondo migliore» <11, il quale si lascerà barbaramente uccidere a Molino del Fico
[n.d.r.: oggi nel comune di San Bartolomeo al Mare (IM)] in Val Steria, rifiutando di fornire al nemico informazioni sui «ribelli».
Ognuno interroga e chiede notizie, che sono riferite varie ed incerte: «... I Tedeschi sono partiti, i Tedeschi sono nascosti in agguato, i Tedeschi attraversano la zona in gruppi compatti ...».
Tutti sono digiuni dal giorno precedente. Alcuni raggiungono Pian Bellotto sperando di vedervi «Cion», e constatano che i nazifascisti non hanno trovato il luogo dell'accampamento. Ma c'è chi dice che lo hanno individuato e che potrebbero ritornare all'improvviso. Occorre, dunque, salvare tutto da un eventuale saccheggio. Con grande rapidità sono asportate tende, coperte, gavette e viene distrutta la radio.
Numerosi garibaldini, da pochissimo venuti in banda, sono scossi dagli avvenimenti della giornata. Quella notte ed il giorno successivo rimangono nascosti e temono un'altra incursione nemica. Infine alcuni di essi ritornano alle loro case.
Ma, in soli due o tre giorni, la «Volante» si ricostituisce e, arricchita di esperienza, si accampa nello stesso luogo, a Pian Bellotto, lassù, a quattro passi dal mare. Rientrano gli sbandati, tornano ad affluire nuove reclute.
Va notato che lo scontro si è svolto secondo i canoni della strategia voluta dai Tedeschi: il campo aperto e lo scontro frontale, che la Resistenza imperiese ha dimostrato di non temere perché ha supplito col valore e la conoscenza dei luoghi alla stragrande differenza numerica e di mezzi.
Il timore iniziale di una strage di partigiani presto svanisce dall'animo della gente, soprattutto contadina, delle zone circostanti.
Per lungo tempo sono state osservate le strade percorse da teorie lunghe di camion carichi d'armi e di Tedeschi e di fascisti ed udito lo strepito ininterrotto di un grande scontro.
Poi, l'annunzio della lotta e della Resistenza partigiana, passa di borgo in borgo, percorre tutta la provincia e, come portato da creature invisibili ed inarrestabili, raggiunge le città ed i paesi. Nella popolazione nasce la coscienza di una nuova realtà: le formazioni partigiane, per il valore dei loro uomini, superato il periodo di formazione e di sviluppo, stanno passando ad una nuova fase poiché, oltre ad assolvere ai loro naturali compiti, pur già gravosi, dell'interruzione di vie di comunicazioni e di ponti, dei sabotaggi e degli agguati, hanno dimostrato a Pizzo d'Evigno di non voler rinunciare tanto facilmente alle loro posizioni resistendo agli invasori anche in campo aperto.
Ma il Comando tedesco ha compreso che le bande partigiane sopravvissute alla morte di Cascione hanno superato il periodo critico invernale e si stanno rafforzando, minacciando tutta la sua organizzazione militare nella zona. E' prevedibile, perciò, un riaccendersi furioso della lotta in ogni luogo attraverso le forme più varie, dall'imboscata fino alla battaglia campale ed al rastrellamento su vasta scala. Sicché, diventa necessario che, nelle formazioni garibaldine, ognuno sia efficiente ed efficace nell'azione.
I partigiani disarmati e quelli timorosi possono creare più difficoltà che vantaggi. Occorre il tempo per formarne il carattere e renderli validi anche per le prove più ardue.
Dopo lo scontro, «Cion» ha sentito discorsi e notato gli sguardi dei suoi uomini; comprende che una parte di essi non può non essere uscita scossa da quella prima vera battaglia. Perciò invita i garibaldini a discutere sul da farsi. Chiede se intendono spostarsi in qualche altra località ritenuta più sicura, come Testico o Degna. Ma tutti convengono nel ritenere Pian Bellotto la località migliore per la loro sede. Informa che il CLN ha fornito informazioni su un nuovo progettato rastrellamento tedesco e che occorrono decisioni rapide e dichiarazioni aperte e sincere. Ognuno è libero di restare o di partire, essendo la partecipazione alla lotta partigiana del tutto volontaria e senza costrizione  alcuna.
C'è chi propone allora di ritirare il distaccamento nel bosco di Rezzo; ma «Cion» respinge decisamente la proposta: «... Qui siamo una cinquantina e sono venuti in duemila; là saremo tanti e verranno in ventimila. Questa è la zona a noi destinata; di qui, in due ore di cammino possiamo raggiungere il mare ed attaccare là il nemico nella battaglia finale. Anche se dovessi restare solo, resterò lì; ma sono sicuro che c'è chi resterà con me. Chi ha paura lo dica e si trasferisca pure; potrà essere accompagnato da una staffetta che parte per il bosco di Rezzo. Con me deve restare chi ha del fegato!... » <12.
Nessuno proferisce parola, anche se l'indomani avrebbe potuto essere la fine per tutti. Ma nessuno, malgrado lo stato d'animo, vuole deludere il Comandante manifestandogli sentimenti di timore. Egli comprende. Di sua iniziativa fa una cernita ed invia una parte di uomini con la staffetta diretta al bosco di Rezzo. Egli resta al suo posto con gli altri.
(9) In dialetto «Cian Belotto»
(10) Si appurerà in seguito che il valoroso giovane è stato ucciso a tradimento da una spia tra le fila partigiane.
(11) Cfr.: F. Biga, «Diano e Cervo nella Resistenza», Ediz. Milano Stampa, 1975, pag. 98. Tesi di laurea della suora Franca Nurisso, Il clero nella I Zona Operativa Liguria, anno accademico 1975/1976, Istituto Universitario pareggiato di Magistero «Maria SS. Assunta», Roma, pag. 117
(12) Dal diario di Gino Glorio.

Carlo Rubaudo, Op. cit., pp. 95-100