venerdì 26 marzo 2021

Marianne si sentì come se fosse stata in procinto di iniziare una bella avventura

Creppo, Frazione di Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

"Francois, quello che salvò i due bambini ebrei". Francois era Francesco Moraldo e i due bambini ebrei, salvati a Creppo, in valle Argentina, dalla persecuzione nazista, sono Marianne e Rolf Spier.
[...] I due fratellini sono adottati dall'ebreo italiano Angelo Donati, residente prima a Parigi e poi, dal '40, a Nizza. Donati è un uomo d'affari modenesi, ma spende gli anni della guerra cercando di portare soccorso ai suoi correligionari, in cerca di scampo dalla Shoah. Fra questi, ci sono in particolare Marianne e Rolf, per i quali Donati diviene presto "lo zio Angelo". Dopo l' 8 settembre del '43, però, i tedeschi invadono l'Italia e anche le coste della vicina Francia. Angelo Donati ricorda che il suo maggiordomo è originario di Creppo e gli affida i suoi figli adottivi, che ignoravano tutto dei loro genitori naturali. Dicono i due: "Assetati com'eravamo d'amore, ci affezionammo subito a chi si prendeva cura di noi". Non soltanto Francesco Moraldo, ma tutto il paese di Creppo adotta i bimbi come figli. Marianne e Rolf vivono nella casa dei genitori di Francois, "una minuscola abitazione, con i muri anneriti dal focolare". I due piccoli tedeschi rimangono colpiti dalla bellezza sobria della madre e del padre del loro secondo salvatore e, dice Marianne, "Capii, vedendo quei liguri dagli occhi chiari, di dove Francois avesse preso la distinzione che lo rendeva simile a un lord inglese". Rifugiati fino alla Liberazione sulle colline dell'entroterra ligure, i bimbi pensano di essere scampati alla guerra. Ma, nota ancora Marianne, "Quella regione così lontana e inaccessibile era ideale per i partigiani, che vi svolsero un'attività intensa e realizzarono molte imprese, pur subendo molte perdite per mano tedesca". Ma un episodio soprattutto segna l'infanzia di Marianne e Rolf: "Una volta i partigiani catturarono, denudarono e gettarono in un fosso 3 tedeschi, che a Creppo si chiamava 'il buco'. Non si sa come, uno dei tre ne uscì, ma venne ancora catturato. I partigiani vollero fucilarlo, ma 3 colpi su 3 andarono a vuoto e, a quel punto, lo tennero in custodia, risparmiandolo. Il tedesco fuggì e, raggiunti i suoi commilitoni, tradì la fiducia dei partigiani, raccontando di aver subito una caccia feroce. Allora i tedeschi rientrarono a Creppo, ordinarono a Francois e un amico di trarre fuori dal buco i cadaveri ormai putrefatti dei due tedeschi e di farli sfilare davanti all'intera popolazione del villaggio. Pensavamo che fosse arrivata la nostra ora, credevamo di dover essere giustiziati. Invece accade un fatto inspiegabile: ricevemmo una lunga paternale in italiano approssimativo e fummo lasciati liberi".
Giovanni Choukhadarian, Memoria di Rolf e Marianne piccoli ebrei salvati a Triora, la Repubblica, 30 gennaio 2006


Lapide commemorativa di Creppo II° Guerra Mondiale
La lapide è stata collocata  in onore di Francesco Moraldo e di tutti gli abitanti di Creppo per il salvataggio di due bambini tedeschi ebrei.
Il 1/03/2017 la scolaresca di Triora ha posto sulla lapide esistente una pietra (even) portata da Paolo Veziano, storico locale, da Israele (Giardino dei Giusti)
[...]  I genitori di Rolf e Marianne, ebrei tedeschi, erano scappati dal loro paese fin dal 1936, malgrado fossero totalmente integrati nella borghesia di Erfurt in Turingia: altri uomini avevano deciso i loro destini. La famiglia, trovato rifugio a Bruxelles, fu costretta a rifugiarsi nel sud della Francia, quando i Tedeschi, nel 1940, invasero il Belgio. La tranquillità fu di breve durata; nel corso dell’estate 1942 infatti il destino si accanì ancora sui due bambini.
I loro genitori furono arrestati e deportati ad Auschwitz, mentre il destino, nella persona di un Questore di Nizza, lasciò la vita salva ai due orfani, successivamente accolti in quella città da un uomo di cuore che diede loro asilo, sicurezza e conforto. Quest’italiano, di origine modenese, aveva un nome predestinato: Angelo Donati. Decise di fare di tutto affinché i due ragazzini potessero ritrovare una vita normale quanto più possibile, malgrado i tormenti della guerra che imperversava dappertutto. La sua intenzione fu di breve durata. Angelo Donati, anch’egli ebreo, dovette scappare a sua volta dalla Costa Azzurra per sfuggire ad un arresto programmato da tempo. Fu allora che affidò il ragazzino e sua sorella alle cure del suo maggiordomo, che seppe essere tanto generoso quanto affettuoso; si chiamava Francesco (detto François Moraldo). Creppo era, all’epoca, accessibile unicamente attraverso strette mulattiere. Il ragazzino e sua sorella scoprirono queste strade disagevoli con stupore e fatica. Le ore di marcia sui sentieri di montagna nascondevano la bellezza del luogo, che i due bambini, con ogni probabilità, non notarono neanche.
Alla svolta di un sentiero, il cammino scendeva verso il fondo della valle, si perdeva nelle acque dell’Argentina, che bisognava attraversare a guado, poi risaliva un poco più in là, e la lenta processione continuava. Infine, al di là di una curva del sentiero, Creppo apparve. Il ragazzino e sua sorella ignoravano totalmente quale destino li attendesse in quel luogo. Non potevano certo immaginare il loro avvenire in quel piccolo villaggio nel quale il loro arrivo con François stupì gli abitanti, che parlavano un dialetto a loro assolutamente incomprensibile. I paesani interrogarono François. Egli spiegò loro le ragioni del suo ritorno al villaggio natio, accompagnato da quei due bambini ebrei che rischiavano, per mancanza di discrezione e di silenzio, di essere arrestati dai fascisti italiani, all’epoca alleati con i Tedeschi. I loro nomi furono “italianizzati”: Marianne si chiamò Marianna e Rolf diventò ... Rodolfo.
Tutta la popolazione di Creppo, composta da gente semplice dal cuore immenso, comprese ed accettò immediatamente. Erano generosi e buoni, vivevano semplicemente e modestamente e sapevano sempre accontentarsi di poco, come tutti i montanari. Il villaggio era piccolo e poco abitato: due bambini in più non modificavano per niente la sopravvivenza di Creppo. I due nuovi arrivati furono dunque immediatamente ricevuti e calorosamente accolti come membri di pieno diritto della comunità , ragione per cui nessuno sparse la voce. Oggi i rari abitanti che restano ancora a Creppo e che hanno partecipato alla salvezza dei due bambini, continuano a vederli come due nativi, vissuti accanto a loro. Bianca, Mario ed altri, compagni d’infanzia di Marianna e Rodolfo, sono diventati adulti, ma non li hanno mai dimenticati.
Sulla lapide è inciso: A Francesco Moraldo e a tutti gli abitanti di Creppo che dal Settembre 1943 all'Aprile 1945 nascosero salvandoli dalla barbaria nazifascista i bambini ebrei Marianna e Rolf Spier.
Dal libro "Ritorno da Erfurt" di Olga Tarcali. "Sapevano che eravamo dei bambini ebrei nascosti, conoscevano il nome di chi ci proteggeva nonchè, ben inteso, che ciò era rigorosamente segreto. E mai nessuno di quei contadini ci aveva tradito, mai a rischio delle loro vite e di quelle dei loro famigliari, nessuno aveva trasgredito alla ferrea legge di ospitalità degli umili, la grandezza d'animo dei montanari, la silenziosa fierezza della gente semplice. Sebbene fossero poveri, senza mezzi, privi di ogni comodità, sebbene conducessero una vita rozza e austera, un'esperienza aspra e difficile, dettero prova di grande nobiltà d'animo. Essi possedevano l'antico istinto di ciò che si deve e di ciò che non si deve fare. Il comune di Triora posa il 28/01/2006
Vi sono almeno due miracoli nella vita di Marianne Spier-Donati: quello di essere stata liberata a Nizza nell'agosto del 1942, alla vigilia della deportazione con i genitori, e quello di aver incontrato Olga Tarcali...
Così leggiamo nella prefazione all'edizione originale di Serge Klarsfeld del libro "Ritorno a Erfurt - racconto di una giovinezza interrotta (1935-1945)", perché il volume nasce proprio dalla lunga amicizia fra Olga Tarcali, l'autrice, e Marianne la protagonista degli eventi narrati.
Ritorno a Erfurt, sensibile e intenso, ricostruisce, con profonda emozione, le vicende di Marianne e della sua famiglia, appartenente alla comunità ebraica tedesca, negli anni bui del nazismo.
Il racconto si sviluppa attraverso un percorso a ritroso nel passato, nei passati di Marianne, una serie di ritorni sulla storia personale e sulla Storia. In varie tappe Marianne rivive la propria infanzia di perseguitata: dalla fuga dalla Germania all'esilio a Bruxelles, poi nel sud della Francia, in Costa Azzurra, dove la famiglia riunita sembra al riparo dalla furia dell'antisemitismo...
[...]
Marianne e il fratello Rolf vengono raccolti, e in seguito adottati, da Angelo Donati, una persona eccezionale, un ebreo italiano entrato nella storia dell'epoca per aver salvato, nonostante i pericoli, grazie anche alla collaborazione delle autorità italiane, centinaia di ebrei d'oltralpe. Con lui l'arrivo in Italia, a Firenze, e infine, nel paesino di Creppo sulle Alpi Liguri, paese Natale di François - cameriere di Donati - a cui vengono affidati nel corso dell'ennesima fuga.
Da quel momento il paese proteggerà i due bambini, diventando protagonista corale di una splendida storia di solidarietà.
Nella prefazione all'edizione italiana, Alberto Cavaglion (già autore de "la Resistenza spiegata a mia figlia"), parla dei genitori di François, con cui vivranno Marianne e Rolf, come di "una famiglia di Giusti, radicata in quella terra di contrabbandieri e passeurs, ritornata al centro della riflessione dopo la pubblicazione della bella ricerca sugli espatri clandestini dalla riviera dei fiori pubblicata da Paolo Veziano (2001).
Lo stesso Paolo Veziano - anche artefice dell'assegnazione dell'onorificenza del Giardino dei Giusti di Gerusalemme al cameriere François -, insieme a Gian Paolo Lanteri, sarà protagonista della presentazione del libro al pubblico pavese, che la Libreria Delfino, con il patrocinio del Comune di Pavia, ha organizzato per venerdì sera.
La Redazione, Ritorno a Erfurt, miapavia, 19 aprile 2005

<...> Marianne Spier, la nipote di otto anni di Angelo Donati - uno dei diplomatici che si prodigò per il soccorso degli ebrei rifugiati nella Francia meridionale - si rese conto del disfacimento dell’esercito italiano quando osservò il fuggi fuggi improvvisato dei militari dalle caserme prospicienti alle finestre dell’abitazione fiorentina dove era ospitata 38.
<...> Marianne Spier racconta che, quando lo zio, Angelo Donati, affidò al suo maggiordomo l’incarico di nascondere lei e il fratello sull’Appennino ligure al paese natale del domestico, alla partenza da Firenze, Marianne si sentì come se fosse stata in procinto di iniziare una bella avventura: «Mio fratello ed io eravamo contenti di restare con François [Francesco Moraldo, maggiordono di Donati, ndr] 68, al quale volevamo molto bene, e trovavo eccitante il fatto di andare a vivere in campagna, in mezzo alla natura, agli animali e fra i campi, e mi sembrava che tutto si configurasse come un avvincente gioco» 69.
<...> Anche nella borgata di Creppo e tra i contadini della Garfagnana, si sopravviveva in sostanza grazie a questo prodotto. Scrive Marianne Speer: «In ogni casa si preparava il pane - un pane buonissimo e rinomato che ancora oggi la gente viene a procurarsi da fuori. Ma il cibo principale e comune a tutti i pasti erano le castagne, seccate al sole, conservate e preparate in molti modi. Con una farina grossolana si preparava una pasta rustica, pesante, dal colore rosa sporco, di cui mio fratello ha un pessimo ricordo» 168
<...> Scrive Marianne Speer a proposito della vita agreste che condusse a Creppo: «In quel remoto villaggio mio fratello ed io vivevamo la stessa quotidianità dei figli dei contadini […]. Ero colma d’amore per la natura. Ho un ricordo vivissimo della raccolta delle castagne e dei loro ricci spinosi, caduti per terra, che ci ferivano le dita, della ricerca dei funghi, della cura del bestiame. Osservavo con interesse il lento mutare della vegetazione nel corso delle stagioni. Mi trovavo bene in quel magnifico ambiente, dove le montagne erano maestose, l’aria eccezionalmente pura e le persone piene di benevolenza, anche se burbere. La vita primitiva che conducevamo non m’incuteva alcun timore; mi sentivo anzi protetta perché così lontana da tutto, pensando che lì, in quel villaggio tanto remoto si poteva immaginare che mai la guerra vi sarebbe arrivata e che nessun soldato tedesco sarebbe venuto a prenderci» 199.
<...>
38 «In Italia si verificò un gigantesco caos, un fantastico disordine che si tradusse nella fuga dei soldati italiani a fronte dell’avanzata tedesca. Le finestre della casa di Firenze erano affacciate su una delle caserme cittadine e, il giorno dopo, assistemmo al disastro: i soldati uscivano correndo dalla caserma, strappavano dalle loro uniformi i gradi e le spalline, gettavano vie le armi in dotazione, si svestivano delle divise e disertavano». O. Tarcali, Ritorno a Erfurt, Racconto di una giovinezza interrotta (1935-1945), L’Hartman Italia, Torino 2004, p. 84 (ed. orig., 2001).
68 Cfr. Moraldo Francesco, in L. Picciotto (a cura di), I Giusti d’Italia, cit., pp. 170-171.
69 O. Tarcali, Ritorno a Erfurt, cit., pp. 88-89.
168 Citato in O. Tarcali, Ritorno ad Erfurt, cit., pp. 91-92.
199 Citazione in O. Tarcali, Ritorno a Erfurt, cit., p. 93.

Paolo Tagini, "Le prefazioni di una vita". I bambini ebrei nascosti in Italia durante la persecuzione nazi-fascista, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Verona,  2011

lunedì 22 marzo 2021

Scorgemmo due fascisti in divisa...

Sanremo (IM)

«Be'» - dice Riccardo [n.d.r.: Adriano Riccardo Siffredi, Commissario del Distaccamento "G.B. Zunino" del Gruppo G.A.P. "Giacomo Matteotti" di Sanremo (IM)] e mi sorride al disopra del bicchiere colmo di un liquido dal colore del sangue - «che vuoi che ti racconti ancora, o insaziabile raccoglitore di fatti sensazionali?  Un'altra impresa pazzesca, la scena di un combattimento o di ua fuga disperata sotto la luna, fra il lampeggiare delle scariche ed il sibilo dei proiettili? La nostra vita di montagna, i mille episodi talvolta eroici, talvolta selvaggi [...]».
«Si era, se ben ricordo, verso la fine di settembre o ai primi di ottobre 1944. La nostra banda s'aggirava, come al solito, fra San Romolo, Borello e San Giacomo [Frazioni di Sanremo (IM)]. Erano, per noi, tempi durissimi. Il Comitato sembrava essersi dimenticato di noi, il cibo scarseggiava, i signori della città s'industriavano a far denaro, maledicendo i tedeschi e fascisti, ma nello stesso tempo, si rifiutavano di muovere un dito per aiutare i “banditi”.
Il tempo era bello, faceva ancora caldo, ma noi si pensava all'inverno sopravveniente ed a tutte le difficoltà che avremmo incontrate, braccati, come eravamo, da ogni parte. Si parlava già di un rastrellamento in grande stile contro di noi e le spie nemiche, in città ed in collina, erano attivissime.
Fra l'altro ci era stata segnalata l'opera specialmente pericolosa del Poggi Giuseppe detto il “Peccia”, fascista di Sanremo fanatico al servizio dei tedeschi e delle brigate nere.
Una sera - eravamo allora in un bosco sopra San Giacomo e aspettavamo, Baggioli [n.d.r.: Aldo, Cichito, comandante del Distaccamento "G.B. Zunino" del Gruppo G.A.P. "Giacomo Matteotti", che venne ucciso dal nemico a San Romolo il 15 novembre 1944] ed io, il ritorno dei nostri uomini che erano stati inviati a prelevare del materiale combustibile - si discorreva appunto del nostro famigerato delatore. Baggioli era furioso perché una miserabile sigaretta, che fumavamo a turno, non tirava e le zanzare pizzicavano più del solito. 
Tutto ad un tratto egli si dà un formidabile pugno sul ginocchio - eravamo accosciati tra gli alberi - ed urla: "Bisogna far la pelle a quel mascalzone".
D'accordo, rispondo, ma come? Sai bene che l'amico si tiene lontano dai luoghi battuti da noi. Non si allontana dalla città, di notte si rifugia in luogo sicuro e di giorno è ben difficile poterlo pizzicare.
E pure - incalza Cichito - non possiamo lasciare una belva simile in libertà... è un pericolo mortale per noi.
Mi venne un'idea. Sapevo che il Peccia frequentava il bocciodromo del Borgo, nella strada che ora porta il nome di Giacomo Matteotti. Un posto fuori mano, facilmente accessibile scendendo dalla collina, ma molto frequentato, unico punto nero, questo, per un eventuale piano d'attacco.
Esposi l'idea a Cichito.
"Sai che sei più intelligente di quello che credevo?" mi disse egli raggiante.
"Me ne frego, io, della folla. Tutto sta a non essere presi stupidamente in trappola e non poter più uscirne. Per il resto anche cinquanta armati non mi fanno paura". Ed era vero.
Così ci mettemmo d'accordo sui preliminari, comunicammo la notizia ai nostri compagni al loro ritorno, e la mattina appresso facemmo i nostri preparativi.
Avevamo stabilito di scendere in quattro: Aldo Baggioli, io, Umberto Cozzolini e Bonfante.
Alle tre del pomeriggio - era una domenica radiosa, piena di sole, tiepida come un giorno di primavera - ci avviammo verso la città.
Eravamo mal vestiti, con le scarpe slabbrate e informi cappellacci in testa.
Ma sotto la giacca io custodivo la mia Beretta ed i miei compagni le loro pistole automatiche.
Si andava chiacchierando e fumando, quella mattina avevamo ricevuto un piccolo rifornimento di sigarette, come di ritorno da una passeggiata in collina.
Di tanto in tanto incontravamo famiglie con panierini o coppie di innamorati, ma nessuno ci riconobbe.
Verso le cinque, scendendo da corso Galileo Galilei, raggiungemmo il muretto della strada che domina il bocciodromo.
Ci fermammo, come spettatori sfaccendati, ad osservare il gioco ed intanto si occhieggiava fra la folla nella speranza di scoprire il nostro nemico.
Nel recinto c'erano almeno cinquanta persone: altra gente si sentiva schiamazzare nell'interno del bar. Indubbiamente la nostra impresa rasentava la follia; ma noi eravamo ormai lanciati e nulla più avrebbe potuto trattenerci.
Scorgemmo due fascisti in divisa che, deposto il mitra contro il muro del bar, giocavano con gli altri. Detti un'occhiata di traverso ad Aldo e m'accorsi che il suo braccio corre alla pistola. Lo trattengo con una mano perché attenda e con l'altra armeggio sotto la giacca preparando la pistola. Faccio cenno agli altri compagni di prendere posizione presso l'entrata del bar: li vedo avviarsi con studiata indolenza e collocarsi di fronte alla porta.
In quel momento ho la percezione di essere stato riconosciuto. Alzo gli occhi ed incontro lo sguardo ostile di un agente dell'ufficio politico che avevo avuto occasione di incontrare altre volte. L'uomo impallidisce. Vedo il sangue defluire dal suo volto che sbianca: egli sa chi sono. Siamo appena a cinque metri l'uno dall'altro. Resto un momento indeciso ed in quell'attimo l'agente si volta, passa accanto ai miei due compagni senza notarli, entra nel bar e ne esce un istante dopo seguito dal Peccia, facendo, nello stesso tempo, segno agli altri due militi che, presentendo qualcosa di strano, avevano interrotto il gioco, di avvicinarsi. Nessun rumore veniva più dall'interno del locale. Fuori tutti i giocatori s'erano arrestati e rimanevano immobili ad osservare la scena. Non comprendevano che cosa stava per accadere da un momento all'altro.
Brevi momenti, attimi, forse, di spasmodica tensione nervosa, nei quali pare sia contenuta tutta una vita. Momenti in cui si sente, quasi, il rombo del cuore nell'interno del petto ed il pulsare del sangue alle tempie. Momenti di gioia selvaggia, durante i quali tutti i sensi si acuiscono fino a far male.
Peccia è davanti a noi: è armato? non so, poiché è soltanto il suo laido volto ch'io sgorgo in una rossa nebbia. 
Sento ch'egli urla "Non sparare Baggioli!" e lo scatto a vuoto della pistola di Aldo che si impunta. Senza averne coscienza estraggo la pistola. Intorno a noi s'alzano urla di terrore. E vedo tutti i presenti, ed i militi con loro, buttarsi a terra come un sol uomo. Nello stesso tempo la pistola di Cichito fa udire la sua voce. Otto colpi, in rapida successione, ed il Peccia s'abbatte sulla faccia e morde la polvere.
Dall'interno ci giungono le scariche dei nostri compagni che sono entrati, e tirano sul fratello del Peccia che s'era rifugiato dietro un tavolo: la lamiera che ricopre il legno è bucata, ma il marmo non lascia passare la pallottola e l'uomo si salva.
Giustizia è stata ormai compiuta. Occorre ritornare prima che i tedeschi di guarnigione alla Madonna della Costa giungano sul luogo.
Attendiamo che i nostri compagni escano e, con le pistole puntate indietreggiamo sulla strada. Sono le 5,15. Nel recinto gli uomini restano proni nella loro faccia; come pietrificati dal terrore. Ci fermiamo un attimo. Aldo, ritornato allegro, accende una sigaretta. 
Il bar del bocciodromo venne preso d'assalto dalle Brigate Nere inferocite che ebbero la loro rivincita distruggendo e bevendo tutte le riserve di liquori. Vi furono arresti e perquisizioni. Il terrore regnò fra le spie fasciste per lungo tempo. E così ebbe fine la nostra avventura semi-cittadina.
«Già - finisce Riccardo - era l'unica cosa ch'essi intendevano e noi ne demmo a loro ad usura... Per esempio... ma ti dirò un'altra volta... è tardi». Beve, accende una sigaretta, saluta col gesto uno dei suoi antichi compagni d'avventura «imborghesitosi» anch'esso che si ferma ad arrotolare una sigaretta tratta fuori da un assortimento di «cicche» di tutte le dimensioni e mi sorride.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 271-274
 
19 ottobre
Qualche giorno fa un gruppo di patrioti uccisero un milite che si trovava a giocare alle bocce al "Borgo". Per questo fatto presero la signorina B. sorella di un "fuori legge" appartenente a una distinta famiglia di commercianti della città e, tradottala non si sa dove, i militi della G.N.R. gliene fecero passare d'ogni qualità.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006
 
Il giorno 8 corrente veniva ferito a colpi di rivoltella in San Remo (Imperia) il milite Poggi Giovanni del locale nucleo U.P.I., che decedeva il giorno successivo.
Gli agenti dell'U.P.I., recatisi a casa del fratello di certo Baggioli Aldo fu Ernesto da San Remo, autore dell'omicidio e noto bandito, provvedevano al fermo della sorella Ada, di 18 anni [...]
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 28 ottobreo 1944, p. 31.  Fonte: Fondazione Luigi Micheletti  

mercoledì 17 marzo 2021

Cenni sulle Brigate Nere, sulla GNR, sulle spie e sui saloini in genere, operanti in provincia di Imperia

Imperia, Oneglia: uno scorcio dell'ex pastificio Agnesi
 
Se il nuovo Stato fascista repubblicano non nacque prima del 27 settembre, si può dire che la Milizia, braccio armato del fascismo del Ventennio, non morì neppure durante i “45 giorni” di Badoglio. Molti suoi appartenenti, infatti, si erano limitati in quelle settimane a smettere la camicia nera per indossare la divisa grigioverde dell’Esercito con la compiacente copertura dei comandi militari. Già il 9 settembre essi poterono proporre ai tedeschi la loro collaborazione. Il 27, rispondendo al bando di presentazione alle caserme per i militari, la MVSN si ricostituì anche de iure. Il Comandante della II Zona Legionaria, Ferraudi, poté così nuovamente organizzare ed inquadrare la Milizia in tutte le quattro province liguri, con la piena collaborazione tanto degli ex militi passati nell’esercito quanto di coloro che erano stati momentaneamente congedati da Badoglio. Questi reparti eserciteranno funzioni di ordine pubblico e vigilanza sui servizi civili, ma saranno altresì addetti, come in precedenza, all’artiglieria contraerea. Contemporaneamente si completava l’insediamento in ogni città ligure degli organismi amministrativi tedeschi destinati a sovrintendere lo sfruttamento delle risorse locali, dalla Militaerverwaltung alla Todt <34.
Gli inizi del mese di ottobre videro una febbrile attività delle neonate autorità repubblicane, in particolare sul versante del reclutamento di uomini per le Forze Armate della RSI. Grande risalto fu dato dalla stampa all’adunata tenuta dal Maresciallo Graziani il 2 ottobre al Teatro Adriano in Roma per perorare la rinascita di un esercito nazionale <35. Aerei tedeschi sorvolarono ancora una volta le coste liguri spargendo volantini che invitavano gli italiani a lavare l’onta del tradimento del Re e di Badoglio arruolandosi “per l’onore della Patria” <36. Largamente pubblicizzati erano anche gli arruolamenti nella Decima Mas del comandante Borghese, nella costituenda Marina fascista, nelle stesse Forze Armate germaniche <37. I successivi bandi richiamarono man mano alle armi tutti coloro che vi si erano trovati fino a poco tempo prima, e quello con scadenza 15 novembre chiamò all’arruolamento l’ultima aliquota della classe ’24 e l’intera classe ’25 <38. Altri bandi invitavano gli operai a mettersi a disposizione delle aziende che lavoravano per l’Organizzazione Todt <39.
[NOTE]
34. G. Gimelli, op. cit., vol. I, pp.60 - 61.
35 Ibidem, vol. I, p. 92.
36 Ibidem, vol. I, pp. 92 – 93.
37 Ibidem, vol. I, p. 93.
38 Ibidem, vol. I, p. 93.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000
 
I Tribunali militari territoriali, istituiti con decreto 10 novembre 1943, n. 291 e poi denominati “Tribunali militari regionali di guerra” (in seguito al decreto legislativo 30 dicembre 1943, n. 888), svolsero la loro azione nei territori della RSI <361. La competenza sul territorio fu inizialmente affidata a sette tribunali militari. Tali corti, alle dipendenze del Ministero della difesa nazionale (rinominato in seguito Ministero delle forze armate <362), aumentarono di numero in meno di un mese, raggiungendo le undici unità <363.
In seguito alla loro creazione da un lato aumentò il numero dei tribunali militari, dall’altro fu ridotta la competenza territoriale di quelli esistenti. Il decreto ministeriale del 29 novembre1943, n. 33, pose in essere i tribunali militari di Padova, Perugia, Chieti, Roma e una Sezione autonoma del tribunale di Torino con sede a San Remo. La principale conseguenza di questo decreto fu un sostanziale ridimensionamento dei tribunali di Trieste e di Torino che persero parte della propria giurisdizione territoriale. Trieste cedette la competenza sul Veneto al tribunale di Padova, restando titolare della sola Venezia Giulia, mentre Torino fu privato della Liguria, assegnata al tribunale di San Remo. Al tribunale di Torino restò così la giurisdizione solo sul Piemonte e sulla provincia di Piacenza.
[NOTE]
361 Scheda descrittiva Tribunale militare regionale della Repubblica Sociale Italiana in www.lombardiabeniculturali.it
362 Decreto del duce 6 gennaio 1944, n. 21, Nuova denominazione del Ministero della Difesa Nazionale, Gazzetta Ufficiale 18 febbraio 1944, n. 40.
363 Scheda descrittiva Tribunale militare regionale della Repubblica Sociale Italiana in www.lombardiabeniculturali.it

Samuele Tieghi, Le Corti Marziali di Salò. Il Tribunale Regionale di Guerra di Milano (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2012-2013

Imperia
Elementi dell'U.P.I. della 33^ Legione hanno proceduto al fermo di otto elementi nazionali antifascisti...
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 9 gennaio 1944, p. 3. Fonte:  Fondazione Luigi Micheletti   
 
Imperia
Il 7 corrente in Cosio d'Arroscia elementi ribelli hanno asportato quattro fusti di carburante dall'abitazione di tale Gastaldi.
Il 7 corrente in Cosio d'Arroscia i carabinieri intervenuti per far cessare una festa da ballo che si svolgeva in un'abitazione privata sono stati respinti e minacciati da elementi partigiani che partecipavano alla festicciuola. Militari germanici accorsi in aiuto dei carabinieri hanno ucciso un borghese e ne hanno feriti due. Poi, hanno fermato il Commissario Prefettizio locale.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 gennaio 1944, pp. 9,10.  Fonte: Fondazione Luigi Micheletti   

Imperia
Il I° corrente, in Bordighera e in Sanremo, vennero rinvenuti manifestini stampati a ciclostile a firma "Comitato sindacale segreto e gruppi difesa della donna per l'assistenza ai combattenti della libertà", invitanti le masse lavoratrici allo sciopero.
Il I° corrente, nell'abitato di Vallecrosia, furono rinvenuti affissi ai muri manifestini incitanti gli operai allo sciopero.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 10 marzo 1944, p. 6. Fonte:  Fondazione Luigi Micheletti
 
Questi ritocchi territoriali continuarono in pratica per tutta la durata della RSI a testimoniare la necessità di coprire al meglio sia i territori più minacciati dall’avanzata degli Alleati sia quelli che, ancora stabilmente nelle mani della Wehrmacht, richiedevano un controllo sempre più capillare. A riprova di tutto ciò sono i numerosi provvedimenti che mostravano una geografia della giustizia militare in continua trasformazione. A pochi giorni dal decreto del 23 marzo, le autorità militari ne emanarono un secondo in data 27 marzo che apportava nuove trasformazioni nell’ambito delle competenze territoriali di alcuni tribunali <374. Presso il Comando regionale delle Marche era istituito un Tribunale militare regionale con sede a Macerata e con giurisdizione sulle province di Ancona, Ascoli Piceno, Pesaro e Macerata. Lo stesso decreto istituiva la già citata Sezione autonoma del Tribunale militare regionale di Milano, con sede a Brescia.
Trascorso appena un mese, un nuovo decreto sopprimeva la Sezione autonoma di San Remo, mentre le sue funzioni erano assorbite dal Tribunale militare regionale di Alessandria, istituito con il medesimo provvedimento presso il Comando militare regionale di Novi Ligure; il Tribunale di Alessandria esercitava la propria giurisdizione sulle province di Genova, Savona, Imperia, Alessandria, Piacenza e La Spezia. Era inoltre competente a conoscere dei reati commessi dagli appartenenti alla Marina nel territorio della Liguria, del Piemonte e della Lombardia. Al contempo il Tribunale di Torino esercitava la propria giurisdizione sulle province di Torino, Cuneo, Asti, Novara, Vercelli e Aosta <375.
Al decreto era allegata una Tabella dei limiti di giurisdizione dei tribunali militari regionali e delle sezioni, che fissava a undici il numero dei tribunali regionali (Roma, Milano, Firenze, Bologna, Padova, Trieste, Perugia, Torino, Alessandria, L’Aquila e Macerata) e a due il numero di Sezioni autonome (Lucca e Brescia) <376.
[NOTE]
374 La competenza del Tribunale militare di Milano sulla provincia di Brescia passerà al Tribunale di quest’ultima città tre giorni dopo, con il decreto interministeriale 27 marzo 1944, n. 331, Istituzione del Tribunale Militare con sede a Macerata ed una sezione Autonoma del Tribunale Militare di Milano con sede a Brescia, Gazzetta Ufficiale 26 giugno 1944, n. 148.
375 Decreto interministeriale 30 aprile 1944, n. 599, Modifiche alla giurisdizione dei Tribunali militari regionali e relative Sezioni autonome, Gazzetta Ufficiale 29 settembre 1944, n. 228.
376 Ibidem, Tabella dei limiti di giurisdizione dei tribunali militari regionali e delle sezioni.

Samuele Tieghi, Op. cit.
 
La Brigata Nera di Imperia (che s’intitola al nome di un prete, don Antonio Padoan *, classe 1912, parroco di Castel Vittorio, un paesino della zona, fervente fascista di Salò, seguace di don Calcagno, direttore di Crociata Italica, e giustiziato dai partigiani nella notte fra il 7 e l’8  maggio 1944) è comandata da Mario Messina coadiuvato dal ten. col. Edoardo Balbis, capo di S.M., ed ha due battaglioni, con distaccamenti ad Alassio (ten. Ferdinando Rey), Sanremo (ten. Renato Morotti) e Ventimiglia (ten. Elio Piccioni). È una zona fitta di tedeschi, di soldati della RSI, di partigiani e di spie a favore degli inglesi, dei francesi e degli americani (specialmente a Sanremo) che s’incrociano e confondono la loro attività con i fascisti dell’Ufficio politico investigativo. La mattina del 4 ottobre 1944 i partigiani eliminano in via Ca’ Rossa (località Giaiette) il maggiore Enrico Papone, segretario politico del fascio di Diano Marina, e il maresciallo Jarranca dell’UPI nei pressi della vecchia fornace di Diano Calderina. Quello stesso pomeriggio i militi della B.N. prelevano dalle carceri di Oneglia Natale Rainisio, Giovanni Bonsignorio e Giuseppe Marro e li fucilano.
È una rappresaglia contro un’azione di veri partigiani, ma ci sono anche formazioni false di ribelli composte in maggioranza da ufficiali e sottufficiali fascisti che portano al collo fazzoletti rossi e la scritta CION, i quali entrano nelle botteghe e nelle trattorie, asportano merce e mangiano e bevono senza pagare. Quell’attività è cominciata da luglio, quando nella zona di Bardineto (Savona) tredici brigatisti, comandati da uno che si fa chiamare Tigre e travestiti da ribelli, sorprendono ed uccidono staffette e partigiani isolati. Ma durano poco: alla fine del mese vengono bloccati e passati tutti per le armi. I falsi partigiani sono adesso nella zona di Pieve di Teco, è la metà settembre del 1944 - ne uccidono parecchi di quelli veri (Ugo Calderoni, 21 anni, di Genova, e Franco Luigino Bellina, 20 anni, di Udine, a pugnalate [n.d.r.: secondo Giorgio Caudano, vedere infra, erano caduti in un'imboscata fascista della controbanda del capitano Ferraris nei pressi di Pieve di Teco il 23 settembre 1944, e furono fucilati in pari data]; Antonino Alessi, di Messina, e Pasquale Ticella, 24 anni di Ragusa, impiccati; Giacomo Carinci, di Albenga, e Nino Berio, 20 anni, di Imperia, fucilati) e ci vorrà del tempo prima che siano neutralizzati.
È entrata in campo anche una donna, Maria Zucco, di Fortunato, detta "la francese" o "la donna velata", ex-militante del "Fronte Popolare Francese", un’associazione che si collega ai principi della "rivoluzione nazionale" propugnata dal maresciallo Pétain. La Zucco si presenta nell'Imperiese, partecipa ad azioni di guerriglia urbana con i "ribelli" e poi, quando ritiene di conoscere bene la struttura dei "banditi" della zona, passa al servizio dei tedeschi e delle Brigate Nere. Le vittime saranno molte decine, e forse anche un centinaio. La donna, che indossa abiti maschili e si copre il volto con velo e occhiali, guida con la rivoltella in pugno le azioni di cattura o rastrellamento, e sembra gioire di fronte alle torture inflitte ai prigionieri. La promuovono capitano delle ausiliarie e riesce a distruggere tutta l'organizzazione cospirativa di Oneglia e di buona parte della provincia. L’8 aprile 1945 si mette alla testa di 300 rastrellatori e giunge a Carpasio, un paese dell’entroterra: qui fa saccheggiare o bruciare diverse case e fucilare i civili Silvio Bonfiglioli, Mario Cotta e Vincenzo Invernizzi. Altri dieci paesani presi come ostaggi vengono poi battuti prima di essere rilasciati. Una scia di sangue accompagna le sue azioni, e tuttavia riuscirà poi a salvare la vita [...]
* Antonio Padoan, figlio di un colonnello e di sentimenti liberali, prima del 25 luglio 1943 era parroco di Creppo, un paesino di montagna in Valle Argentina. Poi venne trasferito alla parrocchia di Castel Vittorio, nell’entroterra di Bordighera-Sanremo. Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla RSI, aiutò a compilare le liste dei renitenti, sostituì il parrocco di Pigna che si era rifiutato di celebrare la Messa per tre giovani di Baiardo portati in chiesa prima di essere fucilati al cimitero da un plotone fascista. I partigiani della V Brigata lo affrontarono in parrocchia una sera della primavera 1944 invitandolo ad abbandonare il paese. Don Padoan estrasse la pistola e sparò; venne eliminato dopo una violenta colluttazione. I funerali si svolsero a Ventimiglia presenti tedeschi ed i militi di Imperia, che intitolarono al suo nome la B.N. [...] Intorno alla RSI turbinarono circa trecento preti di non alta levatura, e qualcuno per la sua irruenza diventò famoso come padre Eusebio. Citiamo fra' Ginepro da Pompeiana [...] e quel don Antonio Maria Padoan, parroco di Castel Vittorio (Imperia) che, ucciso dai partigiani l’8 maggio 1944, diede l'occasione agli squadristi locali di intitolare al suo nome una Brigata Nera. Cristo e moschetto.
Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983
 
In effetti Renato Morotti, fucilato, comunque, a Sanremo, davanti al Cimitero della Foce, dai partigiani all'indomani del 25 aprile 1945, non risulta da nessuna altra fonte avere rivestito la carica di tenente.
Adriano Maini

Imperia: l'ormai dismessa linea ferroviaria tra Porto Maurizio ed Oneglia. Foto del 2016

[...] Domenica 16 luglio 1944
[...] A proposito della XXXII Brigata Nera “Antonio Padoan”, comandante Mario Massina, la GNR provinciale segnala oggi che:
“Il provvedimento della militarizzazione del partito ha provocato svariati commenti. E’ impressione generale che le squadre d’azione non saranno in grado di funzionare sia per la deficienza delle armi, sia per la mancanza di capi, sia, infine, perché in provincia di Imperia il partito non ha largo seguito. Ha destato ilarità il fatto che il commissario federale prenderà nome di “Comandante di Brigata”, quando ai suoi ordini, in provincia di Imperia, avrà sì e no una cinquantina di elementi”. [...] 

[...]

[...]
Giancarlo Magnoni, il tramonto di un regno. 9° Periodo: dall’8 giugno al 19 luglio 1944... Settima parte (dal 14 al 19 luglio 1944), il Postalista
 
Durante il rastrellamento avvenuto a Moltedo (frazione di Imperia) il 22 luglio 1944 i militi Amleto Alunni e Antonio Cartonio della GNR Compagnia Ordine Pubblico Imperia (Comandata dal capitano Giovanni Daniele Ferraris) fucilano sulla piazza di Moltedo i partigiani Gazzano Nino e Guarrini Elsio. Sono caduti chiedendo la fucilazione nel petto “perché noi non siamo traditori” e morivano gridando “Viva i partigiani”.
Nello stesso rastrellamento viene catturato anche il partigiano Gazzano Francesco, condotto nella caserma “Ettore Muti” di Imperia Porto Maurizio, interrogato e torturato verrà fucilato il 23 luglio 1944 in via Artallo nei pressi del Cimitero di Imperia Porto Maurizio [...]
Roberto Moriani, Episodio di Moltedo - Artallo, Imperia, 22-23.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia 
 
Operava in provincia di Imperia una formazione fascista della G.N.R. di Ordine Pubblico (O.P.), con 152 militi, al comando del capitano Giovanni Ferraris: essi diedero una spietata caccia ai renitenti alla leva, ai partigiani e ai civili che davano loro protezione. Per la loro ferocia questa formazione venne denominata con disprezzo dai partigiani imperiesi la "Banda Ferraris".
Finita la guerra il capitano Giovanni Ferraris e diversi suoi militi - il 22 dicembre del 1947 - vennero condannati a morte dal Tribunale di Cuneo come criminali di guerra. In seguito furono tutti amnistiati. Dalle testimonianze al processo si venne a sapere che 137 partigiani e civili delle province di Imperia, Savona e Cuneo, presi prigionieri, vennero fucilati o impiccati dopo atroci sevizie e altrettanti partigiani furono uccisi in battaglia durante i rastrellamenti.
Fulvio Sasso, ... E il sangue dei vincitori. Rappresaglie e stragi nazifasciste in Italia (1943-'45), L. Editrice, 2010

[...] in Liguria, dove il movimento partigiano era stato messo in forte difficoltà dalle operazioni tedesche della primavera finalizzate a mantenere libero il territorio in vista di eventuali sbarchi alleati, vide nascere in giugno il primo comando militare regionale. Anche qui il periodo estivo vide la liberazione di diverse porzioni del territorio, come le vallate e diversi centri dell’imperiese da parte dei partigiani della Prima Zona. Queste aree subirono poi pesanti rastrellamenti tedeschi, coadiuvati da reparti italiani della RSI addestrati in Germania, come le divisioni Monterosa e San Marco che, a partire dal 15 agosto 1944, costituiranno, insieme alle altre divisioni repubblichine Littorio e Italia e a reparti tedeschi, l’Armata Liguria al comando del maresciallo Graziani.[…]  
Gabriele RonchettiLe montagne dei Partigiani (150 luoghi della Resistenza in Italia), Viaggi nella Storia, Mattioli 1885, 2011
 
Imperia - Il 30 settembre u.s. nei pressi di Vallecrosia due banditi armati aggredivano di sorpresa e disarmavano il milite della G.N.R. Bartolomeo OTTONELLO.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 13 ottobre 1944, p. 24. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti   
 
[...] banda Ferraris, il famigerato capitano Ferraris, ma allora ancora tenente. Un nome, quello di Ferraris, temuto: dotato di coraggio e di capacità militari, anima di tanti rastrellamenti, l'ideatore della Controbanda, l'uccisore di Nino Berio (Tracalà) a Chiusavecchia. Egli si era guadagnato la fiducia delle S.S. Tedesche, tanto da essere da loro decorato con la croce di ferro di II^ classe, per la spietatezza delle sue azioni. 
Attilio Mela, Aspettando aprile, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1998  
 
Comando III° BTG. ARTU'
Al Comando IV° Brigata
Prot.....                          20/11/1944
Oggetto: preparazione di spionaggio nemico
Nel colloquio avuto il giorno 19/11/1944 con Renato Primo del Comitato di Genova siamo stati informati che la X flottiglia M.A.S. sta preparando un servizio di spionaggio infiltrandosi tra i Distaccamenti e servendosi a quanto pare pure di radio trasmittenti. Sono quindi da diffidare detti marinai: qualcuno si trova pure a Imperia e a S. Remo.
Il  Commissario                                                                            Il Comandante (Artù)
documento IsrecIm in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977    
  
24 ottobre [1944]
La X [Mas] che sta all'Astoria [albergo di Sanremo] sta partendo, perché hanno trovato da sistemarsi in un albergo di Imperia, ma essendo questo privo di mobilio, si sono fatti consegnare dal signor K., proprietario dell'Astoria, 100 camere complete con la rispettiva biancheria, più alcune poltrone, sedie e tavolini per salotto. Dove vanno lasciano la traccia.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006   
 
30 novembre 1944 - XXIII. Ore 20,30. Una telefonata del I° Capitano Medico Panizzi Francesco (Villa Igea) m'informa che il fascista Migliori Dino chiede l'intervento di una nostra pattuglia perché dei bersaglieri vogliono irrompere nel portone di casa sua, a nome della polizia.
M'avvio con sei uomini sul luogo (Via E. Muti, n...) e constato che una pattuglia di bersaglieri con un agente dell'S.S. perquisiscono la casa di Antellini Oddo, dove si presume siano delle armi.
Vedo anche alcuni agenti della P.S. chiamati sul luogo come me.
Chiarito l'equivoco e constatato il fatto, rientro alle 21 e 10.
Il V. Comandante, Aldo Ravina
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

L’ausiliaria veniva quindi rappresentata in modo mitizzato e andava ad incarnare un idealtipo femminile, delineato con i caratteri di una donna giovane, dalla moralità ineccepibile e dai sentimenti altamente patriottici, che fosse soprattutto di esempio e di monito ai renitenti e agli imboscati, pronta a sacrificarsi per il riscatto dell’onore della Patria tradita, senza però perdere i tratti distintivi della femminilità.
Le volontarie stesse percepirono la loro funzione di essere di esempio “ai vili e ai venduti”, come scrivono un gruppo di ausiliarie di Imperia in una lettera a Mussolini il 5 dicembre 1944, nel giorno del loro giuramento:
"Duce, un gruppo di volontarie ausiliarie della Provincia di Imperia, nel giorno del suo giuramento, osa inviarti l’espressione sincera del suo affetto, della sua ammirazione e della sua ferma decisione di essere pronte a tutto osare, a tutto affrontare, fosse pure la sorte, per la Patria nostra e per il nostro grande condottiero.
In te, per te, amiamo l’Italia sopra tutto e contro tutti, serenamente e duramente, ogni alba di questa dolce riviera ci ritrova sul lavoro, con umiltà di cuore, ed in silenzio, prestiamo la nostra opera, in questa avanzata base, con un fermo proponimento: contribuire al raggiungimento della meta da te prefissa, essere di esempio ai vili e ai venduti.
[...] La fede, nei destini della Patria e in te, è in noi incrollabile.
Duce, comanda! Siamo pronte ad obbedire, a morire per Te, tu sei la nostra guida la nostra luce.
F.to le volontarie del corso provinciale di Imperia
" <135
135 La lettera è allegata agli atti del processo contro Maria Delfina R., celebrato presso la Cas di Imperia, in Asge, Corte d’assise straordinaria di Imperia (d’ora in poi Cas Imperia), b.40, fasc. 187 del Registro generale, f. 3
Francesca Gori, Ausiliarie, spie, amanti. Donne tra guerra totale, guerra civile e giustizia di transizione in Italia. 1943-1953, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012/2013

Alassio (SV)

7 marzo 1945 - Dalla G.N.R. comando provinciale, ufficio servizi, prot. n° 3124/B.5P, al nucleo della polizia investigativa della G.N.R. di Alassio (SV) - Si indicava al maresciallo Ferrero di chiedere alla signora Ernesta Ordano informazioni sui "ribelli" della zona di Stellanello, numero, movimenti, nominativi delle famiglie che li informavano, dato che la signora voleva la cattura della figlia che faceva parte dei "ribelli" in quella zona.
7 marzo 1945 - Da Ernesta Ordano al nucleo della polizia investigativa della G.N.R. di Alassio (SV) - Riferiva che la figlia, partigiana "Paola", era armata di pistola e moschetto, che il numero di "ribelli" a Stellanello era imprecisato, perché "tutta Stellanello ne è infestata", e forniva un elenco, con annotazioni sui singoli, di cittadini di Villarelli [Frazione di Stellanello (SV)], sottolineando che erano "tutti a favore dei fuorilegge" (nel fascicolo anche 2 lettere del marito a questa Ordano per tranquilizzarla [sic!] sulle buone intenzioni della polizia investigativa"). 
23 marzo 1945 - Da un informatore dei partigiani... - Riferiva la dislocazione dei comandi nemici nella zona di Imperia: presso Villa Ramaldi il comando tedesco, in Via Caramagna un comando di battaglione "con la mitragliera sul tetto dello stabile", in Via Siffredi il comando del distaccamento della marina tedesca, in Corso Roosevelt presso Villa Bianca un "Comando economico tedesco" e a pochi metri da Villa Bianca la Feldgendarmerie, nella Villa Stoppani l'Orstkomandantur, nella Villa Tilde il comando delle SS tedesche, presso Villa Vedetta un altro comando tedesco, sulla Via Aurelia il comando della marina tedesca, a Capo Berta un ulteriore comando tedesco; e, per quanto riguardava le forze repubblichine, in Piazza Roma la Brigata Nera, in Corso Roosevelt il comando della G.N.R., nei pressi di Villa Tilde il comando delle SS italiane, in Viale delle Rimembranze il comando della X^ Mas.
28 marzo 1945 - Dal comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Relazionava... che il 27 marzo alcuni militi della Brigate Nere, travestiti da garibaldini, si erano aggirati tra Ortovero e Pogli ed avevano fucilato 2 civili...
31 marzo 1945 - Dalla GNR I^ Divisione antiparacadustisti e antiaerea "Etna", prot. n° 692, anno XXIII, al Distaccamento GNR di San Remo - Comunicava che era impossibile fornire notizie del milite Adriano Cavalleri, già denunciato per diserzione, in quanto dal primo febbraio 1945 si era allontanato arbitrariamente dall'VIII° Battaglione GNR in cui era in forza.
31 marzo 1945 - Dalla GNR I^ Divisione antiparacadustisti e antiaerea "Etna", prot. n° 692, anno XXIII, al Distaccamento GNR di San Remo - Comunicava che era impossibile fornire notizie del milite Adriano Cavalleri, già denunciato per diserzione, in quanto dal primo febbraio 1945 si era allontanato arbitrariamente dall'VIII° Battaglione GNR in cui era in forza. 
19 aprile 1945 - Da alcuni fascisti al C. Federale di Imperia - Undici elementi, 3 capitani, 1 tenente, 4 squadristi, 2 ragionieri, 1 dottore, tra cui figurano Pietro Gerli, Arcangelo Vitiello, analizzavano la situazione sostenendo che "constatano che l'opera sinora condotta dal Fascio e dalle Brigate Nere della provincia è approdata ad un risultato opposto a quella che era l'aspirazione del Duce e dei fascisti onesti e retti che ne seguono con dedizione la dottrina". Venivano elencate alcune cause: "la popolazione, che fa di ogni erba un fascio, considera alla stessa stregua dei disonesti, ladri, violenti, immorali chiunque sia fascista o squadrista". Tra le motivazioni di quel malcontento c'era il cattivo funzionamento del centro sfollati di Alassio (SV). Gli scriventi lamentavano il fatto, poi, che non erano stati presi provvedimenti a carico del segretario politico  [fascista] di Diano Marina (IM), che da diversi mesi non giustificava quanto spendeva di benzina. Si aggiungeva "la Brigata Nera non funziona né organicamente né disciplinarmente, né moralmente... Squadristi commettono azioni arbitrarie di perquisizioni in case private... occorre assolutamente proibirlo... è urgente fornire le bande nere di armi e munizioni. Ogni fascista dovrebbe impostare la sua linea di condotta sulla base dei postulati mazziniani: Dio, patria e famiglia".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Un altro personaggio di cui si hanno flebili tracce è Giorgio Pini (omonimo ma non parente del sottosegretario agli interni della RSI). Secondo un rapporto della polizia del 1947: “Il Pini è stato iscritto al P.n.f. dal 1919, squadrista, sciarpa littorio, marcia su Roma, ed è stato arrestato nell’aprile del 1945 e denunciato per collaborazionismo col tedesco invasore per avere posteriormente all’8 settembre 1943 in provincia di Imperia e Genova aver appartenuto alla GNR e successivamente alla SS Tedesca e tradito la fedeltà e la difesa dello Stato, ponendosi al servizio delle SS tedesche cui consegnò le armi del distaccamento del 6° alpini facendo da guida alle stesse SS nel rastrellamento delle armi e delle dotazioni del 6° alpini cui apparteneva, nascoste nei casolari. Lo stesso denunciava e faceva arrestare ebrei che poi faceva evadere e quindi riarrestare da parte delle SS tedesche da cui dipendeva in qualità di maresciallo autista ritraendo da tale attività illecito profitto.” <349
349 Archivio di Stato di Roma, sezione distaccata di Galla Placidia, Regina Coeli, b.8, fasc. “Pini Giorgio”, rapporto della prefettura di Milano del 12 febbraio 1947.
Amedeo Osti Guerrazzi, Tedeschi, Italiani ed Ebrei. Le polizie nazi-fasciste in Italia. 1943-1945, Pensare e insegnare la Shoah, attività e materiali, Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna
Percorsi della memoria
 
Sanremo
Nella località della riviera di Ponente le “Forze armate germaniche” non solo occuparono uno stabile “di pertinenza dell’ebreo Veneziani Alberto fu Gabriele”, ma opposero anche “un netto rifiuto alla domanda di poter stendere il verbale relativo ai mobili ed oggetti contenuti nello stabile” <39 .
Un’opposizione che si commenta da sé.
[...]
L’indagine nell’archivio storico della Banca d’Italia
6.3. Esercizio del credito da parte di cittadini considerati ebrei
- Asbi, Vigilanza sulle aziende di credito, pratt., n. 3977, fasc 1. Esercizio del credito da parte di cittadini
considerati ebrei nella provincia di Imperia. Risposta negativa della filiale. 1938
[...]
Banca di Roma
Imperia
Una copia della denuncia delle attività appartenenti a nominativi di razza ebraica presentata dalla Filiale di Imperia al capo della Provincia in data 8 febbraio 1944. Nell’elenco figura un unica posizione relativa a: Jerusalmi Giuseppe Bohor di Nissim titolare di un importo di L. 45.645.
[NOTA]
39 ASMAE, RSI, DGAAGG, b. 164, pos. S-IV-1s (Ebrei), f. 1/6 (Sequestro beni ebraici da parte delle autorità tedesche in Italia), “Beni ebraici, Veneziani Alberto fu Gabriele, Sanremo”, P.C. 316, 27 febbraio 1945-XXIII, firmato “Il Ministro”.

Redazione, Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2001
 
Se i rapporti con i tedeschi sono critici, quelli interni alla Repubblica sociale sono difficili. Alle gravi carenze di organico e di equipaggiamento della Guardia Nazionale Repubblicana si aggiungono i contrasti tra i diversi organi e apparati dello Stato [...] Non mancano le annotazioni di “costume”, come quella relativa al capo della provincia di Imperia che ha moglie e cinque figlie ma “trascura l'ufficio e i contatti col pubblico a causa di una donna… sarebbe bene sostituirlo” <643.
643 Vedi Silvio Bertoldi, Salò, cit. p. 337. Come scrive l'Autore, “tutte le informazioni e le citazioni di questo capitolo sono tratte da documenti dell'Archivio Pini”.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011 
 
 

Una cartina stilata dai partigiani di Sanremo, comprensiva della zona Piazza Colombo, Via Manzoni, Corso Garibaldi. Fonte: Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970
 
XXXII BRIGATA NERA "ANTONIO PADOAN"
Squadristi:
Imperia - Posta da campo 779
Comandante: Mario Massina, già federale di Alessandria, dal 22 luglio 1944, t 8-5-45 Alessandria.
Capo di S.M.: col. Balbis.
Ufficiale ai servizi: ten.col. Edoardo Baralis 3-5-45 Valenza (Alessandria).
Ufficiale addetto al federale: Alberto Mario Allavena.
Vice-federale: Adalberto Armelio; Francesco D’Accunto.
Servizio Sanitario: dr. Raffaele Denza.
Servizi amministrativi: Michele Chiarella e Giuseppe Tricotti; Natale Giribaldi (Imperia Ponente).
Ufficio politico: Pietro Gerii (capo); Arcangelo Vitiello (vice-capo); Natale Amoretti; Arturo Giribaldi.
Segreteria politica: Mario Moretti (capo).
Altri ufficiali
maggiore: Carlo De Maere f 26-4-45 Alassio.
capitani: Allione; Luigi Bertagni; Ignazio Borro; Attilio Calvo (detto capitan Paella) t 1945; Libero Fantini (Alassio), ex-maresciallo della Milizia; Giovanni Ferraris (Cesio, Chiusavecchia. Dolcedo. Vasia); Paolo Garan; Giannoni (5 a Cp. Ceriana), croce di ferro 2a classe, già ufficiale 41° Rgt. Ftr.; Landucci; Adolfo Manetti; Angelo Mangano, comandante Cp. O.P. Sanremo; Francesco Mangiapan f; Enrico Musso; Roberto Musso; Enrico Papone f 4-10-44 Diano Marina;
Aldo Vandone; Renzo Vannucci.
tenenti: Basso; Lo Faro, comandante presidio Cesio; Renato Moretti t 25-4-45 Sanremo; Elio Piccioni t 9-1-45 Ventimiglia; Ferdinando Rey f 4-5-45 Alassio.
sottotenente: Stefano Gerii, comandante U.P.I. di Imperia.
Ricciotti Lazzero, Op. cit.
 
Angelo Cesare Mangano aveva comandato il Distaccamento di Sanremo della Brigata Nera. Nel luglio 1944 era stato nominato segretario politico del P.F.R. di Sanremo. Il 26 maggio 1945, il Mangano, che era detenuto all'albergo "Crespi" di piazza Principe a Genova, si suicidò lanciandosi da una finestra sulla strada, dove fu straziato da un tram che sopraggiungeva.
Adriano Maini

sabato 13 marzo 2021

Attacco partigiano alla postazione B7

Dintorni di Molini di Triora (IM) - Fonte: mapio.net

Il 3 o il 4 giugno [1944], qualche giorno prima dello sbarco alleato in Normandia, vi è l'attacco alla postazione «B7».
Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo], Erven [Bruno Luppi], Tento e Marco [Candido Queirolo], sebbene già divisi nei due distaccamenti, decidono di attaccare insieme la postazione «B7», situata nella zona di Perallo [Frazione di Molini di Triora (IM)], villaggio che è su per giù a metà strada fra Molini di Triora e Carmo Langan.
Il comando dell'azione è affidato a Moscone (Basilio Mosconi), ora con Tento [Pietro Tento] e Marco, e già scelto per comandare un nuovo eventuale distaccamento. Egli diventerà infine comandante del Battaglione «Marco Dino Rossi» (2° Battaglione della V Brigata).
Il 4° distaccamento (Marco e Tento) scende da Gerbonte; il 5° (Vittò e Erven) scende dalle alture che sono sopra Carmo Langan; s'incontrano a Loreto.
Il distaccamento di Marco e Tento partecipa al completo, tutto in un solo gruppo, all'azione contro la «B7».
Il distaccamento di Vittò e di Erven viene diviso in due gruppi: uno di questi, nel quale vi sono Vittò ed Erven, partecipa direttamente all'azione contro la «B7», mentre l'altro viene mandato in Molini.
Il comando dell'azione, come si è detto, è affidato a Mosconi, del 4° distaccamento. Mosconi, ex sergente maggiore non di carriera del disciolto esercito, precisa con particolare accuratezza il modo di condurre l'attacco: spiega il compito di ogni uomo, di ogni arma, la prudenza per evitare le mine seminate intorno alla postazione, l'ora dell'inizio dell'attacco, il segnale (inizio: ore l2 esatte; segnale: un colpo di pistola).
La postazione è vicina alla strada, proprio dove questa disegna una curva; ed è all'interno della curva stessa.
I partigiani si portano sul posto e si dispongono a semicerchio, distribuendosi sopra, sotto e lateralmente, al di là della strada; in modo che la strada resta fra essi e la postazione.
Esattamente alle ore 12, come convenuto, Mosconi dà il segnale con un colpo di pistola, e viene iniziato l'attacco col mortaio da «45», con fucili e con bombe a mano tedesche dal manico lungo; il mortaio, affidato a Milorato, era piazzato presso un castagno, a monte della postazione.
Colti di sorpresa, i militi fascisti (forse 12 o 15) si rinchiudono nella capanna che è, press'a poco, al centro della postazione e nel punto più sporgente della curva; mentre due tedeschi corrono alle due mitragliatrici collocate una a monte e una a valle, e rispondono al fuoco.
Un proiettile spezza a Mosconi la penna del cappello alpino. Il castagno, dove stava Milorato col mortaio, era crivellato di colpi. Mentre un gruppo scelto di partigiani, cautamente a causa delle mine, si stava portando vicino alla baracca per assaltarla con le bombe a mano, Mosconi riesce a colpire con una bomba del mortaio la capanna. Avviene uno scoppio, che la fa saltare in aria, uccidendo i fascisti, che vi erano dentro; tutti gli altri uomini della postazione (due tedeschi e due italiani) sono fatti prigionieri; di essi, solo un italiano non è ferito, mentre sono feriti leggermente l'altro italiano e un tedesco, e gravemente l'altro tedesco.
Il tedesco gravemente ferito è portato nel vicino paese di Molini e affidato alle cure di un sacerdote; degli altri non si è potuto accertare se rimasero con i partigiani o se furono rimandati a casa; tuttavia si sa che non furono fucilati.
Marco, da Molini, manda un telegramma al Prefetto: «Comunichiamo espugnazione da parte nostra postazione B7 alt Provvedete voi ritirare vostri morti alt Noi sprovvisti becchini alt». Firmato: «I ribelli».
Nella notte vennero i pompieri a ritirare le salme dei fascisti caduti.
Frattanto, l'altro gruppo del 5° distaccamento, mandato in Molini prima dell'attacco alla «B7», nel suddetto paese aveva preso in consegna un camion, affidato ai partigiani dal proprietario allo scopo di sottrarlo ai tedeschi, che volevano requisirlo.
Dopo che la «B 7» fu presa, il sopra menzionato gruppo del 5° distaccamento fece passare il camion avuto in consegna, che venne quindi avviato alla montagna, e - passato il camion - fece saltare il ponte della strada fra Molini e Langan.
L'azione contro la «B7», di cui si è ora parlato, avvenne due o tre giorni prima dello barco alleato in Normandia; e quindi, come si è detto, il 3 o il 4 giugno.
Dopo l'azione contro la «B7», il 5° distaccamento (Vittò ed Erven) fa la sosta di un giorno; poi va a prendere accantonamento nelle caserme di Carmo Langan. In questa nuova sede si trasferisce il giorno dello sbarco in Normandia, quindi il 6-6-44.
I partigiani si stabiliscono anche in qualche casa, che poi verrà bruciata dai nazifascisti (casa di Lanteri Cesira). Compito del 5° distaccamento era di controllare la Val Roia e la Val Nervia, oltreché di fronteggiare la postazione tedesca di Monte Ceppo. Infatti in questa località, che in linea d'aria dista circa km.5 da Carmo Langan, i tedeschi avevano ancora ingenti forze; e d'altra parte la località stessa era di particolare importanza, perché da essa si domina la zona di Carmo Langan, che è un po' a nord ovest, e quella di Baiardo, che è un po' a sud ovest; e, in più, per Monte Ceppo passa una strada che collega le strade di Carmo Langan e di Baiardo, consentendo l'accesso alla montagna e all'interno da disparatissimi punti.
A sua volta il 4° distaccamento (Tento e Marco), subito dopo il fatto della «B7», prende posto a Triora. Carmo Langan è nodo stradale importantissimo, perché vi si incontrano le strade che vanno, fra l'altro, a Pigna, a Cima Marta, a Molini di Triora, a Baiardo.
Per dare, a questo punto, un'idea della situazione stradale in generale, giova richiamare l'attenzione sulle seguenti arterie principali:
1) strada Ventimiglia o Piani di Vallecrosia - Camporosso- Isolabona - Pigna - Carmo Langan - Molini di Triora - Passo della Teglia - Bosco di Rezzo - Rezzo - Pieve di Teco - Albenga;
2) strada  Isolabona - Apricale. Baiardo - Vignai - Badalucco;
3) strada Arma di Taggia - Badalucco - Molini di Triora;
4) strada Badalucco - Carpasio - Colle d'Oggia - San Bernardo di Conio - Bosco di Rezzo (fino alla prima delle arterie sopra elencate);
5) strada San Bernardo di Conio - Colle San Bartolomeo;
6) strada San Bernardo di Conio - Colle d'Oggia - Borgomaro - Chiusavecchia;
7) strada Colle San Bartolomeo - Caravonica - Chiusavecchia;
8) statale «28», che, partendo da Imperia, passa per Chiusavecchia, Colle San Bartolomeo, Pieve di Teco, e quindi permette di accedere da Imperia e dal Piemonte, oltre che da Albenga e da Ventimiglia, alle strade già menzionate;
9) strada che, partendo dalla statale «28» a valle di Chiusavecchia, passa per Gazzelli, Chiusanico e Torria, e si ricollega alla statale «28» a valle di Cesio;
10) strada Carmo Langan - Cima Marta - Galleria del Garezzo - San Bernardo di Mendatica - statale «28» (innesto presso Case di Nava);
11) strada Via Aurelia - Ceriana - Baiardo;
12) strada Sanremo - San Romolo - Case Morini - Baiardo;
13) strada Sanremo - San Romolo - Perinaldo;
14) strada Ospedaletti - San Romolo;
15) strada Via Aurelia - Vallecrosia - Perinaldo;
16) strada  Perinaldo - Apricale;
17) strada Camporosso - Ciaixe - Monte Baraccone -  Ponte Raggio - Ponte Barbaira - Isolabona;
18) strada Camporosso - Ciaixe - Monte Baraccone - Margheria dei boschi - Pigna;
19) strada statale n. 20 o strada statale della Val Roia;
20) strada che si stacca dalla statale n. 20, a pochi chilometri da Ventimiglia, e - per mezzo di due tronconi - si collega alla strada che, partendo da Camporosso, passa per Ciaixe;
21) strada di Bevera, che, partendo dall'Aurelia, passa per Bevera, e si im mette nella statale n. 20 a valle di Airole.
Dalla sopra descritta rete stradale appare quanto fosse facile una penetrazione nell'interno;  e risulta altresì come Carmo Langan fosse uno dei nodi più importanti per la penetrazione stessa.
Dopo lo sbarco in Normandia, il 5° Distaccamento (Vittò ed Erven) si ingrossa fino a raggiungere, entro il 15 giugno [1944], la forza di circa mezzo migliaio di uomini.
Cosa analoga avviene per il 4° Distaccamento (Tento e Marco), il quale, entro il 15 giugno, raggiunge la forza di circa 300 uomini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 286-289


lunedì 8 marzo 2021

La granata ha colpito il capannone

Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google

Carpenosa: gruppo di case sparse, adagiate sulla strada che da Badalucco e Montalto Ligure porta a Molini di Triora e Triora. Al suo fianco scorre l'Argentina, quel torrente che dà il nome alla vallata e che tanta parte ha avuto nel corso della lotta resistenziale.
La valle Argentina è la zona della V^ Brigata di «Vittò» [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], una formazione ed un comandante dal prestigio indiscutibili; un binomio legato ad una corona di successi popolari, di sacrifici, di somma determinazione e di umanità senza limiti.
L'Argentina ha conosciuto dei giovani indimenticabili, parte dei quali passati come splendide meteore dopo avere esaurito, in qualche mese, tulle le energie vitali di un'esistenza. Ma, molti di essi, sono sopravvissuti ad un'epopea irripetibile, passati sull'orlo degli abissi mortali presso cui hanno vissuto sempre, fino a quel 25 aprile conquistato con una determinazione inarrestabile.
Carpenosa è un piccolo punto e pochi fumaioli, quasi nascosti e timidi. Ma intorno a quelle poche case, più di una volta si intrecciano e si alternano le raffiche delle schiere nemiche e gli attacchi partigiani che, partendo come aquile dai punti più alti di Langan, Cima Marta, Triora, ogni tanto lasciano il segno sulla postazione nazifascista. Oltre che dai distaccamenti 4° e 5°, il presidio è frequentemente molestato anche dalla formazione di Gino Napolitano (Gino) che conta una cinquantina di uomini. Verso la metà di giugno «Gino» è pronto per uno scontro più impor­tante del solito. La presa della casermetta di Carpenosa gli permetterà di dare un'adeguata sede al suo distaccamento. «Gino» già da tempo esercita pressione sulla guarnigione di Carpenosa, affinché si arrenda. Ma la trattativa diventa lunga, sicché, spazientito il Comandante partigiano manda l'ultimatum al presidio: «Arrendersi entro la domenica successiva. In caso contrario i garibaldini passeranno all'attacco».
Domenica, diciotto giugno 1944, giornata splendida: il distaccamento di «Gino», della IX^ Brigata, è sul campo per sostenere la prima prova veramente dura, dopo le precedenti azioni ed i colpi di mano di minore entità. Ore 11 e 30: ora è alto il sole della morente primavera. Trentadue partigiani partecipano all'azione e preparano l'attacco alla postazione tedesca di Carpenosa.
Ore 12, ecco la notizia: sale un camion pieno zeppo di nazisti accorrenti in aiuto del presidio. La tensione è al massimo ed i garibaldini fremono, piazzati sul costone di un'altura donde è agevole dominare la strada ed il nemico.
Ma il camion non è isolato: è il primo di un'intera colonna composta di sette camion gremiti di soldati. Inoltre, ci sono due autoblinde ed altre truppe armatissime, appoggiate dal tiro di un cannone da 75 mm.
È proprio giunto per il distaccamento di «Gino» il battesimo del fuoco.
Anche gli uomini di «Marco» [Candido Queirolo] partecipano all'attacco e si battono bene sul campo di battaglia.
I garibaldini si dispongono a difesa in ordine sparso dietro i cespugli, mentre la staffetta Aldo Barbieri si reca in motocicletta verso Carmo Langan per chiedere rinforzi al 5° distaccamento. Ma il comandante «Vittò» non è presente, essendo già partito in missione per Pigna e Passo Muratone. Non sono rimasti all'accampamento che un centinaio di uomini.
«Erven» [Bruno Luppi] non esita un istante ed assume il comando dei garibaldini presenti anche perché, da tempo, sta ascoltando i colpi delle armi da fuoco di cui non conosce la località di provenienza. Ora è avvisato ed è giunto il momento dell'azione.
A Langan è in dotazione un mortaio da 81 mm giunto dal Piemonte privo del congegno di puntamento e della piastra di basamento. Ciò, nei giorni precedenti, aveva costretto «Erven» a complicate manovre per rendere l'arma funzionante. La formazione è dotata pure di un mortaio da 45mm, due mitragliatrici pesanti e vari mitragliatori.
Tutte le armi ed un certo numero di garibaldini sono ora sul camion che «Vittò» aveva sottratto ai Tedeschi in Val Gavano il 9 di giugno. L'automezzo si avvia veloce verso il luogo dello scontro. Agli altri, «Erven» dà l'ordine di raggiungerlo a piedi, il più rapidamente possibile.
Nel frattempo, la posizione dei partigiani impegnati nella battaglia si aggrava.
Attesa: i nazisti avanzano, piazzano il cannone e le autoblinde. Iniziano il fuoco con fracasso enorme. Bombardano anche case e casoni, né risparmiano San Faustino.
Il silenzio secolare di quei luoghi è interrotto dallo schianto delle bombe che, come sempre, incute terrore e causa distruzione e morte, mentre l'eco lugubre rimbalza tra le valli.
Agostino Moraldo, meglio conosciuto come «Luigi» o «Petrin di Creppo», giace sul campo di battaglia, ferito gravemente al ventre da una scheggia di mortaio.
Trascorre lento il tempo: un po' di tregua, un po' di quella musica dei cannoni. I reparti tedeschi avanzano lentamente e giungono vicini: ora le armi automatiche partigiane sono efficaci. Fuoco nutrito ed i Tedeschi arretrano, per poi avvicinarsi ancora. I partigiani riaprono il fuoco, ed i Tedeschi arretrano nuovamente. Poi, come un'altalena, ancora per varie volte.
Nel campo garibaldino c'è entusiasmo e decisione anche se la superiorità numerica e di mezzi dei nazisti è notevole, aggirandosi approssimativamente sulle quattrocento unità.
Il pomeriggio è già inoltrato. Il tempo passa lento. Le munizioni incominciano a mancare. Le armi automatiche dei garibaldini ora tacciono. Solamente la mitragliatrice di Nuvoloni e dei suoi aiutanti risponde ancora al nemico come il canto dell'ultima cicala. Un'ultima raffica ferma alcuni nazisti. Poi tace.
Ad un certo momento gli uomini di «Marco» e di «Gino» si trovano semiaccerchiati dai Tedeschi, i quali attendono l'occasione per schiacciarli. Sui partigiani incombe il pericolo della strage e della morte.
All'improvviso si scorge, ancora molto lontana, una fila di uomini armati. Interminabili momenti di incertezza. Poi giunge il camion con i rinforzi partigiani. Non tutti gli stati d'animo si possono descrivere. Certi fatti restano soltanto impressi negli occhi per tutta una vita e nella gola par quasi s'incrocino groppi che impediscono pianto, riso, pazzia di gioia e d'amore nel contempo. Tale è il momento dell'incontro. «Erven» rincuora «Marco» già stanco e demoralizzato. «Moscone» [Basilio Mosconi] e «Guido di Cetta» appena scesi dal camion si portano avanti e mettono in funzione le mitragliatrici ed i mitragliatori. È fermata l'avanzata dei Tedeschi, sorpresi dalla ripresa della lotta. Le perdite naziste aumentano.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 80-82

Agaggio Inferiore, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

Episodio raccontato da «Gino» (Gino Napolitano)
:
Nel mese di giugno del ’44 m’ero portato ad Agaggio inferiore col mio distaccamento composto da cinque uomini. Eravamo poco armati, ma pieni di entusiasmo: numerose piccole azioni, agguati e colpi di mano ci erano riusciti benissimo e avevano messo in noi la smania di affrontare il nemico in forze, certi di poterlo battere. In verità sino a quel momento lo avevamo sempre vinto: numerose piccole stazioni di tedeschi e di fascisti erano state eliminate e ovunque incontravamo le pattuglie nemiche le volgevamo in fuga, tant’era l’ardore che i miei uomini ponevano nella lotta. Si mangiava poco, ma si faceva il proprio dovere “senza mugugni”. E se si riusciva a catturare un moschetto da carabiniere, di quelli con la cinghia bianca, era per noi una festa. Ero dunque ad Agaggio. Avevo intavolato trattative col presidio nemico di Carpenosa composto di sette guastatori e di due tedeschi per convincerli ad arrendersi: avevo bisogno di far riposare i miei uomini in un luogo decente e Carpenosa faceva al caso mio. Il nemico tergiversava. Io cominciavo a diventar furioso. Un venerdì inviai un mio garibaldino a Carpenosa con l’incarico di riferire al Presidio che se entro la domenica successiva non avesse capitolato avrei sferrato l’attacco. Ci risposero che avrebbero meditato sull’ultimatum. La notte fra il sabato e la domenica feci i preparativi e la domenica mattina alle 11,30 ero in posizione. Si trattava del mio primo attacco in forze e volevo vincere ad ogni costo. Avevamo con noi un mortaio da 45 che Minorato mi assicurava di saper manovrare molto bene, il che si dimostrò vero durante l’azione. Piazzai il mortaio su un’altura dove scaglionai i miei uomini in modo da dominare il nemico e la rotabile. Temevo una sorpresa e, infatti, la sorpresa venne. Alle 11,50 sulla strada sotto di noi apparve un camion pieno di tedeschi che veniva su arrancando. Evidentemente il presidio di Carpenosa, invece di arrendersi, aveva chiesto rinforzi per tentare di eliminarci. Decisi di rimanere sul posto anche se tutta la forza nemica della provincia fosse venuta su: il pensiero di dare una lezione memorabile ai nazifascisti sommergeva ogni prudenza: ne ero ossessionato e i miei uomini mostravano la stessa volontà. Ordinai a Minorato di aprire il fuoco. Fu un colpo magnifico: al primo sparo il camion venne preso in pieno. Scorgemmo il proiettile scoppiare con un gran rombo sul cofano e i tedeschi saltar giù in preda al panico. Urlammo di entusiasmo mentre il nemico si buttava in un tombino della strada. Lanciai un gruppo di uomini innanzi. I miei ragazzi scesero di corsa come se andassero a una festa: pugnale fra i denti, le bombe a mano pronte. S’arrestarono a pochi metri dalla strada e lasciarono cadere una pioggia di bombe sul nemico che non tentò alcuna reazione. Scorsi però in distanza altri camion nemici che risalivano la strada. Li contai: erano nove e tutti fortemente carichi e, fra l’altro, uno di essi trasportava un cannoncino da 75. L’affare cominciava a diventar grosso. La mia sola forza non sarebbe bastata a tenere testa a tre o quattrocento uomini armati di artiglieria. Disposi la mia truppa in posizione di resistenza, scaglionandola tra gli alberi, al coperto delle rupi e inviai una staffetta veloce al comandante Vittò perché mi inviasse rinforzi. Ed attesi. Il nemico non osava avanzare. Aveva arrestato i suoi veicoli a qualche chilometro da noi spostando lentamente le sue truppe avanti, fuori dal tiro delle nostre armi ponendo il cannone in postazione. Poco dopo cominciò il tiro. I colpi scoppiavano tra gli alberi con un rumore che gli echi della valle centuplicavano. Noi tirammo due o tre volte col mortaio, ma le munizioni erano scarse ed il nemico troppo lontano perché il nostro tiro potesse essere efficace e perciò ordinai di cessare il fuoco. Le ore passavano: i tedeschi continuavano a bombardarci ad intervalli. Essi avanzarono ancora fino a giungere a tiro delle nostre armi automatiche. Le impugnammo immediatamente ed il nemico si ritirò. La manovra venne ripetuta parecchie volte, ma, ogni volta, il tedesco fu costretto a ripiegare subendo perdite. Le nostre erano leggere: Petrino era stato ucciso e qualche ferito giaceva al suolo.
Il nostro morale era altissimo. Balzavamo di riparo in riparo come dannati, noncuranti dello scoppio dei proiettili avversari e freschi malgrado l’azione continuasse per ore ed ore. Nel tardo pomeriggio vedemmo spuntare su una cresta al di sopra di noi un gruppo di uomini: erano i rinforzi di Vittò che giungevano. E giungevano portandoci un aiuto prezioso: un mortaio da 81!
Credo ballassi dalla gioia! Ero esultante. Ponemmo il mortaio in postazione ed iniziammo un tiro accelerato. Nello stesso tempo mandai avanti gruppi di garibaldini per impegnare il nemico in combattimento ravvicinato. Scendevo con loro allo scoperto, tra le palle che sibilavano: l’ebbrezza della lotta ci aveva fatto perdere il senso della realtà. Si andava incontro alla morte con passo franco e cuor leggero e la vita, pur sotto la minaccia fatale, ci sembrava una bella e magnifica avventura. Il nemico non ci attese. Lo vedemmo sbandarsi, abbandonare le sue posizioni, correre disordinatamente verso le macchine ferme, montarvi sopra, abbandonando il cannone che recuperammo, sebbene inservibile, e fuggire a tutta velocità inseguito dai nostri colpi. Alle 9 occupammo Carpenosa completamente abbandonata. Il nemico ebbe numerose perdite: trovammo tutto l’equipaggio del primo camion ucciso sulla strada. I resti del camion stesso sono ancora abbandonati sulla scarpata. Nel complesso i tedeschi perdettero oltre 80 uomini fra morti e feriti: un quarto almeno delle forze impegnate nel combattimento.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 119-121


La cava di Carpenosa. Foto: Eraldo Bigi

Ormai è chiaro: la Resistenza non sarà battuta malgrado la sua solita inferiorità in numero e mezzi.
Ora i garibaldini sviluppano un fuoco nutrito che provoca scompiglio tra le fila naziste. «Erven», intanto, non perde tempo e piazza da posizione arretrata il suo mortaio da 81. È vicino alla Fereira. Pepin Lantrua, da un rifugio del sottostrada, lo avvisa che c'è un gruppo di partigiani circondati. Il Lantrua, padre di due garibaldini, indica anche ad «Erven» la posizione in cui si trovano i Tedeschi (che, a loro volta, tentano di colpire il mortaio con colpi di cannone) e lo invita a puntare l'arma in direzione di un olmo distante circa trecento metri.
Inizia il tiro dei mortai ed una vedetta segnala ad «Erven» di allungare la traiettoria di una cinquantina di metri. Il colpo successivo centra un camion di truppa. È il primo sostanzioso successo.
Ma i colpi del cannone nemico si avvicinano ed il mortaio è continuamente spostato per non essere colpito.
Quello che accade poco dopo ha dell'incredibile. Un altro colpo e poi si ode un fragore immenso e dal luogo dove sono i Tedeschi si leva una grande colonna di fumo. La granata ha colpito il capannone in cui era situato il dispositivo per il brillamento del campo presso la casermetta di Carpenosa, precedentemente minato dai nazifascisti. Gli effetti sono terribili. Salta pure un tratto di strada.
Intanto, dopo un altro paio di colpi sparati con bombe a grande capacità, il mortaio perde la sua stabilità e diventa inservibile. In mezzo all'immane scoppio, incalzati dal fuoco delle mitraglie, ai Tedeschi non resta che abbandonare il campo dopo aver caricato sugli automezzi tutto il possibile. «Erven» scende verso il basso, con «Marco» attraversa la passerella sull'Argentina e sale a San Faustino per avere una visione del campo di battaglia. I due, affamati, chiedono del pane di cui sentono un fragrante profumo. Un vecchio gliene offre uno grosso, invitandoli a desistere dalla lotta per il timore che i Tedeschi li uccidano tutti. Poi, da una posizione elevata si recano ad osservare la zona. Ai loro occhi si presenta un vero e proprio paesaggio bellico: sul terreno, sconvolto dalle bombe di mortaio, giacciono sparsi corpi umani. I Tedeschi in quel giorno non nuocera nno alle popolazioni dei nostri paesi. Sono fuggiti tutti precipitosamente con il ricordo di una sconfitta vera e propria.
Ore 21: la Resistenza entra in Carpenosa tra l'incredulità degli abitanti dei paeselli all'intorno che temevano veramente per la vita di quei giovani. Ma il miracolo è accaduto e c'è il ritorno agli accampamenti, nella notte, accompagnati dalle canzoni dei «ribelli». (5)
Il 20 di giugno nell'ospedale di Triora cessa di vivere Agostino Moraldo, rimasto gravemente ferito nella battaglia. Il democratico e libero Comune di Triora sostiene le spese del funerale in segno di perenne riconoscenza verso colui che, vittima di una nobile scelta di vita, onorando i suoi concittacUni, tutto ha dato senza nulla chiedere per la causa della libertà. Quando la salma esce dalla chiesa rintoccano le campane e  portano tanta tristezza nel cuore di  tutti.
Il distaccamento di «Gino» si trasferisce a Carpenosa.
Un altro importante punto strategico dell'Argentina è liberato in quell'esaltante mese di giugno per le forze della Resistenza.
Le perdite dei Tedeschi nello scacco subito a Carpenosa sono state variamente segnalate: Gino Napolitano afferma che il nemico ha lasciato sul terreno oltre 80 uomini tra morti e feriti. Da un racconto di Italo Calvino i morti risultano 72. Da una relazione scritta e non firmata le perdite naziste ammontano a 173 uomini, un camion, cinquanta litri di benzina e materiale vario. Gino Glorio (Magnesia) nel suo diario fa risalire ad alcune decine il numero dei Tedeschi messi fuori combattimento. A noi, sinceramente, alcune cifre appaiono un po' gonfiate. Ma diciamo che le perdite tedesche a Carpenosa non furono poche.
(5) A detta di Ernesto Corradi (Nettù) *, anche il 7° distaccamento ha preso parte alla battaglia, in forma autonoma dalle altre formazioni partigiane.
Riviviamone le vicende attraverso una relazione scritta dal Comandante stesso: "Due giorni prima la banda «Nettù» era partita da Carmo Langan per una missione a Baiardo. Il giorno dopo, sulla via del ritorno, a causa di un violento temporale, gli uomini, inzuppati e fradici per l'acquazzone sopravvenuto, sono costretti a pernottare in un casone semidistrutto. All'alba, confortati dal tempo rimesso al bello, si rimettono in marcia. Arrivati all'accampamento chi ha la possibilità di farlo si cambia gli abiti. All'improvviso giunge una staffetta per chiedere urgenti rinforzi. «Nettù» raduna i partigiani disponibili, i quali, alla svelta, si incammminano per una destinazione non ancora ben precisata a sud di Molini di Triora. «Nettù» si presenta a «Erven» ed a «Marco» e riceve l'ordine di portarsi su San Faustino con l'aiuto di una guida. Questa conduce i garibaldini nei pressi del luogo destinato e si allontana. Il Comandante si inoltra nella borgata e vede alcuni Tedeschi scendere precipitosamente verso il fondovalle. Con i suoi uomini cerca di inseguirli. Ad un tratto scorge, sull'altra riva del torrente, dei nazisti che stavano sparando da un bosco di castagni. Il distaccamento «Nettù» apre il fuoco con la mitragliatrice ed avanza verso i nemici. Mentre attraversa il ponticello vicino alla caserma di Carpenosa s'ode uno spaventoso fragore di esplosione. Un lungo tratto di strada è distrutto. Gli uomini entrano poi nel boschetto e trovano un gran disordine, zaini, elmetti forati, chiazze di sangue. Sulla carrozzabile, dietro la curva, un camion inservibile ma con un serbatoio di scorta pieno di benzina (che in seguito si recupererà). La sera la banda «Nettù» è invitata dalla popolazione a Molini di Triora ed il mattino seguente ritorna a Carmo Langan..."
Carlo Rubaudo, Op. cit., pp. 82-84  

* [Sulla controversa figura di Ernesto Netu/Netù Corradi si possono leggere alcuni significativi passi in La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020]

Dintorni di Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google

Gli uomini di Vittò si preparano velocemente le armi per l’azione. Il distaccamento possedeva allora un mortaio da 81 […] le squadre mortai e mitraglieri, al comando di Erven, scendono in camion […] Cosa succede intanto a Carpenosa? I tedeschi, con quattro o cinque cannoni e lanciabombe, tirano sulla parte superiore del costone […].
Fu allora che cadde, ferito dalle scheggie, il garibaldino Petrin di Creppo. Le sorti della battaglia arridono ai nazisti […]. Alle nostre mitraglie non resta che ritirarsi. Solo una, la più avanzata, […] tra i cespugli rimane isolata: era la mitragliatrice del futuro eroe garibaldino Luigi Nuvoloni [Grosso] […] i tedeschi riguadagnano i camions e stanno per prendere la via del ritorno, quando, a un dato momento, il mortaio tace.
Cosa era successo?
Facciamo un passo indietro e torniamo ad Erven […].
Che cosa è successo? […] Una fila di uomini stracciati, vestiti delle divise più disparate, i partigiani insomma che scendono verso Carpenosa. Marco e Erven si precipitano per unirsi a loro e avanzare insieme. Sulla strada si imbattono in un camion sfasciato in mezzo a pozze di sangue, brandelli di carne umana, scheggie di mortai, mitragliatori, elmetti, fucili […] La grande esplosione era dovuta alla strada saltata in aria […]
La sera vede il trionfo dei garibaldini vincitori tributato loro dalla popolazione d’Agaggio. Suggestivo è il ritorno: nella notte la fila dei partigiani si snoda verso gli accampamenti al canto dei loro inni.
Fu questa una delle più cruenti sconfitte tedesche nella nostra zona. Settantadue morti ed un numero imprecisato di feriti ne segnano il sanguinoso bilancio.
Mario Mascia, Op. cit., pp. 236-238