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venerdì 4 ottobre 2024

La morte del comandante partigiano Menini fece scuola solo a pochi

Armo (IM). Foto: Davide Papalini. Fonte: Wikipedia

Intanto l'ufficio SIM della Divisione "Silvio Bonfante" viene informato che il rastrellamento nazifascista preannunciato è rinviato di qualche giorno, perché la Divisione fascista "Cacciatori degli Appennini", che avrebbe dovuto effettuarlo, si trova impegnata contro la II Divisione d'assalto Garibaldi "F. Cascione". La notizia è trasmessa ai Comandi delle Brigate dipendenti, che hanno il tempo, così, di mettere in esecuzione con rapidità le direttive contenute nelle circolari n. 22 e n. 23. I garibaldini meno atti sono inviati a rafforzare le squadre di riserva, passate alle dipendenze dirette del vicecomandante di Divisione Luigi Massabò (Pantera). Anche le altre disposizioni contenute nelle ricordate circolari sono messe in esecuzione.
In attesa del grande rastrellamento, i Distaccamenti della nuova [n.d.r.: la "Bonfante venne formata il 19 dicembre 1944] Divisione cercano di infliggere in qualche modo nuovi colpi al nemico: il 2 di gennaio [1945] una squadra del Distaccamento "A. Viani" smina un campo in Valle Andora: l'esplosivo è inviato a Ubaga, al Distaccamento di Giuseppe Garibaldi; il 3 un'altra squadra del "G. Catter", con il comandante Mario Gennari (Fernandel), al rientro da una missione, si scontra con una pattuglia tedesca sulla strada Albenga-Garessio: il nemico lascia sul teneno un morto e un ferito. Lo stesso nemico, che pare sia in attesa di eventi, compie micidiali puntate provocando vittime tra i civili.
Nel piccolo centro di Armo, in alta Valle Arroscia, era dislocato un nucleo partigiano dell'Intendenza Divisionale, per immagazzinare rifornimenti provenienti dal Piemonte. A fine dicembre vi si trovava ammalato pure Lionello Menini, comandante del Distaccamento Mortaisti "E. Bacigalupo". Su indicazione di una spia, il mattino presto del 31 dicembre 1944, un centinaio di Tedeschi, provenienti da Pieve di Teco, investono la zona di Armo, Trovasta e Moano. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri cadono prigionieri, tra cui tre Austriaci disertori, e i civili Giuseppe Cacciò e Giovanni Ferrari.
Il Menini riesce a far fuggire altri due partigiani prima di essere catturato. Portato al Comando tedesco di Pieve di Teco, è riconosciuto come capo partigiano. Chiuso in carcere confessa di essere partigiano ma, malgrado sia sottoposto a feroci torture, non parla, mantiene il silenzio. Il 3 di gennaio è condannato a morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo commissario Giuseppe Cognein per informarlo che gli Austriaci avevano parlato, e che non gli dispiaceva morire per una causa giusta.
Mentre il Comando divisionale attua lo spostamento dei Distaccamenti, l'Intendenza della II Brigata si trasferisce in Val Pennavaira e quella divisionale in Valle Arroscia. Lionello Menini ed i compagni della triste sorte Lorenzo Gracco, Ezio Badano e Giovanni Valdora sono condotti in località Carrega e fucilati.
[...] Il Distaccamento "E. Bacigalupo" viene sciolto, i superstiti sono aggregati ad altri Distaccamenti. La cattura di Menini dimostrò che la nuova tattica nemica delle puntate dirette poteva essere più pericolosa dei rastrellamenti. Il nemico piombava ora in silenzio e in modo sicuro sulle basi garibaldine senza che raffiche di mitragliatrici e colpi di mortaio dessero l'allarme come era avvenuto nell'estate e nell'autunno del 1944.
Solo un perfetto servizio di guardia e di pattuglie poteva garantire i garibaldini dalle sorprese. Si era visto come esso fosse sempre stato inadeguato anche quando una catena di Distaccamenti, appoggiandosi a vicenda, limitava la possibilità di attacco da una o due direzioni al massimo.
In gennaio poi, con gli effettivi ridotti e la minaccia da ogni lato, era impossibile essere avvertiti in tempo. Solo dei buoni rifugi, come abbiamo già ricordato, usati ogni notte, potevano garantire in un certo qual modo l'incolumità. Ma la sorte di Menini fece scuola solo a pochi: la mente era sempre fissa al prossimo grande rastrellamento che si prevedeva imminente.
Infatti il Comando della "Bonfante" lascia la sede di Marmoreo per rendersi conto della situazione nelle tre Brigate, nei Distaccamenti ed informare i volontari della drammatica situazione dagli sbocchi imprevisti. Si cerca di fare funzionare bene il centro staffette di Degna ed il SIM dislocato a Poggio, sotto Casanova, ristabilendo i vccchi contatti e creandone di nuovi. Più tardi, un gruppo del Comando, formato da Osvaldo Contestabile (Osvaldo), da Luigi Massabò (Pantera) e da Lorenzo Semeria (Nenno) responsabile del SIM, partono per la valle di Diano onde ispezionare il Comando di Massimo Gismondi (Mancen), il quale è ricercato dai brigatisti neri e dalle SS tedesche con fotografia alla mano e per ristabilire i contatti con gli informatori di Pontedassio. Invece Giorgio Olivero [comandante della Divisione "Bonfante"] e Gustavo Berio partono verso altra direzione. 

Francesco  Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 19-22

 

2 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante", ai comandi delle Brigate dipendenti I^, "Silvano Belgrano", II^, "Nino Berio”, e III^, "Ettore Bacigalupo" - Comunicava che "...l'Intendenza della I^ Brigata si appoggerà al C.L.N. di Albenga... Il servizio S.I.M. divisionale sarà ridotto a tre soli elementi e ad una staffetta...".
3 gennaio 1945 - Tribunale Militare tedesco - Copia della sentenza di condanna a morte per i garibaldini Lionello Menini (Menini), comandante del Distaccamento "Bacigalupo" della I^ Zona Operativa Liguria ed Ezio Badano (Zio), G.B. Valdora (Ferroviere) e Lorenzo Gracco della II^ Brigata "Sambolino" della Divisione d'Assalto Garibaldi " Gin Bevilacqua" operante nella II^ Zona Operativa Liguria.
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini.
3 gennaio 1945 - Dal comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio Bonfante" a tutti i reparti dipendenti - Comunicava che "la zona in cui si opera è di immediato retrofronte, per cui serve gente convinta, mettendo al bando ogni forma di disfattismo. Occorre reagire agli atti di vandalismo del nemico".
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Ettore Bacigalupo” - Direttiva: "Occorre provvedere, nei paesi in cui non vi sono garibaldini, ad inquadrare i giovani nelle squadre di riserva locali. Queste dovranno sorvegliare i passi durante la notte. Si ricorda che l'adesione ha carattere volontario. Il comando di tali squadre spetta al vice comandante di Brigata".
3 gennaio 1945 - Da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] a Simon [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona Operativa Liguria] - Relazione sulla visita fatta alla Divisione Bonfante.
3 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria a Simon - Comunicava che "qualche elemento della Divisione Bonfante si è presentato ai tedeschi, guidandoli in qualche azione di rastrellamento".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

lunedì 31 agosto 2020

Il partigiano Lionello Menini, protagonista della battaglia di Montegrande


La croce di vetta del Monte Grande - Fonte: Monti Liguri

Nei primi giorni di settembre 1944 nella I^ Zona Liguria i comandi partigiani avevano già predisposto tutte le loro formazioni per attaccare i principali centri della costa, come supporto ad un attacco alleato proveniente dalla Francia: questo era dato già per avvenuto da Radio Londra, che il 1 settembre trasmetteva: "truppe alleate sono già a 8 Km oltre frontiera in territorio italiano. Le prime formazioni partigiane hanno preso contatto con gli alleati..." (così in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977).
Purtroppo la notizia si dimostrò falsa e i partigiani dovettero lottare per altri 8 mesi.
Le formazioni tedesche e fasciste, appurata la non veridicità della notizia appena descritta, organizzarono una ennesima operazione di rastrellamento ai danni dell'estremo ponente ligure: l'obiettivo era quello di accerchiare i partigiani attaccando dalla Val Prino e dalla Valle Argentina.
I garibaldini, venuti a conoscenza del piano d'attacco tedesco, appurarono che la forza nemica era enorme: circa 8.000 unità.
L'azione a vasto raggio coinvolse la I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" e la IV^ Brigata "Elsio Guarrini"della II^ Divisione "Felice Cascione", che aveva la propria sede comando nel bosco di Rezzo (IM).
Il giorno 4 settembre [1944] i soldati tedeschi e fascisti, avanzando da varie direttrici, "si spingono su Borgomaro, occupano la zona di Moltedo, raggiungono il paese di Carpasio e dilagano nella vale di Triora. Da Pieve di Teco si spingono su Pornassio e su San Bernardo di Mendatica" (Francesco Biga, Op. cit.).
Alle 5 del mattino del giorno successivo iniziò l'attacco nazifascista. Il passo Teglia fu il teatro dove caddero i primi garibaldini. Conquistato anche il Monte Grande, i tedeschi obbligarono i partigiani a ripiegare.
Il comando della Divisione prese allora una decisione rischiosa ma necessaria: attaccare il Monte Grande [prossimo a San Bernardo di Conio, Frazione del comune di Borgomaro (IM)].
"Mancen" Massimo Gismondi fu prescelto per questa rischiosa azione. Accompagnato da altri 12 garibaldini, riuscì a risalire il ripido pendio e prendere alle spalle i nazisti che, colti di sorpresa, fuggirono lasciando armi e munizioni sul luogo.
L'obiettivo garibaldino era stato centrato. In questo modo si poteva procedere allo sganciamento degli uomini, all'occultamento del materiale bellico e delle salmerie, in ciò anche con l'aiuto di una situazione meteorologica favorevole.
Il giorno successivo gli 8.000 tedeschi non trovarono, pertanto, i garibaldini. Questi si erano nascosti nel territorio che conoscevano bene.
Così terminò il grande rastrellamento, che aveva tuttavia causato la perdita di dieci vite tra civili e partigiani.
Cessata la tempesta, il Comando Divisionale tornò nel bosco di Rezzo a riorganizzare le proprie fila.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Il 4 settembre  del  44,  al  mattino  presto era arrivato dalla strada di Andagna un “prete“, cioè un  uomo vestito da prete, ed era stato fermato da tre partigiani della postazione di guardia e  accompagnato al Comando di Distaccamento, a Passo Teglia di Fenaglia, dove il comandante era Germano Belgrano (Giuda) e il Commissario era Bruno Brilla (Padoan), fratello maggiore di  Francesco. Poi  il  prete  veniva  trasferito  ulteriormente  al Comando di  brigata che si trovava a S. Bernardo di Conio sul piazzale. Lì sostavano Nino Siccardi (U Curtu), Carlo Farini (Simon), Silvio Bonfante (Cion) e il “prete” subiva uno stringente interrogatorio. Non essendo emerso nulla di compromettente, era rilasciato e riaccompagnato a Passo Teglia, quindi veniva considerato un vero prete. Nel pomeriggio  costui  essendo  sostato  a  Passo  Teglia, aveva parlato nuovamente con Bruno Brilla e gli altri partigiani di sorveglianza, potendo quindi osservare bene  dove  era  situato il  posto  di guardia del Comando di distaccamento. In realtà il prete era una spia; non scoperto, aveva informato dettagliatamente i tedeschi  della collocazione del posto di blocco a Passo Teglia. Occorre precisare che due giorni prima erano arrivati circa una quarantina di ex Sanmarchini (gruppo Menini) con  i  mortai  a  rimpinguare  il  raggruppamento  ed  una  ulteriore  ventina  di  partigiani  venivano  mandati a posizionarsi in questo distaccamento di Passo Teglia. Bruno Brilla per prudenza non ambiva dormire con i nuovi arrivati nel casone, preferiva  dormire  fuori,  all’aria  aperta  nonostante le incipienti notti fresche, riparato precariamente sotto un carro. Al mattino, alle ore cinque e trenta sentiva con stupore una breve raffica di machine pistole, armi simili non erano assolutamente in  dotazione  ai  partigiani. Infatti era accaduto che una pattuglia di tedeschi, conoscendo il luogo della postazione di guardia  (rivelata  dal  finto  prete)  erano  arrivati in pieno silenzio e avevano eliminato i tre partigiani di guardia. Padoan dava immediatamente l’allarme a tutti i ribelli presenti, che si mobilitavano rapidamente; inoltre mandava subito una staffetta a Conio al Comando Brigata per comunicare che la zona era infestata dai tedeschi. Sede ANPI di Imperia Oneglia, 31 Ottobre 2017, intervista a Francesco Brilla
Marina Siccardi, figlia di Nino Siccardi “U Curtu”, Comandante della I^ Zona partigiana Liguria. in ANPI Resistenti, ANNO XII N° 1 - aprile 2019, di ANPI Savona


[...] Dice Wan Stiller [Primo Cei, già commissario di squadra della I^ Brigata "Silvano Belgrano della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]: "alla prima raffica eravamo rotolati giù, lungo il pendio, ma Cion (Silvio Bonfante) in piedi, aveva individuato sul Monte Grande i tedeschi, quindi aveva iniziato a sparare e li aveva impegnati subito con raffiche continue. Nel frattempo aveva chiamato Lionello Menini (Menini), comandante (1) dei mortaisti (erano degli ex Sanmarchini) che Cion aveva reclutato soltanto due giorni prima a Chiappa e a Molino Nuovo (Andora). Li aveva convinti a passare dalla  nostra  parte, questi ex  marò avevano due  mortai da 81 in dotazione. Cion interpellava il comandante degli ex soldati dicendo: fammi vedere cosa hai imparato durante l’addestramento in Germania! Menini aveva due  squadre, una di tre e una di  quattro militi che utilizzava per piazzare i due mortai nel declivio della collina. Sopra la collina c’era e c’è tutt’ora una chiesetta. I mortai dovevano essere piazzati in  posizione asimmetrica, uno sottostante all’altro, ma non sulla stessa verticale perché le vibrazioni del primo avrebbero disturbato la stabilità del secondo. Il terreno era scosceso, umido e scivoloso, ma Menini, da provetto esperto riusciva a creare con la zappa due  piattaforme piane, rinforzate verso valle con sassi e terra;  il bipiede del mortaio aveva una staffa con l’incastro per bloccare il mortaio quando rinculava. Venivano apprestati due gradini, uno sopra e uno sotto. Quello inferiore più avanti per non far scendere l’arma. I mortai erano privi del telemetro e si avvalevano di due bastoncini alti 1 metro, (le cosi dette paline) dipinti con anelli bianchi e rossi per traguardare l’oggetto  da  colpire. Il proiettile doveva essere sparato in linea retta tra la prima e la seconda palina. Menini per la prima prova aveva messo una carica supplementare per evitare errori e per valutare eventuali modifiche  da  apportare.  Eseguivauna  prova  supplementare  per i due mortai e iniziava a sparare sul nemico contemporaneamente al fuoco di Cion. Quattro partigiani erano dedicati ad un mortaio e quattro all’altro. Menini aveva magistralmente stabilito l’esatta in-clinazione della canna del mortaio,  poi ordinava: Spara!  Spara!  Si  avvertiva  così  uno  sparo  dopo  l’altro, sia del primo che del secondo mortaio in sequenza.  Quindi  nell’aria  potevano  esserci  contemporaneamente anche due o tre proiettili a seconda dell’aumento della carica. I tedeschi sorpresi  dagli scoppi  arretravano subito,  quindi bisognava aumentare potenza e gettata per allungare il tiro. Menini controllava sempre con i binocoli  la  lunghezza  e  le conseguenze del  tiro.  I tedeschi erano sconcertati, sbigottiti perché non immaginavano che  i  partigiani  potessero avere due mortai in dotazione e che fossero così precisi nei colpi sparati. Tutto avveniva in brevissimo tempo, e vista la situazione favorevole Cion pro-nunciava risolutamente la frase: ragazzi bisogna andare lassù... [...] Gli impavidi componenti delle squadre erano: Giobatta Acquarone (Fulmine), Attilio Alquati (Alquati),  Giuseppe Bergamelli (Gnek), Mario Longhi (Brescia), Primo Cei (Wan Stiller), Carlo Cerrina (Cigrè), Felice Ciccione (Felì), Bartolomeo Dulbecco (Cristo), Alfredo Giovagnoli (Alfredo il toscano), Calogero Madonia (Carlo siciliano) e Silvio Paloni Ruman). Non dovevano intralciarsi o rischiare di spararsi addosso pur essendo oggetto di tiro nemico dall’alto: se si saliva troppo velocemente c’era anche il rischio di essere colpiti dalla mitragliatrice e dai  mortai,  che  a  loro  volta  sparavano  sulla  cima. Quindi le due squadre di assalitori potevano in caso di sfortuna essere colpite dal basso (fuoco amico), ma Cion e Menini calcolavano bene e prudentemente il dislivello tra i partigiani in basso e il nemico in alto. Tenevano anche conto dei rapidi spostamenti partigiani che balzavano verso l’alto, inoltre le due squadre di 6 e 7 uomini si alternavano nella corsa anche di traverso. Quindi si incrociavano, anche se in tempi diversi, sulla  stessa  porzione  di monte: avevano perciò un occhio rivolto verso il nemico e contemporaneamente un occhio all’amico. I tedeschi sparavano verso il basso e solo verso i partigiani arrembanti. Conta delle armi dei partigiani nell’episodio: due mortai di Menini, Machine Gaver di Alquati, Machine Gaver di Brescia (che morirà a Ginestro vicino a Testico nel gennaio 1945). Presente alla lotta partigiana in un altro distaccamento, vi era anche il comandante Umberto Bonomini  (Brescia), che non va confuso con questo Brescia, cioè Mario Longhi. La battaglia durava più di due ore, con il risultato positivo di nessun ferito fra i partigiani. Menini con i mortai aveva fatto una sola prova, poi col binocolo vedeva i tedeschi che si allontanavano terrorizzati, allora aumentava la carica supplementare per il prolungamento del tiro. Forse aumentava anche il peso della carica. Tutto avveniva molto velocemente, come arma ulteriore Alfredo il toscano utilizzava un mitragliatore Saint Etienne. I partigiani salivano a zig-zag contro il sole. Gli ufficiali tedeschi venivano dalla scuola militare e  comandavano dei soldati ben addestrati. I partigiani si capivano con gli sguardi; Franco Bianchi (Stalin) e Massimo Gismondi (Mancen) avevano due mitra, fucili semiautomatici catturati ai tedeschi. Silvio Bonfante (Cion) era stato un seminarista ad Albenga, Stalin [Franco Bianchi] infermiere marinaio, Brescia soldato, Alquati soldato, Wan Stiller studente, Mancen camallo ad Oneglia. Anche un partigiano, forse Giuseppe Cortellucci (Carabinè), girava a Ruggiu, al passo della  Mezzaluna vestito da carabiniere; se lo prendevano lo uccidevano subito. La grande vittoria con la fuga dei tedeschi era maturata per la notevole bravura di Menini e dei suoi uomini; altresì grande era stata la fiducia, non gli  ordini  di Cion,  ma complici risolutivi solo gli sguardi. [...]
Questa è stata la testimonianza di Wan Stiller che io ho avuto l’occasione di raccogliere. Diano Marina 30 Ottobre 2017.
Marina Siccardi, figlia di Nino Siccardi “U Curtu”, Comandante della I^ Zona partigiana Liguria, in ANPI i resistenti, ANNO XII N° 1 - aprile 2019, di ANPI Savona
 
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini (1).
3 gennaio 1945 - Tribunale Militare tedesco - Copia della sentenza di condanna a morte (1) per i garibaldini Lionello Menini, Ezio Badano, G.B. Valdora e Lorenzo Gracco.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II 

(1) Lionello Menini, nato a Chatillon (AO) il 25 ottobre 1922 (nella sentenza di morte del comando tedesco Lionello Menini risulterebbe essere nato a Siena il 25 ottobre 1919), figlio di un capostazione di Torino; è arruolato e mandato in Germania per l’addestramento. Terminato il periodo, è destinato con i suoi commilitoni in Liguria, a Laigueglia. In terra tedesca aveva appreso il vero volto del fascismo; appena rientra in Italia, come molte altre giovani reclute, ipotizza di unirsi alle formazioni partigiane. Ai primi di giugno è avvicinato dai fratelli Scarati, già attivi nella Resistenza, collegati alla “Volante” di Massimo Gismondi “Mancen” e di Silvio Bonfante “Cion”. Intravvista la possibilità di abbandonare le forze fasciste, abbraccia la lotta resistenziale. A luglio 1944 è nella squadra d’assalto del Distaccamento “Viani”, e, dopo aver partecipato a numerose azioni, tra cui la battaglia di Pievetta (CN), viene promosso capo distaccamento.
Il 17 agosto 1944 è protagonista di un conflitto a fuoco ad Ormea contro i blindati tedeschi; il 5 settembre è a Montegrande nel distaccamento “Bacigalupo”, laddove l’azione dei mortaisti di cui è a capo, è determinante per aprire un varco tra le file nazifasciste, da cui defluiscono i partigiani. A fine dicembre Menini, ammalato, è ad Armo, in Alta Valle Arroscia, dove è dislocato un nucleo partigiano dell’Intendenza Divisionale.
Su indicazione di una spia il mattino del 31 dicembre un centinaio di tedeschi provenienti da Pieve di Teco investono la zona. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri (tra cui tre austriaci disertori) cadono prigionieri. Menini riesce a far fuggire due suoi uomini, esponendosi all’arresto. Portato al comando di Pieve di Teco è riconosciuto come capo partigiano. Dopo tre giorni di percosse e un processo farsa in cui confessa di essere partigiano, è emessa per lui e per altri tre partigiani della II^ Brigata d’assalto “Sambolino” Divisione Garibaldi “Gin Bevilacqua” operante nella II^ Zona ligure (due savonesi: G.B. Valdora “Ferroviere” e Ezio Badano “Zio”, e un veneto Lorenzo Gracco) la sentenza di morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo Commissario, Giuseppe Cognein, per informarlo che gli austriaci avevano parlato e che non era dispiaciuto di morire per una causa giusta. L’esecuzione ha luogo il 3 gennaio 1945 al Prato San Giovanni.
Lionello Menini va incontro alla fucilazione cantando la canzone “La guardia rossa”. A lui viene intitolato un Battaglione della Brigata “Nino Berio” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Proposta alla memoria di Lionello Menini  la medaglia di bronzo con la seguente motivazione: “Fatto prigioniero dai Tedeschi durante un colpo di mano contro l’Intendenza Divisionale, essendosi attardato sino all’ultimo a dare ordini, si comportava sino alla sua ultima ora con la serenità dei forti, non smentendo la sua condotta da partigiano che lo aveva elevato a stima di tutti. Oltraggiato e seviziato, non mancò mai di incoraggiare i suoi compagni di sventura. Portato al luogo dell’estremo supplizio, attraversava la via di Pieve di Teco con la testa fieramente eretta, cantando le nostre canzoni. Avvicinato nella prigionia da elementi fidati, inviava informazioni utilissime. Lo stesso nemico ne elogiò la condotta. Pieve di Teco (Imperia) 30-12-1945"
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011