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martedì 18 gennaio 2022

I partigiani, in Molini, bloccano tutte le strade e i bar

Una vista da Triora (IM), zona Cabotina, su Corte e Andagna, Frazioni del Comune di Molini di Triora - Fonte: Mapio.net

I tedeschi operavano periodiche e forti puntate verso l'interno della montagna.
Nel periodo [n.d.r.: fine aprile 1944] in cui la situazione nemica era quella sopra descritta, a «La Goletta» vi erano poco meno di trenta uomini.
Possedevano il seguente armamento: due mitragliatrici «Fiat»; un mitragliatore «OTCIS» (greco); una trentina di fucili; sessanta bombe a mano tedesche a lungo manico e una trentina di bombe a mano italiane; 5.000 colpi per mitragliatrici; 52 caricatori per mitragliatori; una media di quaranta colpi per ogni fucile; un mortaio da «45» con diverse casse di bombe per mortaio.
Il gruppo di Vittò [n.d.r.: "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] disponeva pure dei forti di Marta, dove vi erano depositi di bombe e munizionamento vario: materiale il quale, però, poteva essere preso solo quando i tedeschi non andavano essi stessi nella detta località.
Come si può dedurre da quanto sopra esposto, le modeste forze partigiane erano circondate da tutte le parti da forze di gran lunga preponderanti.
Per i partigiani l'ordine e il programma erano: «Eliminare con ogni mezzo il nemico, catturare il suo materiale e le sue armi, e sparire senza lasciar traccia».
II giorno seguente a quello dell'arrivo di Erven [n.d.r.: Bruno Luppi] e di Marco [n.d.r.: Candido Queirolo] a «La Goletta», dietro suggerimento di Erven vengono date istruzioni circa l'uso e la manutenzione delle armi e per una nuova organizzazione del gruppo (nomi di battaglia e suddivisione in squadre).
La sera del giorno stesso, anzi già a notte fatta, viene compiuta una prima azione contro i carabinieri di Triora. Vi partecipano Vittò, Erven, Tento, Marco, e quasi tutti gli altri partigiani del gruppo (fra cui «Serpe» [n.d.r.: Isidoro Faraldi, in seguito comandante del 1° Distaccamento del II° battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata], «Luciano», «Guido di Creppo» e «Guido di Cetta»).
In tutto sono circa una ventina; comandante del gruppo è Vittò.
I carabinieri, sorpresi nel sonno, vengono disarmati delle armi pesanti; si lasciano ad essi le pistole e le anni individuali.
I carabinieri sono lasciati nella caserma, con l'impegno, da parte loro, di lavorare alle dipendenze dei partigiani; il podestà di Triora viene ammonito, perché non proceda a requisizioni di bestiame o a dare esecuzione a ordini della repubblica fascista.
Alla sera il gruppo rientra a Cetta, dove i partigiani hanno il recapito presso la padrona dell'osteria, una donna chiamata «La Devota», che i partigiani, però, chiamavano «mamma», per l'aiuto che ne ricevevano (specialmente acquistavano da lei generi con tessere prese in azioni varie).
Molti sono i rischi che questa donna affrontò per aiutare i partigiani.
Si tenta poi un'azione contro gli uomini che sono di posto nelle casermette al Colle della Melosa. I partigiani, da una vedetta civile di Cetta, sono informati che circa 80 tedeschi percorrono la strada del Colle della Melosa, diretti verso la zona di Marta. Si portano sul posto, per assalirli; ma, valicata la cresta montana, si trovano a poca distanza dai tedeschi, su un pendio spoglio, battuto dai raggi lunari. Essendo impossibile la sorpresa, devono rinunciare all'azione, data l'enorme sproporzione di forze; e si ritirano incolumi.
A un certo punto, negli uomini di Vittò e di Tento vi è un momento di crisi, a causa delle difficili condizioni di vita. Alcuni, capeggiati dal partigiano Folgore, di 17 anni, genovese, vorrebbero trasferirsi in Piemonte, dove, a quanto si dice, la vita è meno scomoda. Ma uno solo va via, con un salvacondotto di Marco; gli altri si fermano, trattenuti anche da brevi parole di Erven, il quale fa capire come in Piemonte, per i partigiani, vi siano disagi e rischi non meno che in Liguria.
Il giorno stesso i partigiani si recano verso Realdo, per tentare una imboscata contro i tedeschi che, ingenere, salivano tutti i giorni al paese; ma quella volta, per caso, non salgono. I partigiani acquistano viveri in Realdo e in Gerbonte, e poi ritornano alle loro sedi.
Poco dopo, anzi il giorno successivo a quello della puntata in Realdo, i partigiani preparano un'azione contro la postazione «B8», situata sulla strada Andagna-Rezzo.
Alla «B8» vi sono undici uomini, di cui nove sono fascisti (militari dell'esercito di Salò) e due tedeschi. Intorno alla postazione vi è un campo minato, e vi sono cavalli di frisia.
L'azione avviene forse nei primi giorni del maggio 1944, o verso la fine di aprile. Vittò, Erven, Tento e Marco sono ancora tutti insieme.
In Molini «arruolano» Figaro. Entrano da un barbiere, per avere indicazioni. Il barbiere è Figaro (Vincenzo Orengo), che si aggrega ai partigiani, e se ne andrà insieme con loro. Figaro diventerà poi comandante del Battaglione «Mario Bini» (1° Battaglione della V Brigata).
I partigiani, in Molini, bloccano tutte le strade e i bar, per catturare i militari fascisti o tedeschi in libera uscita. Trovano solo un sergente della «B8». Da lui, Erven, Tento e Marco si fanno condurre alla «B8», mentre altri partigiani, rimasti in paese, prendono carte annonarie e materiale che i borghesi, dopo l'8 settembre, avevano sottratto alle caserme.
Quando i partigiani arrivano in prossimità della «B8», Folgore chiede di andare avanti agli altri. Va, tenendo due pistole puntate contro le spalle del sergente. Il sergente e Folgore arrivano a ridosso dei cavalli di frisia, ma non sentono l'alt della sentinella; entrano, mentre dietro a loro si precipitano anche gli altri partigiani. Trovano la sentinella addormentata, la disarmano, sfondano la porta, e catturano i restanti uomini della postazione. In tutto sono catturati 8 soldati repubblichini, più il sergente sorpreso in Molini, più due tedeschi.      
I partigiani, quindi, caricano il bottino di armi, munizioni, viveri e materiale da casermaggio su sei muli, appositamente requisiti in Andagna; poi portano il materiale e gli uomini a «La Goletta», dove arrivano in mattinata, essendo l'azione, comprese le marce, durata tutta la notte. «La Goletta», come si può capire anche da precedenti note, è una località a picco su Loreto.
Nella stessa giornata i partigiani decidono sulla sorte dei prigionieri; mancando vitto e altri mezzi, poiché i prigionieri non risultano responsabili di fatti gravi, vengono rimessi in libertà; ai tedeschi si dànno L. 100 a testa, e si lasciano andare; gli altri, quasi tutti studenti e quasi tutti lombardi, vengono vestiti con gli abiti laceri dei partigiani, i quali prendono quelli dei militari, vengono fomiti di carta di identità, e lasciati liberi, perché tornino alle loro famiglie.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 278-280
 
Nella notte sul 12 corrente, nel Comune di Triora, tre sbandati costringevano, sotto la minaccia delle armi, l'esercente della rivendita generi di monopolio Caprile Leonardo a consegnare loro tabacchi e cerini per l'importo di £. 1275, da essi rimborsato.
[...] Viene segnalato che gruppi di ribelli dai baraccamenti di "Cima Marta" e "Monte Grande" si sono spostati verso "Bregalla" e "Cetta", occupando case dei contadini della zona. Tali gruppi sarebbero comandati da un ex sergente maggiore, certo ZENTA [n.d.r.: Tento] Pietro, già appartenente alla G.A.F. del sottosettore di Triora.
[...] Fonte sicura segnala che preponderanti forze di ribelli, suddivise in bande di 30 uomini ciascuna, trovansi distaccate nella zona campestre tra Pigna, Cima Marta, Colle Ardente, Monte Saccarello - Molini di Triora. Il loro numero sarebbe di circa 2000. Sono armati di armi automatiche (mitragliatrici e fucili mitragliatori), di mortai da 45 e da 81, di mitra, di moschetti e di bombe a mano.
La dotazione di ogni banda sarebbe di una mitragliatrice con 1000 colpi, di due mortai da 45, con circa 50 granate e di un fucile mitragliatore con circa 1000 colpi. La dotazione individuale sarebbe di un fucile o moschetto con 5 o 6 caricatori e di tre bombe a mano.
In località Goina, in valle del Capriolo, frazione di Triora, si troverebbe una banda comandata da 3 ex ufficiali, che presidia le località di Verdeggia, Carneli e Realdo.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 15 maggio 1945

martedì 21 aprile 2020

Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti



Nei giorni successivi all'attacco tedesco del 4 ottobre 1944 a Pigna (IM), i nemici avanzarono in direzione di Collardente e Buggio, Frazione di Pigna.
Vitò Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", perduto il controllo dei paesi vicini alla vecchia frontiera italo-francese, individuò Triora quale centro di un nuovo schieramento.
Il 12 ed il 13 ottobre riprese l'inseguimento da parte dei nazisti, che entrarono in Triora (IM), Alta Valle Argentina, costringendo i partigiani a sganciarsi verso Piaggia [oggi Frazione di Briga Alta (CN)].
"Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza, comprendenti circa 350 garibaldini": così in Francesco Biga [Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977].
Piaggia rappresentava l'ultimo disperato tentativo, data la superiorità in termini di effettivi e di armamento, dei tedeschi, di formare una linea di difesa.
Il 14 ottobre 1944, avendo raggiunto Ormea (CN), i tedeschi si avvicinarono.
Da Piaggia partirono alcuni Distaccamenti con l'intento non riuscito di bloccare il nemico.
Il 15 i tedeschi raggiunsero Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN), Alta Val Tanaro], avvicinandosi alquanto alla sede del comando partigiano, che decise allora di portarsi a Pieve di Teco (IM) per poi raggiungere Caprauna (CN).
La notizia che i nazisti avevano già raggiunto Case di Nava [Frazione di Pornassio (IM)] costrinse i garibaldini a cambiare direzione.
Nelle parole di Francesco Biga, Op. cit., "rapidamente l'indispensabile di documenti, di armi viene caricato sui muli; il materiale ingombrante viene seppellito, nascosto, disperso".
Lo spostamento dei partigiani avvenne di notte verso Upega [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta poche ore dopo: non fu ancora questa la meta prefissata, per cui gli esausti partigiani furono obbligati ad un'altra ora e mezzo di cammino, diretti a Carnino [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta alle 9 del 16 ottobre 1944.
L'illusione di un periodo di tranquilllità fu subito vanificata il giorno successivo dall'eco dei mitragliatori tedeschi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Alla metà di ottobre un grande rastrellamento nazifascista culmina nella battaglia di Upega, al confine fra Liguria e Piemonte. Un piccolo gruppo di partigiani impegna le forze nemiche mentre il grosso delle formazioni garibaldine, diviso in piccole unità, riesce a filtrare fra le maglie delle truppe tedesche e a rifugiarsi in territorio piemontese.
1944 - Le Repubbliche Partigiane

Giorni di inferno e di terrore, senza cibo, senza asilo, sotto la pioggia, i partigiani si aggirano nei boschi cercando una via per uscire dal cerchio, evitando le mulattiere e i sentieri perché vi passa il nemico, e nel bosco si può averlo di fronte a dieci metri, all'improvviso. Triste è in modo particolare la situazione di quegli ex nemici della Divisione San Marco che erano passati alle formazioni garibaldine. Essi vedono il bosco per la prima volta e non sanno dove dirigersi e non hanno chi li guidi. Coi fuggiaschi si sparge la notizia della tragedia. I tedeschi ripetono: "Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti"... Dunque, eseguendo le disposizioni emanate da Simon [n.d.r.: Carlo Farini, in quel periodo ispettore della provincia di Imperia, inviato dal Comando regionale per la coordinazione dei servizi militari partigiani], mentre era gravemente malato, il Comando della II^ Divisione Cascione e le Brigate I^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvio Belgrano", formata il 20 luglio 1944] e V^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", formata il 25 luglio 1944] si mettono in marcia la sera del 17 ottobre 1944 per raggiungere il basso cuneese, attraverso il passo del Bochin d'Azeo sul Mongioie.
Inizialmente si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora all'altra la ritirata delle due Brigate, per cui nella notte si riprende la marcia.
Francesco Biga, U Cürtu. Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2001

Drammatica fu invece la ritirata della Divisione "Felice Cascione" dalla Liguria al Piemonte, in seguito ai rastrellamenti dell'ottobre 1944. Nei primi giorni del mese i partigiani liguri si concentrarono a Upega, poi a Carnino e la sera del 17 ottobre ripiegarono su Viozene; quindi passarono il Mongioie per arrivare a Fontane in una lunga e durissima traversata, compiuta di notte, sulla neve ed in condizioni fisiche e psicologiche estreme. Nel frattempo circa 200 tra SS e Alpenjager attaccarono il comando di Upega, dove morì il vicecomandante "Cion" suicida per non farsi prendere vivo dai nemici.
Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo 

Il 17 ottobre 1944 rappresenta una delle pagini più tristi della storia della resistenza imperiese.
Quel giorno persero la vita i valorosi comandanti partigiani Libero Briganti (Giulio) e Silvio Bonfante (Cion).
Il comando partigiano, trasferitosi momentaneamente ad Upega, paese scarsamente indicato per la guerriglia data la sua ubicazione nel fondo valle, venne attaccato nel primo pomeriggio del 17 ottobre 1945 dai tedeschi che si erano infiltrati nel bosco.
Briganti, commissario della II^ Divisione, cadde al fianco di "Curto", Nino Siccardi, il comandante della II^ Divisione, drammaticamente impossibilitato a fare alcunché.
I garibaldini stavano tentando di proteggere la ritirata ai feriti.
Tra questi c'era anche "Cion", che per non cadere vivo in mano ai nemici, si uccise, sotto gli occhi della madre, con un colpo di rivoltella.
Altri garibaldini caddero sotto il tiro delle armi tedesche; il bilancio fu disastroso: le perdite, tra morti e feriti, ammontavano ad oltre venti uomini.
I nazisti con l'uccisione di "Cion" si illusero di avere distrutto l'organizzazione partigiana.
Rocco Fava, Op. cit.

Inizialmente si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora all'altra la ritirata delle due brigate, per cui nella notte si riprende la marcia.
La V^ brigata è in testa, col suo comandante Vittorio Guglielmo [Vitò o Vittò o Ivano,  Giuseppe Vittorio Guglielmo, in quel momento comandante della V^ Brigata, da dicembre 1944 comandante della II^ Divisione], e marcia per prima nella notte oscura.
Lunga e faticosa è la salita fino al passo, di cenare non se ne parla. Rezzo, Piaggia, Upega, Carnino [Briga Alta (CN)], Viozene, Bochin d'Azeo [o Bocchino d'Aseo]: i paesi della ritirata della I^ brigata, più numerosi di quelli della ritirata della V^.
Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.

Dopo i dolorosi fatti di Upega, il grosso della I^ e della V^ Brigata si diresse a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN).
"Magnesia" [Gino Glorio, poco tempo dopo amministratore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] annotò nel suo diario, riportate in Francesco Biga, Op. cit., le seguenti impressioni: "d'un colpo il nemico si libera di noi: tre giorni ed il paziente lavoro di mesi è distrutto; l'opera tenace di gregari, di capi, i collegamenti, le informazioni, il servizio logistico, gli uomini, il materiale, tutto quello che era la Divisione "Felice Cascione", tutto è disperso; 650 eravamo a Piaggia, ora appena 300 sono gli uomini che salgono le pendici del Mongioie. Così per la V^ Brigata. Gli altri sono là in Liguria, dispersi, affidati alla sorte, senza notizie dei compagni, senza che i compagni sappiano nulla di loro".
Dopo qualche chilometro i partigiani incontrarono la neve, che si faceva via via sempre più profonda a costiture un vero e proprio calvario.
Per giunta non solo tutti i partigiani erano già stremati dagli scontri, ma molti di loro erano vestiti con abiti di recupero e tanti erano addirittura scalzi.
Le salmerie si rifiutavano di avanzare.
Il morale dei garibaldini era sotto zero come la temperatura circostante.
Rocco Fava, Op. cit.

La salita è aspra e faticosa, le soste sempre più frequenti, il clima sempre più rigido. Il peso dello zaino e dell'arma durante la marcia fa sudare, stanca; basta fermarsi pochi minuti perchè il vento notturno geli il sudore, intirizzisca; ciò nonostante la colonna si ferma sempre più spesso, sempre più a lungo.
Durante la marcia si propaga la notizia della morte di Cion [Silvio Bonfante, vice comandante della II^ Divisione] e di Giulio [Libero Remo Briganti, commissario politico della II^ Divisione] .
Esclamazioni di furore rispondono al racconto del garibaldino superstite da Upega che ha confermato la notizia tanto temuta. La triste notizia si propaga lungo la numerosa fila di armati portando lo scoramento in quegli uomini che idolatravano i loro capi.
Testimonia un garibaldino: "La neve si fa più alta, seguiamo in silenzio la guida che si è offerta di accompagnarci fino al passo. Voltandomi mi è dato di vedere una scena che non scorderò mai più: una interminabile fila di uomini che avanzano serpeggiando sul fianco della montagna arrancando a fatica, curvi sotto il peso delle armi; non sembravano neppure uomini, ma bensì spettri perchè non si udiva alcun rumore, nessuna voce che potesse far capire che non erano anime che venissero dall'aldilà".
Francesco Biga, Op. cit.

Scrisse [documento Isrecim] il partigiano Giovanni Rebaudo [Janò/Jeannot/Monaco], al riguardo della ritirata della V^ Brigata in Piemonte: "Visto che l'operazione di rastrellamento si stava estendendo su tutto il territorio dell'imperiese, tra gli altri, venne dato l'ordine al terzo distaccamento (V brigata) di ripiegare gradatamente verso le alture piemontesi, anche per convincere i nemici di avere sgominato le bande. Dopo diversi giorni di marcia in diverse tappe, passando per Cima di Marta, Gerbonte, Castagna, Monte Pellegrino, si arrivò a Viozene. Sperando di fermarci qui, requisimmo come nostri accantonamenti tutti i fienili. Ventiquattro ore dopo, mentre si attendevano notizie precise, giunse Vittò, comandante la V^ Brigata Nuvoloni, e si mise a capo della nostra colonna che si incamminò per l'altura verso il passo del Bochin d'Azeo sul Mongioie. Sapemmo così che la nostra meta era Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)], un paese nella provincia di Cuneo, nell'alta Val Corsaglia. Giunti quasi al passo ci fermammo un paio d'ore per riposare mentre si decise il servizio di guardia e chi doveva rimanere al passo per proteggere la marcia della V^ brigata verso Fontane. A mezzanotte la marcia riprese e il grosso raggiunse il paese verso l'alba. Al passo rimasero Vittò, Janò capo squadra, Domenico Siboldi (Spada), Antonio Allavena (Cuma), Emilio Arizzi (Penna), Giovanni Bonatesta (Vencu) e Silvio Lodi (Bersagliere), armati di due mitragliatori, oltre alle armi individuali. Allo spuntare dell'aurora, dopo una notte calma ma non fredda, si vide in lontananza, in fondovalle, il movimento di una colonna che ripercorreva la stessa strada fatta da noi la sera prima; erano i nostri del Comando Divisione e della I^ brigata, già accampati a Upega e a Carnino. Li guidava Curto [Nino Siccardi, in quel momento comandante della II^ Divisione, da dicembre 1944 comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Quando giunsero al passo, potemmo notare che erano reduci da una lotta e si visse un momento di commozione quando Curto, nella sua figura imponente, con il vestito di tweed strappato e sporco di sangue, si buttò nelle braccia di Vittò singhiozzando e poi quando ci disse che erano morti Cion, Giulio, De Marchi e alcuni altri. Nel raccontarci ciò, pur pacatamente, Curto non si vergognò di farsi vedere piangere. Mi rimase impresso quest'uomo che pur con lo strazio di chi vide uccidere i compagni davanti agli occhi, mantenne la calma e non ebbe odio disperato verso i nemici. Dopo un riposo di circa trenta minuti, si riprese la marcia verso Fontane, dove giungemmo a mezzogiorno, dopo aver superato mille ostacoli. Infatti, la neve è alta, i muli affondano fino alla pancia, dei sessantaquattro che seguono la colonna, tre muoiono congelati, molti vengono trascinati a braccia dai garibaldini attraverso le scoscese pietraie sulle quali non possono procedere da soli. La stanchezza è grande e le scarpe fradice fanno male. Quando la neve scompare, la colonna procede più rapida. Oramai il giorno 18 appare chiaro. Le castagne, che si possono raccogliere durante la marcia, vengono mangiate crude". Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.



Eccoli dunque come sono, da non conoscersi più così abbrutiti di fame di freddo e di fatica, quando arrivano di là nella Val Corsaglia: fanno proprio paura, malconci come sono.
Le bande ridotte in questo modo, crollano appena finita la neve nella prima erba dove comincia il prato sopra Fontane, perché finalmente gli alpiniager, finiti i colpi, se ne ritornano indietro nelle caserme in guarnigione.
Allora gli uomini si guardano in giro ancora intontiti: non ce la fanno più a camminare e non sentono manco più il freddo che morde; non gliene importa niente di niente al chiarore dell'alba nella sonnolenza di morte bianca buttandosi a terra, ma va in malora.
Nei giorni successivi con un po' di calma, i posti se li rifanno l'un dopo l'altro intorno, in quella valle di là, spartendoseli suppergiù coi badogliani per starci meglio.
Di qui dal Mongioje invece se li mantengono soltanto quelli della quarta brigata, scambiandoseli ogni tanto coi nazifascisti in rastrellamento permanente.
Ma tutti insieme i partigiani e i patrioti, allo stesso modo e nello stesso tempo al di qua e al di là del Mongioje, la pensano tutti uguale sul come fare a continuare la guerriglia.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 113
 
Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino. “Mauri”, che nello stesso periodo sta vivendo insieme le conseguenze della cattiva gestione della vicenda "Devic-Biondino", l'esplosione dei contrasti nell'Astigiano per il caso Scotti e l'inizio del dissidio con Pietro Cosa  per l'inquadramento delle loro brigate nelle formazioni autonome, sembra ormai aver adottato e accettato le disposizioni del comitato, rinunciando, almeno per il momento, alla creazione di un organismo fuori dai partiti del CLN. D'altra parte, il rapido procedere degli eventi crea un crescente fermento nelle formazioni partigiane del basso Piemonte.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-2013

Il 20 ottobre 1944 "Curto" con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
Rientrarono nelle fila Sandro Nuti (Scrivan), ferito in combattimento l'8 ottobre a Vessalico e salvato da un croato, poi passato nella Resistenza, "Natascia" [Ida Rossi, già infermiera nell'ospedale partigiano di Valcona] e "Carlo Siciliano" [Calogero Madonia].
La I^ Brigata "Silvano Belgrano" venne riorganizzata su 6  Distaccamenti.
I Distaccamenti erano i seguenti: "Giovanni Garbagnati" con commissario "Athos", "Angiolino Viani" con commissario "Gigi", "Giuseppe Maccanò" con commissario "Federico" [Federico Sibilla], "Filippo Airaldi" con commissario "Gomez" [Angelo Montaldo], "Ettore Bacigalupo" con commissario "Giuseppe" e "Giuseppe Catter" con commissario "Jacopo" [Vittorio Giordano].
Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell'VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l'incontro tra il comandante Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski) (1): "Curto" chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale "Curto" rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Francesco Biga sottolineava che "il colonnello Pompeo Colaianni (Barbato) dispose per l'invio di 200.000 lire e di numerose paia di scarpe... giungono lire 500.000 dal CLN imperiese per pagare i debiti contratti... il 31 ottobre, su ordine del comando divisionale, il vice comandante della V^ Brigata si porta a Mondovì per trattare con il cavaliere Battaglia, ricco industriale, il versamento di 5 milioni" [Caro Curto. La tua richiesta mi è giunta attraverso Antonio. I Tedeschi  non riusciranno mai a piegare la tua valorosa Divisione. Auguro che quando questa lettera ti raggiungerà, avrete già avuto notizie dei compagni feriti e della tua famiglia. Scrivo al battaglione di Boves, appoggiatevi ad esso. Cercheremo di darvi aiuto per le scarpe attraverso questa via. Non posso disporre che di L.100.000, perché i nostri bisogni sono preoccupanti e tu ben sai che gli amici <gli Inglesi> non sono generosi con noi, né di armi né di denaro. Altre 100.000 spero vi possano essere date, dietro mio ordine, dal battaglione Boves. Ricevi questo poco denaro con l'augurio dei nostri animi fraterni. Salutiamo i tuoi uomini e ti abbracciamo fraternamente. Barbato].
Rocco Fava, Op. cit.
(1) [...] l’arrivo del maggiore Temple rappresentava qualcosa di più: era arrivato tra noi un ambasciatore e un addetto militare del governo inglese e degli Alleati, era il riconoscimento ufficiale e tangibile della legittimità della nostra lotta; con lui diventavamo cobelligeranti. L.B. Testori, La missione Temple nelle Langhe, in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 159 - Nell'agosto '44 erano attive ben 4 missioni italiane, con 13 agenti italiani; 9 missioni britanniche con 16 agenti britannici; 13 italiani in missioni britanniche. In Piemonte, le comandava il maggiore "Temple", missione "Flap". Cfr. M. BERRETTINI, op. cit., p. 38. "Temple" (Neville Darewsky), classe 1914, ufficiale dell'esercito inglese, morì il 15 novembre 1944 in un incidente a Marsaglia (CN). Era stato paracadutato tra le formazioni di Mauri il 6-7 agosto 1944. Ebbe importanti incontri con il Cmrp; a lui si deve l’idea della costruzione dell’aeroporto di Vesime (AT); qui giunsero Stevens e Ballard, gli ufficiali dello Soe che lo sostituirono. Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, in “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

[...] Questa la situazione che determinò i fatti del 10 ottobre ’44, ed indusse i Comandi partigiani all’occupazione di Alba. Si dà poi per certo che il magg. Mauri personalmente sia stato sempre piuttosto alieno da una occupazione del presidio (tant’è vero che le due notti successive alla entrata in Alba i suoi uomini ebbero l’ordine di ritirarsi sulle posizioni di partenza, e così fecero; mentre di occupazione vera e propria si può parlare solo quando si decise di presidiare costantemente la città di giorno e di notte, in seguito a gravi perturbamenti nell’ordine pubblico). In ogni caso, una volta verificatasi la situazione di cui più sopra, secondo la testimonianza del Vescovo venivano a militare a pro della occupazione partigiana ragioni di vera e propria azione di polizia. Particolarmente chiarificativa al riguardo è una Relazione del comandante Mauri pubblicata nel volume del Generale R. Cadorna: «La Riscossa - dal 25 luglio alla Liberazione», Milano, 1949. Il presidio partigiano di Alba durò una ventina di giorni circa.
Ma intanto: «Il fronte sulla linea gotica - riprendiamo col maggiore Mauri - minaccia di stabilizzarsi. La Repubblica di Salò riprende fiato e lo riversa nelle trombe della sua velenosa propaganda. È bandita una nuova crociata anti-ribelli, la definiva, per distruggere per sempre il mal germe dei traditori. Domodossola già liberata dai partigiani è nuovamente caduta sotto la dominazione nazi-fascista. Ora è la volta di Alba. È facile capirlo. Le variopinte legioni neofasciste si concentrano verso Bra e Torino. Poi arriva l’ultimatum: "Sgombrate Alba o vi annienteremo". Rispondo: "Alba l’abbiamo presa e la terremo. Se in fondo al vostro essere è rimasto un briciolo di italianità dovreste vergognarvi di minacciare ancora, dopo tanti delitti, saccheggi ed uccisioni. Restate con la vostra vergogna senza nome; con noi sono tutti gli italiani e tutti gli uomini d’onore e di dignità». Allo stato delle cose la risposta non poteva essere diversa.
Nè mutò nel corso dei tre storici abboccamenti del 30 e del 31 ottobre, svoltisi a Barbaresco, al Mussotto e a Cinzano fra il Comandante partigiano Magg. Mauri con alcuni suoi collaboratori e, per pa rte repubblicana, il Commissario Straordinario per il Piemonte Zerbino accompagnato da alcuni gerarchi; intermediario Mons. Grassi [...]
Filippo Barbano, I fatti militari di Alba in alcuni documenti partigiani e repubblicani (10 Ottobre 1944 - 15 Aprile 1945), INSMLI, Milano, Il movimento di liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e documenti, novembre 1949, n. 3 -  gennaio 1950, n. 4
 
Mentre gran parte degli effettivi della I^ Brigata e della V^ Brigata, compreso il comando della II^ Divisione, erano forzatamente e momentaneamente trasferiti in Piemonte, per tre settimane rimase completamente isolata in provincia di Imperia la IV^ Brigata "Elsio Guarrini", la quale constava di 10 Distaccamenti per un organico complessivo di circa 600 uomini. In quel periodo subì diversi rastrellamenti: il 17 ottobre in località Ville San Pietro furono uccisi quattro partigiani; nell'attacco a Lingueglietta, frazione di Cipressa, del 28 ottobre rimasero uccisi 2 civili; due fratelli partigiani furono trucidati a Ceriana il giorno 29.
Rocco Fava, Op. cit.
 
Dal 4 al 6 novembre 1944 i garibaldini rifugiatisi a Fontane e dintorni dopo la tragica sconfitta di Upega lasciavano incolonnati le montagne del Piemonte per riprendere possesso delle valli liguri e proseguire la lotta fino all'agognata vittoria. I primi denari consegnati a Ramon [Raymond Rosso], da distribuire agli altri Distaccamenti della I e V Brigata della "Cascione" appena reinsediatisi dalle parti di Gazzo, Casanova Lerrone e altrove nei pressi, erano recati da Siro [Domenico Amari] per conto del CLN di Albenga (SV). Con solerte tempismo Siro provvedeva così le somme necessarie ad acquistare derrate alimentari per i combattenti della futura Divisione "Bonfante", al momento in condizioni di grave indigenza.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

Il 31 ottobre 1944 i comandi partigiani procedettero ad una ulteriore riorganizzazione.
Tra i più importanti cambiamenti si ebbe la nomina di Carlo De Lucis (Mario) a commissario della II^ Divisione, che subentrò allo scomparso Libero "Giulio" Briganti, e quella di Agostino Bramé (Orsini) a commissario della V^ Brigata.
Rocco Fava, Op. cit.

lunedì 24 febbraio 2020

La battaglia partigiana del 10 giugno 1944 intorno a Badalucco

Fonte: Strato, Op. cit.
In Badalucco [(IM)], intorno alla fine del maggio 1944, vi era stata una dura battaglia, illustrata - per ragioni varie - nella parte di questo libro specialmente dedicata al circondario di Imperia.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Alipio Amalberti [zio materno del comandante partigiano Pietro Gerolamo Girò/Gireu/Giraud Marcenaro e della staffetta Sergio Marcenaro: ...le ritorsioni erano molto dure, come nel caso di Alipio Amalberti, zio materno di Girò, che per aver gridato in un bar di Vallecrosia "Viva la Francia" venne dapprima schedato e successivamente costantemente perseguitato, fino a essere fucilato per ritorsione dopo essere stato preso come ostaggio. Renato Plancia Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007], nato a Soldano l'11 febbraio 1901... Già nelle giornate che seguirono l’8 settembre metteva in piedi un’organizzazione per finanziare ed armare i gruppi che si stavano formando in montagna insieme a Renato Brunati e Lina Meiffret. Arrestato il 24 maggio 1944 e tenuto come ostaggio, in quanto segnalato più volte come sovversivo, venne fucilato a Badalucco il 5 giugno 1944 come ritorsione ad un'azione del distaccamento di Artù compiuta il 31 maggio. Giorgio Caudano Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020
 
[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Badalucco (IM)

Il giorno 10 giugno '44 (o, secondo altre fonti, l'11) si combatte intorno a Badalucco una nuova battaglia...
La sera del 9 giugno 1944 al distaccamento di Vittò [anche Vitò o Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed Erven [Bruno Luppi] (5° distaccamento) arriva Libero Briganti, o «Giulio», a dare ordine di tenersi pronti per espugnare Badalucco e attaccare Pigna [(IM)].
L'attacco è disposto dal Comando unitario dei distaccamenti e gruppi garibaldini, cioè dal Comando della Brigata che è in via di costituzione (IX Brigata) [IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"].
All'attacco devono partecipare i distaccamenti 3° (Ivan) [Giacomo Sibilla, poi comandante del Distaccamento Inafferrabile, dopo ancora comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], 4° (Tento), 5° (Vittò), 6° (Mirko) [Angelo Setti], più il gruppo di Artù [Arturo Secondo].
Il combattimento dovrebbe avere inizio alle ore 12 del 10 giugno.

Nella notte fra il 9 e il 10 giugno anche il 4° distaccamento, Tento e Marco [Candido Queirolo],  riceve dal Comando l'ordine di portarsi a Badalucco per le ore 12 del giorno 10 giugno.

Ma due fatti ostacolarono il piano.

Durante la notte fra il 9 e il 10 giugno il 4° distaccamento (Tento e Marco) espugna il presidio di Val Gavano, senza perdite, catturando tutto l'ingente quantitativo di esplosivo (mine, ecc.) depositato nella polveriera, dove era il presidio.
Vengono catturati anche tutti i soldati fascisti del presidio stesso, i quali si arrendono.
I Garibaldini del 4°, però, dovettero fare un grande sforzo per l'azione e arrivano spossati all'accampamento di Triora [(IM)] appunto durante la notte.
Conosciuto l'ordine di portarsi a Badalucco per le ore 12 del 10 giugno, sono nell'impossibilità a causa della stanchezza e dell'ora tarda.

All'alba del 10 giugno Vittò, in testa a una lunga colonna di partigiani del 5°, disposti in fila indiana, scende per la strada militare della Val Gavano.
All'improvviso, superata una curva, Vittò e i primi uomini della colonna si trovano di fronte a due grossi camion, che procedevano a passo d'uomo, seguiti a breve distanza da soldati tedeschi con le armi in pugno.
Vittò, con ordine fulmineo, grida ai partigiani: A monte!; nello stesso tempo salta sul costone laterale della strada, e poi si porta alcuni metri al di sopra del costone stesso.
Lo seguono Argo, Ottavino, Vladimiro di Ventimiglia, tutti morti in montagna, Sanmaligno, Martellà (caduto), Géna e Spezia [anche Scarzéna, Pietro Bodrato, nato a Lerici, classe 1927] (entrambi caduti), Serpe [Isidoro Faraldi], i quali sparano contro i tedeschi, mentre il grosso dei partigiani, che non aveva udito l'ordine, si trova sorpreso e smarrito, e si disperde nella parte inferiore della strada.
L'attacco di Vittò e degli altri con lui è però sufficiente a mettere in fuga i tedeschi, che abbandonano ai partigiani un grosso camion, due fucili mitragliatori pesanti, un buon numero di fucili tapum e alcune grosse casse di munizioni.
Questo secondo fatto di Val Gavano, avvenuto a poche ore di distanza dal primo, impedisce anche al 5° distaccamento (Vittò ed Erven) di portarsi nei dintorni di Badalucco per l'ora stabilita.

Badalucco (IM) nel 1913
A causa dei fatti sopra esposti, l'attacco ai nazifascisti di stanza in Badalucco è condotto solo dai distaccamenti 3° (Ivan) e 6° (Mirko) e dal gruppo di Artù, in condizioni di inferiorità.
Durante l'attacco restano feriti seriamente Mirko e leggermente Lanteri Aldo di Verdeggia e Barbé, entrambi del gruppo di Ivan.

Mentre si svolgeva la battaglia, il maresciallo dei carabinieri era riuscito a dare l'allarme a tutte le postazioni nazifasciste della zona e anche a telefonare a Taggia.

Un tratto della strada tra Badalucco e Taggia

Intanto sulla strada Badalucco-Taggia erano stati mandati, con due mitragliatori, i partigiani Mario di Artallo e Pastorelli Renato o «Baracca».
All'altezza del ponte sull'Ausentina od «Oxentina», torrente che viene da Vignai, vedono arrivare un camion nemico, con oltre quaranta tedeschi.
I due partigiani sparano, costringendo l'automezzo a fermarsi, e colpendo buon numero di soldati.
Poi continuano a tener testa per circa due ore al riparo di massi e di alberi, fino a quando non si vedono minacciati dall'alto e alle spalle, in seguito a un movimento aggirante dei tedeschi.
Si ritirano, e solo allora i tedeschi hanno via libera per Badalucco...
Dopo il ripiegamento dei partigiani e il sopraggiungere dei rinforzi tedeschi, i fascisti, in Badalucco, sono di nuovo padroni della situazione, e con prepotenze festeggiano la loro momentanea vittoria.
In seguito alla suddetta battaglia, fra i patrioti badalucchesi morirà dopo qualche giorno (24-6-44), il giovane De Andreis Giovanni...
Il giorno successivo a quello della battaglia di Badalucco... una pattuglia del distaccamento di Vittò e di Erven va al Passo Muratone, situato fra Pigna e Saorge [nella Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime], a monte di rio Muratone. Sulla base delle citate indicazioni, l'azione avviene in data 11 giugno. A Passo Muratone vi erano cinque o sei guardie di finanza della repubblica di Salò. La pattuglia partigiana è comandata da Assalto...
Giovanni Strato, Op. cit.
 
Angelo Setti, "Mirko", apparteneva, quale vice caposquadra, al Distaccamento comandato dall’eroe nazionale Felice Cascione e, dopo la morte dello stesso e dello sbandamento del distaccamento da lui comandato, passava al 2° distaccamento della IX Brigata “Garibaldi”. Il 10/5/1944 veniva nominato Comandante del Distaccamento stesso, portando gli uomini ad una nuova fase combattiva. Infatti sotto la sua guida si conducevano un’infinità di azioni militari, imboscate, atti di sabotaggio. Si distingueva nella zona di sua influenza (valli Carpasina e Prino) per le azioni condotte procurando al nemico ingenti perdite e continua apprensione per le sue azioni di sorpresa. Disarmava molte postazioni nemiche catturando numerosi prigionieri e recuperando ingente materiale bellico. Per le sue ottime qualità il 18/1/1945 veniva nominato Vice Comandante della IV Brigata “E. Guarrini”, svolgendo immediatamente un ottimo piano organizzativo nei quadri della Brigata stessa. Elemento temerario, con molta ascendenza sui gregari e molta capacità combattiva, era stato insignito di Croce di guerra.
ANPI Imperia

12/6/44 [...] con loro raggiungiamo il Comando della banda a Costa di Carpasio. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. [...] In quella banda [quella di Ivan] c'era pure una giovane donna detta Candacca (Pierina Boeri) [come nome di battaglia aveva anche Anita; in seguito venne inquadrata nella III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], che il giorno prima si era battuta contro i nazifascisti nella battaglia di Badalucco.
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza - Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982