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martedì 18 gennaio 2022

I partigiani, in Molini, bloccano tutte le strade e i bar

Una vista da Triora (IM), zona Cabotina, su Corte e Andagna, Frazioni del Comune di Molini di Triora - Fonte: Mapio.net

I tedeschi operavano periodiche e forti puntate verso l'interno della montagna.
Nel periodo [n.d.r.: fine aprile 1944] in cui la situazione nemica era quella sopra descritta, a «La Goletta» vi erano poco meno di trenta uomini.
Possedevano il seguente armamento: due mitragliatrici «Fiat»; un mitragliatore «OTCIS» (greco); una trentina di fucili; sessanta bombe a mano tedesche a lungo manico e una trentina di bombe a mano italiane; 5.000 colpi per mitragliatrici; 52 caricatori per mitragliatori; una media di quaranta colpi per ogni fucile; un mortaio da «45» con diverse casse di bombe per mortaio.
Il gruppo di Vittò [n.d.r.: "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] disponeva pure dei forti di Marta, dove vi erano depositi di bombe e munizionamento vario: materiale il quale, però, poteva essere preso solo quando i tedeschi non andavano essi stessi nella detta località.
Come si può dedurre da quanto sopra esposto, le modeste forze partigiane erano circondate da tutte le parti da forze di gran lunga preponderanti.
Per i partigiani l'ordine e il programma erano: «Eliminare con ogni mezzo il nemico, catturare il suo materiale e le sue armi, e sparire senza lasciar traccia».
II giorno seguente a quello dell'arrivo di Erven [n.d.r.: Bruno Luppi] e di Marco [n.d.r.: Candido Queirolo] a «La Goletta», dietro suggerimento di Erven vengono date istruzioni circa l'uso e la manutenzione delle armi e per una nuova organizzazione del gruppo (nomi di battaglia e suddivisione in squadre).
La sera del giorno stesso, anzi già a notte fatta, viene compiuta una prima azione contro i carabinieri di Triora. Vi partecipano Vittò, Erven, Tento, Marco, e quasi tutti gli altri partigiani del gruppo (fra cui «Serpe» [n.d.r.: Isidoro Faraldi, in seguito comandante del 1° Distaccamento del II° battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata], «Luciano», «Guido di Creppo» e «Guido di Cetta»).
In tutto sono circa una ventina; comandante del gruppo è Vittò.
I carabinieri, sorpresi nel sonno, vengono disarmati delle armi pesanti; si lasciano ad essi le pistole e le anni individuali.
I carabinieri sono lasciati nella caserma, con l'impegno, da parte loro, di lavorare alle dipendenze dei partigiani; il podestà di Triora viene ammonito, perché non proceda a requisizioni di bestiame o a dare esecuzione a ordini della repubblica fascista.
Alla sera il gruppo rientra a Cetta, dove i partigiani hanno il recapito presso la padrona dell'osteria, una donna chiamata «La Devota», che i partigiani, però, chiamavano «mamma», per l'aiuto che ne ricevevano (specialmente acquistavano da lei generi con tessere prese in azioni varie).
Molti sono i rischi che questa donna affrontò per aiutare i partigiani.
Si tenta poi un'azione contro gli uomini che sono di posto nelle casermette al Colle della Melosa. I partigiani, da una vedetta civile di Cetta, sono informati che circa 80 tedeschi percorrono la strada del Colle della Melosa, diretti verso la zona di Marta. Si portano sul posto, per assalirli; ma, valicata la cresta montana, si trovano a poca distanza dai tedeschi, su un pendio spoglio, battuto dai raggi lunari. Essendo impossibile la sorpresa, devono rinunciare all'azione, data l'enorme sproporzione di forze; e si ritirano incolumi.
A un certo punto, negli uomini di Vittò e di Tento vi è un momento di crisi, a causa delle difficili condizioni di vita. Alcuni, capeggiati dal partigiano Folgore, di 17 anni, genovese, vorrebbero trasferirsi in Piemonte, dove, a quanto si dice, la vita è meno scomoda. Ma uno solo va via, con un salvacondotto di Marco; gli altri si fermano, trattenuti anche da brevi parole di Erven, il quale fa capire come in Piemonte, per i partigiani, vi siano disagi e rischi non meno che in Liguria.
Il giorno stesso i partigiani si recano verso Realdo, per tentare una imboscata contro i tedeschi che, ingenere, salivano tutti i giorni al paese; ma quella volta, per caso, non salgono. I partigiani acquistano viveri in Realdo e in Gerbonte, e poi ritornano alle loro sedi.
Poco dopo, anzi il giorno successivo a quello della puntata in Realdo, i partigiani preparano un'azione contro la postazione «B8», situata sulla strada Andagna-Rezzo.
Alla «B8» vi sono undici uomini, di cui nove sono fascisti (militari dell'esercito di Salò) e due tedeschi. Intorno alla postazione vi è un campo minato, e vi sono cavalli di frisia.
L'azione avviene forse nei primi giorni del maggio 1944, o verso la fine di aprile. Vittò, Erven, Tento e Marco sono ancora tutti insieme.
In Molini «arruolano» Figaro. Entrano da un barbiere, per avere indicazioni. Il barbiere è Figaro (Vincenzo Orengo), che si aggrega ai partigiani, e se ne andrà insieme con loro. Figaro diventerà poi comandante del Battaglione «Mario Bini» (1° Battaglione della V Brigata).
I partigiani, in Molini, bloccano tutte le strade e i bar, per catturare i militari fascisti o tedeschi in libera uscita. Trovano solo un sergente della «B8». Da lui, Erven, Tento e Marco si fanno condurre alla «B8», mentre altri partigiani, rimasti in paese, prendono carte annonarie e materiale che i borghesi, dopo l'8 settembre, avevano sottratto alle caserme.
Quando i partigiani arrivano in prossimità della «B8», Folgore chiede di andare avanti agli altri. Va, tenendo due pistole puntate contro le spalle del sergente. Il sergente e Folgore arrivano a ridosso dei cavalli di frisia, ma non sentono l'alt della sentinella; entrano, mentre dietro a loro si precipitano anche gli altri partigiani. Trovano la sentinella addormentata, la disarmano, sfondano la porta, e catturano i restanti uomini della postazione. In tutto sono catturati 8 soldati repubblichini, più il sergente sorpreso in Molini, più due tedeschi.      
I partigiani, quindi, caricano il bottino di armi, munizioni, viveri e materiale da casermaggio su sei muli, appositamente requisiti in Andagna; poi portano il materiale e gli uomini a «La Goletta», dove arrivano in mattinata, essendo l'azione, comprese le marce, durata tutta la notte. «La Goletta», come si può capire anche da precedenti note, è una località a picco su Loreto.
Nella stessa giornata i partigiani decidono sulla sorte dei prigionieri; mancando vitto e altri mezzi, poiché i prigionieri non risultano responsabili di fatti gravi, vengono rimessi in libertà; ai tedeschi si dànno L. 100 a testa, e si lasciano andare; gli altri, quasi tutti studenti e quasi tutti lombardi, vengono vestiti con gli abiti laceri dei partigiani, i quali prendono quelli dei militari, vengono fomiti di carta di identità, e lasciati liberi, perché tornino alle loro famiglie.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 278-280
 
Nella notte sul 12 corrente, nel Comune di Triora, tre sbandati costringevano, sotto la minaccia delle armi, l'esercente della rivendita generi di monopolio Caprile Leonardo a consegnare loro tabacchi e cerini per l'importo di £. 1275, da essi rimborsato.
[...] Viene segnalato che gruppi di ribelli dai baraccamenti di "Cima Marta" e "Monte Grande" si sono spostati verso "Bregalla" e "Cetta", occupando case dei contadini della zona. Tali gruppi sarebbero comandati da un ex sergente maggiore, certo ZENTA [n.d.r.: Tento] Pietro, già appartenente alla G.A.F. del sottosettore di Triora.
[...] Fonte sicura segnala che preponderanti forze di ribelli, suddivise in bande di 30 uomini ciascuna, trovansi distaccate nella zona campestre tra Pigna, Cima Marta, Colle Ardente, Monte Saccarello - Molini di Triora. Il loro numero sarebbe di circa 2000. Sono armati di armi automatiche (mitragliatrici e fucili mitragliatori), di mortai da 45 e da 81, di mitra, di moschetti e di bombe a mano.
La dotazione di ogni banda sarebbe di una mitragliatrice con 1000 colpi, di due mortai da 45, con circa 50 granate e di un fucile mitragliatore con circa 1000 colpi. La dotazione individuale sarebbe di un fucile o moschetto con 5 o 6 caricatori e di tre bombe a mano.
In località Goina, in valle del Capriolo, frazione di Triora, si troverebbe una banda comandata da 3 ex ufficiali, che presidia le località di Verdeggia, Carneli e Realdo.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 15 maggio 1945

martedì 12 ottobre 2021

La donna vuole accompagnare il gruppo nell'azione contro i tedeschi

Baiardo (IM)

La mattina del 14 agosto 1944 il distaccamento di Candido Queirolo (Marco) si era da poco accampato nei pressi di “Berzi”, frazione di Baiardo (IM), per essere più vicino ad Apricale dove era di stanza un reparto tedesco. All’accampamento giunse trafelato Luigi Laura (Miccia), che si era trattenuto a Baiardo per rifornimenti avvisando i compagni che quattordici tedeschi, provenienti da Apricale, si erano recati in paese. Candido Queirolo decise di partire per attaccarli. Scelse una decina di partigiani. Facevano parte del gruppo: Gino Amici (Alfredo), Alfredo Blengino (Spartaco), Giuseppe Gaminera (Garibaldi), Luigi Laura (Miccia), Mario Laura (Picun), Albanese, Noce ed altri due. Giunti nel paese il gruppo si piazzò in via Roma in un luogo soprastante la strada Sanremo-Baiardo, nel punto dove è ora l'albergo Bellavista. Noce” e “Spartaco” si appostarono dietro un muretto con un mitragliatore, gli altri sopra il giardino della Villa Balestra. I tedeschi stavano pranzando all'albergo Miramonti: i partigiani attesero per verificarne il numero ed attaccarli all'improvviso. Da un uomo che transitava in bicicletta i partigiani vennero informati che i Tedeschi, usciti dall'albergo, si stavano avviando verso la mulattiera che conduce ad Apricale. Quando i partigiani giunsero all'altezza dell'asilo infantile si udirono raffiche di mitra. Nessuno venne colpito e risposero al fuoco; i tedeschi tornarono indietro imboccando via Podestà e quindi si piazzarono dietro la chiesa di San Giovanni, all'inizio della mulattiera per Castelvittorio. Queirolo che si era appostato verso la mulattiera che conduce ad Apricale, rendendosi conto che i tedeschi erano indietreggiati, ritornò anch’esso sui propri passi insieme agli uomini che erano con lui e appena giunto in prossimità della chiesa venne colpito da una raffica. Ferito, si accasciò a terra. Gino Amici (Alfredo) e Alfredo Blengino (Spartaco), pure colpiti, morirono all’istante. Mario Laura (Picun) fu ferito alle gambe, ma continuò a sparare e gli altri uomini, coperti dal fuoco di Picun, cercarono di avvicinarsi ai compagni feriti per soccorrerli. “Marco” aveva una coscia sfracellata e una ferita alla spalla. Dopo le prime cure praticategli dal dott. Carlo Bissolotti, venne portato in un capanno nei pressi di Baiardo, dove poco dopo morì. L’episodio è raccontato da Giuseppe Gaminera (Garibaldi) anch’egli protagonista dei fatti che portarono alla scomparsa di Queirolo, Blengino e Amici.
Tra le numerose azioni belliche portate a compimento con successo da Candido Queirolo e dai suoi uomini, si ricordano in particolare il disarmo dei repubblichini di stanza a Briga Marittima e la presa della postazione nazifascista di Santa Brigida. Nel giugno del 1944 Queirolo fu tra i comandanti che guidarono i garibaldini nello scontro di Carpenosa. I suoi uomini sotto il suo comando parteciparono alla presa di Molini di Triora e di Triora, agli attacchi alle postazioni nemiche di Valgavano ed alla resistenza, ai primi di luglio, contro forti reparti tedeschi a Carmo Langan. Anche Alfredo Blengino fu uomo di punta della Brigata, un uomo di esperienza che aveva precedentemente comandato il distaccamento di Bajardo e impegnato a più riprese il nemico.  
Giorgio Caudano Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Il garibaldino Giuseppe Gaminera (Garibaldi) di Baiardo racconta:
"Ci eravamo accampati nei pressi di Berzi, frazione di Baiardo per essere più vicini ad Apricale dove erano di stanza circa cento Tedeschi. Poco dopo il nostro arrivo nel luogo che diventerà sede del nostro distaccamento, giunge trafelato Luigi Laura (Miccia), che si era trattenuto a Baiardo per rifornimenti, avvisandoci che quattordici Tedeschi, provenienti da Apricale, si erano recati in paese.
Candido Queirolo (Marco) decide di partire per attaccarli. Sceglie una decina di partigiani ed io sono tra questi.
Nel distaccamento c'è Olga, una ragazza slava, che avevo trovato in giro alcuni mesi prima quando, avendo perduto i contatti con «Vittò» a causa di uno sbandamento, mi ero aggregato alla formazione di Marco. Olga canta canzoni, sia in italiano che nella sua lingua; è sempre al fianco di «Marco». La donna vuole accompagnare il gruppo nell'azione contro i Tedeschi, ma Candido Queirolo non le permette di seguirci: insiste ripetutamente, ed all'ennesimo rifiuto si getta a terra piangendo.
Partiamo. Sono pratico dei luoghi e conosco tutti i sentieri, procedo in testa al gruppo assieme a «Marco».
[...] Sono orgoglioso e felice per l'incarico che mi è stato affidato essendo io il più giovane del gruppo.
Candido Queirolo si dirige verso via XX Settembre, nel punto dove inizia il bivio per Apricale. «Marco» pensa che se i Tedeschi, dopo il pranzo, non hanno proseguito il cammino verso il luogo dove i partigiani si erano appostati presumibilmente intendono ritornare ad Apricale passando per la mulattiera. Perciò «Marco» si reca colà con gli uomini migliori per sferrare un attacco efficace.
Giunti all'altezza dell'asilo infantile, nel luogo dove tempo addietro i partigiani avevano bruciato le baracche tedesche, si odono raffiche di mitra. Fortunatamente nessuno di noi viene colpito. Rispondiamo al fuoco ed i Tedeschi tornano indietro imboccando via Podestà, e quindi si piazzano dietro la chiesa San Giovanni, all'inizio della mulattiera per Castelvittorio. Noi li inseguiamo, ma non riusciamo a raggiungerli.
Intanto, «Marco», visto che il nemico non si era diretto ad Apricale ed avendo udito le raffiche delle armi automatiche, accorre immediatamente verso la sopracitata chiesa. Effettuando un percorso di una ventina di minuti egli potrebbe arrivare sul luogo senza uscire allo scoperto. Invece, appena giuntovi è colpito da una lunga raffica. Ferito, si accascia a terra.
Amici Gino (Alfredo) e Alfredo Blengino (Spartaco), pure colpiti, muoiono istantaneamente. Mario Laura (Picun) è ferito alle gambe, ma continua a sparare cercando con gli altri di avvicinarsi ai compagni feriti per soccorrerli.
«Marco» ha una coscia sfracellata ed una ferita alla spalla. Dopo le prime cure praticategli dal dottor Carlo Bissolotti, lo portiamo in un capanno nei pressi di Baiardo, dove poco dopo muore.
Olga giunge sul luogo e si mette ad urlare come impazzita; estrae la pistola per uccidermi, poiché mi accusa di essere stato la causa della morte del Commissario. Gli altri partigiani presenti spiegano alla donna quanto si è verificato, assicurandole l'assoluta mancanza di mie responsabilità.
Dopo questo fatto non vedrò più Olga. Ma, nel successivo inverno otto partigiani verranno sorpresi nel sonno ed uccisi nei pressi di Vignai Argallo. Olga, nella triste occasione, si trovava proprio in quella zona: sospettata e pedinata, venne appurato che era una spia dei Tedeschi e fu condannata e giustiziata...".
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992