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mercoledì 30 giugno 2021

Il parroco porta le lettere al capitano Cristin

Molini di Triora (IM) - Fonte: Comune di Molini di Triora

Ricavo i dati da miei appunti del tempo e da una relazione del parroco di Molini di Triora (IM), in Valle Argentina, di cui segno tra virgolette le parole.
"Quando si ebbero i primi scontri armati tra le truppe nazifasciste e le bande partigiane a Carmo Langan, a Badalucco, a Carpenosa, a Santa Brigida, Molini fu subito sospettato dai tedeschi come centro di bande e ciò creò in essi quello stato d’animo di avversione verso i suoi abitanti".
Il martirio di Molini iniziò il 3 luglio 1944. Colonne di tedeschi puntavano sul paese da ogni parte. Presa dal panico, la popolazione, quasi in massa, abbandonò l’abitato e si diresse verso Corte o giù nei fondovalle. Ovunque i tedeschi passavano, sparavano a scopo intimidatorio o per paura.
"Fu durante questa sparatoria iniziale che caddero le prime vittime. Maiano Antonio, padre di famiglia, raggiunto dalla mitraglia in località Euscio. Fu ferito al ventre per il che si trascinò faticosamente, aiutato da Capponi detto Tulalua, fino a casa ove spirò la mattina seguente; Basso Pietro, vecchio di 78 anni e a fianco veniva atterrato Bronda Pietro di Triora, 53 enne. Sulla strada di Perallo cadeva Moraldo Giacomo ed il 73 enne Arnaldi Francesco".
Il parroco ed il Commissario Prefettizio tentarono di parlamentare con il comando tedesco senza alcun risultato.
"Agli spari si aggiunse il saccheggio. Penetrati nelle case i nazifascisti prescelsero gli oggetti di valore, vestiti, capi di biancheria; rinchiusero il tutto in valigie, in sacchi, in ceste, e I’asportarono. Nelle case bivaccarono, ruppero oggetti, insudiciarono. Urla e canti di ubriachi si alternarono tutta la notte con violente quanto inutili raffiche di mitragliatrice".
La casa Campoverde, in Via San Bernardo, dopo uno scoppio cominciò a bruciare. La scusa fu che vi si erano trovate armi.
"Fattosi giorno, la soldataglia usciva dalle case ed invadeva tutte le strade, convertendo la pirateria in un vero carnasciale stomachevole: ubriachi fradici, indossando vesti femminili, cantando sguaiatamente e continuando a tracannare vino, i soldati si spargevano un po’ dovunque, pronti ai richiami che indicassero case di maggior bottino. I capi facevano comunella con la truppa e lo stesso capitano comandante non rimaneva indietro nell’opera dei gregari".
Il parroco, che troppo si interessava alla sorte dei suoi parrocchiani, fu rinchiuso in casa sua e guardato a vista.
"Il 5 luglio si iniziò con l’incendio della casa Caldani in località Gianchette. La motivazione era che vi avevano trovato armi".
I nazifascisti si consideravano “Padroni” ed il saccheggio veniva chiamato “Premio di guerra”. In mattinata fu ritrovato il corpo di Allaria G. B. Secondo, ucciso probabilmente la sera del 4 e buttato sotto strada vicino al fossato in località Fontanelle.
"Alcuni reparti, il giorno 5 luglio 1944, si accingevano a partire. Una trentina di camion, stracarichi di masserizie, biancheria, vestiti, asportati dalle case… Purtroppo però la tragedia non era finita. La truppa ladra aveva lasciato dietro di sé il reparto guastatori e questi si erano messi subito alla loro triste opera".
Il  parroco era andato a cercare i suoi parrocchiani nascosti. Quando giunsero. presso il paese sentirono scoppi in ogni casa. Nello spazio di un’ora il paese era tutto un rogo immane.
Il giorno 6 luglio i più ardimentosi cercarono di estinguere i fuochi e salvare il salvabile.
Nel loro ritirarsi i nazisti avevano fatto un’altra vittima: Allaria G. B., novantenne, trovato sepolto sotto le macerie della propria casa.
Durante questo rastrellamento fu compiuto dai nazisti uno degli episodi più esecrandi di criminalità.
Catturarono qua e là nove persone provenienti da Gavano. Due da Sanremo, nativi di Corte, ed uno di Badalucco. Tra esse una giovinetta di 16 anni. Rinchiusi in una stalla-scantinato, torturati, furono inzuppati di liquido infiammabile e bruciati. Dopo la loro morte fu fatta crollare su di esse, mediante tritolo, la casa. Le vittime furono scoperte quando i loro corpi ormai in putrefazione, segnalarono la loro presenza.
I loro nomi sono:
Allaria Olivieri G.B. di Gavano
Faraldi Enrico di Gavano
Faraldi Livio Antonio di Gavano
Moraldo Vincenzo di Gavano
Allaria Olivieri Gerolamo di Gavano
Aliaria Olivieri Giuseppe di Ant. di Gavano
Allaria Olivieri Giacomo di Gavano
Allaria Olivieri Giuseppe fu Antonio di Gavano
Moraldo Maria Caterina di Gavano
Anfossi Virgilio di Sanremo
Pastorelli Domenico di Corte
Donzella Angelo di Corte
Boeri Antonio di Badalucco.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero”  Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975 

Molini di Triora, poco distante dal confine francese, era importante per i nazifascisti per la sua posizione strategica e l'aiuto elargito ai partigiani. Per tutti questi motivi, in occasione di un forte rastrellamento organizzato dai Tedeschi ai primi di luglio del 1944 per annientare le forze partigiane della provincia di Imperia, Molini di Triora era incluso nell'elenco dei paesi da punire e terrorizzare.
Il 3 luglio 1944 intorno a mezzogiorno si sparge la voce dell'imminente arrivo di truppe tedesche e la popolazione impaurita abbandona il paese, fuggendo precipitosamente. Gli abitanti si sparpagliano nelle zone limitrofe all'abitato, mentre il nemico investe il paese con due colonne convergenti da due direzioni (una scendendo dal Pizzo attraversando la frazione di Andagna e l'altra partita da Carmo Langan).
Verso le 17.30 le due colonne stringono il paese in una morsa. Cadono le prime vittime (Maiano, Basso, Bronda, Moraldo Giacomo).
Il parroco Don Ferdinando Novella e il Commissario prefettizio Carlo Viale cercano, a loro rischio, di trattare con il Comandante tedesco per indurlo alla clemenza sottolineando che non sono presenti formazioni partigiane e la popolazione è costituita da soli pacifici agricoltori. Malgrado le assicurazioni dell'ufficiale la sparatoria non cessa, anzi aumenta di intensità.
Occupato Molini di Triora, iniziano i saccheggi, le ruberie, le distruzioni e le gozzoviglie.
Il 4 luglio 1944 il parroco, dopo aver ottenuto il permesso dal comandante tedesco di uscire dall'abitato per andare a dar conforto agli abitanti fuggiti, per tre volte viene sempre bloccato dalle sentinelle.
Don Novella passando per il paese osserva inorridito gli effetti del saccheggio effettuato il giorno prima che non è ancora cessato, anzi inizia la distruzione e l'incendio di numerose case con la scusa di ritrovamento di armi da guerra da parte dei tedeschi.
Gravissimo il fatto avvenuto presso la Casa Campoverde in via San Bernardo (attualmente Via Nuova) - dal racconto del parroco Don Novella -: risulta che i nazifascisti avevano rastrellato dalle frazioni limitrofe 13 persone quasi tutti padri di famiglia, apolitici, laboriosi, tra i quali una ragazza di 16 anni (Moraldo Maria Caterina) rastrellata mentre portava le mucche al pascolo. Gli ostaggi furono rinchiusi in uno scantinato usato come stalla e dopo immancabili vessazioni si ipotizza che, dopo essere stati inzuppati di liquido infiammabile, furono bruciati vivi e quindi per occultare l'orribile delitto fu fatta crollare su di essi, con il tritolo, la casa. Furono ritrovati dopo quindici giorni dagli abitanti e dai parenti attirati dall'odore di cadaveri in decomposizione. Le salme furono sepolte nel Camposanto del paese.
Il 6 luglio 1944: non s'odono più scoppi e si placano gli incendi. La gente scende dalle alture e s'avvicina al paese. Molini di Triora si presenta in tutta la sua disperata desolazione: 104 case su 150 sono sinistrate ed interi gruppi di abitazioni sono crollati in blocco. La casa canonica è bruciata e con esso il suo archivio parrocchiale, il municipio è crollato sotto l'opera del tritolo, l'archivio municipale bruciato, distrutti l'oleificio, il mulino,l'ufficio postale, i due alberghi e la rimessa automobilistica Lantrua.
In questi orrendi primi giorni di luglio, gli altri piccoli centri non vivono molto più tranquilli del martoriato paese di Molini di Triora. Brucia Bregalla, spari su Andagna, su Creppo, alla Goletta, invasi Loreto, Corte, Cetta.
Ferro e fuoco anche nel Comune di Triora e le sue frazioni (2-5 luglio 1944). Reseconto finale dell'incendio: distrutte o rese inabitabili una settantina di case; cinquantadue famiglie restano senza tetto in un paese come Triora già spopolato dall'esodo. Alcune si sistemano presso i parenti; altre, che non possiedono nulla a Triora, s'allontanano per sempre.
Da “Storia della Resistenza imperiese” vol. II di Carlo Rubaudo (da pag. 177 a pag. 184 e pag. 193) e da “Il Martirio di Molini di Triora (3 luglio 1944 - 25 aprile 1945)” di Mons. Cav. Ferdinando Novella
Redazione, Episodio di Molini di Triora, 01-05.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia 
 
La popolazione di Molini fu aiutata dai paesi vicini con invio di viveri e vestiario. In settembre 1944 la calma ritorna perché un presidio partigiano veglia sul paese e sulla Alta Valle Argentina. Quando però i partigiani si devono ritirare in Piemonte, le truppe nazifasciste si insediano in paese.
"In novembre la permanenza dei reparti fascisti si fa quasi ininterrotta. Essi si insediano nelle poche case disponibili, facendone sloggiare i paesani: si fanno consegnare letti, materassi, stoviglie e viveri. … obbligano gli uomini a lavori pesanti… organizzano balli, obbligando, a mano armata, le fanciulle del paese ad intervenirvi ed inscenano il 2 novembre, giorno dedicato al ricardo dei morti, un vero carnasciale con schiamazzi, spari, ubriacature, a beffa degli affamati e terrorizzati abitanti".
Il prelievo di ostaggi è continuo e vessatorio. [...] Verso la metà di dicembre 1944 i nazisti vengono sostituiti da Granatieri Repubblichini, comandati dal capitano Cristin che colloca il suo comando in casa Daneri.
È lui, il presuntuoso, che la vigilia di Natale manda la circolare ai parroci, esigendo la lettura in chiesa, come è citato da me in un’altra parte. Ma fu anche autore di atti veramente criminali.
Tre giovani rastrellati dagli Alpini, i quali, incuranti della guarnigione di Molini [Molini di Triora (IM)], agivano per proprio conto, furono condannati a morte dal Cristin. La scena dell’esecuzione con i suoi preparativi crudeli e disumani fu vista da una buona parte della popolazione. […] "Allora il parroco si presenta al Cristin per chiedere la commutazione della pena, essendo i tre a lui noti come persone per bene. Il capitano risponde che ciò è impossibile e se vuole fare qualche cosa per essi può solamente annunziare ai condannati la sentenza irrevocabile e prepararli alla morte. Quantunque non ci sia nulla da sperare, il sacerdote tenta una seconda volta ed una terza, ma il capitano Cristin gli fa dire che attenda al suo ufficio di parroco e basta. I giovani accolgono la sentenza con pianti, si abbracciano tra di loro, protestano la loro innocenza, esibiscono la loro giovane età. Ma, confortati dal sacerdote, a poco a poco si calmano e si preparono da forti alla tragica fine. Si confessano, ricevono l’Eucarestia, quindi scrivono una lettera alle proprie famiglie. In esse, ognuno, per conto proprio, indipendentemente l’uno dall’altro, scrivono di andare verso la morte innocenti. Consegnano i documenti personali al parroco perchè li rimetta ai rispettivi parenti. Benché veda la situazione assolutamente disperata, il parroco porta le lettere al capitano Cristin e fa a lui notare la frase comune a tutti e tre “vado alla morte innocente”. Nel leggerla, il giustiziere sosta alquanto, poi, restituite le lettere dice di consegnarle ai rispettivi famigliari. Al parroco non rimane che accompagnare i tre giovani al luogo dell’esecuzione. D’altronde erano gli stessi a pregarlo di volerli assistere: “Venga almeno lei con noi”. Sono legate le loro mani, col filo di ferro, sul dorso e incolonnati tra due file di Cacciatori, quelli stessi che avevano eseguito il rastrellamento, il tragico corteo attraversa il paese per la via Grance e si porta nei pressi del cimitero in una fascia di proprietà di Adelina Sasso. Qui giunti sono disposti con la faccia rivolta verso il mare, prima però di alliniarsi, salutano ancora una volta il parroco. Un cacciatore interviene, li stacca dal parroco e li distanzia uno dall’altro, dieci centimetri circa. Quindi, dato da un sottotenente dei cacciatori l’ordine dell’esecuzione, una raffica di mitraglia li abbatte tutti e tre. Gli spari echeggiano giù fino al paese e si propagano lugubremente per tutta la valle. In ogni casa la gente, che era in attesa degli spari, rompe in singhiozzi. Le salme raccolte, dietro istanza del parroco, sono collocate in apposite casse e, poiché i caduti avevano espresso il desiderio di essere tumulati nel camposanto del proprio paese, ciò viene eseguito". Da una testimonianza di Don Ferdinando Novella, arciprete della Parrocchia di San Lorenzo Martire in Molini di Triora [ndr: dopo la pubblicazione di Don Micheletto, Op. cit. venne edito Cav. Ferdinando Novella, Il martirio di Molini Triora (3.07.44 - 25.4.1945), Comune di Molini di Triora, 2004]. Era il 16 gennaio 1945. Erano: Alberti Antonio, Verrando Domenico Quinto, Bova Giovanni, tutt’e tre di Agaggio Superiore. “Alcuni giorni dopo la suddetta esecuzione, il comandante Cristin, sfacciatamente, affiggeva un manifesto per il reclutamento dei giovani appartenenti alle classi dal 1914 al 1926, residenti a Molini di Triora. Redatto in forma altisonante e minacciosa, il manifesto ricordava i tre morti e terminava con le parole: Non avrete più pace”. Gli successe il ten. Renzo Barbieri delle Guardie Repubblichine, dominato da una paura indicibile."Fece costruire trincee stendere reticolati, alzare palizzate un po' ovunque, riducendo Molini una gabbia per le estese, quanto ridicole fortificazioni".  Il 17 febbraio 1945 per l’azione partigiana contro i guardiafili, in cui furono presi 10 repubblichini e tre tedeschi, furono rastrellati 20 ostaggi. ll comando tedesco ordinò il raduno dei parroci del Vicariato annunciando: se i tre tedeschi catturati non fossero stati restituiti, il comando si sarebbe sentito obbligato a far fucilare 14 banditi.  
Don Micheletto, Op. cit.

Barbieri Renzo nato a Golese (Pr) il 22 maggio 1916, Tenente e comandante di compagnia nel Raggruppamento Cacciatori degli Appennini
Interrogatorio del 4.9.1945: L’8 settembre mi trovavo quale S. Tenente di complemento nell’isola di Corfù presso il 41° Reggimento di Fanteria [...]
Verso la fine di novembre sono rientrato con la mia compagnia a Ceva ove sono rimasto sino ai primi di gennaio epoca in cui tutto il battaglione fu trasferito in Liguria ed io assegnato con la mia compagnia a Borgomaro, dove venne istituito un presidio da me comandato. Dopo circa dieci giorni di permanenza a Borgomaro sono passato con la mia compagnia a Molini di Triora. Effettivamente il Reggimento Cacciatori degli Appennini aveva il compito di effettuare rastrellamenti ma io non vi presi parte perché la mia compagnia aveva compiti di servizi interni. Alle mie dipendenze a Borgomaro avevo il Sottotenente Sacchetti, fervente fascista ed accanito antipartigiano il quale, di sua iniziativa, raccoglieva notizie ed effettuava fermi. Egli da solo si era arrogato il compito di certe operazioni di polizia né io potevo impedirglielo poiché il predetto era appoggiato dai comandi superiori. Una notte siamo partiti da Molini di Triora con l’intenzione di renderci conto della sicurezza del nostro presidio in relazione alla presenza di eventuali bande nei dintorni. A tale scopo pensammo di camuffarci da partigiani per attingere notizie. Faceva parte della spedizione anche il Sottotenente medico Corretti Francesco, accanito antipartigiani. Giunti in località S. Faustino, notammo una casa isolata e bussammo.
Ci trovammo in presenza di un signore che dichiarava essere un generale a riposo e di chiamarsi Mario Ferraroli. Il sottotenente medico Corretti gli disse che eravamo partigiani e gli chiese notizie su eventuali bande presenti in zona alle quali volevamo aggregarci. Il generale immediatamente spifferò che era sempre stato antifascista e genericamente disse che verso un determinato versante della montagna agiva una banda partigiana. Non avendo ottenuto altre informazioni ci allontanammo ma lungo la strada il Sottotenente Corretti mi fece osservare che bisognava provvedere al fermo del Ferraroli che si era dichiarato antifascista. Ritenni opportuno seguire il suo consiglio per evitare critiche al mio riguardo e mandai due militi a fermare il predetto generale. Il predetto venne trattenuto per due giorni in mia presenza da un tenente ed un maresciallo tedeschi e poi rilasciato. Ricordo che nell’aprile us, il Tenente Lazzari, alle mie dipendenze, si recò nella zona di Verdeggia per praticare accertamenti relativi al prelevamento di una pattuglia di militi. Il Lazzari ritornò portando circa dieci giovani che rastrellò nella zona ed accompagnò inoltre una certa Lanteri Maria e la figlia di lei, Rosa, perché il rispettivo marito e padre era stato indicato come partigiano. La Lanteri fu effettivamente interrogata in mia presenza dal tenente tedesco e dal Tenente Lazzari e fu picchiata con un frustino e minacciata con una pistola ma nego di averla io stesso minacciata o di averla malmenata. La Lanteri Maria fu poi rimessa in libertà mentre la di lei figlia Rosa fu trattenuta a lavorare presso il nostro presidio. Sono estraneo all’eccidio consumato dai tedeschi di cinque partigiani in Carpenosa. Escludo che miei uomini abbiano partecipato alla cattura ed all’uccisione dei cinque.
Nego di aver dato fra il 7 ed il 9 aprile us, ordini ad alcuni miei militi, mentre sostavo sulla piazza di Molini, di recarsi a prendere quattro individui a Carmo Langan e di metterli al muro. Non sono mai stato iscritto al PFR né al PNF.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Il 3 marzo 1945 a Grattino, frazione di Molini di Triora, minuscolo borgo della Valle Argentina, furono catturati, perché in possesso di armi, Quinto Verrando e Livio Maggi. I due partigiani furono rinchiusi a Molini di Triora in un scantinato, insieme al parroco di Molini Don Rodini e al ragioniere Zappa, accusato di risorse economiche alle bande che però viene presto liberato. I due partigiani vennero presumibilmente torturati. Dopo otto giorni i due giovani con le mani legate sul dorso furono condotti ad Agaggio Superiore, dove i Tedeschi pensavano fossero i partigiani, perché ne indicassero l'ubicazione precisa. Rifiutatisi di parlare, giunti in Pian Carré furono freddamente giustiziati con un colpo di pistola alla nuca.
Verrando morirà subito, mentre Maggi verrà lasciato agonizzante sul terreno. Soccorso da alcuni contadini, morirà dopo due settimane.  Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Nel mese di marzo gli ostaggi di turno subivano torture negli scantinati di casa Daneri e di casa Fognini.
Il 10 marzo 1945 il parroco veniva arrestato perché era salito sul campanile “per dar la corda all’orologio”,  scusa per fare segnalazioni ai banditi. Inoltre il diverso colore dei paramenti della messa, cambiato ogni giorno, era un messaggio ai partigiani. Venne rinchiuso nella cantina di casa sua. Fu liberato dopo molti giorni. Nella stessa prigione vennero rinchiusi due giovani partigiani: Verando Quinto di Agaggio e Maggi Lino di Genova, fucilati poi l’11 marzo presso Agaggio Superiore.
Il 18 marzo una ventina di ostaggi, prelevati dallo scantinato di casa Fognini, vennero condotti verso Taggia. Dodici venivano poi liberati e 6 fucilati o meglio mitragliati in una grotta sotto Carpenosa. Questi ultimi erano:
Lanteri Pierino di Verdeggia
Lombardo Calogero di Ravanusa (Sicilia)
Oliva Giovanni di Badalucco
Gamboni Pietro di Montello (Avellino)
Verrando Vincenzo di Agaggio
Cassini Vincenzo di Apricale
Il Verrando era il terzo morto della famiglia per cause belliche.
"Il Cassini era un vecchio cadente di oltre 72 anni dalla lunga barba bianca, mostrava numerose e profonde cicatrici dovute a sevizie e a torture. Fu accusato di rifornire olio alle bande partigiane. Niente di vero".
Il 14 aprile 1945 vengono rastrellati cinque uomini e mandati ai Ponti di Nava per lavori.
Il 19 aprile, dopo lo scoppio delle rocche di Drego, quasi tutti gli uomini validi vengono costretti, spinti come bestiame da lavoro, fin nei pressi di Drego per ripararvi una strada fatta saltare da bande partigiane.
Gli ultimi due giorni, il 24 e il 25 aprile 1945, sono giorni di inferno. La soldataglia, in ritirata, entra nottetempo nelle case; obbliga ammalati e poveri vecchi a cedere il letto; vi consuma pasti e porta via il rubabile.”
"Improvvisamente il presidio locale dei repubblichini, la sera del 25, lascia il paese. La poco gloriosa truppa, fedele e coerente fino all’ultimo all’insegna del ladro, cerca di improvvisare un mercato di tutta la mercanzia rubata; ma non trovando avventori, ammucchia il tutto e la da alle fiamme. Appiccano il fuoco anche ai rimanenti stabili delle caserme ancora intatti".
Ognuno lascia l’orma del suo operato. I nazifascisti lasciarono impronte infamanti, che non si cancelleranno più nel tempo e verranno perpetuate nella memoria storica.
Don Micheletto, Op. cit.

[...] Il giorno 18 marzo 1945, dalla prigione di casa Fognini strapiena di innocenti detenuti sul far della sera vengono fatti uscire una decina di giovani legati, al solito, con le mani sul dorso e incolonnati tra due file di tedeschi e vengono diretti, lungo la strada provinciale, verso Taggia.
Guai ai paesani che facessero solo cenno di riconoscerli e tanto peggio se osassero indirizzare una parola agli stessi! Il fucile sarebbe stato sempre pronto con lo sparo! Lungo la strada però uno o due dei prigionieri furono rilasciati. Quando il gruppo fu nei pressi della frazione Glori, si fece una seconda scelta, sicché non rimasero che sei. Questi, legati l'uno all'altro furono sospinti, nei pressi , alla imboccatura di una caverna. Venne piazzata una mitragliatrice e senza alcuna formalità falciati. Da lontano i pochi abitanti di Carpenosa (Molini di Triora) potettero assistere all'eccidio. Nei giorni appresso si poté avvicinare i corpi delle vittime e procedere al loro riconoscimento.
Econe il triste elenco:
Lanteri Pierino di Verdeggia (Triora)
Lombardo Calogero di Revenusa (Sicilia)
Oliva Giovanni di Badalucco
Gambone Pietro di Montello (Avellino)
Verrando Vincenzo di Agaggio (Molini di Triora)
Cassini Vincenzo di Apricale
Il Verrando, fratello di Quinto, era già stato fucilato il giorno 11 Marzo 1945; con i due fucilati i morti della loro famiglia raggiungevano la terna, poiché un terzo fratello era già morto soldato.
Il “Cassini” era un vecchio cadente, di oltre 72 anni dalla lunga bianca barba, mostrava numerose e profonde cicatrici dovute a sevizie e a torture. Fu accusato di rifornire olio alle bande Partigiane. Niente di vero.
Da “I Testimoni raccontano” a cura di Don Nino Allaria Olivieri (archivista Curia) pagg. 118 e 119 [...].
Roberto Moriani, Episodio di Carpenosa, Molini di Triora, 18.03.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia