Qualche giorno prima, il 27 [ marzo 1945] durante un rastrellamento effettuato a Montegrazie [Frazione di Imperia] dai Tedeschi, quattro partigiani cadono in loro mani, tre di essi Secondo Giribaldi (Gamba), Riccardo Marcenaro (Riccantonio) e Sinibaldo Martellini (Falce) sono fatti fucilare sul posto dal maresciallo Mayer; invece Franco
Ghiglia (Gigante), come vedremo più avanti, verrà fucilato in aprile e sarà insignito di medaglia d'oro al valor militare, per attività partigiana.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile),
Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed.
Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, p. 220
[Franco Ghiglia] Era entrato giovanissimo nel Distaccamento "Walter Berio" della 4a Brigata Garibaldi della II Divisione "Felice Cascione". Le sue imprese gli valsero il nome di battaglia di "Gigante", ma una di queste (avvenuta l'8 gennaio 1945), gli fu fatale. "Gigante" e i suoi si erano scontrati con i nazifascisti nelle vicinanze di Costa d'Oneglia. Due tedeschi erano rimasti sul terreno e i partigiani, prima di allontanarsi, avevano sepolto i due caduti. A quello scontro seguì, dopo una settimana, un massiccio rastrellamento nella zona. Franco Ghiglia e i suoi riuscirono a sganciarsi, ma "Gigante" era stato raggiunto da un proiettile ad una gamba. Costretto all'immobilità e riparato con altri quattro patrioti in un fienile, il 7 marzo il giovane vi fu sorpreso dalle SS. Qualcuno si lasciò sfuggire dell'episodio di due mesi prima e per Ghiglia fu l'inizio tormentoso della fine [...]
Redazione, Franco Ghiglia, ANPI, 25 luglio 2010
Quando il maresciallo delle SS, Mayer, il famigerato torturatore, che comanda il presidio di Castelvecchio [Frazione di Imperia], lo prende in consegna, usa contro di lui i più raffinati metodi di tortura per farlo parlare, fargli dire i nomi delle località di dislocazione dei Distaccamenti, e quelli dei compagni. Ma "Gigante" non parla. Allora, con un compagno di prigionia, è condotto sul luogo dove sono stati seppelliti i due Tedeschi, il maresciallo nazista fa consegnare loro una zappa e una pala e ordina di disseppellire le salme. Il fetore dei corpi si fa sentire subito appena mossa la prima terra, per cui gli accompagnatori si scostano dalla fossa. Per prime compaiono le giacche, le ossa delle mani e quindi grumi di carne violacea. Franco alza il viso per cercare aria migliore, ma ciò gli viene impedito da un mitra puntato nella schiena. Quando i due cadaveri sono tirati fuori dalla fossa, lo sguardo sanguinario e rapace del maresciallo nazista che sta sudando all'ombra di una pianta di ulivo, si sposta dai due corpi che non hanno più volto, ai due partigiani, emettendo voci rauche di collera. Al momento contro i due ha il coltello per il manico e l'avrebbe usato: fa prendere loro i cadaveri sulle spalle con l'ordine di portarli nel cimitero. Brani di carne del cadavere che grava con il suo fetore si attaccano al collo e alle mani di Franco, mentre cammina per la campagna. Dopo una decina di minuti si sente come ubriaco. Anche i passi discontinui del compagno che segue, dicono di una nausea che è al limite della sopportabilità. Franco si ferma ma i Tedeschi non osano avvicinarsi a lui per bastonarlo. Comprende che se più presto cammina, accorcia il tempo del trasporto del cadavere. Riprende il cammino dopo aver rigettato acqua e sapone che gli avevano fatto bere abbondantemente. Quando giunge al cimitero inizia la lenta operazione della sepoltura. Ora le braccia si rifiutano di fargli maneggiare la pala e le gambe di reggerlo. Ma i Tedeschi gli fanno finire il lavoro a suon di bastonate.
In disparte l'ufficiale ghigna. Quando si era trovato davanti alla resistenza dei due partigiani, aveva ideato il suo piano per stroncarli: stremare prima i loro corpi forti, riducendoli a stracci, con la speranza che poi avrebbero cantato. Per una notte intera fa mettere Franco sotto una doccia continua, all'aria aperta, quindi lo fa camminare per ore con un forte peso su una sola spalla e lo fa nutrire nuovamente con acqua e sapone mentre gli provocano dei tagliuzzamenti. Ma la sua bocca non si apre. La notizia di questa resistenza eroica giunge anche alla popolazione di Oneglia attraverso gli stessi nazisti stupiti. Anche il maresciallo Mayer ammira tanto coraggio. Non gli rimane che decretare la morte di Franco.
La notte del 5 aprile 1945 le SS portano Franco a monte della Cava Rossa di Castelvecchio. Sulla collina gli viene preparato nell'oscurità il cappio. In esso è infilato il suo giovane capo che porta occhi e capelli neri. Inizialmente l'impiccagione è una finta, perché il maresciallo vuole ancora chiedere. Gli si fa sotto e "Nome partisan?" domanda, senza più forza nella voce e senza convinzione. Le labbra di Franco si schiudono infine per sputargli in faccia. "... Due giorni dopo il corpo di "Gigante" pendeva ancora dall'albero mentre il vento lo dondolava su un fianco e sull'altro. Pareva che il vento non potesse rassegnarsi a considerare morto quel giovane che era stato così pieno di vita, e scuoteva Franco quasi lo volesse ravvivarlo, svegliarlo e si aggirava per la cava con un lamento lungo e triste, sconsolato..." (4). Franco Ghiglia sarà insignito di medaglia d'oro al valor militare, alla memoria, per attività partigiana (5).
(4) - ISRECIM, Archivio, Sezione I, cartella 34. Un articolo importante su Franco Ghiglia è riportato dal giornale "L'UNITA'" del 7 febbraio 1955, scritto dal giornalista Leandro Canepa.
(5) - Motivazione della medaglia d'oro al valor militare, alla memoria, concessa a Franco Chiglia: "Diciottenne valoroso, audace partigiano, si distingueva in numerosi combattimenti per coraggio e ardore. Volontario in una pericolosa e difficile missione, scontrandosi con rilevanti forze nemiche, accettava la dura lotta nella quale veniva ferito e quindi catturato, perché rimasto senza munizioni. Sottoposto alle più crudeli torture e sevizie, non faceva alcuna rivelazione ed in segno di disprezzo sputava in faccia al suo inquisitore. Condotto sul luogo della sua esecuzione, subiva senza battere ciglio una simulata impiccagione a scopo intimidatorio. La sua fierezza non piegò e, dopo avere incitato un suo compagno di martirio a non parlare, invitava gli aguzzini a portare a termine l'esecuzione. Prima che il cappio stroncasse la sua giovine esistenza, elevava il grido di "Viva L'Italia!". - Valle Impero, 5.4.1945".
Francesco Biga, Op. cit., p. 286,287
6 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che il giorno prima era stato impiccato a Pontedassio dai tedeschi il garibaldino "Gigante" [Franco Ghiglia]...
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La
Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della
documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo
II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di
Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, Anno Accademico
1998-1999
Franco Ghiglia nato ad Imperia il 18 aprile 1926. Era entrato giovanissimo nel Distaccamento “Walter Berio” della 4^ Brigata Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione “Felice Cascione“. Le sue imprese gli valsero il nome di battaglia di “Gigante“, ma una di queste (avvenuta l’8 gennaio 1945), gli fu fatale. “Gigante” e i suoi si erano scontrati con i nazifascisti nelle vicinanze di Costa d’Oneglia. Due tedeschi erano rimasti sul terreno e i partigiani, prima di allontanarsi, avevano sepolto i due caduti. A quello scontro seguì, dopo una settimana, un massiccio rastrellamento nella zona. Franco Ghiglia e i suoi riuscirono a sganciarsi, ma “Gigante” era stato raggiunto da un proiettile ad una gamba. Costretto all’immobilità e riparato con altri quattro patrioti in un fienile, il 7 marzo il giovane vi fu sorpreso dalle SS. Qualcuno si lasciò sfuggire dell’episodio di due mesi prima e per Ghiglia fu l’inizio tormentoso della fine. Condotto zoppicante, con un altro prigioniero, sul luogo dove erano stati sepolti i due militari tedeschi, “Gigante” e il suo compagno furono costretti a scavare e a riesumare le salme. Con i due corpi in decomposizione sulle spalle, i prigionieri dovettero trasportarli per chilometri sino a un cimitero. Qui, sfiniti e continuamente bastonati, i partigiani dovettero scavare due fosse e procedere ad una nuova inumazione. Ma per “Gigante” non era ancora finita: per tutta la notte il ragazzo fu torturato dal maresciallo delle SS Mayer, per estorcergli i nomi dei capi partigiani e notizie sulla dislocazione del Comando. Non una parola uscì dalle labbra di Ghiglia che, all’indomani, fu portato in località Cava Rossa. Qui i tedeschi fissarono una corda ad un albero di ulivo e infilarono il collo di “Gigante” nel cappio. Il sottufficiale tedesco si avvicinò al giovane, promettendogli la grazia se avesse parlato. Il ragazzo - come ebbe poi a raccontare un suo compagno, fortunosamente salvatosi dalla forca - fece come un segno di assenso, ma quando il tedesco gli andò a ridosso per sentire che cosa avrebbe detto, Ghiglia gli sputò in faccia. Il cadavere del giovane partigiano fu lasciato penzolare per due giorni dall’ulivo. Il coraggio con cui affrontò la tortura e l’abnegazione con cui andò incontro alla propria morte gli valsero la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Redazione, Un ricordo di Franco Ghiglia a settantacinque anni dal suo assassinio, ANPI Imperia, 5 aprile 2020