Mario [Carlo De Lucis] era commissario della I Brigata, ma lo rimase ancora per poco: ai primi di novembre [1944] vennero formati i nuovi quadri. I resti del comando della Cascione stavano affluendo a Fontane [Frazione del comune di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo] cercando penosamente di ricostruire servizi, uffici, organizzazione, ma ormai dopo il colpo di Upega era impossibile tornare ad essere quelli di una volta. Oltre al materiale perduto mancavano gli uomini e la volontà. Curto [Nino Siccardi: in quel periodo comandante della Divisione "Felice Cascione"], arrivato dalla Liguria, provvide alle nuove nomine. Il posto di commissario della Cascione, dopo la morte di Giulio, passava a Mario. Vicecommissario diventa Miliani, già capo dell'Ufficio Agitazione e Propaganda della I Brigata. Cion [Silvio Bonfante], vicecomandante della Cascione, viene sostituito da Giorgio [Giorgio Olivero]. La Divisione ha quindi Curto e Giorgio, Mario e Miliani. Comandante della I Brigata diventa Mancen [Massimo Gismondi], già vicecomandante, la carica vacante passa a Pantera [Luigi Massabò], già capo di Stato Maggiore, il cui posto verrà ricoperto da Pablo, già mio superiore nell'Ufficio Operativo che viene soppresso. Commissario della I diventa Osvaldo [Osvaldo Contestabile] che lascia la V Brigata. Vicecommissario sarà Socrate [Francesco Agnese] che in ottobre, quando era commissario del distaccamento "Rainis", aveva effettuato un brillante colpo di mano sulle caserme di Diano Marina. II posto rimase vacante perché Socrate doveva essere in Val Pennavaira col suo distaccamento e purtroppo le nostre speranze erano infondate: Socrate era morto ad Upega.
[...] Notevole importanza poteva invece avere la soppressione del tribunale divisionale essendo venuto a mancare il suo capo: Prof. [Giuseppe Della Valle]. Prof. era uno strano individuo: professore di lingue orientali era stato liberato dalle carceri di Oneglia assieme ad ottanta altri detenuti politici. Perché era in carcere allora? Credo che nessuno avesse mai indagato seriamente. Si diceva per traffico di sterline o perché fosse ebreo, poi fu detto che fosse stato confidente della polizia con l'incarico di ottenere le confidenze dei detenuti. Da allora era rimasto sempre con noi ché, per la sua età avanzata, non gli avevamo affidato incarichi di combattente. Della sua opera di giudice nessuno aveva mai avuto a lamentarsi. Ricordo poco Prof.: non era figura di primo piano. Mi sono rimasti impressi solo due episodi in cui ebbi modo di rendermi conto che era intelligente ed abile. A Piaggia fui presente ad una discussione tra lui ed il maggiore Elio. Mentre quest'ultimo sosteneva che in teoria non meritassero la morte coloro che, iscritti al partito Fascista Repubblicano, non appoggiavano materialmente la Repubblica, Prof. sosteneva che l'appoggio morale, concretato nell'iscrizione, era a suo parere sufficiente, poiché l'iscritto si rendeva complice e corresponsabile, dava esplicitamente la sua approvazione a quanto si faceva contro di noi, diventava: «Un anello della catena che ci soffoca».
L'altro episodio era l'obiezione fatta a Boris [Gustavo Berio] dopo una conferenza di quest'ultimo sul Comunismo, tenuta una sera a Piaggia al Comando della Cascione. Boris aveva sostenuto che nei Paesi capitalistici non vi è vera libertà di stampa perché pubblicare un giornale costa cifre enormi che solo i capitalisti possono spendere. I giornali operai vengono sistematicamente eliminati dalla concorrenza non avendo fondi per i servizi speciali eccetera.
«Sei giovane e certe cose non le puoi ricordare, - gli disse Prof. - ma noi non possiamo dimenticare quello che hanno saputo fare con i loro pochi mezzi i giornali socialisti prima del 1922».
Ricordo un caso di giustizia partigiana che era presentato in quei giorni, ma non ricordo la parte che vi ebbe Prof.
A Fontane i borghesi avevano riconosciuto in un garibaldino un ex rastrellatore di Val Casotto. Il caso era grave. Indubbiamente molti militari repubblicani erano venuti con noi tra maggio e settembre e nessuno aveva mai indagato sul loro passato: se c'era qualche macchia la vita sui monti l'avrebbe riscattata. Il movimento partigiano era un po' come una legione straniera, ognuno era giudicato per il suo presente. Questa però non era né una consuetudine né tanto meno una legge, era solo una conseguenza della mancanza di accuse dirette, ora all'accusa si aggiungeva la confessione: il partigiano aveva ammesso che nel marzo 1944 era salito in Val Corsaglia con i repubblicani a rastrellare. Era stato costretto a farlo, ma ciò a noi importava poco, i fatti commessi comportavano la pena di morte. Vennero interrogati i suoi superiori: «E' un buon ragazzo - risposero -, è in banda da molti mesi ed ha fatto sempre il suo dovere».
Il comando restò incerto, poi decise di trasferire l'accusato in altra banda: era bene sottrarlo all'ambiente dove ormai si era fatto degli amici e far sì che i civili, che lo conoscevano, non lo vedessero più, avessero l'impressione della sua eliminazione. Il nuovo capobanda fu avvenito del passato del suo nuovo combattente [...]
Era Prof. la famosa spia che per mesi era stata l'incubo della Cascione? Ritenemmo di sì, ma solo il futuro ci avrebbe dato conferma. Se avessimo colpito giusto, il nemico avrebbe mancato d'ora innanzi di informazioni precise ed il comando non sarebbe stato attaccato con tanta sicurezza come a Villa Talla e ad Upega. Prof. per il suo incarico aveva una grande libertà di movimento e la possibilità di avere notizie esatte e precise; rimase però un mistero come potesse avvertire tempestivamente il nemico, poiché il metodo postale scoperto dall'accusa era puerile ed inefficace perché il servizio postale era da mesi inesistente in tutti i paesi dell'entroterra. Se era realmente colpevole doveva pertanto avere dei complici volontari od inconsci cd era nostro interesse scoprirli. Deplorai pertanto che fosse stato soppresso senza un regolare interrogatorio in modo da poter andare più a fondo in tutto il problema. (*)
Soppresso Prof., formati i nuovi quadri, prendemmo contatti ed accordi con le formazioni badogliane che avevano stabilito posti di blocco su tutte le carrozzabili che portavano nella nostra zona.
Notammo subito una diversità di stile fra i nostri capi ed i loro. Forse anche i badogliani usavano pseudonimi, in tal caso però erano meno strani e coloriti dei nostri. Al nome nelle lettere e nelle presentazioni usavano premettere il grado: tenente, capitano, maggiore invece che l'incarico: commissario, comandante, vicecomandante. Immediatamente Mancen, Pantera, Giorgio fecero uso dei gradi creati a Piaggia diventando maggiori e colonnelli.
(*) Dal 3° volume della «Storia della Resistenza Imperiese» [Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977] apprendo che il sottotenente Otto Trostel delle SS, passato ai partigiani il 24 ottobre, ci informò che Prof. era in contatto con i tedeschi. La moglie, arrestata a Carpasio dalla IV Brigata, prima di essere fucilata, inviò a Prof. una staffetta con una lettera dove aveva scritto: «Stai attento, la Questura ti cerca».
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 19-22
[...] Notevole importanza poteva invece avere la soppressione del tribunale divisionale essendo venuto a mancare il suo capo: Prof. [Giuseppe Della Valle]. Prof. era uno strano individuo: professore di lingue orientali era stato liberato dalle carceri di Oneglia assieme ad ottanta altri detenuti politici. Perché era in carcere allora? Credo che nessuno avesse mai indagato seriamente. Si diceva per traffico di sterline o perché fosse ebreo, poi fu detto che fosse stato confidente della polizia con l'incarico di ottenere le confidenze dei detenuti. Da allora era rimasto sempre con noi ché, per la sua età avanzata, non gli avevamo affidato incarichi di combattente. Della sua opera di giudice nessuno aveva mai avuto a lamentarsi. Ricordo poco Prof.: non era figura di primo piano. Mi sono rimasti impressi solo due episodi in cui ebbi modo di rendermi conto che era intelligente ed abile. A Piaggia fui presente ad una discussione tra lui ed il maggiore Elio. Mentre quest'ultimo sosteneva che in teoria non meritassero la morte coloro che, iscritti al partito Fascista Repubblicano, non appoggiavano materialmente la Repubblica, Prof. sosteneva che l'appoggio morale, concretato nell'iscrizione, era a suo parere sufficiente, poiché l'iscritto si rendeva complice e corresponsabile, dava esplicitamente la sua approvazione a quanto si faceva contro di noi, diventava: «Un anello della catena che ci soffoca».
L'altro episodio era l'obiezione fatta a Boris [Gustavo Berio] dopo una conferenza di quest'ultimo sul Comunismo, tenuta una sera a Piaggia al Comando della Cascione. Boris aveva sostenuto che nei Paesi capitalistici non vi è vera libertà di stampa perché pubblicare un giornale costa cifre enormi che solo i capitalisti possono spendere. I giornali operai vengono sistematicamente eliminati dalla concorrenza non avendo fondi per i servizi speciali eccetera.
«Sei giovane e certe cose non le puoi ricordare, - gli disse Prof. - ma noi non possiamo dimenticare quello che hanno saputo fare con i loro pochi mezzi i giornali socialisti prima del 1922».
Ricordo un caso di giustizia partigiana che era presentato in quei giorni, ma non ricordo la parte che vi ebbe Prof.
A Fontane i borghesi avevano riconosciuto in un garibaldino un ex rastrellatore di Val Casotto. Il caso era grave. Indubbiamente molti militari repubblicani erano venuti con noi tra maggio e settembre e nessuno aveva mai indagato sul loro passato: se c'era qualche macchia la vita sui monti l'avrebbe riscattata. Il movimento partigiano era un po' come una legione straniera, ognuno era giudicato per il suo presente. Questa però non era né una consuetudine né tanto meno una legge, era solo una conseguenza della mancanza di accuse dirette, ora all'accusa si aggiungeva la confessione: il partigiano aveva ammesso che nel marzo 1944 era salito in Val Corsaglia con i repubblicani a rastrellare. Era stato costretto a farlo, ma ciò a noi importava poco, i fatti commessi comportavano la pena di morte. Vennero interrogati i suoi superiori: «E' un buon ragazzo - risposero -, è in banda da molti mesi ed ha fatto sempre il suo dovere».
Il comando restò incerto, poi decise di trasferire l'accusato in altra banda: era bene sottrarlo all'ambiente dove ormai si era fatto degli amici e far sì che i civili, che lo conoscevano, non lo vedessero più, avessero l'impressione della sua eliminazione. Il nuovo capobanda fu avvenito del passato del suo nuovo combattente [...]
Era Prof. la famosa spia che per mesi era stata l'incubo della Cascione? Ritenemmo di sì, ma solo il futuro ci avrebbe dato conferma. Se avessimo colpito giusto, il nemico avrebbe mancato d'ora innanzi di informazioni precise ed il comando non sarebbe stato attaccato con tanta sicurezza come a Villa Talla e ad Upega. Prof. per il suo incarico aveva una grande libertà di movimento e la possibilità di avere notizie esatte e precise; rimase però un mistero come potesse avvertire tempestivamente il nemico, poiché il metodo postale scoperto dall'accusa era puerile ed inefficace perché il servizio postale era da mesi inesistente in tutti i paesi dell'entroterra. Se era realmente colpevole doveva pertanto avere dei complici volontari od inconsci cd era nostro interesse scoprirli. Deplorai pertanto che fosse stato soppresso senza un regolare interrogatorio in modo da poter andare più a fondo in tutto il problema. (*)
Soppresso Prof., formati i nuovi quadri, prendemmo contatti ed accordi con le formazioni badogliane che avevano stabilito posti di blocco su tutte le carrozzabili che portavano nella nostra zona.
Notammo subito una diversità di stile fra i nostri capi ed i loro. Forse anche i badogliani usavano pseudonimi, in tal caso però erano meno strani e coloriti dei nostri. Al nome nelle lettere e nelle presentazioni usavano premettere il grado: tenente, capitano, maggiore invece che l'incarico: commissario, comandante, vicecomandante. Immediatamente Mancen, Pantera, Giorgio fecero uso dei gradi creati a Piaggia diventando maggiori e colonnelli.
(*) Dal 3° volume della «Storia della Resistenza Imperiese» [Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977] apprendo che il sottotenente Otto Trostel delle SS, passato ai partigiani il 24 ottobre, ci informò che Prof. era in contatto con i tedeschi. La moglie, arrestata a Carpasio dalla IV Brigata, prima di essere fucilata, inviò a Prof. una staffetta con una lettera dove aveva scritto: «Stai attento, la Questura ti cerca».
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 19-22