Alla sera anzichè trovarci sopra Eca Nasagò [Frazione di Ormea (CN)], eravamo ancora sopra Ormea; allora Arturo, un giovane ormeasco disse: "Se passiamo da Eca Nasagò dovremmo attraversare la statale di giorno e, con il carico che abbiamo, è da imprudenti e per questo sarà necessario aspettare la notte. Se invece scendiamo verso Ormea, transitiamo nei pressi del castello diroccato e attraversiamo il Tanaro nei pressi del paese e arriviamo al distaccamento di «Plastico» inosservati". Quest'ultimo era il Comandante del distaccamento di Ormea, che si trovava a poca distanza dalla cittadina.
Arturo conosceva bene la zona; certamente non ci avrebbe proposto quella strada se non fosse stato convinto di poter attraversare il Tanaro con facilità. Dopo esserci consultati, decidemmo di approvare la sua proposta. Era notte quando arrivammo nei pressi del castello. Guidava la piccola colonna Arturo, io subito dietro. Tutto sembrava procedere nel migliore dei modi, quando udimmo uno scoppio simile ad un colpo di pistola, subito seguito da una luce intensa come quella di un bengala. Qualcosa bruciava a poca distanza da noi. Ci acquattammo sul terreno in attesa delle prime raffiche; ma non successe nulla. Però i ragazzi che erano alla fine della colonna iniziarono a ripiegare abbastanza rumorosamente. Lasciai il mio carico ad Arturo dicendogli: "Devo raggiungerli e fermarli, non conoscono la zona!" e così feci.
Ritornammo sui nostri passi e pernottammo in un fienile di una frazione di Ormea. La sera seguente proseguimmo attraverso la statale per Eca Nasagò, senza altri incidenti. Lello Nante, con il suo solito umorismo, iniziò allora a sfottere Arturo dicendo che il motivo per il quale egli voleva guadare il Tanaro era che aveva i piedi sporchi, dato che non se li lavava mai....... Per tutta la durata della guerra Arturo restò «l'uomo dai piedi sporchi» che, per lavarseli, aveva bisogno di compagnia.
Il traffico nemico sulla statale era sempre molto intenso. Di giorno disturbavamo il transito con le mitragliatrici pesanti; di notte, con i bazooka, colpivamo la prima macchina della colonna, se di colonna si trattava. Al contrario, se era un veicolo isolato, non davamo neanche il tempo ai sopravvissuti, se ce n'erano, di reagire, perché colpivamo con numerose raffiche di sten. Poi prendevamo le armi e quant'altro c'era di utile a bordo degli automezzi e ci ritiravamo. Col bazooka il migliore era Lazzaro il redivivo: lasciava avvicinare l'automezzo a brevissima distanza e lo centrava con il suo tiro preciso. L'attività della nostra Brigata, dopo la prima decade di aprile, divenne intensa; durante il giorno era un susseguirsi continuo di vetture e autocarri che viaggiavano sempre in discreto numero, ma anche di colonne di carri trainati dai muli, cavalli e asini che il nemico aveva razziato nella zona.
Intorno al quindici di aprile, due squadre di un Distaccamento avevano attaccato una colonna di vetture tedesche, scortate da alcune autoblindo, armate da mitragliere antiaereo e da mascin-gavert. Su una vettura, occupata da ufficiali superiori nazisti, vennero trovate due grosse valigie di orologi di svariate marche e molte pezze di stoffa per vestiti da uomo e da donna, tutte in pura lana, a quanto dicevano gli intenditori.
Questo materiale fu caricato in seguito su due muli e, personalmente coadiuvato dai garibaldini Athos e Scalabrino, lo consegnai al Comando di Divisione «Silvio Bonfante». Allora non ci passò neanche per la mente di dividere questo bottino fra i componenti della Brigata che pure ce n'era bisogno: tutto quanto preso al nemico era ritenuto dovesse appartenere alla collettività, era di tutti e pertanto era sacro, più ancora delle vacche in India, come dicevamo allora.
Al mio ritorno dal Comando di Divisione, dove avevo consegnato il bottino di guerra, anzichè rientrare al Comando Brigata, allungai il mio giro nel territorio per vedere e sentire le novità nei vari Distaccamenti: tutte le notizie confermavano quelle del Comando di Divisione che prevedevano il ritiro dei nazifascisti entro il mese stesso. Il traffico sulla statale era ormai a senso unico: tutto in direzione del Colle di Nava e oltre, mentre i tedeschi di Pieve di Teco requisivano tutti i carri e tutte le bestie che riuscivano ancora a scovare.
Riferii ai vari Distaccamenti quello che avevo saputo al Comando di Divisione (il Comando Divisione era puntualmente informato degli eventi bellici in Europa dalla Missione alleata che era presso il Comando della Prima zona Liguria), raccomandai a tutti, in special modo ai comandanti la massima prudenza: era inutile rischiare più del necessario: avevamo dei fucili mitragliatori meravigliosi con abbondanti munizioni. Dovevamo usarli, ma a distanza di sicurezza, cambiando continuamente di posizione affinché il nemico non potesse localizzarli e fare uso dei mortai. Nel caso fossero stati sottoposti al tiro dei mortai, dovevano allontanarsi immediatamente. L'azione doveva essere continua, ma con una squadra in azione e le altre tre di riserva. Non dovevamo più adoperare i mitra, gli sten, se non per difenderci, oppure per occupare i paesi; dovevamo colpire i tedeschi e i loro alleati fascisti, ma niente eroismi; troppi compagni avevamo già perso, le nostre madri ormai ci aspettavano a casa da un momento all'altro. Era nostro dovere colpire il nemico in ritirata, ma era anche nostro dovere tornare alle nostre case.
Rientrai al Comando di Brigata dopo aver visitato tutti i Distaccamenti della stessa e dopo aver ripetuto a tutti le stesse cose. Quando giunsi al Comando Brigata, Osvaldo e Lello mi informarono di aver dato le stesse disposizioni che avevo dato io a voce, per lettera ai vari Distaccamenti; questo sempre a mezzo di staffette.
Chissà se un giorno qualcuno scriverà qualche cosa sulle nostre staffette; ... Alle volte ho l'impressione che il compito delle stesse sia stato sottovalutato (forse anche dagli stessi partigiani), invece era un compito di grande importanza e pericolosissimo. Andavano sempre da soli e nell'incerto, pressoché disarmati, forniti solo di rivoltelle di dubbia efficienza; dovevano recapitare ordini e istruzioni urgentissime dalle quali alle volte dipendeva la sopravvivenza di intere formazioni, le quali per i più svariati motivi nel frattempo potevano aver anche cambiato sede. Ma loro dovevano trovarle ugualmente, non potevano assolutamente cadere prigionieri del nemico con la posta e siccome in tal caso non serviva più alcuna copertura, i nazifascisti li avrebbero torturati fin tanto che non avessero parlato oppure fossero morti. L'indirizzo era sempre lo stesso: al Comando del Distaccamento oppure di Battaglione, o di Brigata, o di Divisione, sua sede, Vattelapesca. Pertanto era chiaro che questa sede bisognava saperla o cercarsela e comunque non denunciarla.
Se venivano catturati, seguiva pena la tortura e una morte atroce, il che purtroppo spesso capitava, appunto, alle nostre eroiche staffette che non tradirono mai.
Continuammo a colpire il nemico in ritirata sino al 27 aprile nel pomeriggio, quando entrammo in Ormea.
Forse qualcuno criticherà il nostro colpire il nemico in ritirata, sparare su gruppi di uomini in fuga, su carri, su camion, sui più svariati mezzi di trasporto; non è certamente da soldati agire così, si dice. Ma noi non eravamo più dei soldati, eravamo dei «Ribelli», e loro ci chiamavano addirittura banditi; come tali (e ancora peggio) ci avevano trattato. Ci chiamavano banditi e traditori, ma i veri traditori erano invece proprio loro, i fascisti che avevano tradito il 25 Luglio Mussolini, giurando fedeltà a casa Savoia e poi, all'8 settembre, dietro le baionette tedesche, avevano ripresentato giuramento di fedeltà al loro duce. I tedeschi invece facevano la guerra per il loro Führer e noi rendevamo loro quanto loro ci avevano dato in tutto quel periodo di lotta senza quartiere. Eravamo anche dei ribelli alla guerra, ma facevamo la guerra perchè avevamo capito che questo era il prezzo che si doveva pagare per quanto era successo dal 1922 al 1945 nel nostro paese.
Entrammo dunque in Ormea il 27 di aprile, pomeriggio, del 1945.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 188-192
6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'elenco del materiale ricevuto con il 3° lancio alleato, avvenuto [a Pian Rosso] nella stessa data, materiale in cui figuravano soprattutto 18 Sten con 8000 munizioni, 2 lanciagranate con 28 munizioni, diversi capi d'abbigliamento.
15 aprile 1945 - Dal commissario [Mario, Carlo De Lucis] della VI^ Divisione al comando della VI^ Divisione - Informava che: "... Cimitero [Bruno Schivo] ha attaccato il 4 aprile i tedeschi a Borghetto d'Arroscia: si parla di 4 morti e 6 feriti; Basco [Giacomo Ardissone] non è intenzionato a lasciare il Battaglione 'Turbine'"; Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario della costituenda IV^ Brigata "Domenico Arnera", già Brigata "Val Tanaro"], che è guarito, probabilmente rientrerà in formazione; Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi, comandante della IV^ Brigata, già a capo nell'autunno 1943 di un piccolo gruppo partigiano in Cipressa (IM)] ha attaccato nei giorni scorsi una macchina tedesca ferendo un tenente colonnello: la formazione colà stanziata funziona bene e continua ad arruolare nuovi volontari...".
16 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla formazione garibaldina in Val Tanaro - Comunicava che "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi] era nominato comandante - commissario "Lello" [Raffaele Nante], responsabile politico "Barba" - della Brigata "Val Tanaro", dalla quale dovevano ormai dipendere il I° Distaccamento "Mario Longhi" con comandante "Franco" [Franco Bonello] e commissario "Romolo" [Romolo Gandolfo], il II° Distaccamento "Giuseppe Maccanò" con comandante "Arturo", il III° Distaccamento "Ormea", nome dato spontaneamente dai garibaldini che lo componevano, con comandante "King Kong" [Secondo Bottero] e con commissario un partigiano designato da "Lello", il IV° Distaccamento "Garessio" i cui uomini dovevano eleggere il proprio comandante ed il proprio commissario, che i 4 Distaccamenti dovevano "inviare rapportini giornalieri", che la formazione "Val Tanaro" doveva stabilire contatti con il comando della VI^ Divisione tramite la II^ Brigata "Nino Berio".
17 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla "formazione in Val Tanaro" [non era ancora stata ufficializzata la IV^ Brigata "Domenico Arnera"] - Chiedeva la presenza del comandante "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi] ad una riunione ad Alto per discutere un piano con "Basco" [anche "Blasco", Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata].
23 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Scriveva che "Frà Diavolo ha effettivamente 150 uomini... la val Tanaro è completamente nostra politicamente, lo deve essere anche militarmente".
24 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 340, al comando della formazione "Val Tanaro" - Comunicava la nuova denominazione della formazione, IV^ Brigata "Domenico Arnera".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)
- Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà
di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno
Accademico 1998 - 1999