venerdì 17 settembre 2021

Ferito gravemente alla gamba destra un partigiano che poi risultò essere Modena Antonio

Pagina 10 (qui citata) del Diario del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan - cit. infra

Operazione antiribelle del 5 dicembre 1944/XXIII
A iniziativa del comando G.N.R. (Capitano Sainas) con 36 uomini della Provinciale (al comando del S. Ten. Greppia) e 15 uomini della Brg. Nera al Comando del V. Comte Ravina, si rastrella la zona della Cava di Verezzo (Verezzo Ponte e Rodi).
Comandano e dirigono l'azione il Capitano Sainas ed il Comandante Ten. Mangano.
Partenza dalla caserma ore 5,1/4
[...] Verso le 6,3/4 la pattuglia di destra (Pelucchini) svolge azione di fuoco e ferisce un ribelle che poi risultò essere un certo Modena Antonio il quale al momento del fermo tentò corrompere i legionari Pelucchini e Bartoli offrendo lire cinquecento (£. 500) cadauno per riscattare la propria libertà. Avuto un netto e reciso rifiuto pensò bene darsi alla fuga, e fu allora che Bartoli gli sparò e lo ferì gravemente alla gamba destra.
Bilancio generale dell'Azione: due fermi di renitenti alla leva ed un ribelle ferito.
[...] Visto/Il Comandante Mangano [...]
Diario del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

BARTOLI IVO: nato a Buti (Pi) il 24 agosto 1924, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 26.6.1945:
Nei primi di gennaio del 1944 fui rastrellato in via Vittorio di Sanremo, nel caffè Iris, da agenti di polizia e internato nel campo di concentramento di Vallecrosia. Qui ci venne fatta la proposta di arruolarci nelle forze armate repubblicane o di andare a lavorare in Germania.
Decisi di arruolarmi nel Battaglione Italiani all’Estero di stanza a Taggia. Dopo alcuni giorni venni trasferito a Genova ed incorporato nel Comando Marina dove rimasi fino al mese di luglio quando disertai tornandomene a casa. Andai quindi in montagna, a Carmo Langan, con i patrioti. Qui sono rimasto 10 o 15 giorni dopo di che sono tornato a casa perché il Comandante Vittò [n.d.r.: Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] ci disse che chi voleva rimanere sarebbe rimasto a proprio rischio e pericolo e chi voleva andarsene era libero di farlo.
Sono quindi tornato a Sanremo dove mi nascosi a casa di un mio amico. Dopo circa tre mesi tornai a casa mia e dove, dopo alcuni giorni, fui arrestato dai militi della brigata nera, i quali volevano consegnarmi alle SS tedesche.
Io per evitare ciò mi arruolai nelle brigate nere in data 11 novembre 1944.
Dopo 15 giorni, il comandante del distaccamento, Mangano, mi ordinò di andare a fare un rastrellamento a Verezzo con altri della brigata nera.
Giunti nei pressi di Verezzo venne catturato un certo Modena, che fu assegnato a me perché lo guardassi.
Dopo un po' il Modena mi chiese di accompagnarlo al comandante della pattuglia, Pelucchini Dario, perché doveva parlargli. Ci avviammo ma mentre io mi girai per chiamare il Pelucchini, il Modena se la diede a gambe. Allora io sparai un colpo in aria per intimorirlo ma, visto che non si fermava, io e gli altri miei compagni gli abbiamo sparato contro ed il Modena cadde per terra e rimase dietro un muro di una casa. Andammo a vedere ma il Modena non c’era più e cercatolo non lo abbiamo più trovato. Dopo poco sopraggiunse il Capitano Sainas della GNR, il quale con i suoi militi si recò a cercare il Modena che fu rintracciato dopo circa una mezz’ora e subito udimmo degli spari. Quando i militi vennero sul posto dove eravamo noi, portarono il Modena ferito ad una gamba. Non posso dire se il Modena venne ferito da noi o dai militi della GNR. Rimasi nella brigata nera fino al 13 dicembre 1944, giorno in cui venni cacciato via perché toglievo i detonatori alle bombe a mano e tradotto alla caserma Crespi di Imperia, insieme ai rastrellati
[...]
CURTI WALTER: nato a Sanremo il 1° agosto 1929, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 28.5.1945:
Mi arruolai volontariamente nella brigata nera di Imperia nel novembre del 1944 e assegnato al distaccamento di Sanremo dove sono rimasto fino al giorno 24 aprile, giorno in cui siamo partiti per Imperia per incolonnarci col comando di brigata e con il comando della GNR diretti a Milano. Ho partecipato ad un rastrellamento verso la fine di novembre unitamente a reparti tedeschi, bersaglieri, marina tedesca e truppe del comando provinciale nella zona di Ceriana. In tale occasione non venne operato nessun arresto però il reparto della marina tedesca diede alle fiamme alcune case a ridosso del paese.
Una seconda operazione a cui ho partecipato venne fatta presso le cave di Verezzo insieme a reparti della provinciale (GNR). Per ciò che riguarda il nostro settore posso affermare che venne fermato un certo Modena e poiché questo tentò di fuggire fu fatto segno a colpi di moschetto. Venne raggiunto da un colpo sparatogli del milite della brigata nera Ivo Bartoli e ferito ad un ginocchio, indi fu fatto prigioniero.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Personaggi: un capitano tedesco, un tenente dell’Upi e un capitano della Gnr; per essere più precisi, il capitano Sainas. Ancora una volta la barbara legge tedesca delle rappresaglie sta per essere messa in atto: il capitano tedesco chiede al tenente dell’UPI dodici ostaggi da fucilare. Ma il numero dei prigionieri a disposizione del tenente è solo di otto.
Il tedesco s’intestardisce: “Ho detto dodici, Se no ci rimetto”. Il tenente non sa come fare. Il tedesco minaccia di far arrestare e fucilare le prime persone che incontra per la strada. Alla fine consultando le liste e le pratiche il tenente riesce a trovare altri tre candidati alla morte. Ne manca ancora uno, ma il tedesco è irremovibile. Si fa avanti il cap. Sainas e dice al tenente: “Se vuoi te ne presto uno io, ma poi tu me lo restituisci”.
Italo Calvino, articolo pubblicato senza firma sul numero 5 di “La nostra lotta”, giovedì 9 maggio 1945

Esemplare a riguardo quanto accade nella notte tra il 24 e il 25 aprile 1944 a Monte Castelluccio di Norcia: qui un un reparto della Gnr di Perugia utilizzato per la controguerriglia, denominato significativamente compagnia della morte e comandato dal capitano Sainas e dai tenenti Facioni e Vannucci, dopo un breve scontro a fuoco catturò il partigiano spoletino Paolo Schiavetti Arcangeli e due prigionieri di guerra di nazionalità sudafricana, tutti furono uccisi a sangue freddo dopo la cattura. La stessa compagnia, particolarmente attiva nella primavera 1944 nei rastrellamenti condotti in collaborazione con reparti tedeschi nella zona di Nocera Umbra e Cascia, fu protagonista a Marsciano, della fucilazione dei fratelli Ceci, fornendo i volontari per costituire il plotone di esecuzione e assicurando il servizio d’ordine.
Angelo Bitti, La guerra ai civili in Umbria (1943-1944). Per un Atlante delle stragi naziste, ISUC, 2007
  
  
Interrogatorio di Ravinale Athos dell’8.4.1946: Mi sono arruolato volontariamente nella brigata nera sanremese il 10 novembre 1944. Fui subito incorporato ed assegnato a fare servizi di guardia alla caserma e pattuglie in città. Ho partecipato assieme ai miei compagni a diversi rastrellamenti contro i partigiani a Sanremo e dintorni. Il primo di detti rastrellamenti, l’ho eseguito nel novembre 1944 in regione San Michele, nella quale vennero fermati due renitenti che vennero poi rilasciati. Nella notte dal 2 al 3 dicembre 1944, in unione a militari tedeschi, a militi della GNR e militari repubblicani, ho partecipato con 18 miei compagni ad un rastrellamento nella zona di Ceriana - Taggia - Poggio. In detta azione non venne ucciso né ferito nessun partigiano né venne effettuato alcun fermo [...] Il 5 dicembre dello stesso anno ho partecipato ad un rastrellamento contro partigiani nella zona di Cave di Verezzo. In detta azione venne ferito gravemente alla gamba destra, ad opera del milite della brigata nera Bartoli, un partigiano che poi risultò essere Modena Antonio. Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione.Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019  

[n.d.r.: allo stato attuale non è stato possibile reperire altre informazioni sulla figura e sulla sorte del partigiano Antonio Modena, se non in una missiva del CLN di Sanremo in data 13 aprile 1945, n° prot. 500, indirizzata al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", da cui si stralcia la seguente frase "informeremo la famiglia di Modena che lo stesso sta bene e scriverà": ammesso e non concesso che si trattasse della stessa persona]

domenica 12 settembre 2021

Prigionieri di guerra jugoslavi a Garessio

Alto (CN) - Fonte: Mapio.net

Uno dei primi alassini a salire ad Alto [provincia di Cuneo, alta Val Pennavaira], veramente agli albori e cioé verso fine di settembre 1943 era Giuseppe Arimondo (Pippo o Elio o Mingo o D 33), ex ufficiale di artiglieria reduce da Trieste dopo il fatidico 8 settembre. Aveva trovato rifugio nella cascina Quan, in località Costabella ad Alto, mentre l'altro alassino Giovanni Sibelli (Sergio), anch'egli fuggito da Trieste dal 34° Reggimento artiglieri "Sassari", era nella cascina di Ettore in località Ferraia. Sibelli ritornerà dopo qualche tempo ad Alassio per aggregarsi al CLN e per dare il suo notevole contributo al locale PCI clandestino. Ad Alto, Sergio collaborava con Giorgio Alpron (Giorgio I o Cis)... Emozionante era stato per Pippo l'incontro con Felice Cascione (U Megu) e Vittorio Acquarone nella trattoria di Adelina, quando i due imperiesi tentavano di stabilire i primi collegamenti con gli albenganesi animati dalla comune fede comunista. Un episodio significativo era stata la ricerca di tre ufficiali jugoslavi prigionieri, evasi dal campo di concentramento di Garessio e rifugiatisi sul Monte Galero, saltuariamente soccorsi da Rina Bianchi di Nasino [in provincia di Savona, Val Pennavaira]. Pippo Arimondo con alcuni albenganesi... coronavano la ricerca, aggregando i tre slavi Milan R. Milutinovic (Mille), Obren L. Savic (Vincenzo) e Mihajlo Kavagenic (Michele o Dabo) al distaccamento ribelle. I tre jugoslavi combatteranno con i partigiani fino alla fine del conflitto. Arimondo (Pippo) nel gennaio 1944 scendeva ad Alassio per organizzare, come detto, il trasporto di armi e di munizioni. Nella sosta di alcuni giorni in Riviera incontrava in una casa privata di via Diaz, assieme a Virgilio Stalla, Angelo Martino e Giovanni Sibelli, il dirigente comunista Giancarlo Pajetta (Nullo o Mare), ispettore militare in viaggio lungo la costa ligure per coordinare le prime squadre partigiane comuniste, le Stelle Rosse. Avuto l'assenso per la disponibilità degli armamenti, Pippo ritornava ad Alto per riferire l'esito della missione. A quel punto Viveri (Umberto) e il comando partigiano rimandavano Pippo ad Alassio... Nel frattempo da Alto arrivava la tragica notizia della morte di Felice Cascione e la conseguente dispersione dei garibaldini verso il Piemonte.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 

In altra occasione nel luglio 1942 il rifiuto dei prigionieri di rientrare nelle baracche dopo le ore 21 era stato represso a colpi di arma da fuoco con un bilancio di un morto ed un ferito. <79
Appena un mese dopo la quasi totalità dei prigionieri ex jugoslavi veniva trasferita in Piemonte nel campo di Garessio dove avrebbero goduto di un trattamento più umano. <80
Nelle sue memorie il prigioniero di guerra alleato J. Verney descrive l’uccisione di un soldato jugoslavo alla stazione di Sulmona nella concitata fase di trasferimento da Fonte d’Amore il 30 settembre <81.
Il territorio aquilano sarebbe stato tuttavia nuovamente frequentato da soldati e civili slavi rastrellati quando il Ministero della Guerra, per lenire le conseguenze di un’economia di guerra in gravi difficoltà, decise di pianificare l’utilizzo di manodopera a favore delle aziende private mediante l’utilizzo di prigionieri, pratica poi estesa anche agli internati civili. <82
79 Dal diario di Radovanović in R. Amedeo, Gli ufficiali … cit. p.123.
80 In provincia di Cuneo, a Garessio, entrava in funzione dall’ottobre 1942 il campo 43, riservato a prigionieri di guerra del disciolto Esercito jugoslavo. Ben migliore il trattamento ricevuto a Garessio rispetto a Sulmona: «Non occorre descrivere tutto, basti pensare alla comodità e, posso dire, che ci sentivamo quasi tutti villeggianti venuti qui a riposare.» Il diario di Radovanović è riportato in: R. Amedeo, Gli ufficiali … cit.
81 J. Verney, Un pranzo di erbe cit. p.48.
82 La competenza della gestione dei campi di lavoro, dapprima del Ministero della Guerra che provvedeva a regolamentarla con C.M. n.6 .721/C del 13 maggio 1942, veniva poi trasferita, l’anno successivo, al Ministero degli Interni.

Riccardo Lolli, La presenza degli internati slavi nell'Appennino aquilano. 1942-1944, Ricerca effettuata per l’Istituto Abruzzese per lo studio della Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea, versione aggiornata al 30 aprile 2018, www.partigianijugoslavi.it  

L'Hotel Miramonti di Garessio (CN) - Fonte: VBStudio.net

Dopo l'8 settembre anche molti degli ufficiali slavi che erano prigionieri al Miramonti si rifugiarono in montagna, la popolazione li aiutò molto e lo stesso cav. Lepetit, che poi trovò la morte in un campo di concentramento tedesco, si diede molto da fare per gli ufficiali slavi e per gli stessi partigiani.
Testimonianza di Lucia Canova in Sergio Dalmasso, Lucia Canova, donna e comunista, CIPEC, Quaderno n° 1, Cuneo, 1995 
 
Quelli che qua o là sulle montagne rimasero ancora in armi all'avventura nei reparti, si accorsero col tempo brutto di avere la divisa tutta frusta e sbrindellata. Ma il grigioverde non se lo tolsero macché, dormendoci dentro; si arrangiarono come poterono portandoselo ancora in giro tutti arzilli e abborracciati.
Nei dintorni la gente, guatando, diceva sottovoce per non farsi sentire dalle spie, di averli visti di sicuro; lo dicevano con la faccia scura: pareva di sì che qualcuno li avesse proprio visti, e chissà come facevano a resistere, vacci a capire.
- Ma fanno bene, porca la miseria; fanno così perché essendo che lo fanno contro il fascio sono dei ribelli: è così che si fa, se non c'è nient'altro da fare -, diceva la gente.
Poi ad un certo punto, dai oggi dai domani, anche la gente imparò a conoscerli come trafficavano; e così a poco a poco, anche loro si organizzarono meglio dove si sentivano più tranquilli fuori mano, con la gente che li aiutava più che poteva. A Garessio, dove c'erano ancora le caserme in efficienza, cominciarono ripulendo un deposito di armi nuove tutte bene impilate; fecero così presto che quasi nessuno se ne accorse.
Successe d'amblé, senza tanti perché e percome, dopo che gli ufficiali jugoslavi prigionieri nel Miramonti erano scappati oltre il Colle di San Bernardo, e si nascosero nelle cascine da quelle parti verso il mare.
Quando questi partigiani senza tanti tiremmolla ripulirono il deposito delle armi col munizionamento, barbe lunghe e mantelline tese nel freschetto della sera, presero in più scarpe e coperte, non si sa mai cosa succederà dopo.
Poi sparirono come erano arrivati facendo come il vento, inutile cercarli nei dintorni, e anche più in là.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 17
 
“Insieme con noi, braccio sotto braccio, scapparono il comandante, ufficiali, sottufficiali e sentinelle, tutti uniti verso lo stesso destino. Eravamo veri fratelli, come se fossimo vissuti sempre insieme, e nessuno più pensava a quello che eravamo considerati sino al 10 settembre 1943. A questo punto comincia l’opera umana della popolazione di Garessio, che correva dappertutto per incontrarci, per offrirci quello di cui disponeva”.
Spasoje Radovanović, nato in Montenegro nel 1916, sottotenente dell’esercito del regno di Jugoslavia e in procinto di diventare partigiano in Italia, descrive così nel proprio diario i convulsi eventi attorno all'8 settembre 1943. Due giorni dopo l’annuncio dell’armistizio di Badoglio, Radovanović e altri circa 400 connazionali prigionieri di guerra riuscirono finalmente a fuggire dal Campo 43 di Garessio, nell’alta valle Tanaro in basso Piemonte, cercando rifugio tra i boschi.
[...] Campo 43. Internamento, solidarietà, resistenza civile
Spasoje Radovanović e compagni si trovavano a Garessio dall’ottobre 1942, quando le autorità fasciste misero in funzione il Campo Prigionieri di Guerra 43, collocato presso un albergo abbandonato, il Miramonti. Furono trasferiti lì dal Campo 78 di Sulmona, e molti di loro provenivano dalla prigionia in Germania. Il Miramonti diventava così uno dei circa 60 campi di prigionia per militari in territorio italiano nei quali, nel marzo 1943, si trovavano internati circa 80.000 combattenti stranieri catturati dall’inizio della guerra (secondo i dati riportati da LavoroForzato.org e CampiFascisti.it).
I reclusi a Garessio (480 secondo la lista ufficiale, di cui circa 80 furono trasferiti o liberati prima dell’8 settembre) erano originari di diverse parti del regno jugoslavo: i più rappresentati erano serbi e sloveni (poco più di un centinaio ciascuno), poi montenegrini (circa ottanta) e alcune decine di croati, bosniaci e altri. Diversi di loro diventeranno in seguito figure pubbliche nella Jugoslavia socialista. In casi come quelli del compositore Pavel Šivic e dei pittori Marij Pregelj  e Ivan Miklavec tracce dell’esperienza di internamento saranno espresse nella produzione artistica. Già allora iniziarono i primi gesti di sostegno da parte della popolazione che, racconta Radovanović nel diario, li aiutava nel mantenere le corrispondenze con i familiari in Jugoslavia raccogliendo di nascosto i messaggi lanciati dal carcere.
Secondo le testimonianze di diversi prigionieri, nei giorni attorno all’8 settembre l’atteggiamento delle autorità del campo verso di loro oscillava tra prime manifestazioni di complicità e gesti di ostilità, in un clima di caos e indecisione. I reclusi si offrirono per organizzare subito una resistenza armata unita, ma vennero liberati quando le truppe naziste erano ormai in arrivo a pochi chilometri da Garessio e l’esercito italiano era ormai sfaldato. Non restava che la fuga per i boschi, sul versante rivolto verso la Liguria. A Valsorda, la prima borgata che si incontra su quel frangente, gli evasi furono assistiti dagli abitanti locali con viveri, indumenti e rifugi in cascine, capanne, seccatoi.
Nei mesi successivi gli ormai ex-prigionieri si sparsero nella val Tanaro e nelle vicine valli Mongia, Bormida, Casotto. Anche a Ormea, Lisio, Pamparato e altri paesi si diffuse la solidarietà spontanea degli abitanti, che avrebbero fornito a lungo - in alcuni casi fino alla fine della guerra - collaborazione sotto forma di alloggio e viveri, sostegno economico, guide per trasferimenti, cure e medicinali, esponendosi a gravissimi rischi se scoperti dai nazifascisti tedeschi e italiani. Nei documenti e nelle testimonianze affiorano decine di nomi e cognomi dall’estrazione diversa, tra famiglie contadine e operaie, impiegati e professionisti, montagna e urbanità valligiana, uomini e donne.
Gli aiuti delle signore Osvalda Ascheri, Emilia Bisio, Rosa Delfino e tante altre sono la prova di un contributo femminile alla resistenza civile tuttora poco riconosciuto, nella narrazione sull’Italia del 1943-45. Come ha scritto Anna Bravo, anche il “farsi carico di qualcuna delle innumerevoli vite messe a rischio dalla guerra” rientra nei vari comportamenti di resistenza civile, che nel periodo di sbandamento post-8 settembre assume i contorni di un “maternage di massa”. È un momento in cui, scrive Bravo, la donna emerge come figura forte e protettrice verso uomini in condizione di vulnerabilità, “rafforzata e mediata dalla carica simbolica connessa alla figura femminile”. Cruciale fu anche il ruolo dei parroci locali, che spesso si occuparono di coordinare aiuti e movimenti dei prigionieri. Alcuni mostrarono un atteggiamento caritatevole ed equidistante rispetto alla situazione di guerra, altri un coinvolgimento più attivo, che prefigurava un’aperta collaborazione con le forze partigiane.
Spiccano atti di autentico coraggio civile, come l’intuizione di Flora Corradi, la titolare dell’albergo Paradiso di Garessio in cui erano nascosti sette jugoslavi. Quando una squadra di SS irruppe nell’albergo in cerca degli evasi puntandole i fucili nella schiena, Corradi riuscì a inventarsi degli espedienti con cui li distraeva, permettendo agli evasi di scappare. C’è poi la vicenda tragica di Luigi Odda, il tipografo che stampava i documenti falsi con cui decine di ex-prigionieri jugoslavi ripararono in Svizzera: fu scoperto dai nazifascisti a causa di un delatore, incarcerato e poi deportato a Mauthausen, dove morì il 28 aprile 1945. È un’antologia di dignità umana che suscita molte riflessioni, in particolare se le si guarda con gli occhi del presente, in cui la solidarietà per soggetti vulnerabili e per chi attraversa le frontiere viene osteggiata, quando non criminalizzata.
Ai prigionieri del Campo 43 in fuga si presentarono quattro possibilità: tentare la via del ritorno in Jugoslavia; riparare in Svizzera con i canali dei servizi di assistenza per prigionieri alleati; rimanere alla macchia; unirsi alla Resistenza locale. Incrociando l’elenco degli internati e le banche dati degli istituti della resistenza piemontese e ligure, risulta che circa quaranta abbiano fatto quest’ultima scelta: cinque in Liguria, principalmente con formazioni garibaldine, e gli altri in Piemonte, tutti nelle formazioni autonome della IV Divisione Alpi.
Le motivazioni e modalità della scelta appaiono, come sempre in questi casi, molto diverse. Ci fu chi, soprattutto tra i militari di carriera, seguì valutazioni razionali oltre che ideali. Nel suo diario il sottotenente Tamindžić annota, il 26 settembre 1943, che si prevedeva uno sbarco (poi però mai avvenuto) degli Alleati presso le vicine coste di Liguria e Costa Azzurra, circostanza che avrebbe offerto “l’occasione […] di partecipare onorevolmente alle lotte contro il nostro nemico” in un’area che avrebbe assunto grande importanza strategica.
Altri furono presumibilmente mossi da impulsi esistenziali e imperativi morali, soprattutto tra chi era già consapevole dei terribili crimini contro i civili compiuti dai nazifascisti nelle loro terre d’origine, e allo stesso tempo vedeva difficile un ritorno immediato in patria. C’era chi si muoveva in gruppo o in piccoli nuclei e chi, per la spinta degli eventi o forse per scelta, rimase da solo.
Nel novembre 1943 una dozzina di ex-prigionieri jugoslavi, capitanati dall’ufficiale Ilija Radović, si aggregò alla Brigata Valcasotto: lavoravano con le squadre di guastatori e logistici e nell’ambiente partigiano vennero presto denominati “legione straniera”. “Sono gentiluomini e godono, come i partigiani, della simpatia della popolazione”, scrisse nelle sue memorie don Emidio Ferraris, parroco di Pamparato. Della “legione straniera” si perdono poi le tracce nella documentazione, probabilmente a seguito dello sbandamento della brigata dopo la tragica battaglia della Valcasotto del marzo 1944. Il gruppo riappare però in scena nove mesi dopo, nel corso di un rastrellamento dei nazisti nella vicina Val Corsaglia.
Ma nelle valli di basso Piemonte e ponente ligure, i nomi di partigiani provenienti da oltre Adriatico e passati per Garessio affiorano un po’ ovunque, spesso a fianco di altri nomi francesi, polacchi, tedeschi, sovietici. Da ricordare in particolare i contributi di Spasoje Radovanović, nome di battaglia Jugos, di Podgorica - già membro della Divisione Langhe e poi del CLN di Savona, il 25 aprile 1945 partecipò alla liberazione della città con la Div. Fumagalli -, di Milan Milutinović “Mille” di Belgrado - che operò in diverse formazioni tra le valli Pennavaire e Bormida - e soprattutto di Krešimir Stojanović di Slavonski Brod, il leggendario partigiano Cresci.
Il partigiano Cresci
Nato nel 1924, Krešimir Stojanović era uno tra i più giovani reclusi del Campo 43, in cui si trovava insieme al papà, il capitano Aleksandar. Aveva tentato di evadere ancora prima di giungere al Miramonti, sul treno prigionieri che lo stava trasportando il 6 ottobre 1942, ma fu subito catturato. Dopo l’8 settembre gli Stojanović furono ospitati per alcuni mesi dalla famiglia Bernasconi, finché avvenne la decisione lacerante: il padre riparò per la Svizzera, Krešimir scelse di restare in Piemonte. I due non si vedranno mai più. Da qui inizia il peregrinare alpino e partigiano di Cresci.
Nell’aprile 1944 passò in val Pesio dove partecipò da capo tiratore alla Battaglia di Pasqua, con cui i partigiani sfuggirono all’accerchiamento della Wermacht. Poi tornò in val Tanaro, entrando nella squadra d’assalto della XIII Brigata, quella che conduceva le azioni di guerriglia più rischiose e improvvise. Dalla presa della caserma dei Forti di Nava, strappata ai repubblichini nel giugno 1944, alle innumerevoli imboscate contro contingenti, mezzi e basi operative dei reparti nazisti, alle manovre di retroguardia nel terribile inverno 1944-45 attraverso passi di oltre 2000 metri, ogni azione cruciale nella zona vide la squadra d’assalto e Cresci in prima linea, sempre insieme al suo inseparabile amico Eugenio Bologna, il comandante Genio.
In mezzo a tanta epica di guerra, e a fianco di un carattere che dalle testimonianze emerge intriso di fermezza e severità, Cresci è anche ricordato per un gesto genuinamente istintivo, goliardico, umano. La notte del 13 marzo 1945 lui, Genio e altri due partigiani operarono una clamorosa beffa ai danni del comandante tedesco della zona di Garessio, un uomo che era solito circolare per la valle in stato di ebbrezza su un calesse trainato da cavalli purosangue. Inorriditi da quel tronfio sfoggio di potere, i quattro si travestirono da nazisti, si introdussero nella scuderia e portarono via i cavalli, costringendo le pattuglie tedesche a compiere un’umiliante perlustrazione lungo tutta la valle. Fu un impulso genuino di ribellione contro gli oppressori, che alimentò il morale dei partigiani e della popolazione [...]
Alfredo Sasso, Lo stesso destino: resistenza internazionale, civile e partigiana tra Val Tanaro e Jugoslavia, OBCT, 24 aprile 2020 


La vita al campo PW 43
I prigionieri che arrivano a Garessio nell’ottobre del 1942 provengono dal campo di prigionia di Sulmona. Questo è un campo di “punizione”, composto da baracche che erano riservate ai cavalli austriaci durante la prima guerra mondiale. Il campo è controllato dai tedeschi, con il comando a Sulmona, diretto da un generale. Nel diario di Spasoje M. Radovanovich (pag. 118 vita) si legge a tal proposito”….Insomma, a Sulmona non erano proprio giorni belli”, per sopravvivere in quei tre mesi di stenti “…abbiamo mangiato le bucce delle arance, dei limoni, delle mele, per poter introdurre qualche vitamina nel corpo”. Dopo questa pesante esperienza, l’arrivo a Garessio viene vissuto positivamente. Dal diario di Spasoje M. Radovanovich: Ottobre 1942 “…Garessio, bella, splendida e rinfrescante. Anche per quelli che non la conoscono, parla da sola e dice tutto. Là in alto, la Madonna della Pietra Ardena benevolmente volge il suo sguardo su tutti quelli che frequentano questa bella cittadina … Poi, guardando dalla stazione ferroviaria verso il colle del San Bernardo, spuntava un edificio bellissimo tra il manto verde vivo che rallegrava i muri giganti del grande albergo “Miramonti”….. In fila, circondati dalle sentinelle, lasciammo la stazione … sentimmo che quel grande albergo sarebbe stato la nostra casa ….  A nessuno sembrava vero che potesse davvero ospitarci … Non occorre descrivere tutto, basti pensare alla comodità e, posso dire, che ci sentivamo quasi tutti villeggianti venuti qui a riposare“ dopo quasi due anni si sofferenze e isolamento. Dal diario di Aleksandar Tamindzic 6 ottobre 1942 ….Attraversando le vie di Garessio in colonna, abbiamo guardato in tutte le direzioni e siamo stati contenti di quello che abbiamo visto intorno a noi. Il luogo è montagnoso, fresco, pulito. E’ pittoresco; l’aria è pura e sana. Ci sono tre piccole borgate che quasi si toccano e molti campanili.” Nel campo del “Miramonti” sono oltre trecento gli ufficiali iugoslavi  più qualche soldato. La maggior parte è costituita da serbi, di religione ortodossa, gli altri sono sloveni, di religione cattolica, inviati in Italia dalla Germania perché la Slovenia è occupata dagli italiani. Nella Relazione datata “Belgrado, 2 luglio 1964” e inviata al sindaco di Garessio da Lazar Jovancic e Milan Milutinovic in occasione del XX della Liberazione si può leggere: “….La vita tra il filo spinato non può naturalmente essere tanto felice …, ma per noi, in Italia, era pur sopportabile …. Non soffrivamo la  fame, (anzi) le autorità facevano tutti gli sforzi possibili per fornirci in quantità maggiore i generi alimentari …  negli ultimi mesi mangiavamo con piacere ogni giorno dei fagioli cotti alla nostra maniera nazionale … godevamo di ottima salute, anzi molti di noi cominciavano ad ingrassare! I giornali venivano distribuiti regolarmente, italiani e tedeschi, ma anche della Svizzera … … Molte notizie ci portava un prete italiano (don Divina) che veniva al campo ogni domenica …(erano notizie) nuovissime e sicurissime che ci trasmetteva senza alcun timore. Noi eravamo sicuri che il Comando del campo sapeva bene dell’atteggiamento amichevole del prete verso i prigionieri. Altra testimonianza sulla vita nel campo:
Dal diario di Spasoje M. Radovanovich: … Non è stato difficile conquistare l’amicizia della popolazione di Garessio … gente affabile, buona, comprensiva. … . .. le mamme, le sorelle, le giovani spose.. seguivano la nostra vita nel campo dei prigionieri .. (sperando) … .. .che i loro cari lontani vivessero come noi quella vita stessa che ci offriva  il “Miramonti”. … La nostra vita interna era sopportabile …. Mensa, spaccio, sala di lettura, sala da cinema, rappresentazioni teatrali, notizie dal fronte, notizie dalle famiglie, pacchi di viveri … Insomma, si viveva una vita, si potrebbe quasi dire, di lusso, dato che eravamo in guerra. … I nuovi padroni del campo erano vicini a noi, dialogavano con noi e poi ci sentivamo circondati da gente amica … … Della disciplina non occorre parlare.  Se anche qualche volta avveniva qualche rappresaglia da parte del comandante Radaelli, non si sentiva poi una vera difficoltà nel sopportarlo, dopo tutto quello che avevamo passato in precedenza con i tedeschi. . .la sentinella e il leggendario cappellano don Giuseppe Divina si recavano in città e ad ognuno portavano quanto veniva loro ordinato. …  Un gesto umano veniva anche dalla popolazione e, tramite loro, siamo persino riusciti a collegarci con i nostri familiari a mezzo corrispondenza. .. e il Comando nella persona di Mario Alimonti “non sapeva mai nulla” (anche se in realtà sapeva benissimo cosa succedeva all’interno del campo) (quindi non ostacolava queste azioni)
Redazione, Il Miramonti racconta..., La vita nel campo, VBStudio.net 

Luigi Odda - Fonte: IDEAWEBTV.IT, art. cit. infra

Con la consulenza del ricercatore storico Alfredo Sasso, l’indagine di archivio di Pierandrea Camelia e le riprese in filmato di Luca Locci, un documentario chiarisce quelle vicende ed evidenzia gli encomiabili atti di solidarietà operati dalla cittadinanza e il ruolo decisivo apportato da molte figure femminili e di intere famiglie per garantire l’incolumità dei militari, favorire la fuga verso l’estero o il ricorso alla macchia o l’adesione alle brigate partigiane della Val Tanaro, del Monregalese e del versante ligure.
La ricerca documentale sugli episodi di quel periodo bellico ha consentito di evidenziare la figura di una vittima del regime, Luigi Odda, nato nel 1900, titolare del laboratorio tipografico nella borgata Poggiolo. Durante la Resistenza Luigi riprodusse decine di documenti contraffatti su richiesta di Roberto Lepetit, industriale antifascista titolare dell’impresa farmaceutica di Garessio poi catturato, deportato e morto nel campo di sterminio a Ebensee in Austria nel maggio 1945: quei salvacondotti servirono anche per sottrarre alla cattura alcuni dipendenti che aveva ospitato in fabbrica provenienti da Milano. Stampò anche i visti per gli ex prigionieri jugoslavi che poterono così riparare in Svizzera. Fu scoperto dai nazifascisti a causa di un delatore, incarcerato e deportato nel lager di Mauthausen dove trovò la morte il 28 aprile 1945.
Redazione, 25 aprile: Garessio commemora la prigionia di 400 militari jugoslavi all’Hotel Miramonti, IDEAWEBTV.IT, 20 aprile 2021 


Dal Diario del Can. Don Candido Bava:
“8 settembre 1943 Giornata tragica per la nostra patria. Armistizio. Sbandamento dell’esercito italiano. Fuga disordinata di poveri soldati disarmati e dispersi ovunque per la campagna e sulle montagne in cerca di rifugio o in viaggio per raggiungere le loro case.”
Dopo lo sfacelo dell’esercito italiano a seguito dell’8 settembre 1943 e le drammatiche vicende belliche della Seconda Guerra Mondiale, il campo PW 43 viene aperto e i prigionieri “invitati” a fuggire. Sempre dal Diario del Can. Don Candido Bava:
“10 settembre 1943: Arrivo delle truppe tedesche Truppe tedesche avanzano da Ceva nella Val Tanaro. Giungono a Garessio senza incontrare resistenza. Da Garessio una colonna prosegue su Ormea dove incontra resistenza organizzata e sottopone il paese al tiro del cannone per parecchie ore. … Intanto il presidio militare di Garessio al sopraggiungere dei tedeschi, s’è eclissato abbandonando a se stessi il campo di concentramento prigionieri, i quali si danno a precipitosa fuga … rifugiandosi nei casolari dispersi sui colli circostanti al Santuario … Degno di lode il comportamento della popolazione nei riguardi dei soldati e dei prigionieri. … Tutta la popolazione si prodigò in ogni modo per alleviare la triste condizione dei militari dispersi. Per alcuni mesi questi (in prevalenza prigionieri Jugoslavi) ebbero vitto, indumenti e cordiale ospitalità ….”
I prigionieri scappano sulle montagne di Val Casotto, sempre braccati dai tedeschi, ma nascosti e nutriti dalla popolazione locale. Qualcuno di loro riesce a rifugiarsi in Svizzera, altri ritornano con molte difficoltà in Jugoslavia, ma molti di loro si uniscono ai gruppi partigiani e insieme conducono una stremante lotta per la Liberazione.
Dal diario di don Emilio Ferraris veniamo a conoscenza che la prima infermeria del “Gruppo partigiano di Val Casotto” è stata possibile grazie a questi ufficiali.
“Vengono ad aggregarsi a questo Gruppo di partigiani alcuni ufficiali serbi, già prigionieri all’”Hotel Miramonti” di Garessio e lasciati liberi dopo l’8 settembre 1943; sono gentiluomini e godono come i partigiani la simpatia della popolazione. Ne riportiamo i nomi: Elia U. Radonik, capitano di 1a classe, comandante Petko Mari Janovic Demitrizr Ceratlic Mihailo Rovacevic Cvetkovnic Deginür, capitano di 2a classe  Bozo Kenjic, tenente  Bozo Vakicevic, tenente Branislav Milanovic, s. tenente Movac Viceliic, tenente Dragutin J. Lasic, capit. 1a classe, aiutante maggiore. Tra di essi è un medico, Dottor Constantinovic Nicolaiev, che adibì la casa canonica, dove era ospitato, a prima infermeria del Gruppo partigiano”
L’aiuto della popolazione garessina a questi ufficiali non è indolore: è doveroso ricordare almeno la morte a Mauthausen del tipografo Luigi Odda (nato il 24 gennaio 1900 - morto in prigionia il 28 aprile 1945) arrestato il 18 gennaio 1944 e deportato per aver rilasciato agli slavi documenti falsi di riconoscimento.
Così anche diversi ufficiali slavi pagano con la vita la decisione di rimanere a combattere per la libertà. Tra questi Dioko Radovanovich, morto in prigionia il 10 gennaio 1944; Banasevich Liubo, caduto in data imprecisata a Macerata durante uno scontro con i tedeschi; Nicolic Milas ucciso dal fuoco nemico in Liguria nell’ottobre 1944.
La lettura dei “diari” scritti da alcuni di questi ufficiali consente di conoscere meglio la loro situazione dopo l’8 settembre 1943.
Dal diario di Spasoje M. Radovanovich 8 settembre 1943
“Fu un giorno storico per gli italiani ed anche per i prigionieri. Si attendeva l’uscita …. La nostra insistenza presso il comandante Ardù era continua, perché ci aprisse il cancello per scappare, per non rimanere nuovamente nelle mani dei tedeschi. Il comandante Ardù … ci assicurò  l’apertura del cancello prima che arrivassero i tedeschi. Finalmente il 10 settembre diede ordine di aprire i cancelli … ed ognuno di noi si avviò al suo destino. La maggior parte prese la via del Santuario di Valsorda e poi si disperse nei boschi. … Insieme con noi scapparono il comandante Ardù, ufficiali, sottoufficiali, sentinelle … Eravamo veri  fratelli, come se fossimo sempre vissuti insieme … A questo punto comincia l’opera umana della popolazione di Garessio …  Vi fu una vera gara tra la popolazione a chi avrebbe dimostrato maggior generosità ….  Come si può dimenticare la cordialità di tanti generosi, offertaci in tempi difficili, nel tempo che si rischiava di “essere, o non essere”. Come si possono dimenticare i nomi: Carrara, Alimonti, Elvira, Flora, Giulia, Vittorina, Sasso e centinaia di altri?
Redazione, Il Miramonti racconta..., I prigionieri dopo l'8 settembre '43, VBStudio.net  

Tra il 13 marzo 1944 e il 5 aprile 1944 si consumò tutto il terribile rastrellamento contro i partigiani di “Mauri” in valle Casotto e dintorni (Bagnasco, Frabosa Soprana, Garessio, Lisio, Montaldo Mondovì, Ormea, Pamparato, Viola, Ceva, Roburent, Torre Mondovì, Battifollo, Monasterolo Casotto, Priola) che causò la morte di 26 civili e 98 partigiani, di cui molti catturati e fucilati a Ceva. Nella “battaglia di Pasqua”, rastrellamento contro le formazioni autonome “R” di valle Pesio protrattosi dal 7 al 12 aprile 1944, caddero nei comuni di Peveragno, Chiusa Pesio, Roccaforte, Briga Alta, Limone, Pianfei, 6 civili e 13 partigiani.
(a cura di) Aa.Vv., Il Piemonte nella guerra e nella Resistenza: la società civile (1942-1945), Consiglio Regionale del Piemonte, 2015

martedì 7 settembre 2021

Il mese di luglio si chiuse per la II^ Divisione con la perdita complessiva di 42 partigiani

Garessio (CN) - Fonte: Mapio.net

Verso la metà di luglio  1944 gran parte della I^ Brigata "Silvano Belgrano", per ordine del comando (in quel periodo comandante era ancora Nino Siccardi, "Curto", in seguito responsabile della I^ Zona Operativa Liguria) della II^ Divisione "Felice Cascione", si spostò nell'Alta Val Tanaro, nella zona di Garessio (CN), a causa di varie incomprensioni sorte tra i partigiani badogliani delle brigate "Mauri" ed i partigiani garibaldini colà operanti.
Dopo la  tensione iniziale si raggiunse tra i garibaldini, i socialisti della "Matteotti" ed i monarchici delle brigate autonome, una linea comune che funzionò, anche se non perfettamente, nelle azioni belliche dei giorni successivi.
Il 25 luglio, in particolare, i tedeschi attaccarono San Bernardo di Garessio e Pievetta e dopo aspri combattimenti risultarono vincitori aprendosi la strada per la conquista di Garessio, importante centro di collegamento col Piemonte e la costa ligure. Raggiunto tale obiettivo i tedeschi per le 72  ore successive condussero nella zona una cruenta azione di rastrellamento ai danni della popolazione e delle abitazioni: numerosi i civili trucidati o deportati nei lager,  15 i partigiani  di varie brigate caduti.
Definitivamente perduta  Garessio, i partigiani della I^ Brigata "S. Belgrano" fecero ritorno nella loro   zona d'origine, riuscendo, nonostante la dura lotta, a conservare quasi intatto il proprio potenziale bellico: il mese di luglio si chiuse per la II^ Divisione con la perdita complessiva di 42 partigiani.
Nei primi giorni di agosto, i nazisti, volendo assicurarsi il controllo completo della strada Ceva-Oneglia, sferrarono un attacco alla "Volantina" di "Mancen" che era ritornata ad Evigno dopo  i fatti  di Pievetta.
I tedeschi si applicarono meticolosamente in questo compito poichè, prevedendo per il 5 agosto 1944 uno sbarco anglo-americano in un punto della costa tra Albenga e Ventimiglia, intendevano assicurarsi una via di ripiegamento verso nord libera da ostacoli.
L'attacco al distaccamento di Mancen ebbe inizio alle 3 del mattino del 2 agosto e si protrasse per le 12 ore successive; "le numerose truppe tedesche giunte nella notte dalla Valle Impero, dalla Valle Andora, dalla Valle Steria, dal Passo della Colla, dal Monte Ceresa, dal Colle del Lago e delle Chiappe" [50] colsero quindi di sorpresa i partigiani, che, tuttavia, nonostante la perdita di alcuni uomini riuscirono a sfuggire all'attacco ed a riunirsi nuovamente qualche giorno dopo nella Valle Arroscia.
[50] Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il Bollettino (clandestino) n° 9 del 15 settembre 1944 del CLN Alta Italia riportava - per il periodo 22 giugno/27 agosto - notizie riprese dai Bollettini della Divisione "Cascione"

La Via Aurelia tra Santo Stefano al Mare (IM) e Cipressa

Dopo aver evidenziato gli episodi salienti del mese di agosto 1944, riassumiamo brevemente, in forma schematica, le numerose azioni effettuate dalle nostre formazioni nel territorio della I Zona Liguria.
- 1-8-1944 - Una squadra del distaccamento «G. Maccanò», al comando di Luigi Massabò (Pantera), tende un'imboscata ad una colonna nazista nei pressi di Garlenda; dopo un nutrito fuoco i Tedeschi abbandonano il combattimento riportando le seguenti perdite: quattro morti ed otto feriti.
Una squadra del distaccamento comandato da Renzo Merlino attacca il presidio di Pogli. Alcuni nemici rimangono uccisi e sei riportano ferite.
Il garibaldino «Trubeskoi» del 6° distaccamento «Libertas» uccide a colpi di pistola un tedesco nei pressi della Villa Fanny, alla periferia di Oneglia.
Un gruppo di garibaldini attacca i nazisti di stanza a Villa Romana, a tre chilometri da Cesio; un soldato germanico rimane ferito.
- 2-8-1944 - Una squadra del 2° battaglione della IV Brigata attacca un camion con otto Tedeschi. Di questi soltanto uno riesce a fuggire. Gli altri sono uccisi o feriti gravemente. I partigiani rientrano alla base al completo.
Tre garibaldini del distaccamento «Volante» uccidono tre Tedeschi spintisi tra la Statale n. 28 e la strada di Cosio d'Arroscia.
Alcuni garibaldini della V Brigata fanno saltare un tratto di strada ed un ponte nei pressi di Borgo San Dalmazzo.
Altri partigiani della stessa Brigata rendono inagibili tratti di carrozzabile presso Ceriana e tra Badalucco e Vignai.
- 4-8-1944 -Il distaccamento di Orano, guidato dal proprio Comandante, attacca i nazisti nella zona di Colle San Bartolomeo presso Cesio, infliggendo al nemico dure perdite: infatti i Tedeschi lasciano sul terreno alcuni morti.
Alle ore 24 alcuni garibaldini del 3° distaccamento della IV Brigata fanno saltare il secondo ponte della strada Taggia-Badalucco.
- 5-8-1944 - Il comandante «Cion» [Silvio Bonfante], con altri quattro uomini, attacca nuovamente nel pomeriggio i Tedeschi del presidio di Pogli che subiscono le seguenti perdite: due morti ed alcuni feriti.
Elementi del 9° distaccamento della IV Brigata fanno esplodere i fornelli da mina della strada Taggia-Badalucco ottenendo un'interruzione di circa dodici metri. Riescono pure a far saltare un ponte sulla strada militare che da Badalucco conduce a Baiardo.
Una pattuglia di garibaldini del 2° distaccamento «C. Repetto» della V Brigata alle ore 21 si porta sulla strada militare facendola saltare in località Carpi. Da monte Bignone una postazione tedesca apre il fuoco, ma la pattuglia rientra all'accampamento senza subire alcuna perdita.
- 6-8-1944 - Il comandante Merlino, con una squadra del suo distaccamento, attacca nuovamente una colonna tedesca tra Ponte Rotto e Pogli. Il nemico subisce alcune perdite ma apre il fuoco con i mortai costringendo i nostri a rientrare alla base.
- 7-8-1944 - Il 6° distaccamento «Sasso» della I Brigata, al comando di «Volpe», si porta lungo la linea ferroviaria ed intercetta un treno di Tedeschi diretto ad Ormea. Il distaccamento ritorna alla base senza riportare perdite mentre alcuni nemici rimangono feriti.
I garibaldini Enzo Squarcia (Marta) e Ludovico Fabbri (Pompiere), appartenenti al medesimo distaccamento, attaccano una decina di tedeschi intenti a piazzare un cannoncino, causando loro un morto e due feriti.
- 8-8-1944 - Quattro partigiani guidati dal comandante «Jacopo» uccidono due Tedeschi sulla via Aurelia nei pressi di Cipressa; non riescono però a ricuperare le armi perché rimaste su un carro trainato da due cavalli imbizzarriti dalla sparatoria.
In località Carcagnolo (Badalucco), un gruppo di partigiani con un attacco improvviso mette in fuga un plotone di Tedeschi.
- 9-8-1944 - Una pattuglia del 2° distaccamento «C. Repetto» della I^ Brigata, con la collaborazione di alcuni patrioti di Ceriana, si porta sulla strada Poggio-Baiardo e cattura due agenti dell'UPI.
- 10-8-1944 - Una squadra della «Volantina», guidata dal caposquadra «Cora», tende un'imboscata ai Tedeschi nei pressi di Pornassio ed infligge le seguenti perdite del nemico: tre morti e quattro feriti.
Quattro garibaldini del 6° distaccamento «Libertas», nelle prime ore del pomeriggio, si portano nei pressi di San Lorenzo al Mare (nei dintorni della regione Barbarossa), allo scopo di mitragliare le macchine in transito sulla via Aurelia. Verso le ore venti avvistano un drappello di militi del battaglione San Marco. I partigiani sparano alcune raffiche: cadono due militi, gli altri si disperdono.
I patrioti, a loro volta, vengono attaccati dai Tedeschi che si trovano nelle vicinanze, per cui ritornano al distaccamento.
Il garibaldino «Beppe», mentre assale una sentinella tedesca nella zona di Lenzari (Valle Arroscia), viene colpito a morte da un altro nemico accorso. È il primo caduto rimasto ignoto della I Brigata «S. Belgrano».
- 11-8-1944 - Il vice comandante Giorgio Olivero ed un nucleo di garibaldini della «Volante» entrano in Nava, presidiata dai Tedeschi. I partigiani devono però ritirarsi per la violenta sparatoria nemica.
Il garibaldino Giovanni Garbagnati (Gianni), in missione nella zona di Roncagli, viene catturato. Il giorno successivo verrà trucidato a Costa d'Oneglia.
Lungo la mulattiera del Torraggio, nella zona di Passo Muratone, il 5° distaccamento della V Brigata d'Assalto «L. Nuvoloni» impegna i Tedeschi, i quali rispondono con raffiche di mitragliatore; un partigiano rimane ferito; i Tedeschi contano alcuni morti.
Un distaccamento della V Brigata, comandato da Vittorio Guglielmo [Ivano, Vitò] e composto da soli trentadue uomini con due mitragliatori ed una mitragliatrice, con una brillante azione attacca circa duecento Tedeschi diretti in Francia dopo aver razziato il giorno precedente bestie e viveri ai pastori della zona di Marta. Dopo un breve combattimento i Tedeschi riescono a salvarsi con la fuga, abbandonando l'intero bottino. Il nostro distaccamento riesce così a recuperare 15 muli carichi di viveri e munizioni e 55 mucche che saranno restituite ai proprietari. Inoltre, si recuperano 50 fucili ta-pum, 25 mitra, 23 parabelli, 4 mitragliatori, 2 mitraglie ed armi varie.
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Prima pagina del citato Bollettino CLNAI


Notizie - sempre dal citato Bollettino - afferenti azioni della Divisione "Cascione", compiute il 7 e l'8 agosto 1944

Carlo Rubaudo
Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

martedì 31 agosto 2021

Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio

La stazione ferroviaria di Pievetta, Frazione di Priola (CN) - Fonte: Wikipedia

Il distaccamento “Volantina” si trovava a Pievetta, tra Priola e Bagnasco, lungo la statale 28 Ormea-Ceva. Quando una colonna tedesca guidata da due autoblindo cercò di raggiungere Garessio ebbe inizio un conflitto a fuoco che vide gli uomini di Massimo Gismondi "Mancen" in evidente inferiorità di uomini e di mezzi. Durante il combattimento venne ferito in modo serio il caposquadra Agostino Moi. Mancen capì che le condizioni non gli permettevano di portare al sicuro il suo uomo e decise di nasconderlo sul posto per poi tornare a riprenderlo. I partigiani si ritirarono e i tedeschi entrarono in paese. All'improvviso, due aerei alleati attaccarono i reparti motorizzati nazisti sulla strada proveniente da Ceva; un'autoblinda venne colpita e la colonna sbandò: questo permise all’intero reparto partigiano di disimpegnarsi e attestarsi sulle alture. Nella notte tra il 25 ed il 26 luglio 1944 Mancen ritornò insieme a un gruppo di volontari, ma le ricerche di Moi furono vane. Il suo corpo venne ritrovato casualmente soltanto nel 1976 da un contadino di Pievetta e riconosciuto dalla sorella per i due denti d’oro presenti sui poveri resti.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020

[ n.d.r.: tra i lavori di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016  ]   
 
Pievetta. Fonte: mapio.net

Siamo al primo mattino del 25 luglio 1944. Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio, mentre un altro reparto, già in sosta a Ceva, si sta avviando verso l’Alta Val Tanaro, controllata da oltre un mese da un gruppo partigiano che ha stabilito un piccolo presidio in Pievetta, frazione di Priola. Verso le ore 16:00 in paese si sentono  raffiche di mitraglia provenienti dalla strada di Roccaprencisa, distante circa due Km dall’abitato  di Pievetta. Si tratta di un attacco partigiano, durante il quale resta ucciso un soldato tedesco. La popolazione di Pievetta, poco più di 550 anime, in massima parte donne e anziani, è in subbuglio. Chi può scappa nei boschi, altri si rifugiano nelle cantine. Intanto la colonna tedesca munita di carri armati e mortai continua l’avanzata verso il paese e, senza un apparente motivo, inizia la terribile rappresaglia. Fuoco dei mortai e raffiche di mitra contro la Chiesa e le case circostanti, bombe a mano lanciate a casaccio nelle finestre delle case e nei cortili terrorizzano la popolazione, causando anche le prime vittime. Dopo questa prima esibizione selvaggia, segue il rastrellamento di uomini, donne, bambini. Mentre i primi vengono rinchiusi in una cappella sconsacrata, donne e bambini sono condotti in Chiesa e, nella notte, rilasciati. 26 luglio 1944. Di prima mattina viene chiesto agli uomini, ai quali si è già lasciato capire che saranno destinati a un “campo di lavoro”, se “sono pronti a partire”. Alla loro risposta affermativa, sono fatti uscire e viene formato un gruppo di nove uomini tra i 28 e 65 anni che, avviati verso un prato, a circa 50 mt. dalla chiesa, vengono trucidati a raffiche di mitra alla nuca. In concomitanza a questo terribile evento, altri sono assassinati nelle case o per le strade mentre viene appiccato il fuoco a fabbricati rustici e civili. Entrano nella Casa Canonica dove, non trovando l’Arciprete, freddano suo padre di 68 anni che stava dormendo e poi incendiano il letto. Di lui non rimane neppure il cadavere. E il massacro di innocenti continua fino al pomeriggio. Contemporaneamente squadre apposite iniziano a incendiare le case, in breve il fuoco si propaga ovunque. E’ vietato ogni tentativo di spegnimento. Colonne dense di fumo si innalzano verso il cielo e ricoprono la vallata per vari chilometri. Vecchi, donne e bambini sono obbligati a lasciare il paese, mentre l’opera di distruzione viene ripresa con più metodico accanimento. 27 luglio 1944. Le rovine delle case fumano ancora, i morti giacciono insepolti nei prati, sulla strada, nelle case. E’ terribile il bilancio di queste giornate: un villaggio di circa 550 abitanti e 80 case viene punito, senza motivo, con 18 vittime e 50 fabbricati distrutti. Le vittime assassinate il 25 luglio: Bonardo Vincenzo di anni 60 vedovo (pensionato ex ferroviere). De Matteis Domenico di anni 43 coniugato con tre figli (falegname). Facchinetti  Marino di anni 35 celibe (capostazione). Guido Luciano di Berna di anni 33 coniugato con un figlio (operaio ferroviere). Roberi Natale di anni 60 coniugato con cinque figli (contadino). Bertino Pietro di anni 28 celibe (studente) . Massironi Guglielmo di anni 39 celibe. vittime correlate all'eccidio Roberi Natale di anni 61 coniugato con tre figli (contadino), ucciso la sera precedente; Roberi Vincenzo di anni 79, coniugato con due figli (contadino),oppresso dall'asma,muore colpito da una bomba a mano scagliata dalla finestra; Roberi Mario e Alfonso di anni 45 e 41 (contadini), sorpresi intorno alla salma del padre, vengono trascinati  attraverso l'aia nel vicino seccatoio, sono trucidati in presenza dei famigliari; Canavese Giuseppe di anni 35 coniugato con 4 figli (contadino), tornato al paese per vedere la famiglia , viene ucciso sul pianerottolo di casa; Bruno Giuseppe di anni 57 coniugato con 2 figli (contadino), dopo essere uscito dal fienile nel quale si era nascosto, viene sbeffeggiato e in seguito ucciso Roberi Benone di anni 52 (contadino), mentre tenta di trarre in salvo il bue, viene ucciso e il suo cadavere viene rinvenuto bruciato e irriconoscibile; Civalleri Paolo di anni 68 (padre del parroco), viene ucciso nel suo letto e in seguito bruciato, lasciando di lui solo pochi resti; Francesia Carlo di anni 41 (invalido), menomato di un braccio, pensa di essere risparmiato per la sua condizione, viene ucciso spietatamente.
Redazione, in memoria degli "Altri" dal 25 al 27-07-1944 Pievetta, VB Studio Fossano
 

Fonte: VB Studio Fossano cit. supra

Dal 25 al 29 luglio 1944 l’Alta Valle Tanaro, in provincia di Cuneo, fu oggetto di una serie di rastrellamenti da parte dell’occupante tedesco che cercava uomini da deportare in Germania come forza lavoro, sfruttando la presenza di fabbriche chimiche e meccaniche e di miniere con manodopera specializzata. In più voleva riaprire la fondamentale strada di collegamento tra Piemonte e Liguria e con una manovra a tenaglia eliminare le forze partigiane presenti.
I primi scontri a fuoco furono sul Colle San Bernardo a Garessio con i partigiani costretti a ripiegare. Con l’ingresso in città ci furono i primi morti (Piantino Dionigi freddato da un cecchino tedesco appostato sul Castello del Borgo, la tabacchina Aurelia Salvatico uccisa senza motivo davanti alla Lepetit e il cantoniere del Colle San Bernardo Luigi Giuseppe Correndo accusato di essere un partigiano).
Iniziarono così giorni di orrore anche a Nucetto, Bagnasco e Priola, che culminarono nell’eccidio di Pievetta del 25 luglio con la frazione incendiata e ben 17 vittime civili. I numeri sono impietosi: 30 fucilati, 430 ostaggi catturati, 122 partiti per la Germania di cui 54 fortunosamente riescono a fuggire durante il lungo viaggio. Saranno 68 i deportati nei campi di lavoro tedeschi, la grande maggioranza in quello di Kahla in Turingia nel complesso denominato Reimahg e di questi morirono in 17.
In due giorni (27-28 luglio) gli ex alleati cercarono in ogni casa di Garessio tutti gli uomini, ottenendo scarsi risultati; uno dei fuggitivi, il partigiano garibaldino Oreste Petacchi morì colpito da un cecchino vicino al fiume Tanaro.
L’ordine dato era perentorio: portare tutti nel salone dell’Albergo Miramonti, sede del comando tedesco ed ora rudere dopo un violento incendio. Così alle 7 del mattino del 28 luglio, due ufficiali della Gestapo entrarono nella Lepetit, storica fabbrica chimica di Garessio - il cui proprietario Roberto Lepetit era accusato di aiutare la Resistenza - dove iniziarono dei lunghi interrogatori. I dipendenti furono chiusi nel magazzino e solo gli ultracinquantenni furono liberati.
Cinque i condannati alla fucilazione, indicati come partigiani, nel cortile del Miramonti: Stefano Gazzano, Anselmo Battaglia, Domenico Salvatico, Giacomo Odello e il fortunato Giuseppe Campero che si salvò miracolosamente sotto la pioggia. Il mattino successivo, il 29 luglio, la partenza in treno verso la Germania: ai 44 garessini si unirono i 30 rastrellati delle frazioni di Piangranone e Mursecco e della vicina Priola, una quarantina di persone a Bagnasco e 12 di Nucetto.
Molti riuscirono a scappare dal treno e nei modi più diversi, a Savona furono costretti a firmare un foglio in bianco di lavoro, poi subirono il carcere di San Vittore a Milano, dove la signora Hilde Lepetit, moglie di Roberto, morto a Mauthausen nel maggio 1945, portò loro un prezioso pacco di indumenti e viveri che li aiutò durante l’internamento.
Al Brennero erano rimasti in 68, una decina di loro fu spedita nel bacino del Reno, gli altri a Kahla. Abbiamo raccolto le loro testimonianze dai libri di Renzo Amedeo, storico e partigiano, ex sindaco di Garessio, che aveva intervistato molti dei sopravvissuti e per il Giorno della Memoria 2020 sentito alcuni figli di deportati, come Giuseppe Canavero, Giovanni Chiotti e Elvio Marchetto. Nei loro ricordi quei tristi momenti in cui avevano detto addio ai loro padri e l’infinita gioia nel vederli tornare, magri, feriti nell’animo e malati, ma vivi.
I loro racconti erano terribili: turni di lavoro massacranti, la solidarietà tra compagni e tanta sofferenza. Freddo, fame, pidocchi ed anche una misteriosa malattia dopo un lauto pranzo. I lavoretti nelle famiglie tedesche nei paesini vicini al campo e qualche piccolo segnale di amicizia. Il 16 aprile la liberazione da parte degli Americani ed inizia un lento e difficile ritorno a casa durato anche mesi (alcuni addirittura a luglio o agosto). Molti di loro morirono di malattia in Germania o anche al ritorno in patria.
Diciassette i deportati del Reimahg scomparsi. I sei garessini: Adelmo Anfosso, lasciato nel campo di Kahla in stato di deperimento a soli 17 anni il 18 luglio morì nell’ospedale di Hummelshain; Luigi Cadenasso caduto da un’impalcatura non molto alta a 43 anni; Alfredo Giacomo Cristoforetti suo coetaneo deceduto a fine dicembre 1944 nell’infermeria dov’era ricoverato in gravissime condizioni; Germano Severino Fazio leva 1900 caduto sul lavoro ucciso dai suoi aguzzini a inizio dicembre; Antonio Reggio, 1901, trovato morto al mattino del 10 febbraio nella sua branda sfinito dalla sofferenza; e il cameriere Giovanni Rossella scomparso a 31 anni per via di un’infezione al piede nell’agosto ’45 nell’ospedale di Steintal.
Con loro due abitanti di Casario, frazione di Priola: Giulio Stellardo 42 anni e Angelo Alessandro Rosso, 43 anni morto al ritorno in Italia per via dei maltrattamenti subiti. Altri tre, nati a Garessio e rastrellati a Bagnasco, morirono a Kahla nei primi mesi del 1945: Giovanni Battista Giacomo Borgna 34 anni, Domenico Bozzolo di soli 19 anni e Giovanni Corrado 36 anni.
Della Valle Tanaro anche Luigi Ingaria, nativo di Massimino, 39 anni; i bagnaschesi Carlo Boffredo, classe 1900, morto nell’ospedale di Wilmer a fine aprile, ed Edmondo Mazza 44 anni caduto a maggio; nello stesso mese scomparve anche Carlo Parino di Nucetto, ugual sorte per Giuseppe Aschieri 40 anni e per il 19enne Giovanni Mattei.
Redazione, Garessio, Walpersberg Memorial

Esigenza primaria dei tedeschi era mantenere libere le comunicazioni tra Piemonte sud-occidentale e Liguria di Ponente, cioè la strada statale n° 28 della Valle Tanaro, ma anche la strada del colle S. Bernardo tra Garessio e Albenga. A questi obiettivi, si aggiunga un vero piano tedesco per il reperimento di mano d’opera da inviare in Germania che individua nella Valle Tanaro, industrializzata, le maestranze già addestrate. Tra il 25 e il 28 luglio irrompono in valle, risalendo da Ceva e da Albenga, la 34.Infanterie-Division con le Kampfgruppen Klingemann (I./Grenadier-Regiment 253) e Henning (Panzerjäger-Abteillung 34. I tedeschi selezionano i prigionieri fucilando e rinchiudendo gli altri nei vari paesi rastrellati, manifestando l’intenzione di sterminare e bruciare i villaggi. Il 26 luglio, infatti, le squadre incendiarie tedesche si mettono al lavoro per ridurre il villaggio di Pievetta (comune di Priola) ad un cumulo di macerie, saccheggiano e incendiano con i lanciafiamme (55 case incendiate, 500 persone dovranno vivere per 2 anni tra le macerie). Partita da Bagnasco una colonna tedesca risale la valle fino a Garessio, un’altra colonna giunta da Albenga scende direttamente su Garessio e in ogni paese si ripete la caccia all’uomo o il suo annientamento. Un gran numero di prigionieri viene realizzato tra gli operai dell’industria chimico-farmaceutica Lepetit e non solo. Dalla valle furono deportati complessivamente 243 uomini, ridottisi a 64 di cui 62 finirono a Kalha (in Turingia) ove ne morirono (a nostra conoscenza) 17. Per fortuna, durante le soste e il lungo tragitto ferroviario verso la Liguria e poi verso Milano e oltre, parecchi riuscirono a fuggire.
Elenco delle vittime decedute
1. Salvatico Aurelia. Nata Garessio (CN) 25/02/1898, residente Garessio, casalinga, uccisa Garessio 25/07/1944;.
2. Piantino Dionigi, nato Chiusa Pesio (CN) 05/07/1915, residente Garessio (CN), muratore, ucciso Garessio 25/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Val Tanaro”;
3. Correndo Luigi, nato Fossano (CN) 11/08/1897, residente Garessio (CN), cantoniere, ucciso Garessio 26/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
4. Battaglia Anselmo, nato Garessio (CN) 09/08/1909, residente Garessio, chimico, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
5. Gazzano Ilario, di Celestino. Nato a Garessio (CN/I) il 11/03/1927. Ucciso il 28 luglio 1944.
6. Odello Giacomo, nato Garessio (CN) 15/01/1888, residente Garessio, macellaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
7. Petacchi Oreste, nato Massa Carrara (MS) 23/09/1916, residente Garessio (CN), manovale, ucciso Garessio 28/07/1944, II Divisione Garibaldi Cascione, 1ª brigata “Belgrano”; partigiano
8. Salvatico Domenico, nato Garessio (CN) 23/03/1907, residente Garessio, operaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”
Michele Calandri e Livio Berardo, Garessio, 25-28.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Un esame più dettagliato del materiale processuale «provvisoriamente archiviato» dalla Procura generale militare può essere condotto attraverso lo studio a campione di quattro fascicoli rappresentativi della gran massa della documentazione occultata, relativi ad aree geografiche eterogenee e a fasi differenti della campagna militare: gli incartamenti intestati rispettivamente al maggiore Alfred Grundmann (fascicolo numero 1191 del ruolo generale), al capitano Richard Henning (n. 192), al tenente colonnello Karl Ortlieb (n. 657) e al sottufficiale Fritz Wunderle (n. 1954).
L’ultima settimana del luglio 1944 due reparti della divisione Brandenburg effettuarono una manovra a tenaglia nell’alta valle Tanaro, in provincia di Cuneo, per distruggere le formazioni partigiane autonome e garibaldine che minacciavano la sicurezza della strada statale n. 28. Secondo i piani concepiti dalla Geheime Feldpolizei 751 di stanza a Savona, la 13a compagnia Panzerjàger al comando del capitano Josef Tochtrop sarebbe scesa su Garessio dal Colle San Bernardo, mentre la 6' compagnia, guidata dal capitano Richard Henning, avrebbe inve­stito la cittadina dalla parte meridionale della vallata.’ Il 25 luglio 1944 questo secondo reparto, proveniente da Ceva, travolse le linee partigiane nei pressi della frazione Pievetta (comune di Priola), rastrellò casa per casa l’abitato e si macchiò di violenze efferate:
Uccisione di un vecchio di 80 anni da parte di un soldato tedesco.
Uccisione di un uomo di 61 anni e ferimento di un altro di 50 anni da parte di un ufficiale.
Ferimento di un uomo di 65 anni.
Uccisione di 9 uomini tra i 28 e i 65.
Uccisione di altri 2 uomini, uno di 45 e l’altro di 41, mentre si trovavano presso la salma del padre, poco prima ucciso dai tedeschi.
Uccisione e distruzione del cadavere di un uomo di 52 anni, sorpreso dai tedeschi mentre cercava di mettere in salvo le sue bestie.
Uccisione di un uomo di 36 anni, in presenza della moglie, mentre cer­cava di accompagnarla in un luogo sicuro.
Uccisione di un uomo di anni 57.
Uccisione di un uomo di anni 41, per giunta mutilato a un braccio.
Uccisione di un uomo di anni 46, trasportato in Bagnasco e poscia impiccato al balcone soprastante la porta d’ingresso alla farmacia di quel comune.
Inoltre due donne vennero violentate.
Le 19 uccisioni si accompagnarono a distruzioni e a ruberie di ogni genere, il paese fu dato alle fiamme (bruciarono 55 case su 80) e ai civili fu intimato di non spegnere l’incendio, a meno di incorrere nella più dura repressione.
I tedeschi mediante fosforo ed altre sostanze infiammabili incendiarono l’abitato, dopo averlo suddiviso in tre zone e vietarono ogni tentativo di spegnimento del fuoco.
Furono così distrutte moltissime case, tra cui quella parrocchiale, ed altre furono gravemente danneggiate, nonché mobili e masserizie. Infine i tedeschi saccheggiarono le abitazioni, rimaste incustodite, asportandovi tutti gli oggetti di maggior valore ed anche vini e liquori, con i quali si ubriacarono. Considerando tutto il paese preda di guerra, i tedeschi s’impossessarono anche di macchinario, di viveri e di capi di bestiame.
Ai rastrellamenti seguì una massiccia deportazione di forza-lavo­ro in Germania: circa quattrocento civili dell’alta valle Tanaro furono catturati e inviati nel Reich.
Il 10 maggio 1945 il comune di Priola e l’ANPI di Cuneo denunziarono al ministero della Guerra l’incendio e il massacro di Pievetta, «onde giustizia sia resa a questa popolazione». Le prime testimonianze furono raccolte dalla Commissione alleata d’indagine. L’incartamento predisposto nel 1945-46 per la Commissione delle Nazioni Unite per i delitti di guerra rimarcò la responsabilità di Henning, «tanto più che egli, quale comandante della colonna, dette ai suoi dipendenti l’ordine di essere "spietati" nei riguardi della popolazione civile della borgata Pievetta». Le imputazioni a carico del capitano concernevano la violazione degli articoli 185, 187 e 187 del Codice penale militare di guerra: violenza con omicidio contro privati nemici, saccheggio, incendio, distruzioni e gravi danneggia­menti; il caso ricadeva nella disciplina prevista dall’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale sui crimini di guerra. [...]
Redazione, Le Stragi nascoste - Cuneo, Resistenza, 27 ottobre 2017

venerdì 20 agosto 2021

Un treno tedesco fermo per 10 ore nella galleria di Capo Mele

Fonte: Mapio.net

22 maggio 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al Capo della Missione Alleata [capitano Robert Bentley] - Relazione sulle azioni effettuate dalla VI^ Divisione "Silvio Bonfante" nel mese di aprile 1945: "Il 1° aprile al comando di "Tamara" una squadra del Distaccamento "Igino Rainis" [del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio"] uccideva in un'imboscata 4 soldati tedeschi a Garessio; il giorno 4 "Cimitero" [Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio"] ed i suoi uomini avevano attaccato dei tedeschi a Borghetto d'Arroscia, facendo 4 morti e 6 feriti; il giorno 7 il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandato da Stalin, Franco Bianchi] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" catturava ed uccideva 2 soldati della RSI ed una SS tedesca; il giorno 10 tre garibaldini dell'Intendenza, cercando di recuperare delle armi, uccidevano un maresciallo nemico; il giorno 11 il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" uccideva a Villa Faraldi (IM) in un agguato 6 tedeschi..."
da documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Il giorno 3 [aprile 1945], altri partigiani del Distaccamento "Brando C." colpiscono sulla 28 un autocarro nemico che sbanda, mentre nei pressi di Barchi altri partigiani del "Rainis" ne mitragliano un altro ancora sulla stessa strada. Il 4 una squadra del "Rainis" prepara un'imboscata nei pressi di Martinetto (Albenganese), Giorgio Alpron (Cis), capo di S.M. della I Brigata, coadiuvato da alcuni compagni, mina gli scambi ferroviari ad Andora: viene applicato dell'esplosivo (dieci cilindri di plastico) sul triangolo degli scambi di levante. Con lo scoppio saltano per aria il triangolo e le rotaie del binario principale, rimangono pure inutilizzabili il secondo e il terzo binario per dieci ore. Un treno carico di esplosivo, scatolame, paglia e Tedeschi di scorta, rimane bloccato per un giorno nella galleria di Capo Mele. Per l'uccisione della G.N.R. Paulli, il commissario prefettizio di Albenga, A. Rolandi Ricci fa affiggere un manifesto il quale rende noto che nel territorio della frazione di Leca è dichiarato il coprifuoco dalle ore 18 alle 6. Se accadessero altri fatti del genere, il centro abitato sarebbe stato spianato dalle artiglierie tedesche.
Il giorno 6 una squadra di dieci uomini del Distaccamento "Castellari" affronta una corriera con civili e soldati tedeschi a bordo, nei pressi di Cerisola. All'autista viene intimato di fermarsi ma lui non eseguisce l'ordine, allora con una raffica nelle gomme delle ruote la macchina rimane paralizzata.
Avviene una sparatoria durante la quale muoiono il maresciallo che era accanto all'autista e tre soldati, alcuni rimangono feriti. I partigiani non subiscono perdite e ricuperano un Mauser, una pistola, alcuni caricatori di mitra e due fucili. Intanto giungono al Comando della I Brigata quattro militi postelegrafonici provenienti da Porto Maurizio: Ivo Panzani, Enzo Pignatti, Paride Bertoni e Francesco Idda; si arrendono allo stesso Comando, fornendo preziose notizie riguardanti i piani del nemico.
Il SIM partigiano informa che nell'eventualità di una ritirata i Tedeschi, intendendo avere le spalle al sicuro, compierebbero un duro rastrellamento al fine di distruggere tutte le formazioni della Resistenza, andandole a scovare nei rifugi ed in tutti i casolari della Valle Arroscia.
Il giorno 7 la squadra "Tamara" del Distaccamento "Rainis" attua un'imboscata contro soldati tedeschi sulla statale 29, i quali lasciano sul terreno un morto ed un ferito. Nel contempo una squadra del Distaccamento "Garbagnati", nei pressi di Diano Marina cattura due soldati repubblichini ed un soldato tedesco delle SS, altri partigiani, dello stesso Distaccamento, in Val Merula prelevano due soldati della Divisione "San Marco" muniti di pistola, i quali mentre vengono condotti al Comando partigiano, rimangono uccisi a causa di un loro tentativo di fuga.
Lo stesso giorno è catturato un soldato tedesco che tenta la resistenza, ma viene ugualmente passato per le armi. Nei pressi di Casanova, partigiani del Distaccamento "De Marchi" si scontrano con una pattuglia tedesca, dopo lo scontro a fuoco non si riesce ad accertare le perdite nemiche che sono certe.
All'alba del giorno 8 in seguito al persistere dell'allarme navale, il Comando tedesco emana l'ordine di blocco della strada Albenga Ormea Garessio e Imperia Taggia Triora, inoltre ordina ai genieri di procedere al minamento dei ponti, delle opere e di alcuni tratti della statale 28. Nella serata del giorno stesso, nei pressi di Vessalico in Valle Arroscia, partigiani del Distaccamento "Amato" sparano contro una compagnia di una trentina di Tedeschi i quali lasciano sul terreno due morti e tre feriti.
Il giorno successivo una squadra partigiana comandata da "Spezza" del Distaccamento "Brando C.", in azione sulla strada 29, raffica con armi automatiche una pattuglia tedesca, causandole tre morti e  due feriti. Un'altra squadra comandata da "Folgore", del Distaccamento "Rainis", lancia bombe a mano contro un autocarro nemico, il quale si capovolge, non accertate le perdite. Il nemico continua a rinforzare i presidi lungo le strade statali delle Valli Arroscia e Impero.  
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 266-268

4 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata al capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Venivano comunicati i nomi degli uomini del comando di Brigata: comandante "Mancen" [Massimo Gismondi], commissario "Federico" [Federico Sibilla], capo di Stato Maggiore "Cis" [Giorgio Alpron], responsabile SIM "Archimede" [Archimede Frattini], staffette "Simone" e "Picenen".
4 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Venivano segnalati alcuni dati concernenti il Distaccamento "Marco Agnese": 19 garibaldini, 22 armi, 8 bombe a mano.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 310, al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Emanate disposizioni per un nuovo lancio e per la condivisione, con la II^ Brigata "Nino Berio", del materiale ricevuto.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 311, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalato l'elenco del materiale ricevuto con il lancio alleato del 18 marzo: 1 mitragliatrice Breda, 9 Sten, 2 Bren e 23 sacchetti di plastico.
6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'elenco del materiale ricevuto con il 3° lancio alleato, avvenuto [a Pian Rosso] nella stessa data, materiale in cui figuravano soprattutto 18 Sten con 8000 munizioni, 2 lanciagranate con 28 munizioni, diversi capi d'abbigliamento.
6 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che persistevano i posti di blocco nemici, già descritti in precedente dispaccio; che per i tedeschi si dimostrava vitale la strada 28, che probabilmente sarebbe loro servita per la ritirata in Piemonte, perché ne stavano intensificando la sorveglianza sino a pattugliare ogni ponte; che i tedeschi avevano infiltrato tra la popolazione diversi soldati che parlano bene italiano; che l'informatrice [partigiana] "Ilda" [Gilda Piana] era stata rilasciata dai tedeschi con l'obbligo di presentarsi al comando ogni sera ed ogni mattina; che il comando tedesco di Pieve di Teco era a conoscenza della presenza di 300 garibaldini ad Alto; che la squadra di "Franco" [Giovanni Trucco] era stata avvisata del pericolo incombente [n.d.r.: riferimento all'eccidio di Trovasta del 28 marzo 1945]; che la sottovalutazione del monito ricevuto era costata la vita a quei partigiani; che la signorina Angiolina [Angela Bertone, ex fidanzata di "Franco", Giovanni Trucco] si trova a Pornassio, trattata bene dai tedeschi.
6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Disponeva di incaricare "Quan" di recarsi a studiare la situazione della centrale elettrica di Oneglia ad Imperia perché sarebbe occorso, con la forza o con l'astuzia, tentare di impedire ai tedeschi di fare brillare l'impianto e per lo svolgimento di tale operazione di salvataggio di operare con le SAP.
6 aprile 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Cis", Giorgio Alpron] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che con l'azione di sabotaggio condotta negli ultimi giorni di marzo alla stazione di Andora (SV) erano stati resi inutilizzabili i 3 binari - ed il terzo era ancora impraticabile -, tanto che un treno che trasportava soldati tedeschi, esplosivi, scatolame e paglia era rimasto fermo 10 ore nella galleria di Capo Mele.
6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Disponeva che il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" passasse alle dipendenze del comandante "Fra Diavolo" e che, di conseguenza, il comandante "Libero" fosse a disposizione del comando del Distaccamento "Mario Longhi".
6 aprile 1945 - Da "Nemo" [Aldo Galvagno], relazione n° 7, alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 5 aprile a Pontedassio erano transitati 10 bersaglieri e 25 tedeschi; che a Pontedassio si trovavano in tutto 60 soldati nemici, di cui 10 fascisti addetti al controllo dell'olio; che nella notte erano transitate 23 automobili che a causa della scarsità di carburante venivano trainate la singola autovettura dalla precedente.
7 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 358, ai comandi della I^ Brigata "Silvano Belgrano", della II^ Brigata "Nino Berio" e della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Disponeva che i comandi in indirizzo inviassero con sollecitudine le relazioni sulle ultime azioni effettuate, indicando le perdite proprie e del nemico, il bottino di guerra, il numero dei prigionieri fatti; che venissero attivate con mezzi di fortuna le linee telefoniche per mantenere i collegamenti con il comando della Divisione; che tutto il materiale bellico, e quello ricevuto con i lanci alleati, doveva essere catalogato e nascosto, se non utilizzato, in luogo sicuro.
7 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi del Distaccamento "Franco Piacentini" e del Distaccamento "Angiolino Viani" - Avvertiva che erano da poco transitati da San Damiano, diretti a Testico, 20 tedeschi, per cui occorreva aumentare la sorveglianza.
8 aprile 1945 - Dalla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 128, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Comunicava il miglioramento recente del SIM e che "Giglio" e "Violetta" erano due elementi "su cui si può fare affidamento".
8 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione - Comunicava che ad Andora (SV) erano arrivati 5 individui che risultavano essere spie e che da Capo Mele ad Albenga vi erano 120 nemici, di cui 30 in convalescenza. Aggiungeva le parole d'ordine del nemico in vigore dal 1° al 16 aprile.
8 aprile 1945 - Da "K 20", prot. n° 11, alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che l'allarme antisbarco iniziato il 2 aprile permaneva tra i tedeschi; che i soldati tedeschi erano in stato di panico; che i comandanti tedeschi stavano "reagendo irrigidendo la disciplina"; che lungo la via Aurelia transitavano verso Albenga alcuni camion ciascuno con 3 o 4 tedeschi a bordo; che risultava che le 3 compagnie di Brigate Nere della provincia di Imperia avrebbero ripiegato per ultime "proteggendo come retroguardia l'azione dei guastatori".
8 aprile 1945 - Da "K 20", prot. n° 12, alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che in località Madonna della Rovere [oggi comune di San Bartolomeo al Mare (IM)] a Cervo-San Bartolomeo il comando tedesco aveva piazzato 3 cannoni dei quali 2 erano in legno; che tra i tedeschi l'allarme permaneva per cui rimanevano nelle loro postazioni con le armi piazzate e con "il servizio di guardia rinforzato"; che a Diano Marina sul ponte San Pietro era quasi ultimato il lavoro di sbarramento anticarro, le cui caratteristiche avrebbe cercato di comunicare al più presto. Aggiungeva informazioni sulle abitudini del capitano Corticelli.
8 aprile 1945 - Da "Nemo" [Aldo Galvagno] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che nella valle Impero la situazione era abbastanza calma, tranne che il frequente passaggio in direzione del Piemonte di automobili e camion.
8 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata - Comunicava di essere quasi del tutto a posto con le divise; che era necessario "un permesso scritto per vendere la mula"; che 5 individui provenienti da Oneglia avevano chiesto informazioni sul Distaccamento; che la forze del Distaccamento era di 26 uomini; che solo il commissario "Alessio" era disponibile ad ricoprire cariche pubbliche "all'atto della discesa sulla costa".
8 aprile 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che stava indagando sul parroco di Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] e sul podestà di Vendone (SV); che "Pipetta" era già stato nascosto dai tedeschi; che il 7 aprile i nazisti avevano requisito animali da traino per il trasporto di materiale bellico dai fortini alla stazione di Albenga; che si erano presi accordi con 7 militari della GNR di Albenga per il loro passaggio alle formazioni partigiane di montagna a condizione di portare 1 mitragliatore, 2 mitra, 4 fucili ed una cassa di munizioni; che, siccome si era presentato un giornalista per scrivere un diario sulla storia della Divisione, era necessario che "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] recapitasse la relativa documentazione; che era stato realizzato il soccorso alle famiglie dei patrioti caduti a Trovasta.
9 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata - Inviava una dichiarazione della signora Giulia Capetti, in cui la donna sosteneva di essere stata rimessa in libertà dalla gendarmeria tedesca di Albenga alla condizione di fare arrestare il garibaldino "Cimitero" [Bruno Schivo] e di avere detto al marito, lasciato nelle mani dei tedeschi, di arrangiarsi.
9 aprile 1945 - Dai "servizi ausiliari" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" insediati a Caprauna al comando della VI^ Divisione - Comunicavano che l'8 aprile avevano proceduto all'elezione del commissario nella persona di "Mauro" alla presenza di "Spezza", vice di "Basco".
9 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi di tutti i Distaccamenti - Segnalava nomi e descrizioni fisiche di 5 spie nemiche entrate di recente nella zona presidiata dalla Divisione.
9 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al CLN di Imperia - Chiedeva di indagare su 4 militari della P.T. di Porto Maurizio, 3 nativi di Modena, 1 di Marsiglia, che si erano presentati al comando della Brigata.
10 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che il 7 aprile una squadra del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" aveva ucciso 2 soldati della San Marco che, una volta catturati avevano tentato la fuga e che era stato passato per le armi un tedesco appartenente alle SS, riconosciuto come tale da un suo connazionale in forza al mentovato Distaccamento.
10 aprile 1945 - Da "Nemo" [Aldo Galvagno] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il presidio tedesco di Sarola si era diretto verso il Piemonte; che continuava "il lento deflusso tedesco lungo la strada 28 in direzione nord"; che a Chiusavecchia permanevano 30 soldati tedeschi, a Chiusanico 60, a Cesio 40, tra Villa Viani e Villa Guardia 140; che a Pontedassio 15 soldati tedeschi erano addetti all'ammasso dell'olio.
10 aprile 1945 - Da "K 20", prot. n°13, alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che continuava l'allarme dei tedeschi per un possibile sbarco alleato; che, tuttavia, rispetto al periodo dal 2 al 5 aprile, i tedeschi non erano più tutti nei "camminamenti e nelle postazioni"; che a Diano Marina "nella discesa del ponte San Pietro" era quasi ultimato il lavoro nemico di sbarramento anticarro, riguardante 6 "buche, ciascuna con 2 tronchi di binario che occupano i 3/5 della larghezza della strada; i binari sporgono inclinati per 90 cm; nella parte della strada ancora transitabile ci sono 4 buche riempite con un getto di cemento che ha un foro quadrato nel centro".
10 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando del Distaccamento "Angiolino Viani" - Stabiliva l'assunzione del nuovo garibaldino "Americano" presso il Distaccamento in indirizzo.
10 aprile 1945 - Dalla Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che a Capo Berta era stata piazzata una batteria antisbarco protetta dal filo spinato; che lungo l'argine destro del torrente Impero e in Castelvecchio ad Imperia erano in fase di preparazione alcuni sbarramenti fatti con pezzi di rotaie; che il giorno 7 era partita dalla Cava Rossa, diretta a nord, una colonna tedesca di 40 soldati, 8 carri grandi, 8 carri piccoli.
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava, Op. cit.