domenica 4 ottobre 2020

Stragi alla foce del Centa fra il 1944 e il ’45

Il bunker alla foce del torrente Centa in Albenga (SV) - Fonte: Wikipedia
 
Albenga era la sede del comando dell’80° Reggimento della 34a Infanterie-Division della Wehrmacht e sempre ad Albenga erano presenti sia il tribunale militare del reggimento sia il plotone della Feldgendarmerie del reggimento. Molti dei partigiani che venivano catturati nel campo operativo del reggimento venivano trasferiti nella caserma di Albenga, dove subivano un processo sommario per  poi, nella grande maggioranza dei casi, essere condannati a morte: sentenze che venivano eseguite entro pochi giorni dalla pronuncia. Alcuni nomi si resero protagonisti di processi istruiti nel dopoguerra: il comandante del reggimento e presidente del Tribunale Militare, maggiore Gerhard Dosse; il maresciallo Friedrich Strupp, spesso Pubblico Ministero durante i dibattimenti, accusato di torture e sevizie nei confronti degli arrestat; gli italiani, ufficialmente interpreti, ma autori di feroci delitti, Luciano Luberti e il suo vice Romeo Zambianchi, questi l’unico che venne condannato a morte dalla Corte d’Assise di Savona con una condanna capitale effettivamente eseguita. Ad Albenga, quasi sempre alle foci del torrente Centa, tra partigiani, collaboratori, fiancheggiatori e civili vennero giustiziati più di cento persone [...] Bruno Mantero, poliziotto ferroviario, fratello di Agostino, patriota della SAP di Albenga, arrestò a Ventimiglia nel 1946 Luberti, che tentava di espatriare in Francia [...] Durante una perlustrazione mirata nel borgo di Lusignano vennero catturati il 6 dicembre 1944 due partigiani, Francesco Baracca De Pascale e Giovanni Giletta Gugliotta. I due furono subito uccisi con due colpi alla nuca. Gugliotta freddato dal tristemente conosciuto maresciallo Friedrich Strupp della feldgendarmerie di Albenga, De Pascale dall’ancor più feroce Luciano Luberti [...]
[...] In Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019, si apprende: [...]
Rapporto dei carabinieri di Albenga del 24.6.45: Il dottor Russo Pierluigi giunse ad Albenga verso la metà del febbraio 1945 in servizio presso la locale brigata nera. Dimostrò subito particolare zelo nel coadiuvare la Feldgendarmerie di Albenga che in quel periodo spiegava una feroce attività di intimidazione attraverso l’uccisione di numerosi ostaggi. Il dottor Russo era coadiuvato dalla sua amante Andreis Anna, la quale esercitava la sua deleteria influenza sul maresciallo della Feldgendarmeria Strupp, di cui contemporaneamente ne era l’amante. Il dottor Russo vantava la sua appartenenza alla brigata nera e si dichiarava fervente nazifascista. Portava sulla manica destra della giubba la scritta “Per l’onore d’Italia”.
Interrogatorio di Russo Pierluigi del 30.7.1945: Sono iscritto dal 1927 al Pnf fino al 1934 quando venni
espulso per morosità, non sono mai stato iscritto al PFR [...] Andai quindi a Genova a consigliarmi con degli amici che mi dissero che solo le brigate nere erano il rifugio sicuro degli sbandati e come medico avrei potuto avere un impiego adeguato. Il 15 febbraio mi presentai al comando della brigata nera di Savona dove venni incorporato ed inviato subito ad Albenga per compiere un’inchiesta amministrativa a carico del comandante del distaccamento, Ten. Scippa, arrestato sotto l’imputazione di ammanco per circa mezzo milione. Le indagini da me condotte riuscirono positive e rimasero implicati oltre al tenente anche cero Cesare Lampasoma, sottufficiale della brigata nera, Raineri, direttore della mensa e magazziniere della brigata ed indirettamente anche il pretore di Albenga, Avv. Tacconi. Questo risultato portò ad una serie di denunce contro di me ed il 10 marzo 1945 fui fatto rientrare a Savona sotto inchiesta, esentato da qualsiasi servizio e con l’obbligo di vestire in borghese. A fine mese venni alla fine smobilitato e cessò ogni mio rapporto con le brigate nere. Con la Feldgendarmeria tedesca ebbi soltanto rapporti superficiali di pratiche d’ufficio. Non conosco l’attività politica e spionistica esercitata da Andreis Anna, detta Zola, in favore della Feldgendarmeria tedesca. La mia relazione con lei fu interrotta nel 1943. Non sono mai stato a conoscenza circa presunte uccisioni di ostaggi, maltrattamenti a detenuti, sevizie e violenze carnali a donne fermate imputate alla Feldgendarmerie, in quanto durante la mia breve presenza ad Albenga non è avvenuto nulla di tutto ciò.
Rapporto del Comando Polizia Militare Forze Armate Americane del Mediterraneo del 23.8.45:
Le seguenti informazioni sono state ricevute dal sottufficiale Alfred Fuchs che si trova attualmente in campo di concentramento a Verona. Egli appartenne al I° Btg. dell’80° Rgt. della 34^ Divisione di Fanteria. Questo reparto aveva rinforzato la gendarmeria di campo di Albenga fra Imperia ed Alassio. Il capo della gendarmeria da campo era il Maggiore Gerhard Dosse e questo Dosse era di solito incaricato di eseguire spedizione terroristiche che avvenivano fra la mezzanotte e l’alba con il pretesto di scovare i partigiani. Il criminale di gran lunga più attivo fu il Maresciallo Fritz Strupp, sposato, residente a Coblenza, che era in relazione con una certa signora Anna di Albenga. Lo Strupp ha personalmente ucciso la maggior parte delle persone fucilate ad Albenga e presenti in un album fotografico di sua proprietà. Queste persone erano indicate allo Strupp da tale Alfredo Ghio, un partigiano disertore. Un altro criminale molto attivo era tale Luberti, proveniente dalla Marina. Secondo le dichiarazioni del Fuchs, un italiano, tale Dottor Russo, appartenente alle brigate nere, sarebbe anch’esso stato un attivo criminale.. 
Bisterzo Felice: nato a Stoccarda, il 16 giugno 1913, squadrista della Brigata Nera “Briatore”, distaccamento di Albenga
Interrogatorio del 15.7.1945: Mi sono iscritto al PNF nel 1935 e al PFR dall’ottobre del 1944. Entrai a far parte delle brigate nere ai primi di dicembre 1944 fino al 24 aprile 1945. L’8 settembre ero soldato all’autocentro 2° di Trieste dove venni fatto prigioniero da tedeschi e trattenuto fino al mese di novembre. In questo periodo fuggii per ben tre volte e indotto poi a lavorare nella Todt come operaio. Mi sono arruolato nella brigata nera volontariamente l’1.12.44. Ammetto di aver dato due schiaffi per ordine del maresciallo della Feldgendarmeria all’intendente del comandante partigiano “Domatore”, arrestato in Albenga, quando questi era già orribilmente straziato, il boia Luciano dopo di ciò mi disse “Gliene hai date ancora poche”. Ho accompagnato, prelevandoli dal carcere della Feldgendarmeria, numero 17 ostaggi alla spiaggia dove i tedeschi ad uno ad uno li prendevano da noi e li portavano ad una cinquantina di metri dove, con un colpo alla nuca, li giustiziavano; quella volta non ci hanno fatto sotterrare né fare la guardia ai morti. Mi sono fatto consegnare soldi e viveri dalle famiglie, assicurandole che i loro congiunti, si trovavano in carcere e stavano bene mentre invece erano già stati giustiziati, tenendomi i soldi ed i viveri. Le esecuzioni al mare erano eseguite dal maresciallo Strupp e dal boia Luciano. Il partigiano Aldo Basso è stato fatto arrestare dal Brazzi Ennio, ex partigiano, passato al servizio delle bande nere. Gli esponenti della brigata nera di Albenga sono Reiner (direttore di mensa), Ten. Contini ed il vice comandante Lampason Cesare. Il 12 gennaio 1945 venni arrestato per aver fatto allontanare il partigiano, Tenente Aldo Basso, e venni tradotto in prigione nella federazione repubblicana di Savona dove rimasi fino al 2 di aprile. Rilasciato, ripresi servizio come motociclista presso la brigata nera a Savona, rimanendovi fino al giorno 22 quando mi nascosi presso una famiglia. Il 10 maggio mi presentai alla polizia di Albenga che mi condusse al carcere di Savona [...]
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 
 
[  altri lavori di Giorgio CaudanoGiorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016   ]
 
Fra l’ottobre del 1944 e l’aprile del ’45 ad Albenga, in via Trieste, in uno degli edifici Incis al momento disabitati, ma che in passato avevano ospitato famiglie di dipendenti statali, si insedia la Feldgendarmerie Trupp, un distaccamento della polizia militare della Wehrmacht che dipende dal 1° Battaglione dell’80° Reggimento Granatieri della 34ª Divisione.
Il 1° Battaglione, comandato dal capitano della riserva Gerhard Dosse, un insegnante prestato all’esercito e noto per la sua ferocia e lussuria, presidia la zona fra  Andora e Ceriale tramite singoli distaccamenti come quello ingauno e dipende a sua volta dall’80° Grenadier-Regiment, di stanza a Villa Grock, ad Oneglia.
Questo Reggimento è posto sotto il comando del colonnello Klaus Stange con il compito di controllare l’area compresa fra Imperia e Albenga e risponde alla 34ª Infanterie-Division, sotto l’alto comando del generale Theobald Helmut Lieb, che presidia il Piemonte meridionale e la Liguria occidentale. A capo della Feldgendarmerie c’è il maresciallo Fritz Friederich Strupp, da cui dipendono il sergente maggiore Alfred Fuchss, il caporale Johann Hans Nüsslein e una decina di graduati tedeschi. Li affianca un fascista, Luciano Luberti, che, arruolatosi nella Wehrmacht dopo l’8 settembre, è stato addestrato in Germania e, con il grado di caporalmaggiore, funge da interprete. Per effettuare azioni di rastrellamento e interventi di controllo del territorio, la Feldgendarmerie si avvale delle truppe del capitano Dosse e dei fascisti della Brigata nera locale intitolata a “Francesco Briatore”, fra i quali spicca per efferatezza Romeo Zambianchi. Le stragi a opera della Feldgendarmerie avvengono nei pressi della foce del fiume Centa, un’area pressoché inaccessibile alla popolazione sia per la presenza di fortificazioni militari erette dalla Todt in funzione antisbarco, sia per la vigente ordinanza del coprifuoco, che va dalle 17.30 alle 6 del mattino, sia infine per l’impraticabilità della zona, collocata fra la stazione ferroviaria e il mare e ricoperta da sterpaglia e canne. E’ tuttavia importante notare che, nel caso di Albenga, la procedura esecutiva messa in atto dalla polizia militare tedesca riflette solo parzialmente le misure repressive indicate dal sistema di ordini emanato il 17 giugno 1944 dal feldmaresciallo Kesselring. In tale sistema al rastrellamento, generalmente conseguenza di attacchi partigiani, segue la cattuta di civili sospettati di essere complici o parenti dei “banditi”, il loro concentramento presso strutture di raccolta, quindi l’interrogatorio aggravato dal ricorso a forme di tortura e, infine, la selezione dei “validi”, non coinvolti nel partigianato, che vengono inviati al lavoro in Germania, dai restanti prigionieri, destinati a formare un serbatoio di ostaggi funzionale a eventuali rappresaglie. In questo modo la procedura dei rastrellamenti, di per sé aberrante, assumeva il significato di un concreto monito rivolto alla popolazione per dissuaderla dall’offrire aiuto ai ribelli. La Feldgendarmerie di Albenga si discosta però da tali procedure mettendo in atto alcune modalità esecutive che eccedono in efferatezza la tattica imposta dalle direttive superiori. Fra queste si osserva: il frequente ricorso a segnalazioni di spie locali, sovente prive di qualsiasi fondamento; la forte propensione a far leva - grazie soprattutto alla stretta collaborazione con fascisti del calibro di Luberti e ingauni privi di scrupoli come il Zambianchi - su conflitti individuali e su contese di natura privata preesistenti fra le famiglie per provocare scontri, avviare rastrellamenti di cittadini e razzie e saccheggi dei loro beni; la “corte marziale”, priva d’ogni fondamento di legalità, allestita dal Dosse nella Feldgendarmerie; oppure ancora la tendenza a strumentalizzare con particolare pervicacia “l’invidia” personale e di classe, diffusa sul territorio anche a fronte del benessere di proprietari di aziende agricole, attività commerciali e imprese artigianali presenti in una piana come quella del Centa che, per estensione e fertilità, costituisce da sempre un’eccezione fra le modeste aree coltivabili del savonese. A queste costanti, occorre aggiungere le perplessità che i rastrellamenti di civili effettuati dai nazifascisti dell’albenganesesuscitano se interpretati, secondo la consuetudine, come deterrente in risposta a eventuali azioni partigiane o in funzione di possibili selezioni di personale valido e idoneo al lavoro rispetto a soggetti inabili. In altri termini, la Feldgendarmerie agisce con un surplus di crudeltà apparentemente gratuita e ingiustificata rispetto alle logiche belliche correnti e, data la frequenza e le dimensioni quantitative delle stragi di civili effettuate, non trova riscontro in altri eccidi avvenuti nel biennio 1944-’45 nel savonese né in altre zone operative liguri. A titolo esemplificativo, tra gli episodi di delazione, ricordo la spiata di Roberto Richero che, denunciando i Gandolfo, ricchi proprietari di un’azienda agricola a Ortovero, per aver fornito viveri ai partigiani, offrì il destro alla Feldgendarmerie per impossessarsi dei beni della famiglia Gandolfo, farne razzia e per procedere all’arresto prima di Silvestro e poi di Amerigo, che si era presentato al distaccamento per chiedere il rilascio del fratello. Entrambi, pur non avendo mai dato prova di convinzioni politiche antifasciste, vengono fucilati il 16 dicembre 1944 insieme a Gino Zunino, un giovane cestaio di 18 anni, forse renitente alla leva. Un altro episodio in cui la spiata di un concittadino diventa l’occasione perchè la Feldgendarmerie attui le sue trame criminose è data dall’arresto a Villanova di Albenga di Pietro Navone, ricco macellaio del paese, con i due figli Annibale e Alfredo. L’accusa di aver fornito cibo ai partigiani gli viene mossa da Giovanni Navone, detto “il Pipetta”, non imparentato con l’omonima famiglia di Villanova. Poco importa che - come in regime d’emergenza poteva capitare - i Navone fossero stati indotti con la forza a consegnare le loro carni ai partigiani.L’occasione è sufficiente per dare modo ai gendarmi tedeschi e alle Brigate nere di saccheggiare per una settimana i beni dei tre, i quali vengono fucilati il 27 dicembre del ’44 presso la foce del Centa con altri 4 ostaggi. Alle vicende ingaune sono anche legate due macabre beffe. La prima rimanda al proclama del 29 dicembre 1944, emesso dal commissario prefettizio maggiore Bruno Pacifici, che sollecita la popolazione a sostenere con denaro le famiglie dei concittadini economicamente in difficoltà per l’arresto dei loro congiunti che si ritiene siano imprigionati presso la Feldgendarmerie o le carceri savonesi di Sant’Agostino.L’offerta in denaro, che pare sia stata consistente, conferma che gli albenganesi sono all’oscuro delle reali macchinazioni dei nazifascisti. La seconda richiama la “tragica messinscena” della sera del 12 gennaio ’45, quando Luberti, in seguito a un sommario processo in cui ha riferito a 13 ostaggi che la loro condanna consiste in alcuni mesi da scontare nelle carceri di Sant’Agostino, mette nelle loro tasche un biglietto ferroviario con destinazione Savona.La verità emerge soltanto grazie alla fortuita fuga di uno degli ostaggi, Bartolomeo Panizza, attivo come Sap ad Albenga. Egli percorre sotto scorta con gli altri ostaggi il sentiero che dalla stazione ferroviaria conduce alla foce del Centa ma, giunto nel bunker di raccolta, riesce a liberarsi raggiungendo poi il Distaccamento di Domenico Trincheri (“Domatore”). Alla fuga rocambolesca del Panizza assiste accidentalmente anche Luigi Pesce, noto come “Luassu”, un partigiano incaricato dai compagni di esplorare la zona mare per verificare cosa avvenga in quell’area impraticabile. Durante il processo all’ex capitano Dosse, accusato di “reato continuato di violenza con omicidio da parte di militari nemici contro privati italiani”, la condanna imputatagli si ridurrà alle sole vittime del 12 gennaio ’45, ossia alla dozzina di civili sulla cui morte hanno testimoniato il superstite Bartolomeo Panizza, Luigi Pesce in quanto testimone oculare, nonché don Giacomo Bonavia, a conoscenza dei fatti per essere stato a sua volta catturato come ostaggio ma poi fortunatamente liberato per l’intercessione di Monsignor Cambiaso, vescovo di Albenga. Le stragi di civili presso la foce del Centa si succedono nelle seguenti date: 3, 16, 27 e 28 dicembre del ’44, in cui rispettivamente vengono fucilate 4, 3, 7 e 15 persone. Le stragi del 1945 avvengono il 12 e il 22 gennaio e il 18 e il 19 febbraio. Le vittime in questo caso sono costituite da gruppi formati da 12, 5, 6 e 5 persone. A fine guerra, fra il 6 e l’8 giugno 1945, in tre successivi disseppellimenti, vengono estratte dalle 7 fosse comuni ben 59 salme. Di queste, due soltanto non sono riconoscibili. Procedendo all’identificazione delle vittime, il dottor Marcello Navone, Vicepretore del Mandamento, e il dottor Mario Pagliari, Ufficiale sanitario del Comune di Albenga, annotano particolari raccapriccianti (“teschio irriconoscibile... mancante della dentatura superiore... alla caviglia del piede destro una ferita di pallottola... col volto irriconoscibile... dentatura mancante di denti”), segno indubbio delle torture cui vennero sottoposti gli ostaggi. Dei 57 corpi identificati: 5 appartengono a donne e soltanto 10 a partigiani. Per quanto concerne le classi di età: 11 vittime hanno meno di 20 anni (il 19,2%), 12 hanno un’età compresa fra i 20 e i 30 anni, 16 si collocano fra i 31 e i 40 anni, 10 fra i 41 e i 50 anni, 4 fra i 51 e i 60 anni e altrettanti nella fascia dai 61 anni in su. L’occupazione più diffusa è certamente il lavoro della terra, che impegna 15 agricoltori, ma ci sono anche piccoli commercianti e diversi esponenti d’una variegata serie di mestieri legati all’artigianato (molti ortolani, 3 cestai, un barbiere, un falegname, alcuni fornaciai e meccanici, un carrettiere e un fabbro), mentre scarsi sono i salariati dell’industria. Si distinguono inoltre alcuni cittadini benestanti (3 commercianti) e una famiglia di macellai. Per quanto concerne la provenienza, la maggior parte delle vittime è nata ad Albenga (11), Villanova d’Albenga (11) e Ortovero (6); 18 sono invece nativi di comuni limitrofi, ossia: Cisano, Garlenda, Borghetto d’Arroscia, Arnasco, Vendone, Pieve di Teco, Castelvecchio di Roccabarbena, Alassio, Loano, Finale e Stellanello; 3 provengono dal Ponente genovese; 4 dal “basso Piemonte”, 3 dalle province di Ferrara e di Padova e uno da Gela. Il gruppo più numeroso riflette il profilo sociale e professionale dell’area in cui le stragi sono avvenute è infatti formato da maschi di età compresa fra i 20 e i 40 anni, che costituisce il 49,1% del totale delle vittime, opera nel settore agricolo e proviene da Albenga o da paesi vicini.Infine, per quel che riguarda i criminali nazifascisti responsabili degli eccidi, rispetto alla componente italiana, l’unico a subire la condanna a morte per fucilazione, imputatagli il 21 marzo 1946 dalla Corte d’assise straordinaria costituita a Savona per i reati di collaborazionismo, è Matteo Zambianchi. Il Luberti, cui è imputata la medesima condanna con sentenza del 24 luglio 1946, nel 1949 ottiene la commutazione della pena nell’ergastolo che però, l’anno dopo, è tramutata dalla Corte di appello di Genova nella reclusione a 19 anni, a sua volta ridotta a 10 nel 1954. Di fatto, dopo 7 anni di carcere il Luberti nel 1953 viene liberato. Tuttavia torna agli onori della cronaca (nera) in quanto sospettato di contatti con gli esecutori materiali della strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969 e con il principe Junio Valerio Borghese, noto per un tentativo di golpe nel dicembre dello stesso anno. Dal gennaio del ’70, dopo aver ucciso la giovane segretaria e amante Carla Gruber, è latitante. Catturato nel 1972 e condannato a 22 anni di reclusione dalla Corte di assise di appello di Roma, viene riconosciuto infermo di mente e rinchiuso nel gerontocomio di Aversa. Ricompare in un’intervista televisiva del 1998 e muore nel 2002. Riguardo ai graduati tedeschi che operarono nella Feldgendarmerie, dopo anni di silenzio, le indagini si riaprono una prima volta in seguito alla scoperta nel 1994 dell’“armadio della vergogna”, quando alla Procura militare di Torino pervengono due documenti: l’uno a carico di “ignoti militari” accusati del reato di violenza con omicidio contro “Gandolfo Amerigo e altri 58”, l’altro a carico di Strupp, Fuchss e Dosse in ordine a reati di “violenza, maltrattamenti contro privati nemici e ostaggi, saccheggio ed incendio”. In entrambi i casi l’anno successivo è però nuovamente chiesta l’archiviazione per “l’amplissimo lasso temporale trascorso” e, di conseguenza, per l’improbabile reperibilità degli autori materiali dei reati. Ma con la nomina a Procuratore militare di Torino di Pier Paolo Rivello e grazie soprattutto all’incontro pressoché casuale del procuratore con l’avvocato Claudio Bottelli, ex partigiano e presidente dell’ANPI di Alassio e Laigueglia, il 16 dicembre 2001 le indagini si riaprono e Gehrard Dosse è iscritto nel registro degli imputati.[...] Il Dosse è rinviato a giudizio con l’accusa dell’omidicio di dodici persone il 12 dicembre 1944, grazie ai riscontri probatori relativi a questa strage. Ma nei confronti degli eccidi perpetrati in precedenza e in quelli successivi, come quello di Vendone del 20 gennaio 1945 o quello avvenuto nel Cimitero di Leca di Albenga il 17 marzo dello stesso anno, la mancanza di prove è di ostacolo alla procedura penale. Agli interrogatori Dosse risponde con ostruzionismo: da un lato ribadisce che non ricorda e, dall’altro, nega addirittura di essere mai stato ad Albenga. Al processo i tre comuni di Villanova d’Albenga, Albenga e Arnasco si costituiscono parte civile (e Bottelli è uno dei tre avvocati che li rappresentano).Dopo aver ascoltato i teste, che ricordano la messinscena delle false corti marziali presso la Feldgendarmerie di via Trieste e le atrocità commesse, il 13 dicembre 2006 il Tribunale militare di Torino condanna all’ergastolo Gerhard Dosse e la sentenza passa in giudicato il 13 aprile dell’anno successivo [...] 
Giosiana Carrara, Stragi nazifasciste di civili nella provincia di Savona in Savona in guerra. Militari e vittime della provincia di Savona caduti durante il secondo conflitto mondiale (1940-’43/1943-’45), ISREC Savona, 21 gennaio 2013 

Macché pietà cristiana scambi di prigionieri umanitarisrni e tregue; basta coi se i ma i forse e i chissà; qui il sangue chiama sangue, e il solco si scava sempre di più.
- Si può sapere insomma cosa vuole ancora sto rompiscatole del vescovo, con le sue giaculatorie? Ma che lo faccia in cattedrale il suo mestiere, altro che remenarla sempre così coi tedeschi in gendarmeria: o gli piace o no, adesso qui comanda solo il boia - diceva il tenente della brigata nera, a rapporto dal federale.
- Se i prigionieri lui li torchia ben bene con tutti i sentimenti, ma non parlano lo stesso, allora i patti non servono né coi preti né col vescovo; e dunque va bene ammazzarli ancora nel bunker sulla spiaggia, sempre avanti così;  poi sto tenente scattava sull'attenti, salutava alla romana e se ne andava gridando secco -  a noi.
Il boia di Albenga, quando glielo domandano, dice che sì; nonostante tutto si può tentare ancora in segreto; anche se il lavoro aumenta non ci pensa nemmeno, ci mancherebbe altro: col coprifuoco o no, vivi sempre il fascio e morte ai ribelli; altroché.
Eppoi non ci sono problemi nel bunker, manco parlarne; eccome che lo sa come si fa sempre alla solita maniera, anzi ancora di più per sbrigarseli in fretta; adesso però si capisce, basta guardarsi un po' in giro come capita, è sempre peggio.
Bisogna ben farla finita una buona volta mettendocela tutta senza risparmio; e sempre avanti col fascio bisogna ben andarci fin lassù per agguantarli tutti, ma proprio tutti al completo; e che la porcavacca se li porti via sti fuorilegge bastardi. Dice che non si può mica continuare tutte le sere sempre uguale, a scaraventarseli così da una parete all'altra delle celle, senza farsene accorgere: - adesso basta; manco mettendocela tutta, uno non ci riesce più a continuare come prima, nemmeno con gli aiutanti addestrati sempre lì pronti e disponibili -, dice il boia.
- E dunque va bene: se è inutile tenerseli che non c'è da fidarsene, va bene, facciamoli fuori.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 202

Roma "Pronto, potrei parlare per cortesia con il signor boia?". "Sì, qui è la casa del dolore". Potrebbe capitare a chiunque: alzare il telefono, comporre il numero di telefono di Luciano Luberti, venire accolti da un ritornello tra il romanesco e il luciferino. Dall' altro capo del filo risponde un signore di settantasei anni dalla barba di lanugine e gli occhi serpigni. E' il boia di Albenga, il torturatore italiano della Feldgendarmerie tedesca che in appena quattro mesi, tra la fine del 1944 e il 1945, seviziò, talvolta violentò, mandò a morte un centinaio tra uomini e donne rastrellati alla foce del fiume Centa. "Pronto, sì, qui è la casa del dolore". Un boia che fa il boia. Un Mangiafuoco autoironico. Può capitare anche questo. Si riparla di questo seguace di Hitler perché a partire da ieri sera, a notte fonda, Raiuno manda in onda quattro puntate a cura di Sergio Tau con una lunga testimonianza del boia Luberti Luciano.
Un documento straordinario, spaventoso, ma anche carico di insidie per il "fascino sinistro" che emana dal personaggio - il massacratore charmeur è ben tratteggiato da una delle sopravvissute - e non solo per questo: ma di ciò parleremo più avanti. Chi cerchi nell' intervistato la freddezza o il gesto trattenuto di un Priebke rimarrà deluso. Niente in Luberti tradisce contrizione. Non la voce né lo sguardo sornione né il ghigno perpetuo. Un personaggio inquietante, che sintetizza anche nella figura falstaffiana ferocia nazista e teatralità all' amatriciana. "Gli ho fatto un buco così, gli ho fatto, a Giovanni il Siciliano", ripete disegnando nell' aria un melone. "L'ho beccato dopo che aveva fatto fuori quel poveretto delle Brigate Nere. Gli ho scaricato in testa dieci bossoli, un buco così gli ho fatto a Giovanni il Siciliano...". Non la banalità, ma la voluttà del male. Prima di affrontare i rischi di questa operazione televisiva (che potrebbe sollevare le stesse perplessità che sollevò due anni fa Combat Film), converrà ricordare chi è il Boia d' Albenga, un personaggio romanzesco su cui s' è esercitato anche uno scrittore come Vincenzo Cerami. Fascista innamorato del Fuhrer, a ventidue anni s' arruola direttamente nella Wehrmacht. La sua brillante carriera nell' esercito tedesco comincia con il rastrellamento di partigiani italo-francesi in Corsica: è determinato, efficiente, merita la croce di ferro di seconda classe.
Quindi nel dicembre del 1944 il trasferimento ad Albenga, un paesino vicino a Savona che ospita il comando della Feldgendarmerie, la polizia militare del Fuhrer. Sevizie d' ogni genere. Torture. Anche stupri con bottigliette di gassosa infilate a calci. Capezzoli tagliati. Pareti imbrattate di sangue. "Beh, certo, la Feldgendarmerie lavorava sodo", dice ora il Boia un tantino compiaciuto. "Stavamo sulle palle anche ai camerati di Savona. Ma - che volete? - interpretavamo la legge, eravamo fedeli al regolamento". Dopo la guerra, la foce del fiume Centa restituirà cinquantanove cadaveri. "Befehl ist Befehl, l'ordine è ordine", continua a ripetere oggi il Boia, scuotendo la candida barba che va giù a cascata. "E io, al contrario di Priebke, ho obbedito senza lacrimare... Povero Priebke, c'ha 82 anni: finge un po' di pentimento, scarica su Kappler, ma se l'ha fatto è perché sentiva di obbedire volentieri a quell' ordine. Che me stanno a cantà?". Nell'aprile del 1945, Luberti riesce a fuggire. Prima Torino, poi Napoli, il tentativo di arruolarsi nella Legione Straniera. Il 17 maggio del 1946, sulla banchina del porto di Genova, viene riconosciuto da una sua vittima. Al processo i giudici lo condannano a morte. L' anno successivo la Corte d' Appello di Genova trasforma la sua pena prima in ergastolo, poi in 19 anni e sei mesi di carcere. L' amnistia del 1953 gli toglie ancora dieci anni. Nel luglio del 1956 il Boia torna libero. Possibile? Sentiremo ancora parlare di lui. Prima come editore di libriccini d' ispirazione nazista, poi come militante del Fronte nazionale, l' organizzazione neofascista di Valerio Borghese.
[...]  Intanto scorrono sul video le testimonianze di ufficiali e sottufficiali della Divisione San Marco, soldati al servizio di Salò. Parlano anche le donne stuprate dai partigiani. Parlano i partigiani a cui furono portate via le donne poi stuprate. Parlano le vittime del Boia. Un western sanguinario di grande impatto emotivo. Una mattanza che però rischia dicancellare nel bagno di sangue le ragioni dei vincitori e dei vinti. Una marmellata rossa che condanna tutti e nessuno: chi si batteva per la democrazia e chi dalla parte della tirannide. Proprio come ai tempi di Combat Film: l'emozione prevale sul ragionamento, il discrimine fascismo-antifascismo si perde per strada. Queste riserve sono condivise da Gian Enrico Rusconi, lo storico chiamato da Tau a presentare i materiali insieme ad Acquaviva. "Si tratta di un programma molto efficace sul piano spettacolare", ci dice lo studioso, "ma segnato da una sorta di agnosticismo contestuale. Il messaggio che manda è una condanna generica della violenza di qualsiasi segno. Viene messa in scena una tragedia totalmente impolitica, una babarie astorica: potremmo essere in Bosnia come in Ruanda. Acquaviva sceglie di non storicizzare, come invece avrei fatto io". Rusconi rimarca le distinzioni tra la ragione dei vincitori e gli errori dei vinti - l'ha fatto nelle prime due puntate (già registrate) ma intende tornarci con maggior vigore nelle successive - "perchè quella è la nostra storia, una storia che non si può dimenticare o appiattire su personalità disturbate. Accanto alla guerra civile c' è anche una patologia della guerra civile: temo che il programma confonda due piani diversi".
Simonetta Fiori,... torna l'incubo del boia di Albenga, la Repubblica, 11 febbraio 1997

La procura militare di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio di Gerhard Dosse, un capitano delle forze armate tedesche durante la seconda guerra mondiale, per la fucilazione di dodici italiani avvenuta ad Albenga (Savona) il 12 gennaio 1945.
Dosse, che oggi ha 96 anni e vive a Wedel, in Germania, all' epoca dei fatti era il comandante delle truppe stanziate nella città ligure.
I dodici, sospettati di collaborare con i partigiani, furono uccisi in località Foce del Centa. Il più giovane aveva 18 anni, il più anziano 43. Tra di loro c'erano anche tre donne.
Secondo quanto ha ricostruito il pm Paolo Scafi, che ha indagato su una catena di uccisioni avvenute nella zona (in tutto si tratta dell'omicidio di 71 persone) tra il novembre del 1944 e l'aprile del 1945, il capitano Dosse ebbe un ruolo determinante: anzi, come si legge nelle carte dell'inchiesta, fu «una delle figure centrali di quel dramma».
Fino ad ora - è scritto - le stragi erano state «genericamente attribuite all'attività criminosa svolta da un gruppo di "feldgendarmerie" con il quale collaboravano anche due cittadini italiani, ma questa angolazione ha fatto sì che il ruolo di Dosse, capitano della Wehrmacht, sia stato sottovalutato». In realtà, secondo Scafi, l'ufficiale era il presidente di un tribunale speciale, chiamato «Standgericht», istituito per giudicare i partigiani. Un tribunale che però celebrava i suoi processi violando addirittura le norme giuridiche tedesche: gli incolpati, che non avevano diritto all'avvocato, non potevano seguire la discussione in aula e a volte non potevano nemmeno conoscere la sentenza, venivano condannati a morte per reati - come il favoreggiamento - che non prevedevano la pena capitale, ma al massimo il lavoro coatto. E' stata acquisita agli atti dell'indagine una nota del questore di Savona, che nel marzo del '45 indicò in Dosse il presidente dello «Standgericht» definendolo un «elemento che ha fama di spietata ferocia».
Il processo, comunque, è stato chiesto solo per le dodici fucilazioni di Foce del Centa. La prova regina, per gli inquirenti, è costituita dalle deposizioni di Bartolomeo Panizza, un uomo che riuscì fortunosamente a scampare alla strage, e del sacerdote don Giacomo Bonavia. «Entrambi - è scritto - hanno testimoniato di essere stati sottoposti a un procedimento di fronte a una corte marziale presieduta dal capitano Dosse il 4 gennaio 1945».
Quando venne a sapere che il suo nome era stato associato a un'inchiesta per crimini di guerra, Dosse tentò il suicidio. Nel fascicolo, il pm Scafi ha osservato che «gli eccessi commessi dai militari tedeschi in Albania, in particolare dalla 'Feldgendarmeriè, suscitarono vibrate proteste delle autorità della Repubblica Sociale Italiana».
Redazione, Nazismo - Chiesto giudizio per il «boia d'Albenga», La Gazzetta del Mezzogiorno.it, 10 febbraio 2005

giovedì 24 settembre 2020

Tre giovani uccisi dai fascisti a Molini di Triora...

Dintorni di Molini di Triora (IM) - Fonte: Wikipedia
 
13 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si chiedevano informazioni sulla missione anglo-americana catturata dal nemico a Frabosa (CN).

14 gennaio 1945 - Da fonte imprecisata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che la forza nemica di stanza a Pieve di Teco (IM) variava da 180 a 200 unità, che in tutta la zona di Ormea (CN) vi erano 200 tedeschi, i nomi di 3 presunte spie, il decesso del "povero Mario Ponzoni" [fucilato a Pieve di Teco l'11 gennaio].

15 gennaio 1945 - Dal Comando Militare Unificato della Liguria al comandante Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] - Venivano a firma di Renato Ferrero chiesti chiarimenti circa il fermo effettuato ai danni del capitano Bartali [Giovanni Bortoluzzi, già a capo a settembre 1943 di una prima banda di partigiani in Località Vadino di Albenga (IM), poi dirigente sapista in quella zona, capo missione della Divisione “Silvio Bonfante” presso gli Alleati, vicecapo della Missione Alleata nella I^ Zona nei giorni della Liberazione], ricordando che vi era stata l'unificazione di tutti i comandi combattenti della Liguria e che "nella Liguria la parte operativa viene riassunta nelle persone di Miro [Anton Ukmar], Ferrero e Balbi [Tenente Colonnello Giulio Bertonelli ]", e veniva intimato il rilascio del capitano Bartali.

16 gennaio 1945 - Dal comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] 1945 al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava una risposta negativa alla richiesta di una fornitura di Sten avanzata dal comandante "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della  Divisione Bonfante] dato che ne erano sprovvisti poiché il lancio era avvenuto nella zona della VI^ Brigata.

16 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/50, al comando della Divisione - Trasmetteva le informazioni avute da "Dario" [Ottavio Cepollini] circa l'arresto dei fratelli "Giulio" e "Dek" e di altre 2 persone e segnalava che a Rezzo e a Mendatica si trovavano molti repubblichini.
 
16 gennaio 1945 - Da Dario [Ottavio Cepollini] al S.I.M. (Servizio Informazioni Militari) al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che era stati stati catturati due fratelli patrioti, indicava come probabile spia che aveva causato il detto arresto da parte del nemico il Sardo o Boll, avvisava che stava per essere affisso a Pieve di Teco (IM) un manifesto che minacciava l'uccisione di 10 civili per ogni tedesco morto in un agguato.

16 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi di tutti i Distaccamenti - Sottolineava che, nonostante i ripetuti appelli, non erano giunte staffette a Roncagli [Frazione di Diano San Pietro (IM)].

17 gennaio 1945 - Relazione sulla morte [avvenuta in pari data a Villatalla Frazione di Prelà (IM)] di Milan (Carlo Montagna), comandante della IV^ Brigata "Elsio Guarrini"  della II^ Divisione "Felice Cascione", ex operaio di fabbrica e "vecchio combattente alla testa del movimento negli scioperi del marzo '43".

17 gennaio 1945 - Dal comando della Brigata S.A.P. "Walter Berio" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"- Richiesta di intervento per la cattura di nemici da tentare di scambiare con sappisti, caduti in mano al nemico il 9 gennaio [come riferito con questo articolo, che riporta anche alcune tappe della nefasta azione della spia fascista, detta "la donna velata"] e tra i quali risultavano Carlo Delle Piane, Adolfo Rino Stenca, Roberto Sordello, con la raccomandazione di mettere in campo azioni da affidare, data l'accresciuta sorveglianza contro i sappisti, ai Distaccamenti di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata] e di Buffalo Bill [nei successivi atti ufficiali solo Bill, Giuseppe Saguato, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese"].

17 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al capo di Stato Maggiore Divisionale [Ramon, Raimondo Rosso] - Veniva richiesto il pattugliamento notturno delle strade di Vessalico (IM) ed Ortovero (SV).

17 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo di sottozona a Simon [anche Manes, Carlo Farini, Ispettore Generale al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Disposizioni sul trasferimento alla II^ Divisione del comandante Antonio.
 
18 gennaio 1945 - Da Dario al S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che continuava da parte dei nazisti l'interrogatorio di Giulio e di Dek, che Boll collaborava con i tedeschi, "spesso viene messo con gli arrestati e con il pretesto di essere anche lui caduto in trappola cerca di carpire loro notizie da riferire ai tedeschi", che si sarebbe cercato di fare eliminare Boll proprio dai nazisti, che i tedeschi stavano ricostruendo il ponte crollato a Pieve di Teco (IM).

18 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della VI^ Divisione - Veniva richiesto il da farsi dopo aver proceduto all'arresto di Corrado ex intendente della VI^ Divisione.

18 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione - Relazione militare sul rastrellamento [come già riportato in questo articolo] da parte nemica del giorno prima a Tumena, San Faustino [località di Molini di Triora (IM)], Ciabaudo [Frazione di Badalucco (IM)], Vignai [Frazione di Baiardo (IM)] e dintorni, in cui si affermava che le forze nemiche erano rappresentate dai granatieri di stanza a Molini di Triora e dai soldati dei presidi di Montalto Ligure [oggi comune di Montalto Carpasio (IM)], Badalucco (IM), Ceriana (IM e Baiardo (IM), per un totale di 300-350 unità e che "nei dintorni di Ciabaudo verso Tumena molti rustici sono stati incendiati".

19 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante"  - Relazione su una spedizione tedesca ad Ubaghetta "che cercava di individuare il Comando della I^ Zona Operativa Liguria su segnalazione della spia 'Boll' che si è messo a lavorare per i tedeschi in un modo vergognoso e vile. Si apprende da fonte attendibile che ieri verso le 10 ad Alassio sono state sciolte per ordine del comando tedesco le Bande Nere. Risulta che gli ex appartenenti a questi reparti siano stati disarmati ed obbligati a svestirsi della divisa a causa delle malversazioni fatte patire alla popolazione".

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Il 13 gennaio 1945 un reparto dei Cacciatori degli Appennini rastrella sette giovani nella vicina borgata di Agaggio e li portano a Molini di Triora (IM) per sottoporli a processo. Tra i sette rastrellati ne scelgono tre. Questi sono condotti davanti al capitano Christin (1) e a due ufficiali dei Cacciatori e vengono condannati a morte. La sentenza viene eseguita nei pressi del cimitero del paese.
Giorgio Caudano
(1)  [ Ironia tragica della storia, Christin, del resto responsabile di altri massacri di partigiani e di civili a Molini di Triora, aveva combattuto a Porta San Paolo di Roma, episodio eclatante e fondativo della Resistenza. A quanto pare non ebbe rimorsi per le azioni da lui comandate nel ponente ligure, nè queste gli sono mai state addebitate da vecchi e nuovi granatieri. Del resto, Christin pensò bene in almeno un'occasione di uscirsene con la seguente frase, ripresa in modo acritico dalla rivista Il Granatiere (organo ufficiale della presidenza dell'Associazione Granatieri di Sardegna, n° 3 del 2017): "Il tempo trascorso per noi, gli avvenimenti succedutisi nella storia della nostra Patria, hanno smussato, nel ricordo, l’asprezza degli episodi di allora. Su tutto sembra essersi steso un velo che, pur non facendoci dimenticare nulla di quanto abbiamo patito e gioito, ha creato come un alone di leggenda attorno ai fatti allora accaduti e dei quali siamo stati valorosi e tenaci protagonisti" ]



venerdì 18 settembre 2020

Tra il 4 ed il 6 febbraio 1945 i partigiani della I^ Zona Liguria...


Terzorio (IM)
Terzorio (IM)

Dai primi di febbraio 1945 i comandi delle Divisioni Garibaldi della I^ Zona Operativa Liguria [comandante Curto Nino Siccardi] furono impegnati a riorganizzare le forze in conseguenza dei duri rastrellamenti subiti a fine gennaio 1945.
Il 4 febbraio uomini delle SS italiane arrestarono Bricò (Attilio Panattoni) e Passatempo (Emanuele Cichero), membri del CLN di Sanremo (IM). Nella mattinata del 5 febbraio 1945 nella zona di Diano San Pietro (IM) si svolse un rastrellamento nazifascista ai danni della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante". Nel pomeriggio del 5 febbraio l'VIII° Distaccamento del Battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", posizionato a nord del paese di Agaggio (Frazione di Molini di Triora), avvistò una colonna tedesca che da Molini puntava su Rezzo (IM). Il comandante del Distaccamento, Giovanni Piacenza Giacobbi, ordinò agli uomini di nascondere le armi automatiche e di cercare di celarsi al nemico, che aveva iniziato a sparare contro di loro. Alcuni partigiani furono, tuttavia, arrestati. Tra questi vi erano 3 olandesi, Pablo, Domenica, Martedì: gli ultimi 2 indicarono dove era stato occultato l'armamento dei patrioti, per cui andarono perduti "un Breda con 3 caricatori, un Saint Etienne con 10 caricatori, un Ocis con 10 caricatori".
Il 6 febbraio 1945 una squadra del Distaccamento "Angiolino Viani" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" attaccò nei pressi di Molino Nuovo, Frazione di Andora (SV), 2 militi della San Marco, che erano partiti da Albisola (SV)  per procurarsi dell'olio, e catturò 2 fucili ta-pum, 1 pistola, 1 cavallo, 80 chili d'olio.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

4 febbraio 1945 - [documento scritto su carta intestata al dopolavoro del PNF, il partito fascista della Repubblica di Salò] - Dal comando della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che il comando di Brigata era volante e ridotto a soli 3 uomini, "Gino", "Danko" [Giovanni Gatti] e "Lupo" [Gianfranco Giribaldi], in conseguenza di una grave imboscata in cui erano morti 3 partigiani ed erano stati persi molti documenti, che il I° Battaglione era composto da 65 uomini, che il II° Battaglione aveva 70 uomini dislocati parte a Rezzo parte nella Valle Carpasina, che il III° presentava 90 volontari; che il Distaccamento SAP "Folgore" aveva avuto 7 morti, il X° "Walter Berio" 15 caduti, di cui 10 in seguito ad arresto, e che si era quindi deciso di aggregare al I° Battaglione i superstiti; che le forze nemiche a Montalto Ligure ammontavano a 70 soldati e a 3 ufficiali; che una colonna mobile mista di soldati tedeschi e fascisti, forte di 100 uomini, stava svolgendo diverse puntate in Val Prino.

5 febbraio 1945 - Da "Citrato" [Angelo Ghiron del S.I.M. <Servizio Informazioni Militari> della Divisione "Silvio Bonfante"] al responsabile S.I.M. ["Livio", Ugo Vitali] della Divisione "Silvio Bonfante" - missiva scritta a mano - Testo: "Sono partiti dalla vallata di Cervo i duecento tedeschi che vi si trovavano. Essi avevano già in antecedenza spediti via i loro bagagli. Questi si sono fermati due giorni ad Albenga, e sono poi proseguiti per Garessio - Ceva. Gli ultimi tedeschi sono partiti stamane. Anche da Andora e vallata è partito il comando del Battaglione e parte delle truppe. Sembra sia rimasta una sola compagnia. Notevole è sempre il numero di truppe di stanza nella zona di Diano Marina e Capo Berta, truppe che effettuano quasi giornalmente puntate verso l'interno della vallata. (circa 300 uomini) Secondo informazioni da Imperia anche da quella zona vengono segnalati spostamenti di truppe. È soprattutto notevole il numero di carri trasportanti equipaggiamento, viveri e materiale verso Savona, e tornanti vuoti in direzione opposta. Il fatto che anche viveri vengano trasportati sembrerebbe indicare non corrispondenti a verità le voci secondo cui si tratterebbe di un sempice cambio di truppe. Se anche non è probabile per il momento il completo sgombero della Liguria, è pure ormai certo che è in corso una sistematica ed assai notevole diminuzione dei presidii nell'intera zona. Avevo parlato in un precedente rapporto di una donna pseudo-Francese spia fascista abitante ad Oneglia... A lei sono attribuiti numerosi arresti di compagni nostri. Essa è conosciuta per spia da membri del Comitato. Tedeschi e repubblicani si reputano ormai sicuri in questa zona dal pericolo di partigiani. Soprattutto i fascisti stanno esasperando la popolazione con il loro comportamento.  Spero di avere sabato prossimo da Marco [probabilmente Nino Agnese] l'indirizzo che ho richiesto di S. 22, per mettermi in contatto con lui. Ad ogni modo ho ora trovato informatori a Diano ed Oneglia. Essendosi spostata, a causa dei rastrellamenti, la I Brigata, non ho più potuto parlare con Federico [Federico Sibilla vice commissario della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] per l'affare di Faravelli, né so quindi a che punto sia giunto. Saluti. Citrato.
P.S. so ora che nella notte tra il 7 e l'8 sono transitati, diretti a Ventimiglia due treni carichi di munizioni. È quindi confermato che i tedeschi hanno sì intenzione di diminuire i presidii, ma non di evacuare la zona. I tedeschi ad Oneglia, avendo trovato delle munizioni in una ditta di costruzioni hanno trucidato il proprietario e 36 operai [notizia che non ha trovato riscontro]".

5 febbraio 1945 - Da "Mimosa" [Emilio Mascia, ufficiale della Brigata SAP "Giacomo Matteotti"] alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] del CLN di Sanremo - Comunicava che l'abitazione di Modena a Verezzo [Frazione di Sanremo (IM)] era stata svaligiata da sedicenti partigiani, che avevano asportato oro, preziosi e denaro in grande quantità, per cui occorreva investigare, tanto più che Modena era sempre stato simpatizzante della causa partigiana.

5 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 270, al comando della V^ Brigata - Segnalava che il 4 febbraio erano stati arrestati dalle SS italiane "Passatempo" [Emanuele Cichero] e la staffetta "Bricò", i quali erano riusciti a distruggere i documenti che portavano, e che dalle SS tedesche era stato arrestato, invece, l'avv. Buzzi, che aveva un appuntamento, ormai da annullare, con "Curto".              

5 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" al comando  della I^ Brigata - Segnalava un rastrellamento avvenuto nella zona di insediamento del Distaccamento stesso, un rastrellamento durante il quale un garibaldino era rimasto arso vivo e 4 partigiani erano stato fatti prigionieri [come già riportato con questo articolo].

5 febbraio 1945 - Da "Martino" al CLN di Imperia - Segnalava che ad Imperia si erano verificati molti arresti e che tra quelle persone erano stati fucilati 3 iscritti al PCI.

5 febbraio 1945 - Dal comando dell'VIII° Distaccamento del II° Battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della V^ Brigata - Informava che gli uomini del Distaccamento si trovavano in zona Agaggio [comune di Molini di Triora (IM), Alta Valle Argentina] quando, avvistata una colonna tedesca, si affrettavano a nascondere le armi e ad occultare loro stessi, ma che due partigiani olandesi, "Domenica" e "Martedì", venivano arrestati ed indicavano al nemico il luogo dove erano state celate le armi, 1 Breda con 3 caricatori, 1 Saint Etienne con 10 caricatori e 1 Ocis con 10 caricatori.

5 febbraio 1945 - Da "Jean" [Giovanni Carosi?] al CLN di Sanremo - Comunicava che in seguito ad un rastrellamento nella zona di Baiardo erano stati arrestati alcuni partigiani, che ignorava eventuali uccisioni e che per intervento del tenente dei bersaglieri, tuttavia, non era stata bruciata nessuna casa del paese. 
 
5 febbraio 1945 - Dall'ispettore ["Simon",  Carlo Farini] della I^ Zona Operativa Liguria al comando del III° Battaglione "Orazio 'Ugo' Secondo" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Chiedeva informazioni sui fatti di Arma di Taggia del 24 gennaio per i quali furono rinvenuti i cadaveri di 7 uomini della SAP di Arma di Taggia, tutti appartenenti al Distaccamento comandato dall'ex brigadiere Gastone Lunardi ed ordinava di svolgere un'inchiesta sull'insieme delle circostanze.

5 febbraio 1945 - Dall'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Invitava a processare presso il Tribunale della Divisione Gastone Lunardi, già sospettato per la sparizione di 19 quintali di farina, per appurare sue responsabilità nell'uccisione di 7 uomini della sua squadra SAP, strage avvenuta ad Arma di Taggia il 24 gennaio, e sollecitava, oltre che l'inoltro della dislocazione delle formazioni dipendenti dalla Divisione, altresì l'invio allo scrivente di notizie relative a quei caduti.

6 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che partigiani del Distaccamento di "Fernandel" [Mario Gennari] avevano arrestato Corrado Zanazzo sotto l'imputazione di spionaggio, che l'arrestato aveva fatto parte delle formazioni di "Cion" [Silvio Bonfante] con il nome di "Corrado" e che su Zanazzo sarebbero state chieste informazioni più precise ai responsabili della II^ Divisione ["Felice Cascione"].

6 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che reparti tedeschi stavano organizzando un rastrellamento nella zona di Caprauna [comune della provincia di Cuneo situato nella parte terminale della Val Pennavaira nel versante marittimo-ligure delle Alpi].
 
7 febbraio 1945 - Da "Gea" a... - Comunicava che "Bricò", staffetta partigiana, era stato liberato mentre non si sapeva nulla di "Passatempo".

da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II
 
Il 24 gennaio i fascisti rastrellano la vallata di Montegrazie ed anche la zona di Terzorio dove purtroppo viene catturato il partigiano Renato Giusti (Baffino); sorpreso in un fienile (per causa di spie) dove solevano dormire dei partigiani è portato al comando tedesco di Santo Stefano al Mare (Villa Dea). Strada facendo è percosso duramente con il calcio del fucile. Gli viene intimato di rivelare il luogo dove si nascondono i suoi compagni altrimenti non avrebbe più visto la moglie e il figlio. Accompagnato per diversi giorni nelle località notoriamente consciute come frequantate dai partigiani non ottengono da lui nessuna informazione. Successivamente è trasferito a Sanremo (Villa Fiorentina) dove subisce ulteriori torture. Da quel momento non si è saputo più niente. Quando furono recuperate cinque salme irriconoscibili probabilmente tra queste c'era anche quella di "Baffino".
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, p. 149
 
Le nostre azioni purtroppo al momento erano in forte ribasso. Sorprese fatali accadevano di continuo, triste bilancio che l'inverno esigeva. Anche Baffino [Renato Giusti], in transito per Terzorio, all'alba del famoso mattino [24 gennaio 1945] era stato catturato nell'operazione congiunta effettuata nei due paesi della valle; quasi irriconoscibile per le percosse e sevizie subite, era stato portato da militi repubblicani, seduto sopra una sedia, come un trofeo per le vie di Pompeiana, triste sfilata di un uomo giunto alla fine del suo percorso.
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984  

Il 24 gennaio venne fucilato anche Renato Giusti (Baffino), che era stato catturato durante il rastrellamento di Terzorio (IM) avvenuto tre giorni prima. “Baffino” lavorava nell’organizzazione “Todt” di Porto Maurizio, da cui riuscì a far fuggire diversi patrioti che si diressero in montagna; già scoperto ed incarcerato una volta, ma in seguito liberato dai garibaldini, era stato incorporato nelle formazioni della II^ Divisione “Felice Cascione”.  Rocco Fava, Op. cit., Tomo I

sabato 12 settembre 2020

Lo scontro del 15 aprile 1945 tra partigiani e bersaglieri repubblichini a Pietrabruna (IM)

Pietrabruna (IM) - Fonte: Wikipedia

Lo stesso giorno 15 [aprile 1945] saputa la presenza di forze repubblicane della 6^ Compagnia bersaglieri in Pietrabruna, dove avevano già colpito a morte il garibaldino Antonio Castello, squadre dei Distaccamenti I e II della IV ^ Brigata ["Elsio Guarrini", della II^ Divisione "Felice Cascione"] partono per prendere posizione sulla carrozzabile Pietrabruna - Torre Paponi.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, p. 288 
 
La nostra squadra, l'unica in possesso di un mitragliatore, attendeva ai bordi del campo le ultime disposizioni e la via libera per l'attuazione di una missione già discussa la sera precedente con Italo [Maurizio Massabò], ma l'ordine tardava a venire; poco prima era giunta una trafelata staffetta, che si sentiva ancora parlare animatamente nella stanza adibita a comando, da cui uscì qualche minuto dopo in compagnia di Italo. Nella valle era stato avvistato un reparto repubblicano. Venne quindi annullato qualsiasi programma precedentemente disposto. L'informatore assicurava la presenza avversaria [...] l'intero distaccamento si allontanò rapido [...] all'inizio si imboccarono sentieri che vennero abbandonati alla prima biforcazione, nell'intento di produrre la sensazione di un percorso poco chiaro, per confondere eventuali osservatori e questo fino a raggiungere il fondo valle, dove l'itinerario venne modificato assumendo un indirizzo preciso [...] per la prima volta dal lontano autunno il distaccamento si trovava raggruppato al completo per affrontare la verifica d'uno scontro, di armi e di coraggio. Le ore scorrevano lentamente, esasperati dalla mancanza di cognizioni precise, mancanza che faceva prevedere il vuoto di un'inutile attesa. Il battito del tempo, suonato dai campanili della valle [...] il reparto repubblicano con un percorso imprecisato era giunto a Pietrabruna, da cui sarebbe presumibilmente partito verso la fine del giorno; nessun altro reparto, inoltre, operava in congiunzione allo stesso; a completare il quadro della segnalazione seguirono notizie di violenze perpetrate a carico di civili, fra cui l'uccisione del vecchio sagrestano, il quale, fortemente debole di vista, aveva scambiato i fascisti per noi. Dopo un breve conciliabolo, la decisione raccolse l'approvazione di tutti: attaccare il reparto in un diverso luogo che, pur presentando maggiore pericolo, sapeva offrire adeguate possibilità di sorpresa [...] L'agguato prese forma quasi al termine della discesa a una curva della strada che, dal centro del paese, calava con un susseguirsi di tornanti fino al fondo della valle; il breve rettilineo scelto, postofra due curve, venne bloccato quasi interamente dal nostro dispositivo; uno sperone roccioso, simile a un torrione, ricoperto di cesspugli e situato al disopra della curva in basso, raccolse l'appostamento della quasi totalità dei garibaldini, fornendo loro una posizione frontale che permetteva un tiro d'infilata sulla colonna avversaria, riservando nel caso lo scontro avesse assunto un andamento a noi favorevole, la possibilità di un facile disimpegno; alla curva in alto, allo scopo di chiudere alle spalle il reparto, si appostò uno sparuto gruppetto, in una posizione che non offriva alcuna via di scampo. Il comandante Italo e il russo Ivan si posero agli inizi della svolta per controllare i movimenti della colonna; un poco più in basso io e Konrad, armati del mitragliatore; a completare l'operazione una squadra di Veloce [Ermanno Sebastiano Martini, comandante del III° Battaglione "Orazio 'Ugo' Secondo"] di passaggio nella nostra valle bloccò qualche chilomentro a sud la strada del mare, nell'ipotesi di eventuali riforzi. Ed ebbe inizio la nuova attesa [...]
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984, pp. 135-137

Il 15 aprile una staffetta avvisava il I° Distaccamento "Angelo Perrone" del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" che "a Pietrabruna si trovavano 17 bersaglieri i quali erano venuti allo scopo di asportare bestie da soma. Il comandante 'Italo' [Maurizio Massabò] chiedeva rinforzo al II° Distaccamento, andando a prendere immediata posizione con 12 uomini sotto Pietrabruna" sulla carrozzabile Pietrabruna-Torre Paponi. Dopo un paio d'ore, i bersaglieri, che appartenevano alla VI^ compagnia di stanza tra Riva Ligure e San Lorenzo al Mare, mentre ritornavano con un bottino di 16 muli, venivano attaccati, subendo l'uccisione di 10 soldati, la cattura di altri 2 e la perdita di materiale bellico, consistente in un mitragliatore Breda, un mitragliatore Saint Etienne, un mitra Beretta, cinque moschetti con relative munizioni, tre pistole e cinque bombe a mano. I bersaglieri, che riuscirono a fuggire, diedero l'allarme. Da un dispaccio garibaldino: "da Imperia partiva prontamente, per portare rinforzo, un automezzo con a bordo una quarantina di Brigate Nere ed un cannoncino da 75 mm. Anche questi venivano attaccati in due riprese e subirono la perdita di 6 uomini".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Appena le forze avversarie giungono a tiro sono investite con un fuoco intensissimo. Quindici repubblicani cadono e altri due, fatti prigionieri, sono giustiziati la sera stessa. Prevedendo il sopraggiungere di rinforzi, i garibaldini si appostano un'altra volta: giungono dei camion nemici che sono anch'essi attaccati a distanza ravvicinata. Armi catturate al nemico [...] Ma vediamo come raccontano l'episodio alcuni protagonisti: "... i bersaglieri pensarono allora di agire di prepotenza saccheggiando tutte le case che gli capitavano sottomano, mentre molti abitanti del paese fuggivano ed alcuni di quanto stava accadendo andarono ad avvisare i partigiani che in quei giorni erano numerosi nella zona del Monte Faudo. Correndo affannosamente raggiunsero la località Ravanin dove era accampata la banda di Maurizio Massabò (Italo) ... Il partigiano Vento è appostato dietro un tronco di quercia con il mitragliatore MG 42. Su un ponticello scorre ben visibile la carrozzabile, più in là una curva toglie la visibilità del transito. Giacomo Corradi (Pancio) e Maurizio Massabò (Italo), comandanti dei due Distaccamenti, avevano dato ordine di sparare solo quando tutta la colonna fosse stata vicina, sotto di loro. I fascisti per precauzione avevano portato con loro due civili, Giuseppe Pirero e Silvano Zucarato, come ostaggi, a cavalcioni di due muli ... Quando la colonna viene a trovarsi sotto tiro una lunga scarica violenta di armi automatiche la investe causando in essa paurosi vuoti. In quel momento un bersagliere spara con la pistola nella schiena del civile Giuseppe Pirero, che rimane ucciso, ma si inciampa nei rovi, è obbligato a fermarsi, viene falciato da una raffica ... un bersagliere, benché ferito, riesce ad arrivare a San Lorenzo al Mare per avvertire il suo comando dell'imboscata subita. In quella drammatica confusione il partigiano Vento si sente chiamare per nome da una voce proveniente da sotto il ponte già menzionato: è l'ostaggio Silvano Zucarato, che era riuscito a mettersi al riparo, e con lui sono due soldati che gli si erano arresi ... Transitando per Pietrabruna gli abitanti pretendono che vengano loro consegnati i due prigionieri per linciarli. Invece questi sono portati al coando di Brigata dove, a seguito di processo regolamentare, sono condannati a morte e fucilati ... prima del tramonto giunge al bivio di Boscomare un autocarro con militi della Brigata Nera, i quali sparano alcuni colpi di mortaio sul paese di Pietrabruna, uccidendo una suora, quindi si avviano in ordine sparso ... il partigiano Barba, piazzato il mitragliatore, dà il 'chi va là'. Il capitano nemico, che forse non pensava ad un secondo agguato, risponde dichiarandosi ... Barba, senza esitare, apre il fuoco con il mitragiatore ... dopo un'ora giunge sul posto una autoambulanza con bandiera biana issata sul cofano, con lo scopo di portare via tutti i caduti. I partigiani sospendono ogni iniziativa  e concedono la tregua al nemico..."
Francesco Biga, Op. cit., pp. 288-290
 
Il giorno seguente nella tarda mattinata riposavo ancora in un sonno profondo [...] quando uno scoppio fortissimo mi destò di soprassalto [...] al primo colpo ne erano seguiti altri, indiscutibili cannonate, i cui rimbombi legati dall'eco formavano un ininterrotto fragore che rimbalzava cupo all'interno dei crinali [...] Pietrabruna era diventata bersaglio dei cannoni tedeschi. Nell'aria limpida del mattino nitido giungeva il sibilo delle granate in arrivo, che fortunatamente esplodevano per la maggior parte nelle campagne circostanti; i colpi, sparati da una batteria installata ai confini della valle raggiunsero il solo scopo di terrorizzare gli abitanti del borgo [...]  ritenemmo prudente rimanere in stato d'allerta; preoccupazione che in serata si rivelò fortunatamente inutile, poiché nella valle quel giorno nessuna formazione avversaria si presentò. Il bombardamento, durato circa un'ora, non conseguì risultati significativi: nessun ferito e danni irrilevanti, a parte la croce del campanile [...]
Renato Faggian (Gaston), Op. cit., p. 139

16 aprile 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Carlo Montagna" [comandante "Peletta", Giovanni Alessio - commissario politico "Sferra", G.B. Pastorelli] della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della IV^ Brigata - Segnalava che il giorno prima il comando del I° Distaccamento "Angelo Perrone" era stato informato che a Pietrabruna si trovavano 17 bersaglieri che stavano requisendo animali da soma; che il comandante "Italo" [Maurizio Massabò], chiesti rinforzi al II° Distaccamento, aveva fatto aprire il fuoco contro i bersaglieri quando transitavano con 18 muli sotto il paese; che i garibaldini avevano ucciso 10 nemici e fatto 2 prigionieri; che "il bottino incamerato" corrispondeva a 2 mitragliatori, 1 mitra, 5 moschetti, 10 bombe a mano; che al termine del citato scontro erano sopraggiunti militi delle bande nere contro i quali vi era stato un altro scontro a fuoco; che questi repubblichini avevano ucciso un civile, che stava tentando la fuga, e 2 muli; che i garibaldini erano riusciti a restituire gli altri 16 muli ai proprietari. 

16 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" [responsabile, "Brunero" Francesco Bianchi], prot. n° 395, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione - Inviava le informazioni sulla situazione di Taggia ricevute dal III° Battaglione "Candido Queirolo" [comandante "Gori", Domenico Simi; vice comandante "Cipriano", Raffaele Alberti] e quelle sullo scontro di Pietrabruna del giorno prima ricevute dal I° Battaglione "Carlo Montagna" [comandante "Peletta", Giovanni Alessio - commissario politico "Sferra", G.B. Pastorelli] della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione. 

17 aprile 1945 - Dal comando [comandante "Peletta", Giovanni Alessio - commissario politico "Sferra", G.B. Pastorelli] del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della IV^ Brigata - Comunicava che la sera del 16 aprile una squadra del I° Distaccamento "Angelo Perrone" aveva tentato di attaccare dei soldati repubblichini a Pietrabruna, e che, non essendo riuscita l'azione, si era portato sulla via Aurelia dove aveva attaccato a tre riprese carriaggi tedeschi diretti a Genova.

da documenti dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II


venerdì 4 settembre 2020

Il comandante partigiano Erven racconta...

Il comandante partigiano Erven
Erven, il prof. Bruno Luppi [già incarcerato nel 1935 a Modena per attività clandestina antifascista; iscritto al partito comunista clandestino a Sanremo (IM); ufficiale durante la guerra, partecipò, appena sfuggito alla cattura da parte dei tedeschi, il 10 settembre 1943 ai combattimenti di Porta San Paolo a Roma; riuscì a rientrare in provincia; da comandante del 16° distaccamento della V^ Brigata venne gravemente ferito il 27 giugno 1944 nella battaglia di Sella Carpe (tra Baiardo e Badalucco); mesi dopo, appena guarito, diventò vicecommissario della I^ Zona Operativa Liguria] dice...
È della preparazione del movimento partigiano che voglio parlare, cioé di quello che é stato prima. Il C.L.N. venne costituito solo nel novembre 1943. Vi era il C.L.N. a Taggia (IM) che era formato dal senatore Anfossi, da Aliprandi, da altri che adesso non ricordo e da me. Poi c'era un C.L.N. a Sanremo (IM), nel quale figuravano tra gli altri Maiffret [Lina Meiffret, arrestata con Renato Brunati, deportata in Germania, riuscì a fuggire prima di essere condotta in un lager], Bobba, Farina, Nuvoloni, Ferraroni.
don Ermando Micheletto,  La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

Un gruppo, che confluì dopo la guerra nel partito socialista ma che sorse autonomo intorno al 1939 ed ebbe come centro Bordighera, fu quello che fece capo a Guido [Hess] Seborga, un giovane il quale cominciò a osteggiare il fascismo fin dalla guerra d'Abissinia (lo disse ai compagni di scuola e fu "pestato" per tali sentimenti "anti-patriottici"). Attorno a Seborga si raccolsero numerosi giovani: Renato Brunati (poi garibaldino e trucidato dai tedeschi), Lina Mayfrett (deportata in campo di concentramento), Peppe Porcheddu (il quale si suicidò nel '47 per la delusione che l'assetto politico scaturito dalla Resistenza provocò in lui). Questo gruppo lavorava anche in contatto con i torinesi  Alba Galleano, Giorgio Diena, Vincenzo Ciaffi, Domenico Zucàro, Raffaele Vallone, Luigi Spezzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Mussa e altri. Il gruppo svolse soprattutto attività di propaganda di collegamento tra le regioni, di diffusione di libri proibiti e, quando giunse il momento della lotta aperta, i suoi principali esponenti, allora "azionisti", militarono nelle formazioni partigiane di "Giustizia e Libertà" e della "Matteotti".
Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Garzanti, 1971

Uno scorcio del centro storico di Taggia (IM)

Una vista dalla Via Aurelia, all'altezza di Arma di Taggia, sino alle prime colline

A lui interessava rendermi edotto di quanto era a sua conoscenza prima che salisse sui monti e si arruolasse nelle bande di Vitò ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo, da luglio 1944 comandante della V^ Brigata Garibaldi "Luigi Nuvoloni" e dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"].
Nell'ottobre 1943 a Taggia c'erano due gruppi di partigiani in formazione, uno in una vallata dietro il cimitero ed un secondo in regione Beusi. Con questi gruppi avevo anch'io dei rapporti. Ricordo che si era associato anche il maresciallo Genova. Erano una ventina, ma non erano organizzati...
E nei suoi ricordi appare Arma di Taggia.
Anche ad Arma di Taggia si formava un C.L.N. con Candido Queirolo, Mario Cichero, Mario Siri, Mario Verzoni. Quest'ultimo andrà poi a Milano e là proseguirà la sua azione partigiana. Candido Queirolo si spingerà sino a Firenze e vi rimarrà per un lungo periodo di tempo.
Erano, come si nota dai ricordi di Erven, tentativi sporadici non ancora organizzati...
Io ero a Taggia. Abbiamo fatto con il mio gruppo una prima azione partigiana. Prelevammo dal forno di Del Pietro una certa quantità di farina e la mandammo ad una banda Brunati [Renato Brunati, arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 nella strage del Turchino], che era sopra Baiardo (IM)... Nel mese di novembre 1943, quando Felice Cascione aveva organizzato il primo gruppo operativo, in tutta la zona dell'Imperiese si formarono spontanei gruppi di ufficiali, di soldati e di civili, che operavano separatamente e senza una condizione prestabilita. Si sciolsero però davanti ai primi ostacoli come neve al sole.
Anche Erven ammette l'inconsistenza delle prime organizzazioni partigiane sorte per entusiasmo momentaneo...
Nei gruppi spontanei si facevano solo discussioni... un tentativo di prelevare delle macchine da scrivere sotto il tribunale di Sanremo... in seno al C.L.N. fui delegato dal P.C.I. essendo ufficiale militare. 
don Ermando MichelettoOp. cit.

Il farmacista di Molini di Triora (dott. Alfonso Vallini), antifascista (PSIUP) e membro del Comitato locale di Resistenza, ha segnalato agli antifascisti del Fondovalle (Erven) la presenza del gruppo di Vittò e di Tento; e con questo gruppo prende contatto Mario Cichero, comunista, prima per ordine del suo Partito, e poi anche per incarico del Comitato resistenziale di Arma di Taggia, di cui fa parte insieme ad Erven e con altri.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Purtroppo i primi gruppi si erano sciolti. Solo Vitò e la sua banda nutrivano le speranze, perché costituivano una entità salda e duratura. È da questo momento che tutti gli sguardi si puntano sui monti di  Loreto e Cetta [Frazioni di Triora (IM)]. Lassù si faceva sul serio e nessuno ancora nei C.L.N. pensava a sovvenzionare. Sarà il dott. Neri, veterinario di Taggia, a segnalare il gruppo di Vitò. E il dott. Neri era in contatto con il farmacista di Molini di Triora (IM), dott. Vallini: questo il primo contatto con Vitò...
In merito ai Lantrua, i fratelli che gestivano in proprio le corriere della Valle Argentina non è mai stato detto... favorivano con il loro servizio i nostri trasporti destinati al gruppo di Vitò...
Per opera di Stefano [Leo] Carabalona, che nella Val Nervia e precisamente a Rocchetta Nervina  aveva organizzato una banda si resero più efficienti i C.L.N. di Ventimiglia, di Vallecrosia, di Bordighera. Dopo le tristi peripezie del gruppo di Felice Cascione, si sono radunati nella casa di un certo Pastorelli, situata sulla strada per Carpasio [oggi nel comune di Montalto Carpasio (IM)], i rappresentanti di vari C.L.N. che stabilirono l'organizzazione ufficiale della IX^ Brigata Garibaldina, ancora senza nome, e decisero la sovvenzione dei gruppi armati organizzati...
Da questo momento, primavera del 1944, nei mesi di marzo ed aprile, si costituisce un C.L.N. sul piano regionale...
Nasce veramente l'organizzazione partigiana...
I C.L.N. erano l'espressione di tutti i ceti sociali, ormai convinti della fallita politica fascista...
Così ha chiarito Erven...
don Ermando Micheletto *,  Op. cit. 
* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. 
Giovanni Strato, Op. cit. 

[...] in concomitanza con l'aumentata pressione nazifascista, dal 28 marzo 1944 i maggiori gruppi partigiani, originati dalla "banda Cascione", vennero posti sotto il comando di Curto [Nino Siccardi], che [...] riuscì a contattare anche le bande di "Tento", Pietro Tento, e di "Vitò" [Giuseppe Vittorio Guglielmo], le quali agivano nella parte occidentale della provincia di Imperia in Alta Valle Argentina con base alla Goletta di Triora (IM) [...] A fine maggio 1944 il Comando Generale per l'Alta Italia del Corpo Volontari della Libertà mandò disposizioni per la creazione in Liguria di un Comando unificato. Sorse così il primo Comando Militare Unificato Regionale Ligure (CMURL). La Liguria venne suddivisa in 4 zone in ottemperanza alle direttive impartite dal Comando Generale Alta Italia: I^ Zona Operativa, dalla Valle del Roia, estremo ponente della provincia di Imperia, a quella dell'Arroscia [...] Attorno al 13-14 giugno 1944, in considerazione del crescente numero di combattenti che agivano nel territorio, venne riconosciuta alle forze della Resistenza imperiese una nuova unità operativa, la IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione".
Rocco Fava di Sanremo (IM), L
a Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999